sabato 30 giugno 2012

Mons. Fellay oggi a Ecône: «siamo al punto di partenza»

 

Il Superiore Generale della Fraternità San Pio X , il Vescovo Bernard Fellay, questa mattina a Ecône, in Svizzera ha ordinato sacerdoti e diaconi. Nel suo sermone, ha incluso alcuni commenti sulla situazione attuale delle relazione tra Roma e la FSSPX :

«Nel celebrare la festa di san Pietro e san Paolo, non possiamo non pensare a Roma. E non possiamo dimenticare l'amore che aveva per Roma il nostro fondatore, e che avrebbe voluto e che voleva inculcare nei suoi figli. Siamo Romani! E questo non possiamo lasciarlo andare! Anche se viviamo in tempi difficili, anche se dobbiamo soffrire a causa della Roma di oggi, questo non può affatto offuscare questo amore vero, effettivo e affettivo per Roma, perché era il buon Dio colui che ha scelto questa città per essere capo della Chiesa. Questo non significa che noi amiamo gli errori, no davvero, ne soffriamo. Ma non dobbiamo lasciarci disgustare da quello che succede, fino al punto di rinunciare. No, è necessario resistere; che è quello che cerchiamo di fare.
Certamente, mi chiedete, 'Cosa sta succedendo a Roma'? Se fino ad ora non abbiamo detto quasi nulla, è perché non abbiamo molto da dirvi. Fino ad ora, le cose sono in una fase stagnante, si può dire, o addirittura ad un punto morto. Nel senso che ci sono stati va e vieni, scambi, corrispondenze, proposte, ma siamo al punto di partenza. Il punto di partenza in cui avevamo detto di non essere in grado di accettare, né di firmare. Siamo qui, questo è tutto. Si vede bene da una parte ciò che rende complicata questa situazione. È già da due o tre anni che lo dico che ci troviamo a Roma davanti alla contraddizione. È dal 2009, che lo lo ripeto, e si può dire che ciò si verifica ogni giorno. È la situazione della Chiesa, cosa volete? Ci sono coloro che tirano, che desiderano andare ancora più in là, possiamo dire, col progressismo e le sue conseguenze. Ci sono altri che vorrebbero fossero attuate correzioni. E noi, in mezzo, siamo diventati come una pallina da ping pong, che ognuno colpisce. Sappiamo che alla fine, alla fine, la Chiesa ritroverà di nuovo se stessa, e spetta a noi, a noi, mantenere nel nostro cuore la volontà di non soddisfarci di un certo comfort in una situazione che semplicemente non è normale. Non bisogna, in definitiva che, abituati ad avere più o meno tutto quello di cui abbiamo bisogno, si consideri la situazione nella quale ci troviamo come normale. Questo non è vero. Semplicemente non è vero. È normale che cerchiamo, con il rispetto per tutte le condizioni che sono necessarie, evidentemente, di recuperare questo titolo, che è il nostro, a cui abbiamo diritto, di cattolici. Questo non significa che dobbiamo prostrarci ai modernisti, non c'è niente a che vedere con questo.


Ma è una situazione difficile, difficile, tutto sembra elettrico, si vede chiaramente che il diavolo scatenato corre su tutti i lati. E quindi, questo è il momento della preghiera. È un momento difficile. Per noi, di noi, si dicono ogni sorta di cose. Caro Dio, l'unica cosa che desideriamo è fare la volontà di Dio, questo è tutto. La volontà di Dio si esprime in fatti. Per noi è chiaro che quest'opera che Monsignore ha fondato non si tratta comprometterla. È anche chiaro che non possiamo portare a tutta la Chiesa un bene se non rimanendo fedeli all'eredità di Monsignore. Da qui vengono queste famose, non so, "condizioni", "assicurazioni", che abbiamo presentato più volte, che devono garantire che la Fraternità resterà quello che è. Se, in un certo momento, una collaborazione è concepibile, quando, come, le circostanze lo dimostreranno».

(Testo tratto e tradotto dal blog Chiesa e post concilio )

( Audio: DICI ) Fonte: Rorate Caeli

mercoledì 27 giugno 2012

1988-2012: 24 anni di miglioramenti?



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di Giovanni Servodio


Come spesso accade nelle cose di questo mondo, gli uomini sono portati a considerare gli eventi di cui sono protagonisti sulla base della loro personale esperienza. La cosa è comprensibilmente umana, ma in questo nostro tempo contrassegnato da un sempre maggiore allontanamento da Dio, dall’essenziale, è quasi inevitabile che l’umano finisca col mutarsi nel troppo umano. Così che si verifica che nel considerare le cose del mondo, gli uomini finiscano col perdere di vista la dimensione escatologica dell’esistenza e col ragionare come se il mondo non dovesse finire mai. A questo bisogna aggiungere che oggi, suggestionati come sono dalle moderne fisime fanta-scientifiche, gli uomini sono portati a pensare al futuro secondo una prospettiva di crescita, di miglioramento, dimenticando una delle verità elementari dell’esistenza: ci si ammala e si incomincia a morire appena nati. Ogni esistenza è destinata a deperire e a concludersi proprio in forza della sua nascita, e se nel corso di questa esistenza si realizza inevitabilmente un processo di crescita che va dall’infanzia alla maturità, è altrettanto inevitabile che esso si concluda con la vecchiaia, la decrepitezza e la morte.
Questo è il paradigma di ogni esistenza, sia essa individuale, sia collettiva: crescono, deperiscono e muoiono gli uomini, le nazioni, le civiltà e deperisce e muore anche il mondo. Non v’è nulla di eterno a questo mondo, tutto è destinato ad invecchiare, deperire e morire. È per questo che la sana dottrina cattolica ha sempre insegnato che bisogna prepararsi necessariamente alla morte, in ogni momento dell’esistenza, mediante una vita timorata di Dio e sottomessa ai suoi insegnamenti e ai suoi comandamenti, perché ciò che conta non è la vita di quaggiù, destinata a finire, ma la vita di lassù, che non avrà fine. E questo vale per ogni uomo, per ogni famiglia, per ogni nazione, per ogni Stato, per il mondo intero.
Sta scritto: Vegliate quindi, perché non sapete né il giorno né l’ora (Mt. 25, 13).

Questa esortazione di Nostro Signore è indicativa di un'altra componente che caratterizza l’esistenza e che è legata all’uomo per il suo essere elemento centrale di tutto il creato: Dio ha voluto l’uomo a sua immagine perché nominasse e reggesse tutte le altre creature e tutto il creato. Tale componente è la dimensione spirituale, la sola che permette all’uomo di vivere e di far vivere il collegamento essenziale con Dio, senza il quale il mondo cesserebbe di esistere insieme all’esistenza umana. Dimensione spirituale che permette all’uomo di andare al di là della sua mera esistenza terrena per acquisire la vita eterna al cospetto di Dio: quella vita eterna che è l’unica a potersi chiamare propriamente vita.
Questo fa sì che l’uomo possa invecchiare, deperire e morire come essere terreno, ma insieme possa crescere come essere spirituale, fino alla contemplazione di Dio. Se nell’uomo si affievolisce questa sua dimensione spirituale, inevitabilmente in lui finisce col prevalere la dimensione terrena, che altrettanto inevitabilmente egli sarà portato ad esaltare, perdendo totalmente di vista l’altra componente e il suo stesso destino ultimo: il Cielo. Egli si riduce ad un mero essere terreno, destinato a deperire e a morire senza essere più in grado di elevarsi a Dio.

Se si osserva la storia dell’umanità si coglie con evidenza un percorso che dallo stato paradisiaco dei progenitori, nel quale l’uomo “parlava” con Dio, conduce via via ad un sempre maggiore allontanamento dal divino a partire dal peccato originale. Per rimediare a questo e per ricordare all’uomo il suo vero destino, per permettergli di ristabilire il rapporto col divino, come dice San Paolo: Dio ha parlato agli uomini in molti modi, fino ad arrivare all’incarnazione del suo Figlio Unigenito (cfr. Eb. 1, 1.2), affinché l’uomo non soggiacesse alla parabola discendente, ma seguisse quella ascendente.
Due componenti, quindi, e due parabole apparentemente contrapposte.
La parabola discendente della componente terrena, naturale, che porta al decadimento e alla morte, e la parabola ascendente della componente spirituale, soprannaturale, che porta alla crescita spirituale e alla vita.
Tutta la vita dell’uomo si muove lungo questa doppia direttrice: quale privilegiare?
Qualsiasi uomo sano di mente risponderà: quella che porta alla vita!
E per far questo non serve altro che mantenersi legati all’unica vera religione, quella rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo, e seguirne i precetti e gli insegnamenti, che sono i precetti e gli insegnamenti di Dio stesso. E questo implica, logicamente e inevitabilmente, che si trascuri la componente umana, la naturale, non disprezzandola, ma mantenendola in noi al suo giusto posto, il posto subalterno e accidentale che le è proprio, a fronte del posto primario ed essenziale che è proprio della componente spirituale.
È questo che intendeva Dante quando ricordava agli uomini: “Considerate la vostra semenza:
 fatti non foste a viver come bruti,
 ma per seguir virtute e canoscenza” (Inferno, XXVI, 118-120). Dove la semenza è l’immagine e somiglianza di Dio, il viver come bruti è il privilegiare la dimensione naturale, la virtù e la conoscenza sono il mezzo e il fine della vita vera, quella vissuta seconda la dimensione spirituale avendo in vista la contemplazione di Dio.

Questa doppia dimensione dell’esistenza umana è propria di ogni organismo composto da uomini e vivente su questa terra, perfino della Chiesa, che è santa per la sua soprannaturalità, ma è peccatrice per la sua umanità: più la Chiesa, per i suoi uomini, si lascia irretire dalla mera umanità, più si allontana dalla spiritualità e viene meno alla sua funzione traente verso Dio. Non v’è dubbio che la Chiesa goda dell’assistenza dello Spirito Santo, ma tale assistenza non rende automaticamente santi gli uomini di Chiesa, essa ha sempre bisogno della loro cooperazione, perché Dio non agisce nonostante la libera volontà umana, e se questa volontà da “buona”, cioè rettamente rivolta al Cielo, diventa “cattiva”, cioè stoltamente rivolta alla terra, all’uomo, ecco che l’assistenza dello Spirito Santo, pur persistendo, non impedisce che l’uomo la renda inefficace. Si potrebbero fare mille esempi tratti da duemila anni di vita della Chiesa, ma basta ricordare i moniti di Nostro Signore.
“Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc. 18, 8).
“È inevitabile che avvengano scandali; ma guai a colui per cui avvengono!” (Lc. 17, 1).

Questi due versetti non sono dei moniti generici rivolti al mondo, che per sua natura sconosce preoccupazioni del genere, ma devono considerarsi come rivolti ai fedeli, alla Chiesa. Se alla Parusia non ci sarà più la fede sulla terra o se di essa rimarrà un piccolo lumicino, è perché la Chiesa, per i suoi uomini, non ha svolto il compito che le era proprio. E se non ha svolto questo compito, producendo scandalo, ci sarà poco di cui meravigliarsi, poiché è inevitabile che avvenga lo scandalo, ma il destino degli uomini che l’hanno provocato è già segnato.
Così che si conferma quanto detto fin qui. Anche la Chiesa, per i suoi uomini, si muove seguendo due tendenze contrapposte: quanto più si accosta all’uomo esaltandone la libertà e la dignità, tanto più si allontana da Dio, favorendo la perdizione dell’uomo. Quanto più segue la mutabilità umana, tanto più si allontana dalla eternità divina. Quanto più predica per la vita terrena, tanto più opera contro la vita eterna. Quanto più pratica la fede nell’uomo, tanto più concorre a sminuire la fede in Dio, fino a ridurre quasi a niente la fede sulla terra.
E non v’è contraddizione tra quanto appena detto e la promessa di Nostro Signore: le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt. 16, 18). Poiché il Signore Gesù non parla degli uomini di Chiesa indistintamente, non parla dell’insieme dei suoi discepoli, ma solo della Sua Chiesa: quella composta da coloro che credono in Lui (Cfr. Gv. 17, 20), da coloro che il mondo ha odiati perché sono nel mondo, ma non sono del mondo (cfr. Gv. 17, 14), così che dalla Sua Chiesa sono esclusi coloro che trovano il plauso del mondo, coloro che il mondo comprende, coloro che cercano e trovano l’accordo col mondo, coloro che scambiano l’approvazione di Dio con l’approvazione degli uomini, e tutti costoro sono esclusi indipendentemente dalla loro collocazione nel seno della Chiesa visibile, sia a livello discente sia a livello docente.

È tale parabola discendente che fa comprendere meglio le strane esperienze condotte dagli uomini di Chiesa. Dopo il fruttuoso periodo di crescita, durante il quale gli uomini si raccolsero sempre più numerosi nella Cristianità, sopraggiunse l’inevitabile decadimento, che dura ancora oggi: dall’umanesimo al protestantesimo, dall’assolutismo all’illuminismo, dal progressismo al modernismo, dalla discutibilissima e ancora fortemente discussa esperienza del Vaticano II ai recenti incontri mondiali dove si riuniscono per parlare di pace, e di Dio, i veri credenti, i falsi credenti, i miscredenti e gli indifferenti, come se Dio fosse ormai ridotto ad un oggetto di mera disquisizione umana.
Parabola discendente che, non solo spiega il Vaticano II e il post-concilio, ma chiarisce come il Vaticano II non fu un incidente di percorso, ma il punto d’arrivo di un processo di decadimento e di cedimento che vide coinvolti i vescovi della Chiesa non a titolo accidentale, ma preordinato: vescovi che avevano finito col convincersi che il contrasto implicito fra la fede e il mondo avesse una valenza temporale: valido al tempo di Gesù e magari fino a qualche secolo prima, esso si rivelava non più giustificato e praticabile, perché, secondo loro, la maturazione del mondo portava a ritenere che fosse giunto il tempo di stabilire una fruttuosa collaborazione fra la fede e il mondo. E quanto maturò in seno al Vaticano II, con i suoi documenti, non fu causato dalla cattiva influenza di alcuni teologi rivoluzionari, ma dal convincimento di tanti vescovi e teologi che, sulla base della concezione evolutiva di cui abbiamo detto, erano giunti alla conclusione che il mondo fosse pronto per una proficua collaborazione con la Chiesa, non necessariamente per concorrere al perseguimento della vita eterna nel mondo che verrà, quanto per accontentarsi a raggiungere una vita pacifica e felice in questo mondo di qua. E questi convincimenti erano così radicati e diffusi che inevitabilmente portarono i loro frutti nel post-concilio, realizzando quella che da parte di tanti cattolici tradizionali viene chiamata “crisi della Chiesa”, ma che in realtà è più che una crisi, è un nuovo modo d’essere della Chiesa, è una nuova Chiesa, è la neo-Chiesa del Vaticano II. La riprova di ciò si ha, non solo nelle migliaia di deviazioni dottrinali e liturgiche di cui la Chiesa soffre da quasi 50 anni, ma anche nell’ascesa al Soglio Pontificio di uno di quei teologi che con la loro concezione compromissoria col mondo avevano fortemente contribuito a fare del Vaticano II quello che è.

Come non pensare che se questa in cui ci troviamo non è la fase ultima della decrepitezza che fa subito intravedere la morte, di certo si tratta di uno stato avanzato di vecchiezza e di malattia? La morte potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro.

Fatta questa lunga premessa, possiamo tornare alla domanda iniziale.
Il 1988 richiama subito alla mente quella incredibile decisione del Papa che, per la prima volta nella storia della Chiesa, inflisse la scomunica a sei vescovi cattolici a causa del loro voler rimanere legati all’insegnamento bi-millenario della Chiesa di Cristo e del loro rifiuto di voler accettare un qualsiasi accordo col mondo, secondo gli insegnamenti dei Vangeli.
Vero è che l’espediente canonico si richiamava alla disubbidienza, ma proprio questo fa comprendere come il Papa, e con lui gli uomini della neo-Chiesa nata dal Concilio, fossero ormai giunti al punto da privilegiare così tanto la legge ecclesiastica da sottomettergli la stessa legge della fede: sì, si poteva essere fedeli seguaci di Cristo, si poteva considerare come imprescindibile l’ubbidienza alla sue leggi, ma di fronte al dettato della legge ecclesiastica, di per sé più strumento umano che imperativo divino, di fronte a tale strumento, la fedeltà a Cristo, l’ubbidienza alle sue leggi, la preminente esigenza spirituale, dovevano lasciare il posto alla preoccupazione umana. Sei vescovi cattolici condannati dalla neo-Chiesa nata dal Concilio, per la loro supposta “incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione”: incompleta perché non teneva conto delle rivoluzionarie novità prodotte dal Concilio in contrasto con l’insegnamento tradizionale, contraddittoria perché continuava a considerare impossibile una qualche conciliazione col mondo, un qualche possibile accordo fra Cristo Crocifisso e la causa della sua crocifissione.
Da allora, si è continuato su questa falsa riga, immaginando che la soluzione non stesse nella correzione di questa condotta ingiustificatamente censoria e palesemente antitradizionale, ma nell’accettazione di essa e delle sue motivazioni: l’accordo col mondo e l’abbassamento della religione al livello meramente umano, la impossibile collaborazione fra il Re del Cielo e della terra e il Principe di questo mondo, e tutto questo, non più in vista della felicità celeste per l’eterna contemplazione di Dio, ma in vista della pace terrena per il transeunte benessere umano.
La parabola discendente naturale privilegiata rispetto a quella ascendente soprannaturale.
È lungo questa parabola discendente che si sono mossi i 24 anni trascorsi dal 1988 al 2012, durante i quali vi sono stati diversi cambiamenti, ma tutti legati all’inevitabile moto discendente: sono cambiate tante cose, ma sempre sulla stessa falsa riga dell’esaltazione dell’umano, tali da non intaccare minimamente il procedere a ritroso rispetto a Dio, anzi accompagnandolo e confermandolo.

Forse non è inutile ricordare che lo svolgersi degli accadimenti terreni, compresi quelli relativi alla vita terrena della Chiesa, si realizza lungo una linea ondulata, con alti e bassi, con cadute e riprese. Questo andamento è quello che fa dire che la Chiesa ha sempre superato le crisi che ha dovuto affrontare, e che fa capire come dalla soluzione di una crisi, da una ripresa, si sia poi passati alla crisi successiva, con una nuova ripresa, e così via. Ci si dimentica, però, di riflettere sul fatto oggettivo che tale linea ondulata non si snoda lungo una direzione orizzontale, non si avvolge intorno ad una retta orizzontale, ma si snoda e si avvolge lungo una linea inclinata: la stessa linea inclinata che partendo dall’alto, dalla vicinanza con Dio, si dirige verso il basso, verso l’allontanamento da Dio. Così che l’insieme della sinusoide si muove in senso discendente, tale che il punto più in alto dell’ultima ripresa finisce col trovarsi, giocoforza, più in basso della crisi precedente. A questo bisogna aggiungere che, com’è inevitabile in tutti i movimenti discendenti, il moto che si manifesta è tanto più accelerato per quanto si avanzi nella discesa: cosa che spiega perché le crisi sono sempre più gravi, com’è quella attuale.
Chi non tenesse presente questo andamento, verrebbe indotto in errore e sarebbe portato a pensare che la soluzione di una crisi possa corrispondere ad un impossibile ritorno all’indietro, e peggio ancora verrebbe indotto a supporre che dagli stessi uomini di Chiesa che hanno causato il danno possa derivare il rimedio necessario… chissà per quale impossibile metamorfosi!

Giunti al 2012, ci si ritrova con tutte le contraddizioni e gli errori e soprattutto con tutte le illusioni causate dalla falsa prospettiva evolutiva, che induce a credere che si possano cancellare 50 anni di Concilio e di post concilio, 50 anni di deviazioni, 50 anni di decadimento e di allontanamento da Dio, con una semplice inversione di rotta. Falsa prospettiva che fa scambiare timidi aggiustamenti e piccoli accorgimenti correttivi, più di forma che di sostanza, per tentativi di restaurazione. Falsa prospettiva che impedisce di vedere quanto dicevamo prima e cioè che il punto più alto dell’aggiustamento attuale continua a collocarsi ad un livello più basso della precedente deviazione a cui pretende di rimediare.
Non è un problema di buona volontà, è una questione di struttura interiore: gli uomini di Chiesa moderni, pur adoperando tutta la loro buona volontà, non riescono più a rendersi conto di che cosa esattamente porti verso l’alto e di che cosa invece attragga verso il basso, e facilmente confondono le due direzioni perché abbagliati dall’approvazione del mondo, dimentichi come sono che il successo umano è indice dell’insuccesso nei confronti di Dio.
Per esempio: pochi fanno caso al fatto che oggi si abusa della parola “amore” come fosse magica. Partendo dall’insegnamento che: Dio è amore, si pensa di poter proporre la pratica di questo amore attraverso la concezione umana dell’amore, addirittura attraverso la concezione umana “moderna” dell’amore, tutta ancorata alla dimensione naturale. Un amore, quello moderno, scaduto ormai al livello della sensazione viscerale, al mero livello dell’attrazione dell’uomo per l’uomo, un amore che privo dell’amore per Dio, non riesce neanche più a praticare l’amore per il prossimo. Un amore che non trae più verso l’alto, ma trascina ogni giorno di più verso il basso, verso il subumano, se possibile. Questa tendenza, seppure mossa dalla buona volontà, sollecita tanto la componente naturale dell’uomo da muoverlo ad abbandonare la sua componente spirituale, così che l’uomo è incoraggiato non più ad amare il prossimo per amore di Dio, ma, viceversa, ad amare semplicemente “l’altro”, per usare la terminologia corrente, credendo così di realizzare l’unico amore possibile per Dio: un amore di questo mondo per questo mondo che lascia Dio in quel mondo a cui non si aspira più perché pieni dell’amore di sé e “dell’altro”.
Un’altra riprova del decadimento dell’uomo moderno e dell’avvilimento dell’uomo di Chiesa moderno.

Ora, se le cose non fossero giunte ad un livello così basso, oggi non ci sarebbero uomini di Chiesa che, pur essendo convinti della imprescindibile necessità di rimanere fedeli alla Tradizione cattolica, si lasciano irretire dalla sollecitazione naturale dell’amabilità umana fino a scambiare la buona volontà umana con la retta volontà di cui parlano gli Angeli alla nascita del Salvatore. Segno che il moto discendente coinvolge inevitabilmente tutti gli uomini di questo nostro tempo triste e buio. Esattamente come ammonisce Nostro Signore: Non ci credete, perché con segni e portenti inganneranno anche gli eletti, se fosse possibile (Cfr. Mc. 13, 21-23).
Questa tendenza ad accreditare alla buona volontà meramente umana una valenza quasi tradizionale che non potrebbe avere e che non ha, è quella che porta a pensare che la crisi dell’ultimo cinquantennio possa essere reversibile, che la prospettiva che si intravede, e che presto o tardi finirà col realizzarsi, sarebbe una prospettiva di rinnovato ordine tradizionale: se questo è impossibile in termini umani, si dice, non è impossibile in termini divini, ragion per cui l’avvenire ci riserverebbe il ripristino della normalità tradizionale. Si tratta di una tendenza che si è ormai diffusa anche in ambienti tradizionali, fino a toccare quell’ambito tradizionale che può considerarsi il baluardo della resistenza contro lo svilimento della fede, tanto da potersi ritenere che è grazie ad esso che, a Dio piacendo, la fiamma della fede non si spegnerà. Ma la cosa non deve meravigliare, sia perché anche in questo caso si tratta di figli del nostro tempo, sia perché è umanamente comprensibile che i luccichii vaticani possano distogliere gli occhi, e poi le menti e i cuori, dallo scivolamento verso il basso nel quale, checché se dica, si rimane coinvolti tutti.
Resta solo quell’inciso del Vangelo: “se fosse possibile”, a ricordare che Nostro Signore non permetterà che tutti vengano ingannati e preserverà coloro che Lui si è scelto, perché a motivo di essi siano abbreviati i giorni della tribolazione e non tutti gli uomini si perdano (Cfr. Mc. 13, 18-20).

Quando si volesse precisare che considerazioni come queste attengono più ad una fede naturale piuttosto che, come si dovrebbe, ad una fede soprannaturale, sarà opportuno richiamarsi al sano realismo cattolico e ricordare che la penultima crisi della Chiesa fu quella del progressismo e del modernismo, contro i quali si mosse un corpo ecclesiale ben più agguerrito nella fede di quello attuale, e che questo avvenne in un contesto sociale e umano in cui persistevano una percezione e una pratica della fede che, seppure già deboli, erano ben più radicate e serie di quelle attuali. Eppure, dalla crisi del modernismo si passò ad una brevissima stagione di tregua che sfociò ben presto, negli anni ’60, nel Vaticano II, a dimostrazione del fatto che né la fede dei cattolici, né i richiami dei papi, né le preghiere dei consacrati poterono impedire che il processo di decadimento andasse avanti fino a produrre una nuova più devastante crisi: quella che stiamo ancora vivendo.

Se poi si volesse puntualizzare che non siamo più nel 1988 e che in questi anni, fino al 2012, si sono registrati degli apprezzabili miglioramenti, sarà opportuno appellarsi al sano realismo cattolico e ricordare che ben più del blasfemo raduno di Assisi del 1986, oggi è in fase di avanzata realizzazione la diabolica adunanza degli anticattolici, presieduta dal Vaticano e promossa perché i fedeli cattolici apprendano dagli anticristi il modo migliore per comprendere e praticare la fede. Parliamo della equivoca iniziativa del “cortile dei gentili”, dove si gabella per apertura al mondo il passaggio degli uomini di Chiesa dagli stalli delle cattedrali alle stalle dei laboratori ove si producono i virus della dissoluzione.

Se infine si volesse obiettare che, ciò nonostante, negli ultimi 7 anni si sono visti segni di ripresa tradizionale tutt’altro che trascurabili, come il ripristino della S. Messa tradizionale o la remissione della scomunica del 1988 o lo svolgimento di complesse discussioni sulla vera portata del Vaticano II, col relativo corollario della spontanea apertura di un acceso dibattito sul suo valore magisteriale, allora siamo costretti a ricordare che è proprio dall’esame di questi “aggiustamenti” che si coglie la conferma di quanto dicevamo prima circa l’apparente passo indietro che continua a rivelarsi un ulteriore passo avanti.
La S. Messa tradizionale non è stata recuperata, ma è stata declassata a mero espediente atto a confermare il suo supposto valore relativo rispetto alla deviante Messa moderna.
La scomunica è stata rimessa per ribadire che era stata comminata legittimamente e sacrosantamente a difesa della deviazione modernista attuata dal Vaticano II, tant’è vero che la memoria del due vescovi deceduti non è stata minimamente riabilitata e l’esercizio del ministero dei quattro vescovi viventi è stato impedito e sottoposto perfino a procedure inquisitorie.
Lo svolgimento dei colloqui dottrinali ha permesso di ribadire la incompatibilità fra insegnamenti tradizionali e pretesi insegnamenti moderni, ma con la sottolineatura che questi ultimi non possono essere negletti, per la supposta natura stessa del Magistero che non potrebbe che essere “progressivo”, a conferma che il decadimento è tale che perfino la comprovata incompatibilità tra l’antico e il moderno si pretende che debba comportare, non la sconfessione del moderno, ma la revisione critica dell’antico sulla base del moderno, come d’altronde si è fatto già da tempo sottoponendo perfino i Vangeli alla cosiddetta nuova esegesi.

Pensare che nel bel mezzo di questo processo di inarrestabile decadimento si possa passare da una fase negativa ad una fase positiva capovolgendo la tendenza principale e ripristinando un nuovo ordine tradizionale, significa far mostra di una ingenuità quasi colpevole, significa disconoscere l’insegnamento che ci viene dalla storia della Chiesa in questo mondo, significa perdere di vista l’escatologia dell’esistenza, significa soggiacere alla suggestione progressista dell’evoluzione migliorativa, in ultima analisi significa concorrere, senza rendersene conto, all’accentuazione del detto processo, dimenticando che è inevitabile che lo scandalo ci sia, ma guai a coloro…!

Oggi ci troviamo in una fase accentuata del processo di decadimento e ciò che occorre è una tenuta quanto mai radicale della fede, indipendentemente da come si svolgono le cose della Chiesa ufficiale. Una tenuta che, per quanto difficile da definire e da praticare, per quanto complicata da giustificare in termini comuni, permetta di salvare il salvabile, in ordine alla pratica della fede e al mantenimento dei mezzi soprannaturali per la salvezza delle anime. E per far questo è importante che si giunga a considerare che il perdurare della fede nel mondo fino alla Parusia è cosa che può avvenire, sempre secondo i piani di Dio, anche indipendentemente dalle vicende della Chiesa ufficiale, della neo-Chiesa nata dal Vaticano II. E a chi, a questo punto, ci volesse richiamare ad un maggiore sensus Ecclesiae, rispondiamo, sulla base di quanto dicevamo prima a proposito della reale consistenza della Chiesa di Cristo in questi tempi ultimi, che è proprio il sensus Ecclesiae che ci spinge a considerare che la permanenza della fede e dei mezzi soprannaturali per la salvezza delle anime deve e può continuare a sussistere cum Petro et sub Petro, si necesse obstante Petri (con Pietro e sotto Pietro, se necessario nonostante Pietro).
Espressione che a prima vista potrà apparire eccessiva e ad alcuni perfino scandalosa, ma che trova riscontro negli stessi Vangeli.
Su questo complesso argomento del “destino del magistero petrino” abbiamo già scritto un articolo in tempi non sospetti ed è ad esso che rimandiamo, non potendo ritornarci qui per la complessa articolazione dell’argomento.
E questa espressione, è bene precisarlo, non ha niente a che vedere col sedevacantismo, di cui oggi in molti, a dritta e a manca, agitano lo spettro a mo’ di monito minaccioso, perché è bene precisare che il voler mantenere la fede anche a costo di prescindere da Pietro, significa propriamente continuare a riconoscere la presenza e la funzione di Pietro, cosa che con tutta evidenza è l’inverso del sedevacantismo che taglia corto sulla problematica e se ne esce con la comoda scappatoia che Pietro non ci sarebbe più, illudendosi così di aver risolto il problema degli errori del Vaticano e del complessivo decadimento della Chiesa: in realtà Pietro c’è ed è il suo esserci che impone, per il bene delle anime, che, se necessario, se egli in qualche modo devia dalla sua funzione, si debba mantenere la fede malgrado Pietro.

Ovviamente, ci sarebbe anche la possibilità che Pietro non abbia affatto deviato dalla sua funzione, che le cose della Chiesa vadano benissimo, che sia in atto una sempre più diffusa pratica dei comandamenti di Nostro Signore, presso i singoli, la famiglie e le nazioni, che l’insegnamento della Chiesa sia il faro che illumina ogni condotta umana privata e pubblica, che la salvezza delle anime sia sempre più ampiamente e seriamente praticata, e che quindi la fede giunga alla Parusia in splendido rigoglio, nonostante i moniti di Nostro Signore. Ebbene, se così fosse, se ci fossimo clamorosamente sbagliati, il presente scritto varrebbe un bel niente e saremmo i primi a chiedere scusa ai nostri lettori per la perdita di tempo.

Fonte: Una Vox

martedì 26 giugno 2012

Lettera della Segreteria generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X ai Vescovi e ai Superiori della Fraternità







Eccellenze, Signori Superiori,

come sapete il nostro Superiore generale aveva risposto alla lettera del Card. Levada del 16 marzo, che tentava di imporre il Preambolo dottrinale del 14 settembre 2011. Con questo documento, datato 15 aprile, egli voleva uscire dal ginepraio creato da questo Preambolo. Secondo diverse voci concordanti, il nuovo testo sembrava soddisfare il Sommo Pontefice.

Il 13 giugno 2012, il Card. Levada ha riconsegnato al nostro Superiore generale il suo testo dello scorso aprile, ma emendato in modo tale che, in sostanza, vengono riprese le proposizioni del settembre 2011. Mons. Fellay gli ha subito fatto sapere che non poteva firmare questo nuovo documento, chiaramente inaccettabile. Il prossimo Capitolo permetterà di fare il punto sull’insieme del dossier.

Peraltro, informo tutti membri del Capitolo che, in virtù del Canone 2331 ¶ 1 e 2 (n.c. 1373), il Superiore generale ha privato dell’ufficio di capitolante Mons. Williamson, per le sue prese di posizione che chiamano alla ribellione e per la sua disobbedienza continuamente ripetuta. Gli ha anche vietato di recarsi ad Ecône per le ordinazioni.

Infine, Mons. Fellay ha deciso di differire le ordinazioni dei religiosi Domenicani di Avrillé e Cappuccini di Morgon, previste per il prossimo 29 giugno a Ecône. Questo procrastinare le ordinazioni gli è stato semplicemente dettato dalla preoccupazione di assicurarsi della lealtà di queste comunità, prima d’imporre le mani sui loro candidati (cfr. I Tim. 5, 22).

Vi prego di credere, Eccellenze, Signori Superiori, alla mia rispettosa e fedele devozione sacerdotale.




Abbé Christian Thouvenot

martedì 19 giugno 2012

Lettera Aperta di don de Tanoüarn a Mons. Tissier de Mallerais

Caro monsignore,
 È lei che mi ha ordinato sacerdote. Sono tra i primi ai quali, attraverso la grazia della sua ordinazione del 1988, ha conferito il sacerdozio ministeriale, uno dei primi che ha mandato nella Vigna del Signore per preparare la Messe. So ciò che le devo nel Signore.

Sono fiero della sua paternità, perché so che, da parte sua, lei si è impegnato valorosamente con grande generosità di cuore e con grande dirittura di spirito per far conoscere le posizioni della Fraternità San Pio X di fronte all'attuale crisi. La sua biografia di Mons. Lefebvre reca l'impronta di questo lavoro e di quanto lo precede. Ricordo di averla invitata, al momento della pubblicazione, per un intervento sulla libertà religiosa, a Parigi ; successivamente, nella Nuova rivista Certitudes, ho recentemente avuto l'onore di pubblicare suoi lavori.

So bene che lei non è favorevole all'accordo ormai imminente. Ma il suo dissenso è nobile. Esso si esprime senza aggressività. Nell'intervista rilasciata il 13 giugno scorso al giornale Rivarol, lei ci ha tenuto a riconoscere le innegabili qualità del nostro Papa Benedetto XVI. Lei non è tra coloro la cui aggressività prende il posto della ragione.
Lei non è neanche di quelli che si sentono persi, smarriti, perché si chiede loro brutalmente una svolta a 180 gradi e non hanno l'abitudine di virare di bordo: mancanza di agilità, mancanza di esercizio. Penso al sermone di don Pfeiffer, che ho conosciuto ad Ecône. Esprime bene questo smarrimento, ma senza essere purtroppo capace di articolare la minima ragione di fondo al suo rifiuto degli accordi. Cito :

« Stiamo per concludere un accordo. Tuttavia, dopo le discussioni dottrinali, ci si era detto: Roma non ha cambiato posizione, Roma crede ancora al modernismo, Roma rigetta sempre la Fede, mentre la Fraternità difende sempre la Fede. Dunque, niente è cambiato. È ciò che aveva detto Mons. Fellay. Ed ecco che dopo le cose sono cambiate: dobbiamo concludere un accordo adesso, dobbiamo essere riconosciuti e regolarizzati adesso, dobbiamo ricevere una prelatura personale adesso. Ma tutti i documenti sono segreti, tutte le comunicazioni sono segrete, tutto accade nel segreto. Non si osserva il segreto sulla verità. Non si tiene segreta una cosa buona, si custodisce segreta una menzogna, si mantiene il segreto su qualcosa di male, si custodisce segreto un inganno. Ciò che spiega il segreto di questi ultimi anni, è che se Mons. Fellay, don Pfluger e Nély e gli altri superiori del Fraternità San Pio X ci avessero detto la verità con audacia da uno o due anni, tutti si sarebbero rivoltati. In luogo di ciò, ci si c'è detto: Abbiate fiducia, non conoscete tutti i dettagli. Non siete che delle pecore idiote, stupide, imbecilli ».

Bisogna intendersi esattamente su questo smarrimento « ci s'è detto... Ed adesso ci si dice mentre niente è cambiato ». Ma non costituisce, in sé, una ragione per rifiutare l'accordo con Roma. Non è affatto la sua prospettiva, Monsignore. Il suo rifiuto non è all'insegna di nessuna paura, di nessuna ferita... Porta al fondo, alla verità che unica ci attira, unica ci motiva, unica ci rende fecondi per il Regno... ed unica può assolverci, se per disgrazia deviamo della via stretta.

Caro Monsignore, non è in questi termini eccessivamente personali che lei pone solennemente la questione dell'accordo con Roma. Per lei, c'è un'opposizione teologica tra Roma ed i Fraternità San Pio X e bisogna formularla. La cito :
« Vorrei che producessimo un testo che, rinunciando alle finezze diplomatiche, affermi chiaramente la nostra fede e di conseguenza il nostro rifiuto degli errori conciliari. Questa proclamazione avrebbe primariamente il vantaggio di dire apertamente la verità al papa Benedetto XVI che è il primo ad avere diritto alla verità e secondariamente di restaurare l'unità dei cattolici di tradizione intorno ad una professione di fede combattiva ed inequivoca ».
Le confesso che vedo male la portata della sua prima motivazione, perché non ne afferro il fondamento Sono invece molto sensibile al suo secondo argomento : un testo chiaro sul Concilio, in occasione dei 50 anni dalla sua apertura, permetterebbe ai tradizionalisti di sapere perché essi esprimono il loro disaccordo, al di là del Sensus fidei di cui danno prova. Un testo chiaro, è l'unione di tutti i cristiani di buona volontà. L'assenza di testo chiaro, è la disunione, col rischio di rincarare la dose della critica che le circostanze attuali ci mostrano non bisogna prendere alla leggera. Personalmente, milito per la chiarezza dal 2002, il Symposio di Parigi, durante il quale 60 sacerdoti sono convenuti dai quattro angoli del mondo (lei c'era caro Monsignore), per celebrare apertamente, chiaramente, e con rispettosa critica, i 40 anni del Concilio. Già in questa occasione abbiamo prodotto un testo in otto punti, che successivamente ha costituito l'Appendice 3 del mio libro Vaticano II e Vangelo. Almeno a questo titolo lo trovo ancora su Internet. Ritengo che la moderazione di toni e la precisione dei riferimenti di questo lavoro collettivo possono permetterne una ulteriore utilizzazione... e che sicuramente questo documento possa essere rivisto ed ampliato.

Son tornato a questo testo molte volte, in occasione di conferenze al Centro Saint Paul (l'ultima in gennaio per celebrare l'entrata nel mezzo-secolo, ce ne sono stati degli echi su Metablog). La vera Tradizione è critica ! Niente a che vedere con l'accordo o l'assenza di accordo con Roma. Si tratta di suonare il nostro spartito, di assumere la nostra responsabilità nella Chiesa. "Agere ut pars", agire come une parte nella grande Chiesa, come disse Cajetano definendo il costitutivo formale della nostra appartenenza al Corpo mistico. Agitando il drappo rosso dell'ermeneutica, Benedetto XVI ha indicato fin dal primo anno del suo Pontificato, che il Concilio deve essere interpretato con una nuova ricezione, contro un certo "spirito del Concilio" di cui il Papa ha mostrato il carattere deleterio. Bisogna che noi partecipiamo tutti a questa ricezione nuova e correttiva di un testo intorno al quale si sono cristallizzati - a favore e contro - cinquant'anni di vita della Chiesa. 

Caro Monsignore, lei contesta, ho visto, il principio stesso dell'ermeneutica. Ma contestandolo, lei stesso alimenta questa interpretazione multiforme del concilio. In quanto vescovo, lei non può contestare un tale argomento, non può lei stesso scrivere a questo argomento degli Anatemi. Bisogna che si rassegni ad essere ciò che è:  un interprete critico. Ed anch'io, anche se sono solamente un semplice prete. Perché non lavorare insieme - e con molti altri, Istituti ED ogni cappella unita - non solo per la FSSPX, ma per tutta la chiesa?

Temo il suo rifiuto e vorrei, invece, produrre qui una ragione possibile. Essa è tratta dalla sua intervista a Rivarol.
« Con questa religione [conciliare] non vogliamo alcun compromesso, alcun rischio di corruzione, neppure alcuna parvenza di riconciliazione, ed è questa parvenza che ci darebbe la nostra se-dicente "regolarizzazione" ».
Ciò che mi turba qui non è che lei parli di "religione" conciliare. Credo che il termine sia giusto. Il Concilio non ha toccato la fede cattolica, ma ambisce ad accompagnare la creazione di una vera e propria nuova religione, ottimista e umanista come erano le 30 Glorieuses [detto del forte periodo di crescita dei paesi sviluppati -ndT]. Questa nuova religione, gli ultimi 20 anni lo dimostrano con i fatti, non funziona. Essa ha contribuito ad accelerare il movimento di secolarizzazione che vuota le chiese, invece di presentarsi come una risposta a questo movimento.

Ciò che mi lascia a disagio è che lei - sì: lei - tenga talmente all'atteggiamento, è ciò che scriveva, che bisognerebbe fuggire non solo una conciliazione forzosamente imbecille, (nel senso etimologico del termine), ma dapprima, ma soprattutto "l'apparenza di questa conciliazione." Parlando di "apparenza", sa molto bene che l'accordo con Roma non la farebbe deviare di uno iota sui giusti rimproveri che rivolge al Concilio e che oggi, volens nolens, tutta la chiesa è pronta a sentire dalla sua bocca di vescovo cattolico. Chi teme di scandalizzare? Gli isterici di Virgo Maria? Il loro scandalo è farisaico e non reale.

Caro Monsignore, sottoscrivendo l'accordo con Roma, forse darà un'apparenza di scandalo a certi spiriti male orientati. Ma non sottoscrivendo, mentre glielo chiede il Vescovo di Roma, non è l'apparenza che lei rischia, ma la realtà dello scandalo. Prego per lei e la ringrazio per la nobiltà con cui al momento mostra a tutti che "la vera tradizione è critica".

Permetta che prenda in prestito dal recente libro di Philippe Le Guillou, Il Ponte degli angeli(Gallimard) una piccola parola che giustifica questa lettera : « Bisogna far di tutto per evitare i conservatori ad oltranza. Lei è un uomo di Dio, tutti lo sanno, qui... e lassù. Non ci deluda ! » _________________________


[Fonte : don de Tanoüarn - MetaBlog - 17 giugno 2012] La suscritta lettera è stata tradotta dal Blog Chiesa e post concilio

lunedì 18 giugno 2012

“La fede viene prima della legalità”

Intervista 
di S. Ecc. Mons. Bernard Tissier de Mallerais
della Fraternità San Pio X
concessa il 1 giugno 2012 al settimanale Rivarol
e pubblicata nel n° 3051 del 15 giugno 2012




i neretti sono nostri

Introduzione di Rivarol
Dieci anni fa abbiamo intervistato Mons. Tissier de Mallerais a proposito della pubblicazione della sua corposa biografia di Mons. Lefebvre, presso le edizioni Clovis: Marcel Lefebvre. Une vie [Si veda l'edizione italiana]. 
L’ex arcivescovo di Dakar aveva concesso, nel 1968, due anni prima di fondare la Fraternità San Pio X, una lunga intervista a Rivarol, che aveva fatto epoca. 
In occasione della riedizione del suo lavoro: La strana teologia di Benedetto XVI, Ermenuetica di continuità o rottura, [Si veda la prima parte di questo studio, da noi tradotto] pubblicato dalle Editions du Sel, Couvent de la Haye aux Bonhommes, 49240 Avrillé, abbiamo interpellato nuovamente Mons. Tissier, in un momento in cui vengono alla luce delle gravi divisioni in seno alla Fraternità Sacerdotale San Pio X sulla questione di un accordo con Benedetto XVI.
In questa intervista, realizzata il 1 giugno, si può vedere che Mons. Tissier, nato nel 1945 e che è uno dei quattro vescovi consacrati dal prelato di Ecône il 30 giugno 1988, il solo di nazionalità francese, si oppone nettamente alla strategia di collegamento con Benedetto XVI condotta da Mons. Fellay.

Intervista

Rivarol: Si parla molto della “reintegrazione” imminente della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) nella «Chiesa ufficiale». Che ne è esattamente?
Mons. Tissier de Mallerais: “Reintegrazione” è un termine falso. La Fraternità San Pio X (FSSPX) non ha mai lasciato la Chiesa. Essa è nel cuore della Chiesa. Laddove è la predicazione autentica della fede, là è la Chiesa. Questo progetto di “ufficializzazione” della FSSPX mi lascia indifferente. Noi non ne abbiamo bisogno e la Chiesa non ne ha bisogno. Noi siamo già al centro dell’attenzione, come un segno di contraddizione che attira le anime nobili, che attira molti giovani sacerdoti malgrado il nostro status di paria. Con la nostra integrazione nell’orbita conciliare, si vorrebbe mettere la nostra luce sotto il moggio. Questo statuto di prelatura personale che ci si propone, analogo a quello dell’Opus Dei, è uno statuto per uno stato di pace, ma attualmente nella Chiesa noi siamo in stato di guerra. Sarebbe una contraddizione voler “regolarizzare la guerra”.

Rivarol: Ma certuni nella Fraternità San Pio X pensano che questo sarebbe quantomeno una buona cosa. Non si sente in imbarazzo per questa situazione “irregolare”?
Mons. Tissier: L’irregolarità non è la nostra. È quella di Roma. Una Roma modernista. Una Roma liberale che ha rinunciato a Cristo Re. Una Roma che è già stata condannata da tutti i papi fino alla vigila del Concilio. D’altra parte, l’esperienza degli istituti sacerdotali che si sono ricollegati alla Roma attuale, dice che a tutti, gli uni dopo gli altri, compresi Campos e il Buon Pastore, è stato intimato di accettare il Concilio Vaticano II. E si sa che fine ha fatto Mons. Rifan, di Campos, che adesso non ammette più obiezioni alla celebrazione della nuova Messa e che ha proibito ai suoi sacerdoti di criticare il Concilio!

Rivarol: Cosa risponde a coloro che credono che con Benedetto XVI Roma sia cambiata?
Mons. Tissier: È esatto che Benedetto XVI ha fatto alcuni gesti a favore della Tradizione. Principalmente dichiarando che la Messa tradizionale non è mai stata soppressa e secondariamente annullando nel 2009 la cosiddetta scomunica che era stata emessa contro di noi in seguito alla nostra consacrazione episcopale fatta da Mons. Lefebvre. Questi due gesti positivi hanno attirato su Benedetto XVI delle pesanti lamentele da parte dell’episcopato. Ma il Papa Benedetto XVI, comunque sia, resta modernista. Il suo discorso programmatico del 22 dicembre 2005 è un credo nell’evoluzione delle verità di fede a seconda delle idee dominanti di ogni epoca. Malgrado i suoi gesti favorevoli, la sua reale intenzione è quella di integrarci nell’orbita conciliare, solo per condurci al Vaticano II. L’aveva detto lui stesso a S. Ecc. Mons. Fellay, nell’agosto del 2005, e una sua nota confidenziale, pubblicata fraudolentemente, lo ha recentemente confermato.

Rivarol: Ma certuni pensano che Benedetto XVI, che viene dalla Baviera cattolica e che, com’essi credono, è «di una profonda pietà fin dalla giovinezza», ispiri fiducia. Lei, cosa risponde?
Mons. Tissier: È vero che questo Papa è molto comprensivo. È un uomo amabile, gentile, riflessivo, un uomo semplice ma di un’autorità naturale, un uomo di decisione che ha risolto parecchi problemi nella Chiesa con la sua energia personale. Per esempio, problemi di moralità in questo o quell’istituto sacerdotale. Ma è imbevuto del Concilio. Quando dice che la soluzione del problema della FSSPX è uno degli impegni principali del suo pontificato, egli non vede dove sta il vero problema. Si pone male. Lo vede nel nostro cosiddetto scisma. Ora, il problema non è quello della FSSPX, ma quello di Roma, della Roma neomodernista che non è più la Roma eterna, che non è più la maestra di saggezza e di verità, ma è diventata fonte di errore a partire dal Concilio Vaticano II e ancora oggi lo è. Quindi, la soluzione della crisi potrà venire solo da Roma. Dopo Benedetto XVI.

Rivarol: Allora, come vede la soluzione di questo disaccordo, da molti giudicato scandaloso, tra la FSSPX e Benedetto XVI?
Mons. Tissier: È vero che la FSSPX è una «pietra dello scandalo» per coloro che resistono alla verità (cfr. 1 Pt. 2, 8) e questo è un bene per la Chiesa. Se noi fossimo “reintegrati”, per ciò stesso cesseremmo di essere la spina conficcata nel fianco della Chiesa conciliare: il rimprovero vivente contro la perdita della fede in Gesù Cristo, nella sua Divinità, nella sua Regalità. 

Rivarol: Ma, Monsignore, Lei ha scritto con i suoi due colleghi una lettera a S. Ecc. Mons. Fellay per rifiutare un accordo puramente pratico con Benedetto XVI. Quali sono le ragioni di questo rifiuto?
Mons. Tissier: La diffusione della nostra lettera è dovuta ad una indiscrezione di cui non abbiamo colpa. Noi rifiutiamo un accordo puramente pratico perché la questione dottrinale è primaria. La fede viene prima della legalità. Noi non possiamo accettare una legalizzazione senza che sia risolto il problema della fede. Sottometterci adesso senza condizioni all’autorità superiore imbevuta di modernismo, sarebbe esporci a dover disobbedire. Dunque a che pro? Nel 1984, Mons. Lefebvre diceva: «non ci si pone sotto un’autorità quando questa ha tutto il potere per demolirci». E credo che questa sia saggezza. Io vorrei che noi producessimo un testo che, rinunciando alle finezze diplomatiche, affermi chiaramente la nostra fede e di conseguenza il nostro rifiuto degli errori conciliari. Questo pronunciamento avrebbe il vantaggio, primariamente di dire apertamente la verità al Papa Benedetto XVI, che è il primo ad avere diritto alla verità, e secondariamente di restaurare l’unità dei cattolici tradizionali attorno ad una professione di fede combattiva e non equivoca.

Rivarol: Alcuni credono che lo statuto della prelatura personale che vi si propone, vi garantirà sufficientemente da ogni pericolo di abbandono della battaglia della fede. Cosa risponde?
Mons. Tissier: È inesatto. Secondo il progetto di prelatura, non saremmo liberi di impiantare nuovi priorati senza il permesso dei vescovi locali e inoltre tutte le nostre recenti fondazioni dovrebbero essere confermate da questi stessi vescovi. Questo equivarrebbe quindi ad asservirci del tutto inutilmente ad un episcopato globalmente modernista.

Rivarol: Può precisarci questo problema di fede che Lei si augura vedere risolto per prima cosa?

Mons. Tissier: Volentieri. Si tratta, come diceva Mons. Lefebvre, del tentativo del Concilio Vaticano II di riconciliare la Chiesa con la rivoluzione, di conciliare la dottrina della fede con gli errori liberali. È lo stesso Benedetto XVI che l’ha detto nel suo colloquio con Vittorio Messori nel novembre del 1984: «il problema degli anni ’60 (dunque del Concilio) era l’acquisizione dei valori meglio maturati in due secoli di cultura liberale. Valori che, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto – purché vagliati e corretti -  nella sua visione. In questi anni si è adempiuto a questo compito» [Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. Paoline, 2° ediz. 1985, p. 34] Ecco l’opera del Concilio: una conciliazione impossibile. «Quale conciliazione ci può essere fra la luce e le tenebre?», dice l’Apostolo, «quale intesa fra Cristo e Beliar?» (2 Cor. 6, 15). La manifestazione emblematica di questa conciliazione è la Dichiarazione sulla libertà religiosa. Al posto della verità di Cristo e del suo Regno sociale sulle nazioni, il Concilio ha messo la persona umana, la sua coscienza e la sua libertà. È il famoso «cambiamento di paradigma» che confessava il Cardinale Colombo negli anni ’80. Il culto dell’uomo che si fa Dio al posto del culto di Dio che si è fatto uomo (Cfr. Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965). Si tratta di una nuova religione che non è la religione cattolica. Con questa religione noi non vogliamo alcun compromesso, alcun rischio di corruzione, perfino alcuna apparenza di conciliazione, ed è questa apparenza che fornirebbe la nostra cosiddetta “regolarizzazione”. 
Che il Cuore Immacolato di Maria, immacolato nella sua fede, ci conservi nella fede cattolica…

Intervista raccolta da Jèrôme Bourbon

Fonte: Una Vox

FSSPX - SANTA SEDE




COMUNICATO DELLA SALA STAMPA VATICANA

Nel pomeriggio di mercoledì 13 giugno 2012 si sono incontrati Sua Eminenza il Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, e Sua Eccellenza Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, insieme ad un suo Assistente. Erano presenti anche Sua Eccellenza Mons. Luis Ladaria, Segretario della medesima Congregazione e Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.


L’oggetto dell’incontro era quello di presentare la valutazione della Santa Sede circa il testo consegnato dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X nel mese di aprile, in risposta al Preambolo dottrinale, sottoposto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 14 settembre 2011 a detta Fraternità. Nella discussione successiva si è avuta anche la possibilità di offrire le opportune spiegazioni e precisazioni. S.E. Mons. Fellay da parte sua ha illustrato la situazione attuale della Fraternità Sacerdotale San Pio X e ha promesso di far conoscere la sua risposta in tempi ragionevoli.


Durante il medesimo incontro si è anche consegnata una bozza di documento con il quale viene proposta una Prelatura Personale come strumento più adatto ad un eventuale riconoscimento canonico della Fraternità.


Come già detto nel comunicato stampa del 16 maggio 2012, si conferma che la situazione degli altri tre Vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X sarà trattata separatamente e singolarmente.

A conclusione della riunione si è auspicato che anche attraverso questo momento ulteriore di riflessione si possa giungere alla piena comunione della Fraternità Sacerdotale San Pio X con la Sede Apostolica.
_____________________________
[Fonte: Bollettino Ufficiale della Santa Sede]

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Comunicato della Casa Generalizia della Fraternità Sacerdotale San Pio X
(14 giugno 2011)
(traduzione nostra)

Mercoledì 13 Giugno 2012, Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, insieme al Primo Assistente Generale Padre Niklaus Pfluger, è stato ricevuto dal cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che gli ha consegnato la valutazione del suo Dicastero circa la dichiarazione dottrinale presentata dalla Fraternità il 15 aprile 2012, in risposta al preambolo dottrinale presentato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 14 settembre 2011.

Nel corso di questo incontro Mons. Fellay ha ascoltato le spiegazioni e i dettagli presentati dal cardinale Levada, ai quali ha presentato la situazione della Fraternità San Pio X ed esposto le difficoltà dottrinali poste dal Concilio Vaticano II e dal Novus Ordo Missae. Il desiderio di chiarimenti supplementari potrebbe portare a una nuova fase di discussione.
Alla fine di questa lunga udienza di più di 2 ore Mons. Fellay ha ricevuto un progetto di un documento che propone una Prelatura personale, nel caso di un eventuale riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X. Nel corso della riunione, la questione della situazione dei tre altri vescovi della Società non è stata discussoa

Al termine di questo incontro, si è auspicato che il dialogo sia perseguito fino al raggiungimento di una soluzione per il bene della Chiesa e delle anime.

Menzingen, 14 giugno 2012.


Fonte, in francese

domenica 10 giugno 2012

Cosa è necessario per la continuazione della Chiesa Cattolica




Mons. Marcel Lefebvre
Saint Michel en Brenne, 29 gennaio 1990

Carissimi lettori,
giunto alla sera di una lunga esistenza – poiché, nato nel 1905, vedo l’anno 1990 – posso dire che la mia vita è stata segnata da avvenimenti mondiali eccezionali: tre guerre mondiali, quella del 1914-1918, quella del 1939-1945 e quella del Concilio Vaticano II del 1962-1965.

I disastri accumulati da queste tre guerre, e specialmente dall’ultima, sono incalcolabili nel campo delle rovine materiali, ma molto di più in quello delle rovine spirituali. Le prime due hanno preparato la guerra all’interno della Chiesa facilitando la rovina delle istituzioni cristiane e il dominio della Massoneria, divenuta così potente da permeare profondamente, con la sua dottrina liberale e modernista, gli organismi direttivi della Chiesa.
Istruito, grazie a Dio, fin dal mio seminario in Roma, sul pericolo mortale che queste influenze costituiscono per la Chiesa dal Rettore del Seminario francese, il Venerato Padre Le Floch, e dai professori, i Reverendi Padri Voetgli, Frey, Le Rohellec, ho potuto constatare nel corso della mia vita sacerdotale quanto erano giustificati i loro appelli alla vigilanza, basati sugli insegnamenti dei Papi e soprattutto di San Pio X. Ho potuto constatare a mie spese quanto questa vigilanza era giustificata non solo dottrinalmente, ma anche per l’odio che essa suscitava negli ambienti liberali laici ed ecclesiastici, un odio diabolico.
Gli innumerevoli contatti, a motivo delle cariche conferitemi, con la più alte autorità civili ed ecclesiastiche in numerosi paesi e particolarmente in Francia e a Roma, mi hanno dato la preziosa conferma che il vento era generalmente favorevole a tutti coloro che erano disposti a compromessi con gli ideali massonici liberali e sfavorevole al fermo mantenimento della dottrina tradizionale. Credo di poter dire che poche persone nella Chiesa hanno potuto avere e fare questa esperienza informativa come ho potuto farla io, non di mia iniziativa ma per volontà della Provvidenza. Missionario in Gabon, i contatti con le autorità civili erano evidentemente più frequenti che come vicario nella diocesi di Lilla. Quel tempo di missione fu segnato dall’invasione gollista: abbiamo potuto allora constatare la vittoria della Massoneria contro l’ordine cattolico di Pétain. Era l’invasione dei barbari senza fede né legge! Forse un giorno le mie memorie forniranno dei dettagli sugli anni che vanno dal 1945 al 1960, dettagli che illustreranno questa guerra all’interno della Chiesa! Leggete i libri di M. Marteaux su quel periodo: sono rivelatori.
Dentro e fuori Roma s’accentuava la rottura tra il liberalismo e la dottrina della Chiesa. I liberali, riuscendo a far eleggere dei papi come Giovanni XXIII e Paolo VI, faranno trionfare la loro dottrina mediante il Concilio, mezzo meraviglioso per obbligare tutta la Chiesa ad adottare i loro errori. Allorché assistetti alla lotta drammatica tra il Card. Béa e il Card. Ottaviani, che rappresentavano il primo il liberalismo e il secondo la dottrina della Chiesa, fu chiaro dopo il voto dei 70 cardinali che la rottura era consumata. E senza tema di sbagliarsi si poteva pensare che l’appoggio del papa sarebbe andato ai liberali. Il problema era venuto ormai alla luce del sole! Che faranno i vescovi coscienti del pericolo che corre la Chiesa? Tutti constatano il trionfo, all’interno della Chiesa, delle nuove idee uscite dalla Rivoluzione e dalle Logge: 250 cardinali e vescovi si rallegrano della loro vittoria, 250 ne sono atterriti, 1750 si sforzano di non farsi problemi e seguono il Papa: “Poi si vedrà…!”.
Il Concilio termina, le riforme si moltiplicano più in fretta possibile. Comincia la persecuzione contro i cardinali e i vescovi fedeli alla Tradizione, poi, ben presto, dovunque contro i sacerdoti e i religiosi o le religiose che si sforzano di conservare la Tradizione. È la guerra aperta contro il passato della Chiesa e le sue istituzioni:“Aggiornamento, aggiornamento!”.
Il risultato del Concilio è molto peggiore di quello della Rivoluzione; le esecuzioni e i martìri sono silenziosi; decine di migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose abbandonano gli impegni assunti, altri si laicizzano, le clausure scompaiono, il vandalismo invade le chiese, gli altari son distrutti, le croci scompaiono, i seminari e i noviziati si svuotano. Le società civili ancora cattoliche si laicizzano sotto la pressione delle autorità romane: Nostro Signore non deve più regnare quaggiù! L’insegnamento cattolico diviene ecumenico e liberale. I Catechismi sono cambiati e non sono più cattolici. La Gregoriana a Roma diviene mista, San Tommaso non è più alla base dell’insegnamento.
Davanti a questa constatazione pubblica, universale, qual è il dovere dei vescovi, ufficialmente membri responsabili di quell’istituzione che è la Chiesa? Che faranno? Per molti l’autorità è intoccabile, anche se essa non si conforma più al fine per il quale è stata istituita! Coloro che occupano il seggio di Pietro e alcuni vescovi sono i responsabili; era pur necessario che la Chiesa si adattasse ai tempi! Gli eccessi passeranno! Meglio accettare la rivoluzione della nostra diocesi e manovrarla piuttosto che contraddirla!
Tra i tradizionalisti, ormai disprezzati da Roma, un buon numero darà le proprie dimissioni e alcuni ne moriranno di dolore, come Mons. Morcillo, Arcivescovo di Madrid, e Mons. McQuaid, Arcivescovo di Dublino, e molti buoni sacerdoti. È evidente che se molti vescovi avessero agito come Mons. de Castro Mayer, Vescovo di Campos nel Brasile, la rivoluzione ideologica all’interno della Chiesa sarebbe potuta essere limitata, perché non bisogna aver paura di affermare che le autorità romane attuali, a partire da Giovanni XXIII e Paolo VI, sono divenute collaboratrici attive della massoneria giudaica internazionale e del socialismo mondiale. Giovanni Paolo II è anzitutto un politicante filo-comunista al servizio di un comunismo mondiale a tinta religiosa. Egli attacca apertamenti tutti i governi anticomunisti e con i suoi viaggi non apporta nessun rinnovamento cattolico. Queste autorità romane conciliari non possono, perciò, che opporsi ferocemente e violentemente ad ogni riaffermazione del Magistero tradizionale. Gli errori del Concilio e le sue riforme rimangono la norma ufficiale consacrata dalla professione di fede del Cardinale Ratzinger del marzo 1989.
Nessuno negava che io ero membro ufficiale riconosciuto del corpo episcopale. L’Annuario Pontificio l’ha affermato fino al momento della consacrazione dei vescovi del 1988, presentandomi come Arcivescovo-Vescovo emerito della diocesi di Tulle. È a questo titolo di arcivescovo cattolico che ho pensato di rendere un servizio alla Chiesta straziata dai suoi, fondando una congregazione per la formazione di veri sacerdoti cattolici, la Fraternità Sacerdotale San Pio X, regolarmente approvata da Mons. Charrière, Vescovo di Friburgo in Svizzera, e dotata di una lettera di lode del Card. Wright, prefetto della Congregazione per il Clero. Potevo pensare fondatamente che tale Fraternità - che si voleva attaccata ad ogni tradizione della Chiesa, dottrinale, disciplinare, liturgica, ecc. - non sarebbe rimasta a lungo approvata dai demolitori liberali della Chiesa.
È un mistero che non ci siano stati cinquanta, cento vescovi ad agire come Mons. de Castro Mayer e come me, da veri successori degli apostoli contro gli impostori. Non c’è orgoglio né immodestia nel dire che Dio, nella sua misericordiosa Saggezza, ha salvato l’eredità del Suo sacerdozio, della Sua grazia, della Sua rivelazione, per mezzo di questi due vescovi. Non siamo stati noi a sceglierci, ma Dio ci ha guidati nel conservare tutte le ricchezze della Sua Incarnazione e della Sua Redenzione. Coloro che stimano di dover minimizzare queste ricchezze e financo negarle, non possono che condannarci, la qual cosa conferma il loro scisma da Nostro Signore e dal Suo Regno mediante il laicismo e l’ecumenismo apostata.
Sento dire: “Voi esagerate! Ci sono sempre più dei buoni vescovi che pregano, che hanno la fede, che sono edificanti…”. Quand’anche fossero dei santi, poiché ammettono la falsa libertà religiosa e quindi lo Stato laico e il falso ecumenismo e di conseguenza l’ammissione di più vie di salvezza, la riforma liturgica e perciò la negazione pratica del sacrificio della Messa, i nuovi catechismi con tutti i loro errori ed eresie, contribuiscono ufficialmente alla rivoluzione nella Chiesa e alla sua distruzione. Il Papa attuale e questi vescovi non trasmettono più Nostro Signore Gesù Cristo, ma una religiosità sentimentale, superficiale, carismatica, in cui generalmente non scorre più la vera grazia dello Spirito Santo. Questa nuova religione non è la religione cattolica; essa è sterile, incapace di santificare la società e la famiglia.
Una sola cosa è necessaria per la continuazione della Chiesa cattolica: vescovi totalmente cattolici, senza nessun compromesso con l’errore, che fondino seminari cattolici, dove giovani aspiranti possano nutrirsi con il latte della vera dottrina e metter Nostro Signore Gesù Cristo al centro delle loro intelligenze, delle loro volontà dei loro cuori; una fede viva, una carità profonda, una devozione senza limiti li uniranno a Nostro Signore; essi domanderanno come San Paolo che si preghi per loro, affinché avanzino nella scienza e nella sapienza del “Mysterium Christi”, dove scopriranno tutti i tesori divini. Che essi si preparino a predicare Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso “importune, opportune…” [“inopportunamente e opportunamente”. Crf. 2 Tim. IV, 2].
Siamo cristiani! Che anche tutte le scienze umane e razionali siano anch’esse rischiarate dalla luce di Cristo, che è la Luce del mondo e che dà ad ogni uomo la Sua intelligenza nel momento in cui viene al mondo! Il male del Concilio è l’ignoranza di Gesù Cristo e del suo Regno. È il male degli angeli cattivi, è il male che è la via dell’Inferno.
È perché San Tommaso ha avuto una scienza eccezionale del Mistero di Cristo che la Chiesa lo ha fatto suo dottore. Amiamo leggere e rileggere le encicliche dei Papi su San Tommaso e sulla necessità di seguirlo nella formazione dei sacerdoti, affinché non dubitiamo un istante della ricchezza dei suoi scritti – e soprattutto della sua Somma teologica – per comunicarci una fede immutabile e il mezzo più sicuro per approdare, nell’orazione e nella contemplazione, ai lidi celesti che le nostre anime, infiammate dallo spirito di Gesù, pur nelle vicissitudini di questa vita terrena non lasceranno più.

[tratto da Itinerario Spirituale, Ed. Echthys, pp. 7-13]