venerdì 28 settembre 2012

Il problema della libertà religiosa. Il Vaticano II e gli errori liberali.





Alcuni testi del Concilio Vaticano II sono, più o meno, contaminati dagli errori liberali?
 

Tra le critiche più lucide della “Dignitatis Humanae” apparve nel 1976, con lo pseudonimo di Michel Martin, quella dello scienziato francese Georges Salet (Vatican II et les erreurs libérales, in “Courrier de Rome”, Parigi 15 maggio 1976, anno decimo, n. 157, pp. 3-20). L’articolo fu pubblicato in “Cristianità”, n. 19-20 (1976), pp. 13-18, con il titolo: "Il problema della libertà religiosa. Il Vaticano II e gli errori liberali".

di Michel Martin


Alcuni testi del Concilio Vaticano II sono, più o meno, contaminati dagli errori liberali? È quanto affermò durante il Concilio stesso il Coetus Internationalis Patrum che raggruppava, i vescovi tradizionalisti.

Successivamente l’accusa non ha mai cessato di essere formulata da alcuni teologi, isolati, ma, eccetto che presso una esigua minoranza di “integristi”, come si dice, essa fu sempre accolta con indifferenza, fino al momento, recentissimo, in cui, il penoso affaire di Ecône non la mise in primo piano nell’attualità cattolica.

A coloro che s’indignassero per il fatto che si possa supporre che un testo conciliare sia discutibile, ricorderò, come per altro ha detto il Santo Padre stesso, che nessun testo del Vaticano II ha il carattere di definizione o di decisione infallibile (1). Con tutto il rispetto dovuto alla Chiesa, docente, i teologi sono dunque liberi di discutere la questione che è l’oggetto del presente articolo.

Notiamo tuttavia che solo il Papa mediante definizioni ex cathedra potrebbe dare una soluzione completa e definitiva ai gravi interrogativi, sollevati dalle accuse di cui sono oggetto alcuni testi del Vaticano II (2).



I. La contraddizione


Ma supponiamo ora che una affermazione sia in contraddizione evidente, chiara, manifesta, con una dottrina che la Chiesa ha infallibilmente definito. Abbiamo bisogno in tali caso di un giudizio della Chiesa docente per rifiutarla? Immaginiamo per esempio che una setta sostenga che in Dio vi sono solo due persone: il Padre e il Figlio, Abbiamo bisogno di un giudizio della Chiesa docente per dire che questa affermazione deve essere respinta, perché in contraddizione con il dogma trinitario infallibilmente definito?

Certo, una contraddizione tra due dottrine non è sempre manifesta e in questo caso è richiesto il giudizio della Chiesa docente.

Quando però si tratta di due dottrine chiaramente formulate e di cui l’una è manifestamente la negazione dell’altra, abbiamo bisognò di un giudizio della Chiesa docente per convincerci che vi è contraddizione? Constatando una contraddizione evidente, non esprimiamo alcun giudizio dottrinale, ma solo un giudizio di fatto. Non siamo più nel campo della teologia, ma in quello della logica.



La dichiarazione sulla libertà religiosa

Con i vescovi del Coetus Internationalis Patrum affermò da dieci anni, senza che alcuno mi abbia mai dato risposta, se non per mezzo di scappatoie, che vi è una contraddizione evidente, chiara, manifesta, tra certe affermazioni del Vaticano II e la dottrina tradizionale a proposito della libertà religiosa in foro esterno.

Inoltre queste affermazioni conciliari non sono state definite infallibilmente, non dobbiamo forse noi rifiutarle?

Ma, non volendo accettare questa conclusione, i difensori del Concilio si sono trovati nella necessità di sostenere che non vi è contraddizione, poiché la dottrina conciliare è solo, secondo loro, lo sviluppo della tradizione.

Confronteremo più avanti i testi, ma ci si rende conto che dichiarando compatibili due dottrine che almeno nove persone su dieci stimerebbero contraddittorie, si compromette la credibilità di tutto quanto insegna la Chiesa?



II. Il liberalismo. Il cattolico liberale
Nella sua essenza il liberalismo è il rifiuto di accettare una verità o una legge imposta all’uomo dall’esterno (3). L’uomo deve essere libero di giudicare lui stesso la verità.

Secondo la dottrina cattolica, al contrario, l’uomo ha il dovere di credere alle verità che Dio ha rivelato e che sono insegnate infallibilmente dalla Chiesa.

I due punti di vista sono inconciliabili e i massoni, per i quali il liberalismo è un dogma, su questo punto non si sono ingannati. Ascoltiamo uno di loro: «Maestra di verità. Mai, senza dubbio, la Chiesa aveva manifestato la sua imperiosa volontà di imporre il suo dogma e sottolineato che questo dogma era l’unica verità, in termini così categorici, così definitivi della loro brutalità, mai con una formula che tanto colpisce. Bisogna allora onestamente porsi il problema di sapere dove possa sboccare un dialogo con un interlocutore che dichiara, all’esordio di questo dialogo, che lui è padrone della verità per volontà di Dio” (4).

A rigore, infatti, cattolico e liberale sono due termini che si escludono.

Nella loro grande maggioranza i cattolici attuali sono, tuttavia, più o meno liberali.

Ciò non significa·che questi cattolici abbiano personalmente passato l’insegnamento della Chiesa al vaglio della loro ragione, per ritenere soltanto quanto personalmente hanno giudicato vero; un tale cattolico rappresenta in verità l’eccezione.

Ma i cattolici sono oggi immersi in un mondo il cui pensiero si allontana sempre più dalla dottrina tradizionale della Chiesa. sollecitato e diviso tra questa dottrina e il “pensiero moderno”, il cattolico liberale di oggi è colui che cerca o adotta compromessi tra questi due sistemi di pensiero.

Questa sete di compromesso ha invaso la Chiesa stessa: un teologo “moderno” non cerca più tanto di approfondire la dottrina e di opporla agli errori attuali; cerca soprattutto di distorcerla - nel modo meno visibile - in modo da evitare il più possibile gli attriti con il pensiero moderno (5).

Non è possibile, in un semplice articolo, enumerare tutti questi compromessi. Mi limiterò all’esame della tesi che figura nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa e che è relativa ai rapporti tra il potere civile e il potere spirituale.



III. La dottrina della Chiesa sul potere civile

Non spetta alla Chiesa dare costituzioni agli Stati, ma solo enunciare i grandi princìpi di ordine morale cui queste costituzioni devono ottemperare.

Questa dottrina della Chiesa sul potere civile è immutabile; essa è infatti fondata nella Scrittura e nella Tradizione ed è stata costantemente insegnata dalla Chiesa a partire dai Padri fino a Pio XII compreso. Essa è dunque garantita dal Magistero ordinario infallibile della Chiesa.

Inoltre, come vedremo più in dettaglio, alcuni punti di questa dottrina sono stati oggetto di definizioni ex cathedra e sono dunque garantiti dalla infallibilità del Magistero straordinario della Chiesa.
 
La dottrina

Essendo stato creato da Dio, avendo ricevuto tutto da Dio, l’uomo deve rendere omaggio al suo Creatore e soprattutto a Gesù Cristo, il Verbo di Dio che è stato costituito dal Padre suo Re dell’Universo.

Consideriamo bene quanto – richiamato da Pio XI – ha insegnato Leone XIII: “L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni ne li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi della fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo” (6).

Pio XI osserva poi: “Non v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli” (7).

Lo Stato non ha dunque il diritto di essere “laico”; deve, in quanto Stato, riconoscere la regalità di Gesù Cristo e rendergli omaggio. E, ben inteso, fare in modo che non vi sia alcuna contraddizione tra le leggi civili che promulga e le leggi di Dio.

Lo Stato ha il dovere di assicurare il bene comune della città e deve in particolare proteggere i cittadini. Tutti trovano naturale che si opponga al libero commercio della droga, che devasta i corpi, e che quindi nessuno sia obbligato ad acquistarla. La Chiesa aggiunge che lo Stato ha anche il dovere di proteggere i cittadini contro le idee false che devastano le anime.

“Ma qual può darsi morte peggiore dell’anima che la libertà dell’errore?”, dichiarava sant’Agostino.

La Chiesa non ammette dunque la libertà di dire e di scrivere qualunque cosa; in opposizione completa al pensiero moderno ritiene infatti che solo la verità abbia dei diritti. L’errore non ne ha alcuno e può tutt’al più essere tollerato.

Derivando l’uno e l’altra il loro potere da Dio ed esercitandosi la loro giurisdizione sugli stessi soggetti, la Chiesa e lo Stato non possono ignorarsi, benché costituiscano de poteri distinti: “Ma poiché uno e medesimo è il soggetto di ambedue le potestà, e potendo una medesima cosa, quantunque sotto ragione e aspetto differente, appartenere alla giurisdizione dell’una e dell’altra (…). Devono dunque essere tra loro debitamente ordinate le due potestà” (8).

In altri termini la Chiesa condanna la separazione tra Stato e Chiesa.

Anche se spiace alla mentalità moderna, la dottrina cattolica sullo Stato, come fu esposta dai Padri fino a Pio XII compreso, è non poco intollerante. Essa afferma che, poiché Cristo ha fondato una sola religione, si deve, nella misura del possibile, cercare di instaurare lo Stato cattolico. E poiché il culto cattolico è il solo pienamente gradito a Dio, nessun altro culto pubblico dovrebbe di principio essere tollerato.

La Chiesa non impone alcuna forma di governo. Essa ammette sia la repubblica che la monarchia, purché siano rispettati i princìpi che ho riassunti.
 
Le realizzazioni

Dal 313, Costantino e i suoi successori si sforzano di realizzare questo ideale (9). Dapprima religione ammessa, la religione cattolica fu presto proclamata religione dello Stato. Dopo la caduta dell’impero, Clodoveo è consacrato re e monarchie cattoliche vengono instaurate pressoché in tutta Europa. Fino all’inizio del secolo XX lo Stato cattolico - o almeno confessionale - è la regola generale. In realtà sono sempre esistiti Stati cattolici e il 27 agosto 1953 – data relativamente recente – è stato firmato un concordato tra la Santa Sede e la Spagna di cui ecco l’articolo 1: “La religione cattolica, apostolica, romana continua a essere la sola religione della nazione spagnola (…)” (10).

Il concordato del 1945 non annullava la Carta degli Spagnoli del 13 luglio 1945 che dichiarava: “(…) nessuno sarà molestato per le sue convinzioni religiose né per l’esercizio privato del suo culto. Non si autorizzeranno altre cerimonie né altre manifestazioni esterne se non quelle della religione cattolica ” (11).


La tolleranza. La tesi e l’ipotesi

Ma la Chiesa cattolica non ignora che, in campo politico, l’ideale non sempre è realizzabile. Essa ammette dunque che nei Paesi divisi da diverse fedi e per evitare un male maggiore, lo Stato cattolico tolleri l’esercizio di altri culti. È per questo che Enrico IV, per evitare la guerra civile, concesse ai protestanti con l’editto di Nantes, il diritto (limitato) di esercitare pubblicamente il loro culto (12).

Da cui la classica distinzione tra la tesi e l’ipotesi. La tesi è la dottrina cattolica in tutta la sua purezza; l’ipotesi è ciò che è possibile realizzare, tenuto conto delle circostanze.

Ma la Chiesa chiede che non si perda mai di vista la tesi e che si faccia tutto ciò che è possibile per realizzarne il massimo. Di fatto, nell’editto di Nantes, il protestantesimo è sempre chiamato “la religione che si pretende riformata”, cosa che mostra con chiarezza che gli estensori dell’editto avevano tenuto a sottolineare in questo modo come la religione cattolica sia la sola vera e sola abbia dei diritti.

Ma la giusta distinzione tra la tesi e l’ipotesi servirà di pretesto ai cattolici liberali per rinnegare la dottrina tradizionale, che essi dichiarano non più confacente al nostro tempo.Come vedremo più in dettaglio, il Concilio Vaticano II andrà più lontano ancora; senza più occuparsi della tesi, che non richiama neppure, dichiarerà che la libertà religiosa in foro esterno è un diritto per gli adepti di qualsiasi religione e che questo diritto scaturisce dalla dignità della persona umana.

Cedendo allora alle reiterate pressioni della Santa Sede, il generale Franco accordò agli spagnoli, il 28 giugno 1967, la piena libertà per tutti i culti.
 
IV. Il liberalismo cattolico e le sue condanne

Con liberalismo cattolico e l’espressione equivalente cattolicesimo liberale, si indica soprattutto un insieme di teorie sostenute nel secolo XIX che minimizzano la dottrina tradizionale sullo Stato, che ho appena riassunto.

Queste teorie furono condannate da tutti i Papi che si sono succeduti da Gregorio XVI a Pio XII compreso. Inoltre Pio IX, come vedremo più particolarmente, per condannarle impegnò nella Quanta cura l’infallibilità pontificia.
 
Gregorio XVI e l’enciclica “Mirari vos”

Nel 1830 l’abbé de Lamennais sostiene che ogni uomo ha il diritto di manifestare pubblicamente le sue opinioni e che di conseguenza lo Stato deve ammettere il libero esercizio di tutti i culti.

Egli fa notare che nel sistema dello Stato cattolico, che ha regnato per più di quindici secoli, il potere spirituale e temporale non hanno mai cessato di contendere (S. Luigi stesso ebbe difficoltà con la Santa Sede). Separando completamente i poteri, la Chiesa godrà di una piena libertà, che dovrebbe, secondo lui, accrescere la sua influenza (13).

Tutte queste idee sono sostenute con talento nel giornale L’Avenir, di cui Lamennais è l’ispiratore. Ma Roma, dal 1832, le condanna. Nell’enciclica Mirari vos, Gregorio XVI denuncia anzitutto l’indifferentismo, che sostiene che tutte le religioni salvano, e poi scrive queste righe, le ultime della quali – che sottolineo – predicono oggi: “Da questa correttissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza (14): errore velenosissimo a cui appiana il sentiero quella assoluta e smodata libertà d’opinare che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata, provenire da siffatta licenza alcun comodo alla Religione. “Ma qual può darsi morte peggiore dell’anima che la libertà dell’errore” diceva sant’Agostino. Tolto infatti ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell’abisso (…). Di là infatti proviene l’instabilità degli spiriti, di là la depravazione della gioventù, di là il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante, di là in una parola la peste della società più di ogni altra funesta (…)” (15).

Non è precisamente quanto accadde nella nostra società liberale avanzata?

I cattolici liberali si sottomisero e l’Avenir chiuse i battenti. Ma Lamennais finì per abbandonare la Chiesa.


Pio IX, il “Sillabo” e l’enciclica “Quanta cura”

La seduzione delle idee liberali era tale che il liberalismo cattolico riapparve venti o trent’anni dopo. Montalembert, che si era sottomesso nel 1832, ne fu uno dei più ardenti difensori. Egli sostiene con talento che bisogna riconciliare il cattolicesimo e la democrazia, la quale esige prima di tutto la libertà religiosa. Egli afferma che la libertà è più utile alla Chiesa che non la protezione dei re.

I discorsi di Montalembert ebbero una grande eco. Ma l’8 dicembre 1864 il successore di Gregorio XVI, Pio IX, condanna di nuovo il liberalismo cattolico nel Sillabo e nell’enciclica Quanta cura.

Ecco qui, per esempio, due articoli del Sillabo. Sono condannate le seguenti proposizioni.

“55. Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.

77. Ai giorni nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto” (16).

Ma ecco un fatto nuovo. Nell’enciclica Quanta cura, Pio IX, come vedremo, impegna l’infallibilità pontificia. Perciò dedicherò più avanti tutto un paragrafo alle condanne formulate in questa enciclica (17).


Monsignor Dupanloup

Scoraggiati da questa nuova condanna, Montalembert e i suoi amici erano del parere di rinunciare alla lotta. Ma questa fu ripresa con un opuscolo che monsignor Dupanloup, vescovo di Orleans, inviò a tutti i vescovi e anche al Papa.

Monsignor Dupanloup vi sostiene che si sono letti male la Quanta cura e il Sillabo. Egli fa numerose osservazioni esatte (come la distinzione logica tra contrario e contraddittorio), ma per il resto si tiene costantemente al limite del sofisma. Riprende la distinzione tra la tesi e l’ipotesi, ma lasciando intendere che le tesi di Pio IX sono oggi irrealizzabili.

Poiché nell’opuscolo non vi era niente di positivamente falso, Pio IX ringrazia monsignor Dupanloup dell’invio, ma con una riserva che mostra che aveva ben compreso quanto stava per succedere. Infatti i cattolici liberali restarono sulle loro posizioni; continuarono soprattutto a chiedere la separazione di Chiesa e Stato (che non si era ancora realizzata a quel tempo) e rimasero così fedeli a una tattica che in seguito non hanno mai abbandonata: invece di lottare contro i nemici della Chiesa si esige insieme a loro quanto si pensa che essi inevitabilmente un giorno otterranno.


Leone XIII

Leone XIII succede a Pio IX. Nelle encicliche Immortale Dei, sulla costituzione cristiana degli Stati (1885) e Libertas, sulla libertà (1888), riprende tutte le tesi tradizionali sullo Stato cattolico.

Nella Libertas fa suo quanto vi è di esatto nella distinzione tra la tesi e l’ipotesi, ma riprende anche, senza una sola eccezione, tutte le condanne formulate da Gregorio XVI e Pio IX, e cita esplicitamente l’enciclica Mirari vos e il Sillabo.

Una volta ancora il liberalismo cattolico è condannato.

San Pio X succede a Leone XIII ed è sotto il suo pontificato che la Repubblica francese denuncia, nel 1905, il concordato, proclamando che lo Stato da ora sarà laico e non riconoscerà più alcun culto.

San Pio X protesta con l’enciclica Vehementer, dell’11 febbraio 1906, e lo fa con termini che costituiscono una nuova condanna del liberalismo cattolico: “(…) in virtù dell’autorità assoluta che Iddio Ci ha conferito, Noi (…) riproviamo e condanniamo la legge votata in Francia sulla separazione della Chiesa e dello Stato come profondamente ingiuriosa rispetto a Dio che essa rinnega ufficialmente, ponendo il principio che la Repubblica non riconosce nessun culto” (18).

Era la rinnovata affermazione, una volta ancora, che, contrariamente alla tesi liberale, lo Stato deve rendere omaggio a Dio e obbedire anch’esso a Gesù Cristo, solo e vero Re delle Nazioni, e che in ogni caso lo Stato non può lasciare che si propaghi liberamente l’errore come se avesse lo stesso titolo della verità. E se lo Stato lo fa, la Chiesa non può in nessun caso approvarlo.
 
Pio XI e la festa di Cristo Re

Non appena elevato al sommo pontificato, nel 1922, Pio XI condanna esplicitamente il liberalismo cattolico nella sua enciclica Ubi arcano Dei.

Ma egli comprende presto che, essendo rimaste inoperanti le condanne dei suoi predecessori, sarebbe accaduto lo stesso delle sue. Utilizzerà allora un altro metodo, che avrebbe probabilmente avuto successo, se, senza volerlo, non l’avesse vanificato con le sue stesse mani

Poiché il popolo non legge le encicliche, Pio XI pensa che il miglior modo per istruirlo sia quello di utilizzare la liturgia.

Nell’enciclica Quas primas, dell’11 dicembre 1925, egli espone anzitutto in termini luminosi una teologia esauriente della regalità di Cristo e dimostra che essa implica necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto è in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico.

“Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici (…)” (19).

Dichiara poi di istituire la festa di Cristo Re spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l’umana società.

“La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi” (20).

Disgraziatamente, male informato sulla situazione religiosa e politica che regna in Francia in quel momento, meno di un anno dopo, i cattolici anti-liberali più attivi, mentre per contro né lui, né i vescovi danno disturbo ai cattolici liberali.

In realtà i cattolici anti-liberali, in questo tempo, facevano capo a due movimenti: l’Action Française, guidata da un ateo, Charles Maurras, e la Fédération Nationale Catholique del generale de Castelnau.

La condanna dei cattolici dell’Action Française - che Pio XII doveva togliere non appena elevato al sommo pontificato - fu interpretata - a torto - come quella dell’anti-liberali in Francia sono solo una minoranza di isolati. Hanno perduto ogni influenza e, nel timore di essere trattati da fascisti, rari sono coloro che osano manifestare le loro opinioni.

La vittoria dei cattolici liberali era dunque totale. La separazione di Chiesa e Stato, la completa libertà di stampa, si erano realizzate ed erano considerate normali dalla stragrande maggioranza dei francesi. L’esistenza di un partito cattolico-liberale era divenuta inutile, e l’espressione liberalismo cattolico cadde in dimenticanza.

Ma ora in Francia progrediscono le idee politiche di sinistra e con esse i cattolici liberali cercheranno compromessi. Mounier con la rivista Esprit, i domenicani con la rivista Sept amoreggiano con il socialismo e il marxismo. I cattolici liberali virano a sinistra e andranno sempre più avanti su questa via.

Dopo la liberazione essi si organizzano in un potente movimento politico, il MRP (Mouvement des Républicains Populaires) di cui Marc Sangnier fu, fino alla morte avvenuta nel 1950, il presidente onorario (21).

Vedremo come nel 1946 il MRP doveva tradire vergognosamente la causa di Cristo Re.

E l’enciclica? Docilmente la Chiesa celebra ogni anno, dal 1925, la festa di Cristo Re, ma vescovi, sacerdoti e fedeli non ne comprendono più il significato (22).
 
Il MRP e la festa di Cristo Re

Nel 1946 fu necessario dare alla Francia una nuova costituzione. I comunisti presentarono una proposta in parlamento chiedendo che la laicità dello Stato fosse esplicitamente menzionata, cosa a cui gli autori del progetto costituzionale non avevano pensato.

Il MRP era allora un partito potente e i suoi deputati costituivano un terzo del parlamento. Ma, per le ragioni dette, questo partito cattolico era liberale e non poco orientato a sinistra.

Il progetto costituzionale era sostenuto dai socialisti e dai comunisti, che occupavano un terzo dei seggi, e combattuto invece dai deputati che sedevano alla destra del MRP, che costituivano il rimanente terzo, e pertanto il MRP era arbitro della situazione.

Dimenticando completamente che Pio XI aveva istituito la festa di Cristo Re per ricordare ai cattolici il loro dovere di lottare contro il laicismo, frutto del liberalismo condannato dai Papi, il MRP, che poteva far respingere l’emendamento sulla laicità, si guardò bene dal farlo. Non ricordo più ora se votò a favore o si astenne, ma rimane sempre il fatto che fu grazie a un partito cattolico che la laicità dello Stato fu promossa per la prima volta al rango di legge costituzionale.

E per una sorprendente coincidenza, nella quale vedo per conto mio, uno scherzo del demonio, questa costituzione laica fu promulgata sulla gazzetta ufficiale con la data del 27 ottobre 1946, giorno della festa di Cristo Re!
 
De Gaulle e la costituzione del 1958

Dodici anni dopo, questa repubblica laica crolla senza gloria, e un generale cattolico è incaricato di proporre una nuova costituzione.

Ma anch’egli è un cattolico liberale e inscrive anche la laicità dello Stato nella costituzione, che sottopone all’approvazione dei francesi mediante referendum.

Un gruppo assai esiguo di cattolici anti-liberali fece una campagna contro questa costituzione empia, ma fu sconfessato dalla quasi totalità dei vescovi; bisognava salvare l’Algeria e l’impero. Il seguito lo si conosce.
 
Pio XII

Pio XII è un Papa moderno che si preoccupa già dell’organizzazione di comunità di Stati.

In un discorso del 6 dicembre 1953, dedicato a questo problema, egli ricorda, una volta ancora, i principi tradizionali: “(…) nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d’insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale” (23).

Come Leone XIII, egli riconosce che l’ideale non è sempre realizzabile; è dunque spesso necessario usare tolleranza; ma, nella determinazione di ciò che occorre fare in pratica, lo statista cattolico “(…) nella sua decisione si lascerà guidare dalle conseguenze dannose, che sorgono dalla tolleranza, paragonate con quelle che mediante l’accettazione della formula di tolleranza verranno risparmiate alla Comunità degli Stati” (24).

Le tesi sullo Stato, proprie del cattolicesimo liberale, erano una volta ancora condannate.

Senza esito migliore.
 
Da Pio XII ai nostri giorni

Le idee sovvertitrici dello stesso ordine naturale, segnatamente il marxismo, guadagnano tutti i giorni terreno.

Ma la Chiesa, come in preda allo scoraggiamento, ha praticamente rinunciato a opporre loro la barriere invalicabile della sua dottrina. Pur affermando la sua volontà di non rinunciare a nulla, essa cerca comprimessi con questo mondo, che non vuol più intendere ragione. Ed è con questo stato d’animo che si apre il Vaticano II.
 
Conclusione

In questo anno 1976, i francesi, costernati, si preoccuparono dell’anarchia che regna dovunque, e specialmente del disorientamento della gioventù: anarchia nell’insegnamento, cinema pornografico, incitamento dei minori alla corruzione attraverso la libera vendita dei contraccettivi, aborto libero, ecc.

Ma chi ha compreso che, come aveva predetto Gregorio XVI, tutti questi mali sono conseguenza necessaria del liberalismo?

V. La dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa

Essa segnerà un mutamento di rotta senza precedenti nella storia della Chiesa.
 
Foro interno e foro esterno

Non si possono cogliere le contraddizioni tra la dottrina tradizionale e la dichiarazione del Vaticano II se non si distingue bene tra la libertà religiosa in foro interno e la libertà religiosa in foro esterno, distinzione che la dichiarazione ignora.

Circa la libertà religiosa in foro interno, non si coglie nessuna contraddizione tra la dottrina tradizionale e quella esposta dal Concilio. Certamente, davanti a Dio, la libertà religiosa non è un diritto, poiché ogni uomo è tenuto a cercare la verità e ad aderirvi (come ricorda d’altra arte la dichiarazione conciliare). Ma se la posizione che l’uomo assume resta puramente interiore, questo è affare da regolarsi tra lui e Dio solo, e di cui i pubblici poteri non sono tenuti a occuparsi. In particolar e, nessuna autorità umana ha il diritto di esercitare pressioni su qualcuno per forzarlo a credere (25).

Ma, come ha sempre insegnato la Chiesa, la libertà religiosa in foro interno non implica affatto la libertà religiosa in foro esterno, vale a dire il diritto di praticare pubblicamente qualsiasi culto, di insegnare qualsiasi errore. La libertà di ognuno in questo campo è limitata infatti dal diritto degli altri a essere protetti contro le idee false, che possono essere tanto pericolose per le anime (e anche per l’uomo nella sua completezza) quanto la droga per i corpi.
 
La dichiarazione del Vaticano II

Ecco qui il passo essenziale relativo all’argomento di cui trattiamo: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Questa libertà consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli individui, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale, che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformità ad essa privatamente e pubblicamente, da solo o associato ad altri. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società” (26).

Notiamo anzitutto che non viene fatta alcuna distinzione tra foro interno e foro esterno, a proposito dei quali la dottrina tradizionale non ha la stessa posizione. Privatamente è il foro interno, pubblicamente è il foro esterno.

Notiamo poi che la dichiarazione non fa alcuna differenza tra forzare ad agire e impedire ad agire. Secondo la dottrina tradizionale, lo Stato non può forzare qualcuno ad agire contro la sua coscienza, ma ha il diritto, per contro, in casi determinati, di impedirgli di agire secondo la sua coscienza (27).

Il Concilio pone tuttavia una restrizione: “Entro debiti limiti”, dice. Questa nozione assai vaga sarà precisata più avanti. Lo Stato non ha il diritto d’intervenire se non quando l’ordine pubblico è minacciato: “Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli uomini, se si nega all’uomo il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico giusto” (28).

Il Concilio non ha voluto parlare solo della religione cattolica, ma di qualunque religione. Infatti, dopo avere spiegato che l’uomo è tenuto per obbligo morale a ricercare la verità e ad aderirvi, il Concilio dichiara: “Per cui il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa” (29).

Il Concilio non condanna totalmente lo Stato cattolico: lo accetta volentieri, ma alla condizione che sia accordata agli adepti delle altre religioni la stessa libertà di culto e di propaganda che ai cattolici: “Se, considerate le circostanze particolari dei popoli, nell’ordinamento giuridico di una società viene attribuito ad una determinata comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutte le comunità religiose venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa” (30).

E più avanti: “Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini, godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e quella libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli uomini e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell’ordinamento giuridico” (31).

Tutto questo era la condanna del concordato con la Spagna, stipulato esattamente dodici anni prima, che Pio XII aveva dichiarato essere uno dei migliori!

Poiché molti Padri avevano fatto notare che non si faceva alcun cenno della differenza tra la verità e l’errore, tra la religione vera e le altre, si aggiunse un preambolo che ricordava come l’unica e vera religione fosse la religione cattolica. Ma questa aggiunta non infirma per nulla la tesi sulla libertà religiosa in foro esterno, sostenuta nella dichiarazione.


La libertà religiosa e la Rivelazione. La dignità dell’uomo

Rifiutando sempre ogni distinzione tra foro interno e foro esterno, il Concilio afferma che: “una tale dottrina sulla libertà ha le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più dai cristiani va rispettata con sacro impegno” (32).

Come vedremo nel paragrafo seguente, Pio IX, nella Quanta cura, affermava il contrario. Egli diceva, infatti, che la libertà religiosa in foro esterno è “contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri” (33).

I passi della Scrittura che condannano la libertà religiosa in foro esterno sono infatti innumerevoli. Per esempio, non è Dio stesso che ha ordinato a Gedeone di andare a rovesciare l’altare di Baal, che apparteneva allo stesso padre suo? (34).

Il Concilio riconosce tuttavia come “la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all’immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa” (35).

Ma allora, in che modo la dottrina conciliare ha la sua fonte nella Rivelazione? Nella maniera seguente (secondo il Concilio): e perché la Rivelazione “fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà dell’uomo nell’adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione” (36).

Mi sembra chiaro come questo si applichi alla libertà religiosa in foro interno, ma non vedo il rapporto con la libertà religiosa in foro esterno.

Comunque, la dichiarazione afferma a più riprese che le sue tesi sono fondate sulla nozione della dignità dell’uomo. Siccome gli estensori della dichiarazione traggono conclusioni contrarie a proposizioni infallibilmente definite, bisogna concludere che nel loro ragionamento vi è qualche cosa che no va.

Dov’è l’errore? Alla Chiesa docente tocca dirlo. Con tutto il rispetto dovuto a questa Chiesa docente, e lasciando impregiudicato il suo giudizio, si può pensare che non sia tenuto sufficientemente conto non solo dei diritti del prossimo, ma anche della dignità di Dio, la quale, in caso di conflitto, ha la meglio sulla dignità dell’uomo.


Conclusione


Questi sono i testi, ed è sufficiente leggerli per constatare che le tesi del Concilio sulla libertà religiosa in foro esterno sono in contraddizione con la dottrina tradizionale.

La dichiarazione ci dice che “questo Concilio Vaticano scruta la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi sempre in armonia con quelli già posseduti” (37).

Di fatto la dichiarazione si riferisce diciotto volte a testi pontifici. Perché non si fa alcuna menzione delle encicliche Mirari vos, Quanta cura e del Sillabo?


Guardiamo dunque più da vicino ciò che diceva Pio IX nella Quanta cura.


VI. La dichiarazione del Vaticano II di fronte alle condanne infallibili della Quanta cura


La Quanta cura è una delle rarissime encicliche che sia un documento ex cathedra. Poiché i redattori della dichiarazione non ne hanno tenuto alcun conto, credo anzitutto necessario ricordare le condizioni della infallibilità, che ogni teologo e ogni cattolico colto dovrebbe peraltro conoscere”

Le condizioni dell’infallibilità pontificia


Andiamo direttamente alla fonte: la costituzione sulla Chiesa del Vaticano I (1870): “Quindi Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della religione cattolica ed a salute dei popoli cristiani, approvante il sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato: che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, in virtù della sua suprema Autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi da tutta la Chiesa: in virtù della divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, è dotato di quella infallibilità, della quale il divino Redentore volle che fosse fornita la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede o ai costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice, per se stesse, e non già mediante il consenso della Chiesa, sono irreformabili.

Se poi alcuno oserà, che Dio non lo permetta!, di contraddire a questa Nostra definizione: sia anatema” (38).

Di qui le quattro ben note condizioni della infallibilità pontificia:

Il Papa deve parlare come pastore e dottore di tutti i cristiani.Si deve trattare di fede o di costumi.
Il Papa deve definire, vale a dire ben precisare le tesi in questione e dire chiaramente da che parte sta la verità.
Il Papa deve, almeno implicitamente, obbligare i fedeli ad accettare la sua definizione.
È importante notare che l’infallibilità pontificia non data dal 1870.


Come ricorda Pio IX nella sua definizione, si tratta di una “tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana”. Pio IX, nel 1870, non ha fatto che mettere fine a una controversia. Non si deve dunque pretendere che i documenti pontifici anteriori al 1870, e che soddisfano le quattro condizioni precisate da Pio IX, non siano coperti dall’infallibilità.


L’infallibilità delle condanne della “Quanta cura”

Ecco ciò che si può leggere in questa enciclica: “In tanta igitur depravatarum opinionum perversitate, Nos Apostolici Nostri officii memores, ac de sanctissima nostra religione, de sana doctrina, et animarum salute Nobis divinitus commissa, Apostolicam Nostram vocem iterum extollere existimavimus.


Itaque omnes et singulas pravas opiniones ac doctrinas singillatim hisce Litteris commemoratas auctoritate Nostra Apostolica reprobamus, proscribimus atque damnamus, easque ab omnibus catholicae Ecclesiae filiis, veluti reprobatas, proscriptas atque damnatas omnino haberi volemus et mandamus”.


“In tanta perversità di errate opinioni, Noi dunque, giustamente memori del Nostro Apostolico Ufficio, e paternamente solleciti della Nostra santa religione, della sana dottrina e della salute delle anime, a Noi commesse da Dio, e del bene della stessa umana società, abbiamo stimato bene innalzare di nuovo la Nostra Apostolica voce. Pertanto, con la Nostra autorità Apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera e vogliamo e comandiamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le ritengano come riprovate, proscritte e condannate” (39).


È evidente che le quattro condizioni della infallibilità sono qui riunite:

Il Papa precisa di agire in virtù della sua carica e della sua autorità apostolica.
Si tratta di costumi. Il Papa si propone di giudicare la moralità delle leggi sulla tolleranza o l’intolleranza promulgate dagli Stati.
Come si vedrà, le proposizioni condannate sono enunciate in termini chiari e precisi.
Il Papa indica esplicitamente che i fedeli devono accettare le condanne da lui comminate.

Notiamo bene che l’infallibilità non verte su tutto ciò che dice Pio IX nell’enciclica, ma unicamente su “tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera”. Queste opinioni sono infallibilmente condannate da quando il Papa le ha chiaramente definite.


Tutto ciò appare chiaro a un semplice laico quale sono. Fino a tempi assai recenti, tutti i teologi erano d’accordo nel riconoscere il carattere di infallibilità delle condanne sancite da Pio IX nella Quanta cura (8 dicembre 1864).


Contestandolo, oggi, i difensori della dichiarazione sulla libertà religiosa si rendono conto di mettere in causa tutta la dottrina della infallibilità pontificia, come è stata infallibilmente definita da Pio IX nel 1870?


Tre proposizioni condannate

Le proposizioni condannate dall’enciclica Quanta cura sono numerose. Ne esaminerò solo tre. Si trovano nel passo seguente, dove le ho messe in evidenza chiamandole A, B, C.


“E contro la dottrina della Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri non dubitano di asserire:


[A] “La migliore condizione della società è quella in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della religione cattolica, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete”. Da questa idea di governo dello Stato, che è del tutto falsa, non temono di dedurre quell’altra opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime, chiamata deliramento dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di r. m. e cioè: [B] “la libertà di coscienza e dei culti è diritto proprio di ciascun uomo, [C] che si deve proclamare con legge in ogni società ben costituita (…)” (40).


Perché non vi sia alcun dubbio possibile sul senso delle proposizioni A, B, C, eccone il testo latino: “[A] Optimam esse conditionem societatis, in qua imperio non agnoscitur officium coercendi sancitis poenis violatores catholicae religionis, nisi quatenus pax publica postulet”. [B] “Libertatem conscientiae et cultum esse proprium cuiuscumque hominis ius, [C] quod lege proclamari, et asseri debet in omni recte constituta societate (…)”.


Ora, come risulta dalla prima citazione fatta, il Vaticano II afferma lecito esattamente tutto ciò che condanna Pio IX: 1. Il Vaticano II non riconosce al potere pubblico il dovere di reprimere le violazioni della legge cattolica poiché: “In materia religiosa nessuno (…) sia impedito (…) ad agire in conformità ad essa [la sua coscienza] (…) pubblicamente [foro esterno], da solo o associato ad altri”. 2. Per il Vaticano II, la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. 3. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa, nell’ordine giuridico della società deve essere riconosciuto in modo tale che costituisca un diritto civile.


Vi è dunque opposizione tra le condanne pronunciate in forma infallibile da Pio IX e la dichiarazione del Vaticano II, che, dato il suo “carattere pastorale”, “ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità” (41), come lo stesso Santo Padre ha confermato.


VII. Conclusioni


Lascio al lettore la cura di trarre le conclusioni. Ma, insieme a migliaia di cattolici costernati, auspico soprattutto che siano tirate dalla nostra santa Madre Chiesa, alla quale intendiamo restare fedeli.


NOTE


(1) Cfr. Michel Martin, Vous vous faites Athanase, in « Courrier de Rome », Parigi, gennaio 1976, anno decimo, n. 153.
(2) È assolutamente evidente che una semplice dichiarazione del Santo Padre comunicante a mons. Lefebvre che le decisioni sulla Fraternità Sacerdotale San Pio X sono giustificate dalla “sua opposizione pubblicata e persistente al Concilio Vaticano II”, non basterebbe a scagionare questo Concilio dalle accuse di cui è fatto oggetto.
(3) Precisiamo bene, per evitare ogni malinteso, che in questo articolo non si tratterà mai del liberalismo economico. Questa è una teoria alla quale la nostra epoca sa ormai opporre soltanto il socialismo, che è un rimedio peggiore del male.
(4) Jacques Mitterand, La politique des Francs-Maçons, Roblot, Parigi 1973.
(5) Eccone un esempio. La dottrina cattolica afferma che l’uomo è stato creato direttamente da Dio. L’evoluzione (che non ha nessun fondamento scientifico serio e che è anche contraddetta dalle ultime scoperte della biologia) afferma al contrario che l’uomo discende dall’animale. Il compromesso proposto da numerosi teologi sta, in proposito, nel dire che certamente l’uomo discende dall’animale ma che Dio è intervenuto direttamente, non solo per la creazione di un’anima immortale, ma anche per il perfezionamento del suo corpo.
(6) Leone XIII, Enciclica Annum Sacrum, del 35 maggio 1899, cit. in Pio XI, Enciclica Quas primas, dell’11 dicembre 1925, in La pace interna delle nazioni. Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it. Edizioni Paoline, 2° ed., Roma 1962, p. 339. Con questa enciclica Pio XI istituisce la festa di Cristo Re.
(7) Pio XI, doc. cit., ibid., p. 340.
(8) Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, dell’1 novembre 1885, ibid., pp. 118 e 119.
(9) Con eccessi di zelo certo condannabili, ma molto meno offensivi nei riguardi di Dio della laicità dello Stato. Non avendo ben compresa la distinzione dei poteri spirituale e temporale, Costantino, per esempio, convocò lui stesso il Concilio di Nicea e ne fissò il programma. Questo sconfinamento nelle prerogative del Papa non impedirà a Nicea di essere il concilio ecumenico più importante.
(10) La Documentation Catholique, del 20 settembre 1953. La sottolineatura è nostra.
(11) Ibid., del 30 settembre 1946. Le sottolineature sono nostre.
(12) La revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV segnò, certo, un ritorno ai princìpi della Chiesa cattolica, ma le persecuzioni contro i protestanti, ch precedettero e seguirono questa revoca (soprattutto le cosiddette dragnonnades), sono contrarie alla dottrina della Chiesa, che non ha mai cessato di insegnare che nessuno può essere forzato a credere. Queste persecuzioni gettano un’ombra sul regno di Luigi XIV e hanno contribuito alla comparsa, centocinquant’anni dopo, del cattolicesimo liberale.
(13) Il diritto di intervento dello Stato nella nomina dei vescovi ha sempre irritato i cattolici liberali, che rifiutano di capire che, poiché la Chiesa e lo Stato hanno giurisdizione sugli stessi soggetti, devono collaborare. Questi cattolici liberali si fanno delle illusioni sulla libertà assicurata alla Chiesa dalla separazione di Chiesa e Stato. Lo Stato conosce troppo bene l’influenza dei vescovi per rinunciare ad avere diritto di intervento nella loro nomina. Nei Paesi come la Francia, in cui la Chiesa è separata dallo Strato, il controllo di quest’ultimo non si esercita in misura minore, anche se in modo non ufficiale, e lo Stato dispone di tutti i mezzi di pressione per far rispettare i suoi veti.
(14) La Chiesa condanna la libertà di coscienza, ma si può evitare una interpretazione erronea di questa condanna soltanto se si distingue bene tra il foro interno e il foro esterno. L’uomo che rifiuta di aderire alla verità interiormente è colpevole, ma si tratta di un affare da sistemare tra lui e Dio solo. Il potere civile non deve immischiarsene e non può, in particolare, forzare qualcuno a credere. Ma, come abbiamo visto, il potere civile ha il diritto e spesso il dovere di intervenire se si verifica la manifestazione pubblica di errori gravi, anche se quanti propagano questi errori sono interiormente convinti di servire la verità.
(15) Gregorio XVI, Enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832, in La pace interna delle nazioni, cit., p. 37. Le sottolineature sono nostre.
(16) Pio IX, Sillabo, Edizioni Paoline, Roma 1961, 2° ed., pp. 26 e 30. La sottolineatura è nostra.
(17) L’infallibilità del Sillabo è stata contestata. Infatti non è manifesta la realizzazione della quarta condizione dell’infallibilità. Vedi parte VI.
(18) San Pio X, Enciclica Vehementerm dell’11 febbraio 1906, in Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, raccolte e annotate da Eucardio Momigliano, Dall’Oglio Editore, 4° ed., Milano 1959, p. 564.
(19) Pio XI, Enciclica Quas primas, cit., in La pace interna delle nazioni, cit., p. 344.
(20) Ibid., p. 343. Le sottolineature sono nostre. Si distingue talora tra la laicità dello Stato, che è una situazione giuridica, e il laicismo, che sarebbe soltanto una concezione della vita, e si afferma che Pio XI avrebbe avuto in vista solamente il laicismo. Basta leggere correttamente l’enciclica per constatare che Pio XI ha condannato nello stesso tempo il laicismo e la laicità. Ricordiamo che nella prospettiva della laicità lo Stato non tollera l’insegnamento dell’errore, gli dà gli stessi diritti dell’insegnamento della verità. Non mette in guardia contro l’errore. Lascia che si propaghi, qualunque ne siano le conseguenze per la rovina della società. Il laicismo è quindi l’espressione del liberalismo.
(21) Il Sillon di Marc Sangnier fu condannato nel 1910 da san Pio X. Marc Sangnier si sottomise senza riserva, ma non si coglie bene la differenza tra le idee da lui sostenute prima e dopo la condanna.
(22) Tutti gli anni, alla fine della messa di Cristo Re, avvicino il predicatore e gli chiedo se sa perché Pio XI ha istituito questa festa. Non lo sa. E quando gli dico che lo ha fatto per lottare contro questa peste che infetta la società umana e che è il laicismo, mi guarda con gli occhi spalancati: non capisce. Le mie parole fanno su di lui lo stesso effetto che gli farebbero se gli dicessi che Pio XI ha voluto lottare contro questa peste della società moderna che è il telefono o l’automobile.
(23) Pio XII, Discorso ai partecipanti al V Convegno Nazionale della Unione Giuristi Cattolici Italiani, del 6 dicembre 1953, in Discorsi e Radiomessaggi, vol. XV, p. 487.
(24) Ibid., p. 489.
(25) Certamente questo principio, in passato, è stato spesso trasgredito da re cattolici e anche da esponenti del clero. Ma si tratta di deplorevoli abusi che la Chiesa ha sempre condannato.
(26) Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, n. 2. La traduzione è quella del Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II, Unedi-Unione Editoriale, Roma 1946. In tutte le citazioni di testi conciliari le sottolineature sono nostre.
(27) Per esempio: la diffusione di teorie sovversive, ecc.
(28) Concilio Ecumenico Vaticano II, doc. cit., n. 3.
(29) Ibid., n. 2.
(30) Ibid., n. 6.
(31) Ibid., n. 13.
(32) Ibid., n. 9.
(33) Pio IX, Enciclica Quanta cura, dell’8 dicembre 1864, Edizioni Paoline, 2° ed., Roma 1961, p. 4.
(34) Cfr. Giud. 6, 25.
(35) Concilio Ecumenico Vaticano II, doc. cit., n. 9.
(36) Ibidem.
(37) Ibid., n. 1.
(38) Concilio Vaticano I, Costituzione apostolica Pastor aeternus, del 18 luglio 1870, in La Chiesa. insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, tr. it. Edizioni Paoline, Roma 1967, vol. I, pp. 291-292. Le sottolineature sono nostre.
(39) Pio IX, Enciclica Quanta cura, cit., pp. 8-9. Le sottolineature sono nostre.
(40) Ibid., p. 4.
(41) Paolo VI, Allocuzione dell’udienza generale, del 12 gennaio 1966, in Insegnamenti, vol. IV, p. 700.

mercoledì 26 settembre 2012

Superstizione e vera carità

mussulmani

don Pierpaolo Maria Petrucci




Recentemente personaggi ecclesiastici di spicco hanno scritto messaggi augurali a rappresentanti di religioni non cristiane in occasione delle loro feste religiose. Prima di tutto il Cardinal Angelo Scola, arcivescovo di Milano, per la festa islamica alla fine del Ramadam[1]. Nella stessa occasione, qualche giorno dopo,  anche il vescovo di Pavia, inviava un messaggio di auguri alla Guida della comunità mussulmana della città[2]. Il 20 settembre scorso era lo stesso BenedettoXVI che faceva giungere un telegramma al Rabbino Capo di Roma, Dott. Riccardo Di Segni per le ricorrenze di Rosh Ha-Shanah 5773 e Yom Kippur e Sukkot” [3].

Questa attitudine  attuale di membri della gerarchia ecclesiastica ci spinge a ricordare alcuni punti fermi da sempre insegnati dalla Chiesa, in particolare quanto alla virtù di fede.La fede è credere tutto quanto Dio ci ha rivela e la S. Chiesa ci propone a credere ed è talmente importante che senza di essa, come ci ricorda S. Paolo “non si può piacere a Dio”.[4]
La dottrina cattolica ci insegna che l’infedeltà positiva[5], cioè il non voler sottomettere la propria intelligenza alle verità da Dio rivelate, è un peccato gravissimo poiché così si rigetta la fede che è il mezzo necessario alla salvezza. Il Signore infatti ci ammonisce nel Vangelo che: “Chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16)
San Tommaso spiega che: “Consistendo il peccato di incredulità nell‘opporsi alla fede, esso può verificarsi in due maniere. O perché ci si oppone alla fede non ancora abbracciata, e allora abbiamo l‘incredulità dei pagani, o gentili, oppure perché ci si oppone alla fede cristiana già abbracciata. Se poi questa era stata abbracciata in modo figurale, avremo l’incredulità dei Giudei; se invece era stata abbracciata nella piena manifestazione della verità, avremo l’incredulità degli eretici. Perciò possiamo attribuire all‘incredulità in generale le tre specie suddette”.[6] Le principali specie di infedeltà quindi sono il paganesimo (che comprende quindi l’islam), il giudaismo e l’eresia.
La superstizione invece si definisce come un vizio contrario alla virtù di religione per eccesso, e consiste nel tributare a Dio un culto sconveniente oppure nel rendere un culto divino a falsi dei.[7] Essa si oppone quindi non soltanto alla virtù di fede ma anche alla virtù di religione.
Ora siccome la religione è una manifestazione della fede mediante segni esterni, così la superstizione è una manifestazione dell’incredulità con atti esterni di culto. Tale manifestazione viene indicata col termine di idolatria.[8] Questo termine non va inteso nel senso puramente etimologico ma nel suo significato più profondo. Colui infatti che rigetta volontariamente anche una sola verità rivelata, rigetta Dio che la garantisce con la sua autorità e quindi non crede più in lui ma ad un essere di ragione (quindi a una creatura) che si è costruito nella mente.
Da ciò si deduce che il culto islamico e quello giudaico in tutte le loro forme, malgrado la buona fede possibile di alcuni di coloro che li praticano, sono in sé culti superstiziosi e quindi violano il 1° comandamento che ci ordina di adorare il solo vero Dio Uno e Trino, rendendogli il culto che gli è dovuto, nella maniera in cui ce lo ha rivelato e come ce lo insegna la Chiesa.[9]
Questa è la dottrina cattolica che si trova in qualunque manuale di teologia morale scritto prima del concilio, ma anche semplicemente nel catechismo di S. Pio X.[10]
Ora il Signore ci ha insegnato che la virtù più grande è la carità. Amare significa volere il bene più grande per il nostro prossimo e questo bene è la salvezza eterna. Ma essa si può conseguire solo tramite la fede e l’appartenenza alla Chiesa cattolica.
Il concilio di Firenze (dogmatico e non pastorale) lo ha affermato chiaramente: “La Santa Chiesa crede fermamente, professa e predica che nessuno di quelli che si trovano al di fuori della Chiesa cattolica, siano essi pagani, Ebrei, eretici o scismatici, può ottenere la vita eterna. Costoro sono destinati al fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli, a meno che non entrino nella Chiesa cattolica prima della fine della loro vita”.[11]
Per questo la missione essenziale della Chiesa è predicare la verità per la salvezza delle anime.
Date queste premesse ci si chiede: perché allora in nessuno dei messaggi augurali di cui sopra, vi è la minima allusione alla necessità per coloro che seguono false religioni di lasciare i loro errori ed entrare nella Chiesa ma, al contrario, si afferma chiaramente o si sottintende la bontà dei loro culti?
Come può un Cardinale Arcivescovo benedire una festa religiosa islamica che è una pratica superstiziosa ispirata dall’infedeltà e contraria direttamente al primo comandamento di Dio?
Come può un Vescovo identificare il Corano come “la Parola di Dio” ed affermare di sentirsi “in comunione di preghiera e di fede” con la comunità musulmana?
Purtroppo anche il Papa, nel suo messaggio alla comunità ebraica di Roma, fa allusione all’adorazione del Dio unico, lasciando credere che adoriamo lo stesso Dio, senza ricordare che Egli è uno e Trino e che il Figlio di Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza e quindi, come lo ricordava S. Pietro al Sinedrio “In nessun altro è salvezza, poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini,dl quale possiamo aspettarci di essere salvati” Atti 4,12
Il ricordare queste verità fondamentali dovrebbe essere la prima carità, fondata sul desiderio sincero della salvezza delle anime e sulla speranza che Dio possa utilizzare la predicazione franca del Vangelo, per toccare i cuori ben disposti e ricondurli a lui.
La Chiesa nel passato ha sempre agito così nei confronti degli adepti di false religioni, come per esempio Pio IX in occasione della convocazione del Concilio Vaticano I.
È commovente rileggere le sue parole che manifestano un grande zelo paterno per la salvezza delle anime: “Inviamo questa Nostra Lettera a tutti i cristiani da Noi separati, con la quale li esortiamo caldamente e li scongiuriamo con insistenza ad affrettarsi a ritornare nell’unico ovile di Cristo; desideriamo infatti dal più profondo del cuore la loro salvezza in Cristo Gesù, e temiamo di doverne rendere conto un giorno a Lui, Nostro Giudice, se, per quanto Ci è possibile, non avremo loro additato e preparato la via per raggiungere l’eterna salvezza”.[12]
Ma questo linguaggio non è più di moda. Cosa è cambiato?
È arrivato il Concilio Vaticano II che, nella sua dichiarazione Nostra Aetate, ha rivalutato le religioni non cristiane, non più considerate come ostacolo alla salvezza, ma dotate addirittura di precetti e dottrine divine: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.”[13]
Ci troviamo di fronte a due concezioni diametralmente opposte del ruolo della Chiesa e della sua missione essenziale. Si può cercare di giustificare la concezione moderna, affermando che i tempi sono cambiati…, che il “vissuto” della comunità cristiana oggi applica in un altro modo la dottrina di Cristo, sempre perenne in tutte le sue manifestazioni poiché malgrado l’esperienza vitale cambi col tempo il soggetto chiesa permane ed è questa la “tradizione”… Ma per dire che vi è continuità dottrinale fra gli insegnamenti del magistero perenne e quelli attuali…. ci vuole un bel coraggio!
Per chi vuol conservare la fede in quest’epoca di smarrimento, un solo criterio oggettivo può servire da bussola: ciò che la Chiesa ha insegnato infallibilmente nel suo magistero di sempre, che nessuno potrà mai cambiare.


[1] Ai responsabili delle comunità Musulmane di Milano e Lombardia
Per la prima volta dalla città di sant' Ambrogio ho il gradito compito di trasmettervi il messaggio augurale del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso (PCDI) in occasione della "rottura" del digiuno del mese di Ramadan. Durante il mio mandato come Patriarca di Venezia, porta d'Europa verso l'Oriente e luogo storicamente contrassegnato da intensi scambi tra popolazioni cristiane e musulmane, ho espresso più volte l'importanza di una frequentazione tesa alla conoscenza reciproca di persone e tradizioni.
L'esperienza di quegli anni si è consolidata attraverso varie pubblicazioni e, soprattutto, attraverso la creazione della Fondazione Internazionale Oasis, che pubblica, tra l'altro, una rivista specializzata in varie lingue. A sua volta, la Diocesi Ambrosiana, sollecitata dall'intenso fenomeno migratorio dai paesi dell'Africa del Nord, si è dedicata da tempo con impegno a conoscere il mondo religioso musulmano e a far conoscere la natura dell'esperienza cristiana, come ben documenta il discorso alla città dei Vespri di sant'Ambrogio del 1990, dal titolo Noi e l'Islam del Cardinale Carlo Maria Martini.
Cari fedeli musulmani, voi state concludendo il tempo santo del digiuno che tempra lo spirito e il corpo (ancor più affaticato in questo periodo estivo) per sottometterli alla divina volontà.
Desideriamo che sentiate la vicinanza della nostra preghiera e attenzione. In questo anno essa si rivolge in particolare alle nuove generazioni. Il tema educativo è infatti il fulcro del testo augurale del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso. Cristiani e musulmani sentono oggi la comune responsabilità di fronteggiare una mentalità diffusa che intende svuotare la vita dai contenuti religiosi. Invece giustizia e pace non crescono se non si concepiscono come la risposta ad una chiamata divina. Insieme dobbiamo cercare di smentire chi accusa la religione di fomentare disordini, guerre, razzismo e inciviltà. Per questo occorre smascherare chi, strumentalizzando la fede, spinge i giovani all'odio e alla violenza verbale, morale e fisica. Sia carica di bene e di benedizione la vostra imminente festa. Ve lo auguriamo di tutto cuore!”
Venerdì, 17 agosto 2012
Angelo Scola, arcivescovo di Milano
http://affaritaliani.libero.it/milano/ramadan-il-messaggio-dell-arcivescovo-angelo-scola170812.html
[2] «Come Vescovo di questa comunità ecclesiale pavese, voglio esprimere a nome mio e della comunità sentimenti di vicinanza e di presenza alla Comunità musulmana pavese, in occasione della chiusura del mese sacro del Ramadan 2012. Sappiamo che avete celebrato la discesa celeste del Libro sacro del Corano, applicandovi a una lettura più intensa e pia della Parola di Dio e che avete offerto a Dio il sacrificio del vostro digiuno quotidiano. Grati della Vostra testimonianza, ci sentiamo in comunione di preghiera e di fede.
Con stima, Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=729:il-vescovo-di-pavia-e-in-comunione-di-fede-con-i-musulmani&catid=53:attualita&Itemid=50
[3] “In occasione delle festose ricorrenze di Rosh Ha-Shanah 5773 e Yom Kippur e Sukkot”, rivolgo un sentito auguro di pace e di bene a Lei e all'intera Comunità ebraica di Roma, invocando dall'Altissimo copiose benedizioni per il nuovo anno e auspicando che ebrei e cristiani, crescendo nella stima e nell'amicizia reciproca, possano testimoniare nel mondo i valori che scaturiscono dall'adorazione del Dio unico.
BENEDICTUS PP. XVI
http://www.zenit.org/article-32697?l=italian

[4] Hebr. 11,6
[5] L’infedeltà formale o positiva è la carenza colpevole della fede in colui che non vuol dare il suo assenso alla fede  o la disprezza. Prummer T I n°509
[6] Somma Theologica II II Q 10 a 5
[7] Dizionario di Teologia Morale, Ed. Studium 1968, Voce superstizione
[8] S.T. II II Q 94 a 1 ad 1
[9] L’islam comporta il rigetto della fede nella Divinità di Gesù Cristo e pretende riferirsi ad una rivelazione che deforma alcuni attributi divini, quali si possono conoscere anche tramite la ragione Per questo il “dio” che si adora in tale religione non può essere identificato in alcun modo con Colui che la ragiona naturale ci svela.
[10] 170. Che ci proibisce il primo comandamento?
Il primo comandamento ci proibisce l'empietà, la superstizione, l'irreligiosità; inoltre l'apostasia, l'eresia, il dubbio volontario e l'ignoranza colpevole delle verità della Fede.
172. Che cos'è superstizione?
Superstizione è il culto divino o di latria reso a chi non è Dio, o anche a Dio ma in modo non conveniente: perciò l'idolatria o il culto di false divinità e di creature; il ricorso al demonio, agli spiriti e ad ogni mezzo sospetto per ottener cose umanamente impossibili; l'uso di riti sconvenienti, vani o proibiti dalla Chiesa.
[11] Decreto pro Jacobitis DZ 714
[12] Iam vos omnes, 13 settembre 1868
[13] Nostra Aetate n° 2

Don Schmidberger respinge l'idea di un ricongiungimento alla Roma conciliare

FSPubblichiamo questo articolo apparso sulla Croix, in cui il primo successore dei Mons. Lefebvre alla testa della Fraternità San Pio X, chiarifica come il problema di fondo che ci separa dalla autorità ecclesiastiche attuali sia la rottura dottrinale del concilio Vaticano II con il magistero tradizionale della Chiesa. 
 
Secondo don Franz Schmidberger, che fu superiore generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X dal 1984 al 1994, la FSSPX si avvia verso un'ammissione del fallimento delle sue trattative con il Vaticano. Per l'attuale superiore del distretto di Germania dei lefebvriani, che si pronunciava (in tedesco) in un video pubblicato sul sito dei tradizionalisti il 19 settembre, il fallimento delle trattative viene da Roma.
Il 13 giugno scorso, durante un incontro con il cardinale William Levada, allora ancora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità, si è visto consegnare una dichiarazione che pone la FSSPX di fronte ad un problema.
Da un lato, esige l'accettazione della nuova liturgia, dall'altro il riconoscimento fondamentale del concilio Vaticano II come iscritto nella linea ininterrotta dei concili e dell'insegnamento della Chiesa cattolica. “ Cosa che proprio non va”, pensa don Schmidberger.
Gli “ errori del Concilio ” devono essere condannati.
“ C'è una rottura che non si può negare ”, prosegue il superiore del distretto. “ La pretesa ermeneutica della continuità è falsa. Il concetto teologico che vuole che il Vaticano II s'iscriva nella linea della tradizione cattolica proviene dall'ex-teologo del Concilio Joseph Ratzinger, l'attuale papa Benedetto XVI. Perché si possa arrivare ad una unione, Roma dovrebbe rinunciare a questa rivendicazione ”, reputa don Schmidberger.
Il superiore di Germania spiega che dopo la consegna di questo documento, la Fraternità si è immediatamente rivolta al papa per chiedergli se queste nuove esigenze provenivano da lui. Cosa che Benedetto XVI ha confermato. Don Schmidberger considera ciò come un “ capovolgimento repentino ”.
Il capitolo generale della Fraternità San Pio X riunito nel mese di luglio, a Écône (Svizzera),  è stato solidale circa i tre punti che devono essere pretesi da Roma, rileva don Schmidberger. Gli “ errori del Concilio ” devono essere condannati. La FSSPX deve essere autorizzata ad utilizzare esclusivamente i libri liturgici del 1962. E, infine, deve avere un vescovo proveniente dalle proprie fila.
Don Schmidberger prosegue con una critica violenta rivolta al nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Mons. Gerhard Ludwig Müller, ex-vescovo di Ratisbona. Conclude condannando l'ecumenismo e la Chiesa protestante.
Interrogato riguardo all'eventualità di una nuova scomunica conseguente al fallimento delle trattative, don Schmidberger replica di non crederci e che ciò sarebbe una “ grande catastrofe per la Chiesa ”. Secondo lui, discrediterebbe e demoralizzerebbe tutte le forze che, all'interno della Chiesa, lavora per la sua ricostruzione.
Quanto all'utilità delle trattative condotte dal 2009 con Roma, il superiore del distretto di Germania ne  sottolinea l'importanza. La situazione della Fraternità corrisponde ad un tempo di crisi, ma, ammette, non è normale. “ Noi dobbiamo tendere alla normalizzazione, ma se ciò non va a buon fine, non è colpa nostra. Siamo in uno stato di necessità se vogliamo preservare la vecchia liturgia, il vecchio insegnamento, la vecchia disciplina come un tutto e continuare a condurre una vita veramente cattolica. ” Inoltre, per don Schmidberger, queste trattative hanno anche permesso di evidenziare alcune debolezze  in seno alla FSSPX e di avviare un processo di chiarimento.

Fonte: http://www.la-croix.com/Religion/Urbi-Orbi/Rome/L-abbe-Schmidberger-rejette-l-idee-d-un-ralliement-a-Rome-_NP_-2012-09-20-855625
Tramite www.sanpiox.it

In Hoc Signo

In Hoc Signo

In Hoc Signo

Forum dei fedeli e simpatizzanti della Fraternità San Pio X

Dopo la chiusura del Forum Tradizione.biz il web rimasto orfano di un forum dedicato alla Traditio Catholica e alla FSSPX vede alla luce, grazie all'iniziativa dell'amico e fratello Lorenzo Motti, la nascita di questo nuovo Forum; In Hoc Signo.
Invito tutti quelli che amano la Tradizione Cattolica a partecipare e pregare affinché In Hoc Signo VINCES!

venerdì 21 settembre 2012

IL MISTERO DELLA REDENZIONE SECONDO BENEDETTO XVI


S. Ecc. Mons. Bernard Tissier de Mallerais
della Fraternità Sacerdotale San Pio X

Questo studio è stato pubblicato sul n° 67 (inverno 2008-2009) della rivista Le Sel de la Terre - Intelligence de la foi -  Rivista trimestrale di dottrina tomista a servizio della Tradizione
La rivista, curata da Padri Domenicani collegati alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, è una pubblicazione cattolica di scienze religiose e di cultura cristiana, posta  sotto il patronato di San Tommaso d’Aquino, in forza della sicurezza della dottrina e della chiarezza d’espressione del “Dottore Angelico”. Essa si colloca nel quadro della battaglia per la Tradizione iniziata da
 Mons. Marcel Lefebvre e si presenta in maniera tale da potersi rivolgere ad ogni cattolico che voglia approfondire la propria fede.

Oltre alla rivista, i Padri Domenicani di Avrillé pubblicano testi diversi.
Per l’abbonamento alla rivista e per l’acquisto dei testi pubblicati occorre rivolgersi a:
Editions du Sel de la terre, Couvent de la Haye-aux-Bonshommes - 49240 Avrillé - Francia. -
Tel: +33 2.41.69.20.06 - Fax: +33 2.41.34.40.49
Posta elettronica:  dominicains-avrille@wanadoo.fr
Sito internet: http://seldelaterre.fr/

L’abbonamento per l’Italia (4 numeri) costa 55 Euri e comprende l’abbonamento alla Lettre des Dominicains d’Avrillé. Può essere richiesto  scrivendo al Convento o inviando l’importo tramite bonifico bancario:
IBAN: FR34 2004 1010 1101 6571 0D03 235; BIC: PSSTFRPPNTE

Si può avanzare la richiesta ed effettuare il pagamento anche per via elettronica, accedendo al sito internet su indicato.
La traduzione e l'impaginazione sono nostre
Lo studio in formato pdf
 

  

Indice

(siamo noi che dividiamo lo studio in più parti
per comodità di consultazione)


Parte Prima
- Introduzione
- Il mistero della Redenzione
- Coscienza pagana o coscienza cristiana?
- La dialettica hegeliana e il puro amore kantiano
- Rigore della giustizia e delicatezza della misericordia divina

Parte seconda
- Un Dio corrucciato che esige un sacrificio umano?
- La croce di Cristo: placare Dio o placare l’uomo?
- Ragion d’essere della pena per il peccato e della soddisfazione penale secondo san Tommaso
- Una metafisica sublime fonda la soddisfazione penale

Parte terza
- La spiritualità cristiana tradizionale: un combattimento spirituale
- Una nuova era di spiritualità: un cristianesimo positivo
- Il teologo di Tubinga all’origine della riforma liturgica
- Soddisfazione e propiziazione cancellate dalla liturgia
- L’ermeneutica applicata alla liturgia dei defunti
- Redenzione e propiziazione nella nuova catechesi
- Ermeneutica e aggiornamento

Fonte: Una Vox

sabato 15 settembre 2012

Rispetto a senso unico!

Foto: NAPOLITANO CRITICA IL FILM CONTRO MAOMETTO

Asca. Ogni ''offesa a qualsiasi credo religioso è deprecabile''. Lo ha detto il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al termine di un incontro al Quirinale con il presidente egiziano Mohamed Morsi, in riferimento al film prodotto negli stati Uniti sulla vita di Maometto che negli ultimi tre giorni ha scatenato l'ira del mondo musulmano.
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Siamo perfettamente d'accordo con il Presidente Napolitano, anche per noi il rispetto delle religioni è fondamentale, almeno quelle che rispettano la persona e predicano la non violenza. 
Vorremmo chiedere, rispettosamente, al PdR dov'era quando a Venezia si è proiettata quell'immonda porcheria di Paradise Faith, che mostra una che fa sesso con il Crocifisso, l'altro che strappa la foto del Papa, con parodia della nostra preghiera più importante, il Padre Nostro, insulti alle Statue dei Santi e tanto altro. Ci risulta che fosse a Venezia, ma non ci è giunta nessuna presa di posizione che pure avrebbe dovuto essere altrettanto ferma, per rappresentare la maggioranza degli Italiani che è cattolica. 
N.d.R..


Siamo perfettamente d'accordo con il Presidente Napolitano, anche per noi il rispetto delle religioni è fondamentale, almeno quelle che rispettano la persona e predicano la non violenza.

Vorremmo chiedere, rispettosamente, al Presidente Napolitano dov'era quando a Venezia si è proiettata quell'immonda porcheria di Paradise Faith, che mostra una che fa sesso con Crocifisso, l'altro che strappa la foto del Papa, con parodia della nostra preghiera più importante, il Padre Nostro, insulti alle Statue dei Santi e tanto altro. Ci risulta che fosse a Venezia, ma non ci è giunta nessuna presa di posizione che pure avrebbe dovuto essere altrettanto ferma, per rappresentare la maggioranza degli Italiani che è cattolica.

Infine il film (oggettivamente orrendo) viene definito dai media e dai rappresentanti politici una porcata schifosa mentre invece le pussy riot sono libertà di espressione? Mi sfugge qualcosa...

venerdì 14 settembre 2012

Dichiarazione di Dom Tomás de Aquino


Dopo la visita di Mons. Williamson in Brasile su invito di Dom Tomás de Aquino, Priore del monastero benedettino della Santa Croce, a Nova Friburgo,  lo stesso Priore scrisse un articolo per ringraziare Mons. Williamson, al quale fece seguito un comunicato di Don Christian Bouchacourt, Superiore del Distretto dell'America del Sud della Fraternità San Pio X. 
La presente dichiarazione, dell'8 settembre 2012, è una risposta al detto comunicato,
ed è stata pubblicata sul 
sito del monastero



Mons. Richard Williamson in visita in Brasile nel 2012

Di fronte al comunicato del R. P. Bouchacourt, il monastero della Santa Croce dichiara che si è rivolto a S. Ecc. Rev.ma Mons. Richard Williamson perché lo considera un degno difensore della fede cattolica, in grado di confermare nella fede, non solo i monaci del monastero della Santa Croce, ma anche le comunità religiose e i fedeli che guardano con grande preoccupazione alla nefasta politica degli accordi pratici con Roma, prima che questa rinunci ai suoi errori liberali e modernisti.

Perché i cappuccini, i domenicani e anche i benedettini di Bellaigue hanno visto i loro candidati o scartati o minacciati di essere scartati dalla ricezione dell’Ordine sacerdotale, se non per la loro opposizione alla politica degli accordi? E questo perfino quando Roma non voleva l’accordo, almeno per ora.

Tacere le vere ragioni di ciò che stiamo vivendo, significa nascondere la verità.
Perché si è chiesto a Mons. Williamson di cessare la pubblicazione dei suoi “Commenti Eleison”, se non a causa della dottrina esposta in essi?
Perché Mons. Tissier de Mallerais ha dovuto interrompere le sue prediche, se non perché esse contrastano quella stessa politica?
Perché il Padre Koller è stato minacciato di sanzioni, se non perché ha predicato contro questa stessa politica?
Perché i Padri Cardozo, Chazal, Pfeiffer e altri sono stati sanzionati o espulsi, se non a causa della loro opposizione a questa stessa politica?

Preoccupato, Mons. de Galarreta aveva messo sull’avviso già alcuni mesi fa:
«Per il bene della Fraternità e della Tradizione, bisogna richiudere al più presto il “vaso di Pandora”, per evitare il discredito e la demolizione dell’autorità, per evitare le contestazioni, le discordie e le divisioni, forse senza ritorno.»

E Mons. de Galarreta si chiedeva quali fossero le condizioni richieste per una proposta totalmente accettabile, ossia per una vittoria che può essere solo dottrinale perché in questa battaglia tutto è basato sulla fede; e rispondeva rimettendosi ai testi di Mons. Lefebvre, che citava nella sua esposizione.

Vediamo uno di questi testi:
«Non abbiamo lo stesso modo di concepire la riconciliazione. Il Card. Ratzinger la vede nel senso di ridurci, di condurci al Vaticano II. Noi la vediamo come un ritorno di Roma alla Tradizione. Non ci capiamo. È un dialogo fra sordi. Io non posso parlare tanto di avvenire, poiché il mio è alle mie spalle. Ma se vivrò ancora un po’ e supponendo che da qui a qualche tempo Roma faccia un appello, che voglia rivederci, riprendere a parlare, in quel momento sarò io a porre le condizioni. Non accetterò più di trovarmi nella situazione in cui ci siamo trovati al momento dei colloqui. È finita. Io porrò la questione sul piano dottrinale: «Siete d’accordo con le grandi encicliche di tutti i papi che vi hanno preceduto? Siete d’accordo con la Quanta Cura di Pio IX, con le Immortali Dei e Libertas di Leone XIII, con la Pascendi di San Pio X, con la Quas Primas di Pio XI, con l’Humani Generis di Pio XII? Siete in piena comunione con questi papi e con le loro affermazioni? Accettate ancora il giuramento antimodernista? Siete per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo?Se non accettate la dottrina dei vostri predecessori è inutile parlare. Fintanto che non accetterete di riformare il Concilio considerando la dottrina di questi papi che vi hanno preceduto, non vi è dialogo possibile. È inutile.» (Fideliter n° 66-1988, pp. 12-14).

In conclusione: il vaso di Pandora non è stato realmente richiuso, visto che non si sta seguendo la strada tracciata da Mons. Lefebvre.

Ma probabilmente il P. Bouchacourt dirà che non è vero, che al Capitolo Generale è stato risolto tutto. Che tutto è in perfetto ordine. Sfortunatamente non è questa la verità. Il Capitolo Generale ha mantenuto l’obiettivo degli accordi su una base diversa da quella esposta a suo tempo da Mons. Lefebvre. Si leggano iCommenti Eleison di Mons. Williamson sulle sei condizioni e si vedrà che le risoluzioni del Capitolo Generale sono insufficienti e diverse da quelle di Mons. Lefebvre.

Altri diranno: Lei cosa c’entra con questo? C’entro, perché la fede è un bene comune della Chiesa ed io appartengo alla Chiesa, e per di più ho delle responsabilità nei confronti dei monaci della Santa Croce e dei fedeli che ci esprimono la loro fiducia.
E tuttavia, altri diranno: l’obbedienza trasferisce le responsabilità ai superiori e obbedendo non si inganna nessuno. Sfortunatamente le cose non sono così semplici.
Fu così che la maggioranza dei vescovi accettò il Concilio Vaticano II.

Mi si dirà anche: Lei sta contribuendo alla divisione della Tradizione.
E io rispondo che l’unione deve stabilirsi intorno alla verità, cioè intorno alla fede cattolica. E le parole e i comportamenti di Mons. Fellay, sfortunatamente, non sono quelli di un discepolo di Mons. Lefebvre, il quale difese la verità senza concessioni.
Perché zittire Mons. Williamson e Mons. Tissier de Mallerais?
Si veda la lettera dei tre vescovi a Mons. Fellay e ai suoi Assistenti e si leggeranno le ragioni della battaglia della Tradizione e quelle della nostra attitudine.

Corção ripeteva costantemente che una falsa nozione della carità e dell’unione produce profonde devastazioni nella resistenza cattolica. Quando si separa la carità dalla verità, la carità smette di essere carità. Molti, anche tra i suoi amici, lo accusarono di venir meno alla carità con i suoi articoli. Ma la prima carità è dire la verità. Era Corção ad aver ragione, come dimostrano i fatti. La stessa accusa fu rivolta a Mons. Lefebvre.
Sull’unione, Corção diceva scherzando che l’esperienza gli aveva insegnato che, contrariamente al detto popolare “l’unione fa la forza”, egli aveva constatato che spesso l’unione fa la debolezza. E perché?  Perché un’unione al di fuori della verità, un’unione fatta di concessioni, un’unione che sacrifica la fede, è una debolezza che “rende deboli i forti”. Non fu proprio questo che accadde nel Concilio Vaticano II? Per il bene dell’unione con Paolo VI, molti vescovi finirono col firmare documenti inaccettabili. L’unione non fa la forza, al contrario.

Oggi, in seno alla Tradizione ci si chiede di unirci ad ogni costo a coloro che credono che gli errori del Concilio non sarebbero così gravi, a quelli che credono che il 95% del Concilio sarebbe accettabile, che la libertà religiosa dellaDignitatis Humanae sarebbe molto contenuta, che degli errori del Concilio non si debbono fare delle super-eresie. Ma questa non è la verità.
Il Concilio è stato il più grande disastro della storia della Chiesa fin dalla sua fondazione, come diceva Mons. Lefebvre nel suo libro Dal Liberalismo all’Apostasia.
Se si tratta di unirci su questa base, preferisco astenermi e lavorare per la restaurazione integrale della fede cattolica, come ci ha sempre insegnato ed esortato Mons. Marcel Lefebvre, sperando che la Fraternità recuperi nuovamente la fede, come spero che farà, perché ha i mezzi per farlo e può contare su eccellenti vescovi e sacerdoti.

Quanto all’accusa che si ingannerebbero i fedeli, dando la falsa impressione che Mons. Williamson fosse stato invitato con tutti i permessi di Mons. Fellay, posso affermare che non ho mai nascosto a nessuno, già da molto tempo, la nostra opposizione politica nei confronti di Mons. Fellay, e quantunque il popolo brasiliano sia un po’ ingenuo, non credo che lo sia così tanto come pensa Padre Bouchacourt. È il contrario che è certo.
Chi è che non sa che Mons. Williamson è malvisto a Menzingen?
Qui invece è benvisto, perché l’obbedienza è una virtù se è sottomessa alle virtù maggiori e soprattutto alla fede, alla speranza e alla carità.
Fare dell’obbedienza un’arma per paralizzare la Tradizione, significa rinnovare il “colpo da maestro di Satana”, come diceva Mons. Lefebvre, che in nome dell’obbedienza ha indotto tutta la Chiesa alla disobbedienza nei confronti della sua stessa Tradizione.
Noi non lo faremo: dicano ciò che vogliono.
Vi è un problema, e questo problema è di fede ed è grave.
Per quanto ci riguarda, la nostra posizione è definita: appoggiarci ai difensori della fede, come sono stati Mons. Lefebvre, Mons. Antonio de Castro Mayer e San Pio X, e appoggiarci a tutta la Tradizione della Chiesa. Se a causa di questo dovremo soffrire, soffriremo, come ci ha avvisato Nostro Signore: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Tim. 3, 12).

Per quanto riguarda la Fraternità, noi la consideriamo un’opera provvidenziale fondata da un Vescovo che praticò al grado più alto l’eroismo e le virtù più difficili: quelle per le quali Dio ha creato i doni della saggezza, intelligenza, consiglio, fortezza, scienza e timore di Dio.
Noi consideriamo Mons. Lefebvre come una luce che ha brillato nelle tenebre del mondo moderno e la Fraternità è la sua opera e la sua eredità, a condizione però che rimanga fedele alla grazia ricevuta. Noi preghiamo per essa, e se ci opponiamo alla politica di Mons. Fellay non è per un qualche senso di ostilità nei confronti della Fraternità, ma per amore di essa e dello stesso Mons. Fellay, così come amiamo la Santa Chiesa e per amore di essa combattiamo il liberalismo e il modernismo dei suoi nemici che si sono installati nel suo seno.

Che Dio benedica e conservi la Fraternità San Pio X, alla quale dobbiamo tutto il meglio che abbiamo ricevuto, riguardo sia alla fede sia al sacerdozio, che abbiamo ricevuto per mano di Sua Eccellenza Mons. Marcel Lefebvre.

Dom. Tomás de Aquino


8 settembre 2012
, Natività della Santa Vergine Maria

Fonte: Una Vox