martedì 16 novembre 2010

Un vivace resoconto della Messa proibita di Seregno. (Messainlatino)



Un vivace resoconto della Messa proibita di Seregno, in diocesi tettamanziana.



Le preoccupazioni di mons. Manganini erano fondate: la Messa celebrata ieri a Seregno dall’abbè Jean-Pierre Herman ha generato meraviglia nei fedeli. Forse, proprio perché l’arciprete sa che la Messa di sempre attira più fedeli di quella moderna, ha fatto sì che il portone di ingresso della chiesa rimanesse chiuso. Per questo motivo non è stato possibile entrare dal portone principale della chiesa, ma dalla sacrestia. Un po’ di nascosto, senza dare nell’occhio. Come nella Russia comunista, così nella diocesi di Tettamanzi.

Dopo aver circondato la chiesa, siamo entrati in chiesa attraverso la piccola porta della sacrestia. E, ci spiace per mons. Manganini, ma siamo stati assaliti da un forte senso di meraviglia vedendo un chirichetto e non una chirichetta e un sacerdote attento alla preparazione della Messa che ci saluta con un sorriso. Ci rattrista dirlo, ma, nel corso di questa mattinata, abbiamo avuto altri attacchi di meraviglite acuta. Dopo aver salutato il sacerdote, siamo entrati in una chiesa costruita in tempi civili, passando di fronte all’altare. Ma non un altare moderno, simile ai tavolini montabili da pic-nic e senza candele. Un altare di quelli antichi, ben saldo sul pavimento grazie alla sua mole e, allo stesso tempo, slanciato verso l’alto. Come i cristiani durante la Messa di sempre: radicati nella fede, in continuo slancio verso Dio. Sopra all’altare, il Tabernacolo. Il centro di tutta la celebrazione, dove è conservato il Corpo di Cristo. Silenzio.

Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat juventutem meam. Una lingua antica, che – ahinoi! – desta ancora meraviglia. Meraviglia perché la lingua della liturgia si distacca dalla realtà di tutti i giorni, ci porta in una realtà ultraterrena. La Messa antica, così piena di genuflessioni, segni della Croce e atti di riverenza, permette al cattolico di comprendere che la celebrazione alla quale sta assistendo non è una festa che «non deve finire, non deve finire e non finirà», come spesso si canta in maniera giuliva in chiesa, ma la rinnovazione di un Sacrificio cruentissimo che ci fa rabbrividire e, al tempo stesso, ci fa provare tenerezza e amore sconfinato per il Figlio di Dio che si è fatto uccidere sulla Croce – morte atroce! – per salvarci dal peccato.

La celebrazione si conclude con l’invocazione a San Michele Arcangelo affinchè ci difenda – e difenda anche la nostra diocesi – dagli attacchi del demonio. Ci salutiamo sul sagrato, colmi di riconoscenza per l’abbé Jean-Pierre Herman e con gli occhi pieni di meraviglia.

Matteo Carnieletto

Fonte

E' evidente che in terra tettamanziana i cattolici legati alla Tradizione vivono in un regime ecclesiastico di stampo stalinista, così com'è evidente che la Curia ambrosiana ha un comportamento scismatico nei confronti del Papa.

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