lunedì 28 febbraio 2011

Il conservator cortese

tratto dal libro: "Cattivi Maestri" di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Il conservator cortese

Si deve chiarire subito una cosa: questo cattivo maestro non è un cattivo soggetto. Il conservator cortese è un uomo animato dalle migliori intenzioni, che agisce normalmente in buona fede, e che è sorretto da un inguaribile ottimismo. Ma, proprio per queste ragioni, è capace di pro­vocare danni devastanti. Insomma, è buono e insieme pericolosissimo.

La sua caratteristica più temibile, però, è la capacità di mimetizzarsi. Gli altri cattivi maestri sono in genere agevolmente identifìcabili. Il conservator cortese no. Tracciare il suo identikit è molto diffìcile. Ed è difficile perché, a ben guardare, non possiede una sua precisa fisionomia. Piuttosto, tende ad adattarsi come un guanto alla realtà che intende difendere e proteggere.

Ma chi è, in definitiva, questo "conservator cortese"? Si tratta di un cattolico, normalmente sostenuto da una certa formazione dottrinale, formazione che in taluni casi può essere perfino solida e robusta. In ogni caso, la sua storia è estranea al progressismo ecclesiale, o se anche ne proviene, lui ha deciso risolutamente di abbandonarla a un passato di cui un po' si vergogna. In ogni caso, adesso è venuto il momento di lavorare per "conservare" lo status quo, accontentandosi di evitare che le cose peggiorino.

Per fare questo, è necessario anche mettersi a dire a quattro venti che le cose non vanno poi così male, anzi stanno sensibilmente migliorando. Il cavillo sarà l'arma impropria nelle mani del nostro uomo. Maneggiandolo come un bisturi, egli inciderà con delicatezza i bubboni infetti del pensiero progressista. Ma, con impegno se possibile maggiore, egli orienterà l'arma del cavillo nei confronti dei cattolici tradizionali, i cattolici-cattolici insomma. I quali, per certi versi, sono secondo il conservator cortese gli uomini peggiori e più deleteri, perché con la loro mania della verità e della tradizione mettono a repentaglio tutto il delicato percorso di "restaurazione gentile". Quel buzzurro del cattolico-cattolico, ad esempio, polemizza apertamente, denuncia, critica, stronca: un vero concentrato di stupidità politica, che deve essere fermato a ogni costo.

Il conservator cortese ha fatto un'analisi della situazione ecclesiale, che più o meno può essere riassunta così: il progressismo cattolico ha iniziato da tempo la sua inesorabile parabola discendente; poco alla volta, il modernismo perde il suo potere all'interno delle istituzioni ecclesiali. Questa "mutazione" si nota soprattutto in certe conferenze episcopali, come quella italiana, "commissariate" e affidate alla guida del presidente, in modo da silenziare le voci stonate presenti nell'episcopato.

Tuttavia, prosegue il conservator cortese, natura non facit saltus, e ancor di più la Chiesa non può fare salti o consumare strappi; ergo, occorre mettersi docilmente sotto la guida della Conferenza episcopale nazionale, dire e fare soltanto ciò che a essa è gradito, e soprattutto - si badi bene: soprattutto - evitare sempre di muovere anche la più garbata critica a ciò che la Conferenza episcopale dice o scrive. Insomma: il conservator cortese è, prima ancora che un cattolico, un clericale. Di più: un clericalone a 24 carati. Per lui, la Conferenza episcopale, come la Buonanima durante il Ventennio, ha sempre ragione.

A prima vista, il nostro tipo umano sembrerebbe totalmente innocuo. Anzi: un autentico servitore della Chiesa. Ma, guardandolo più da vicino, si scopre che le cose stanno diversamente.

Il problema è che questo cattivo maestro ritiene più importante servire la strategia di una Conferenza episcopale nazionale, piuttosto che insegnare e testimoniare i contenuti della dottrina cattolica. E la cosa gli pare cosi ovvia, così buona e giusta, che ve lo dirà anche in faccia. Facciamo un esempio. Una Conferenza episcopale decide di difendere una legge che consente la fe­condazione artificiale. Il ragionamento è: meglio avere una legge non del tutto condivisibile, piuttosto che subire do­mani una legge peggiore. Mettiamo che voi, senza entrare nel merito del ragionamento suddetto, chiediate a un giornalista cattolico di poter spiegare in un articolo perché la fecondazione artificiale, anche nei limiti previsti dalla legge che "piace" ai vescovi, sia intrinsecamente illecita.

Se il tipo che avete davanti è un uomo chiamato cavillo, cioè un "conservator cortese", ecco che cosa vi risponderà: «Vedi, carissimo,» il tono è sempre conciliante e pedagogico, come quello di un salesiano che sta rimproverando per l'ennesima volta un ragazzo troppo vivace «vedi, carissimo, quello che tu dici è vero: la fecondazione artificiale è sbagliata. Però, in questo momento, noi dobbiamo soste­nere senza se e senza ma la strategia che è stata decisa dai vescovi».

«Ma è la Chiesa che insegna, per ragione e non per fede, che i figli non si devono mai fare per via artificiale.»

«Quello che tu vorresti scrivere non è coerente con la linea del nostro giornale.»

«Ma io volevo soltanto ribadire la verità, la verità non fa mai male.»

«Carissimo, ci sono momenti in cui bisogna saper tacere, se la strategia lo richiede. Adesso l'obiettivo è difendere la legge sulla provetta così com'è. Se uno non sostiene questa linea, non può scrivere per noi.»

«E se invece uno fa la fecondazione artificiale rispettando la legge, può scrivere per voi?»

«Certo. Mi spiace che tu non capisca. Apprezzo davvero molto la tua testimonianza per la verità, ti stimo tantissimo. Ma finché questa è la tua posizione, non puoi scrivere per noi.»

L'uomo chiamato cavillo è fatto così: flessibilissimo sulla dottrina, inflessibile come una SS sulla "linea" - detta altrimenti "strategia" - sposata dall'episcopato.

Il conservator cortese si sta diffondendo parecchio nel mondo cattolico. E questo è positivo, in quanto egli è un tipo antagonista-predatore del cattolico democratico, detto anche cattolico progressista. Tuttavia è anche un male perché il conservator cortese è anche un nemico spietato del cattolico-cattolico. Il risultato è una condizione di stallo, nella quale però il nostro conservatore finisce con l'accogliere, senza rendersene conto, proprio i paradigmi del progressismo modernista. Nel senso che misura gli obiettivi della sua buona battaglia sempre in termini di "male minore", perdendo totalmente di vista la stella polare della verità tutta intera.

In sostanza, l'uomo chiamato cavillo è un democristiano del terzo millennio capace anche di criticare i democristiani del millennio precedente per gli sconquassi che hanno provocato, ma continuandone disastrosamente il metodo.

IDENTIKT

Dove opera?
Prevalentemente nei giornali cattolici. E segnalato anche in ruoli di responsabilità nell'associazionismo cattolico.

Come riconoscerlo?
Cavilla, distingue, precisa, raffredda, smorza, sopisce. E si addormenta.

Come difendersi?
Non svegliatelo.
 
Fonte: Una Fides

mercoledì 23 febbraio 2011

L'abito ecclesiastico: sua finalità e sua importanza

I fondatori dell'Ordine dei Servi di Maria ricevono dalla Vergine il sacro abito.

Daniele Di Sorco, via Facebook.

1. Il monaco senza abito.


Si dice che l'abito non fa il monaco, il che è vero, nel senso che non basta mettersi qualcosa addosso per cambiare vita o distinguersi esteriormente dal mondo per operare la propria conversione interiore. D'altra parte, è vero anche il contrario: abbandonare l'abito religioso o deformarlo a mero "segno di riconoscimento" (come il tesserino appuntato sul petto dagli addetti di qualche azienda) può significare due sole cose, entrambe negative: o la vergogna per un modo di essere che si cerca di nascondere ogni qual volta faccia comodo; o l'idea secondo cui tra i consacrati e i laici non vi sia alcuna differenza se non sul piano puramente accidentale. In ultima analisi, è un'indebolimento della fede, occultata o deformata, che provoca l'abbandono, se non addirittura il disprezzo, della veste sacra.

Non è mia intenzione, qui, analizzare minutamente le molteplici ragioni che giustificano l'uso, da parte dei consacrati, di un abito diverso dalle altre persone. Tuttavia, poiché oggi anche il semplice buon senso sembra vacillare, bisognerà per lo meno spendere una parola contro le obiezioni più frequenti.


2. Chiarezza, non finzione.


La prima è quella secondo cui il consacrato, vestendosi come chiunque, sarebbe più vicino alla gente, più capace di mettersi in relazione con loro. Ora, la chiarezza dei ruoli sta alla base del funzionamento di un rapporto. Nessuno, credo, per corteggiare una ragazza si vestirebbe da donna; e sarebbe ridicolo che il capo di un'azienda, per avere migliori relazioni coi propri operai, andasse a visitarli in tuta da lavoro. Anzi, nell'uno e nell'altro caso l'interlocutore si sentirebbe preso in giro dal tentativo di impostare il rapporto su un mezzo inganno. E reagirebbe o allontanando il dissimulatore oppure trattandolo con sufficienza, perché chi si vergogna di un modo di essere perfettamente legittimo non ha alcun diritto ad essere preso sul serio. Con questo cade la prima obiezione all'abito religioso: chi non lo porta per avvicinarsi alla gente, si rende, sia pure involonariamente, artefice di un inganno. Il consacrato deve avvicinare la gente come consacrato, non come finto laico.


3. Il falso spiritualismo si traduce in vero materialismo.

L'altra frequente obiezione viene formulata più o meno in questo modo: uno stato interiore e spirituale non ha bisogno di essere manifestato con segni esteriori e materiali. Distinguo: uno stato interiore e spirituale privato, che non ha riflessi visibili sulla propria condizione pubblica, non ha effettivamente bisogno di essere denotato esteriormente. Non si chiederà ad un laico che si è confessato e ha fatto la Comunione di appendersi una nastrino al collo per far sapere a tutti la grazia che ha ricevuto. Anzi, vantarsi dei propri meriti, ancorché spirituali, significa alienarsi, come dice il Vangelo, la ricompensa che essi avrebbero meritato nell'altra vita. Invece uno stato interiore e spirituale pubblico, che cioè muta la condizione pubblica di una persona, modificandone il suostatus, non solo può, ma deve essere manifestato con segni visibili. Ora, il conferimento dei sacri ordini è pubblico, come pubblico è l'ingresso in un istituto religioso mediante la solenne professione dei voti. È necessario, quindi, che il consacrato porti esteriormente un segno di questa sua condizione, che lo distingue dagli altri fedeli e che, essendo pubblica, dev'essere pubblicamente manifestata.
Certo, la sana filosofia ci insegna a subordinare il materiale allo spirituale. Sappiamo perfettamente che il segno esteriore ha senso nella misura in cui riflette uno stato interiore. Attribuire soverchia importanza al segno, a scapito della realtà che esso significa, vuol dire confondere il mezzo col fine, l'accidentale con l'essenziale. Ma nell'uomo, fatto di anima e di corpo, anche la parte materiale ha la sua importanza. È l'istituzione stessa dei Sacramenti a dimostrarcelo. Per veicolarci le sue grazie ex opere operato, nostro Signore avrebbe potuto scegliere qualunque mezzo, anche puramente spirituale. Invece ha deciso di legarle ad un segno tangibile, un segno che, pur essendo in se stesso materiale, produce infallibilmente una grazia spirituale. Perché questa scelta? Per la consapevolezza che l'uomo, non essendo un puro spirito (come gli Angeli), ha bisogno di segni sensibili per accedere più facilmente alle realtà insensibili (cioè non percepibili attraverso i sensi). Ho parlato dell'istituzione dei Sacramenti. Ma avrei potuto menzionare anche l'Incarnazione. Dio poteva redimerci in diversi modi. Se ha scelto di farlo assumendo l'umana natura, è per lo scopo delineato dal prefazio di Natale: "affinché, conoscendo Dio visibilmente, siamo rapiti alla contemplazione delle realtà invisibili".

Bisogna quindi tenersi egualmente lontani da due opposti eccessi: da un lato, quello del materialismo, che ordina l'inferiore (le realtà corporee) al superiore (le realtà spirituali), comportando il dileguo di queste ultime; e dall'altro quello, non meno deleterio, dello spiritualismo, che, pur riconoscendo la ragionevole supremazia delle realtà spirituali, finisce per misconoscere l'importanza di quelle materiali.

L'uomo, diceva Pascal, è un po' angelo e un po' bestia. Quando cerca di diventare solo angelo, finisce per diventare solo bestia. Il protestantesimo ha voluto trasformare la religione del Verbo incarnato in qualcosa di puramente spirituale, senza sacramenti, senza sacrificio, senza sacerdozio, in una parola senza segni visibili che producano la grazia invisibile. Dopo non molto tempo, questo innaturale spiritualismo si è trasformato nel suo contrario, cioè nell'esaltazione della materia a scapito dello spirito. E non può essere altrimenti. Sganciato da uno dei propri elementi costitutivi - il corpo - l'uomo tenta di librarsi nei puri cieli dello spirito; ma, come dice il Poeta, "sua disianza vuol volar sanz'ali", poiché l'uomo non è un angelo, anche se si sforza di diventarlo. Non nel senso che non possa raggiungere la purezza di un angelo o la santità di un angelo, ma nel senso che non può comportarsi come se non avesse anche una parte materiale, la quale, se non viene usata come mezzo di santificazione, finisce per assumere una propria autonomia, trasformandosi in mezzo di dannazione. Mi spiego con un esempio. Tutti abbiamo bisogno di mangiare: possiamo seguire ciecamente questo istinto, e ammalarci di indigestione; possiamo fingere che non esista, e morire di fame; oppure possiamo mangiare per saziarci, ossia ordinando la realtà corporale (l'istinto) alla realtà spirituale (la ragione). Ora, poiché gli aspiranti suicidi, grazie a Dio, sono pochissimi, le persone che negano al cibo qualunque utilità, piuttosto che morire di fame, finiranno per passare al versante diametralmente opposto, cioè a sostenere la necessità di assecondare irrazionalmente le proprie passioni. È il finto angelo che diventa vera bestia.



4. Tentazioni gnostiche.

L'utilizzo di un segno esteriore che denoti una condizione interiore è dunque connaturale all'essenza dell'uomo, il quale, come abbiamo visto, deve servirsi ragionevolmente delle realtà materiali in modo da ordinarle a quelle spirituali. Di qui la somma importanza dell'abito sacro. Esso, infatti, non si limita ad indicare una condizione qualsiasi, tra le tante che l'uomo può pubblicamente assumere, ma è il segno di uno stato di vita diverso e distinto da quello delle altre persone. In quanto stato, tale condizione non viene mai abbandonata, neppure temporaneamente. Il consacrato non è tale solo quanto è in servizio: per questo i sacerdoti o i religiosi che usano la veste sacra solo durante le funzioni sono da biasimare non meno di quelli che non la usano mai. Anzi, forse sono da biasimare di più, perché, oltre a fraintendere il significato del segno, lo sviliscono a puro elemento di esibizione, come se il sacerdote non avesse alcun bisogno dell'abito e lo indossasse solamente per non deludere gli innocenti e puerili desideri del popolo. Chi si comporta così, riconosce il principio, sopra esposto, secondo cui le cose sensibili vanno utilizzate per favorire la contemplazione delle cose soprasensibili; ma ne limita l'applicazione ad alcune categorie di persone: il popolo, semplice e istintivo, ha bisogno di questi segni; i sacerdoti, i dotti, le persone colte, no. Non è difficile riconoscere in questo una forma velata di gnosi: l'accesso ad una forma di conoscenza riservata a pochi crea l'illusione di trascendere la natura umana, di non aver bisogno di ciò di cui tutti hanno bisogno. Inutile far rilevare come, alla resa dei conti, i consacrati che seguono questo tipo di ragionamento, quando non usano la veste, lo fanno per i discutibili motivi di cui abbiamo parlato all'inizio del presente articolo, se non addirittura per ragioni ancor meno onorevoli. È, ancora una volta, l'angelo (anche se stavolta restringe la possibilità di de-materializzarsi ad una ristretta cerchia di privilegiati) che si rivela bestia.
In realtà, il consacrato è il primo ad aver bisogno della veste sacra, è il primo ad aver bisogno di un segno esteriore che gli ricordi, anche quando sarebbe più propenso a dimenticarlo, il suo stato di vita. La natura umana, come ben sappiamo, non è distrutta dalla grazia; tanto meno è distrutta dalla conoscenza di certe nozioni o dall'assunzione di uno stato di vita (gnosi). Da questo punto di vista, il sacerdote è un uomo come tutti gli altri, bisognoso, anche lui, di ordinare il corpo mediante il ragionevole utilizzo delle realtà sensibili. Per questo le costituzioni degli Ordini religiosi, fino alla recenti riforme, ordinavano al consacrato di non deporre mai la sacra veste: perfino durante la notte, se non si usava l'abito intero (distinto, ovviamente, da quello impiegato durante il giorno), bisognava portare l'abitino, ossia un piccolo scapolare dello stesso tessuto e colore della veste sacra. Il terzo Concilio plenario di Baltimora stabiliva che i sacerdoti potevano indossare il clergyman solo all'esterno (come d'abitudine nei paesi anglosassoni), mentre in chiesa e in casa (cioè anche nel privato) doveva tassativamente portare la talare. In molti seminari, i candidati ai sacri ordini dormivano con l'abito talare piegato e deposto sul petto: non si trattava, come alcuni vorrebbero, di un semplice memento mori, ma della logica applicazione del principio secondo cui l'abito religioso serve anzitutto al sacerdote per riconoscere se stesso. Nei bui momenti di sconforto, di scoraggiamento, di tentazione, quando la volontà interiore è meno propensa a ricordarsi degli impegni assunti e delle scelte fatte, è spesso un segno esteriore che ci richiama alla realtà e ci salva. Riconoscere questo, non significa trasformare l'uomo in un eterno fanciullo, sempre bisognoso di qualcuno o qualcosa che lo controlli; significa piuttosto prendere atto della natura intima dell'uomo (in cui l'angelo, in alcuni momenti, rischia di essere soppiantato dalla bestia) e predisporre gli opportuni rimedi. Di qui la necessità di usare la veste sacra come memento al consacrato del suo modo di essere. In questo stessa senso va inquadrata la prassi di portare la tonsura o chierica nei capelli, la quale peraltro, a differenza della veste, non poteva essere neppure deposta. L'abito non fa il monaco, ma aiuta ad esserlo.


5. Dignità e bellezza.

C'è poi un'ultima questione da affrontare. Secondo alcuni, il sacerdote deve sì essere identificabile come tale, ma per ottenere questo scopo basta un "segno di riconoscimento" qualsiasi: una crocetta, un tau, un colletto, qualunque cosa possa alludere alla sua funzione. Osserviamo, anzitutto, che un segno, per essere riconoscibile, dev'essere univoco: quindi, parlare di un "segno di riconoscimento" senza stabilire esplicitamente quale, non ha alcun senso. Oggi siamo arrivati al paradosso di sacerdoti i quali pensano di essere riconosciuti per una sorta di telepatia interiore, come se il loro modo di essere ce l'avessero scritto in faccia. Né c'è da stupirsene, visto che alludere ad un "segno di riconoscimento" senza definirlo, significa lasciare aperto il campo alle più disparate interpretazioni, anche a quelle telepatico-sensitive. In secondo luogo, un segno, per essere efficace, deve avere una qualche relazione evidente ed immediata (analogia) con la realtà che vuole significare. Ora, è indubbio che la veste sacra, per il fatto di avvolgere interamente chi la porta, rimanda in modo assai efficace al fatto della totale consacrazione a Dio. Il consacrato, anche esteriormente, è rivestito di Cristo. La sua separazione dal mondo (che non significa estraneità, visto che, tolti i casi di vita assolutamente contemplativa, continua in vario modo ad operare nel mondo) è denotata dall'uso di vesti radicalmente diverse da quelle comuni. I colori sobri e le stoffe poco pregiate rimandano alla scelta dell'umiltà e, per chi ne ha fatto voto, della povertà. Secondo la stessa logica, i Prelati, in ragione del proprio ruolo, indossano vesti dai colori e dai tessuti più preziosi. E tutto questo, senza considerare le simbologie proprie degli abiti dei singoli istituti, ricchissime di significati teologici e spirituali. Come, celebrando la Messa, il sacerdote - anche esteriormente - si spoglia di se stesso e si riveste di Cristo, così nella sua vita quotidiana il consacrato, che ha rinunciato a se stesso abbracciando un determinato stato di vita, deve testimoniare - anche esteriormente - la sua intima identificazione col Salvatore.
Per questo la veste sacra non dev'essere priva di una sua dignità estetica. Trascurare questo aspetto in nome della comodità o del funzionalismo, significa eleminare od oscurare la corrispondenza analogica tra simbolo e significato. Non di rado, oggi, vediamo abiti religiosi striminziti e di tessuto sottilissimo, che lasciano trasparire le vesti borghesi sottostanti e che sembano fatti apposta per essere frettolosamente indossati quando ci si reca ad una funzione o si esce di casa. Nulla a che vedere rispetto alle vesti ampie, nobili e dignitose, ancorché poverissime, che si usavano prima delle recenti riforme. Le modifiche più notevoli si sono avute negli abiti delle religiose: ai lungi veli, ai soggoli inamidati, alle ampie gonne che scendevano fino al ginocchio, alle cinture, agli scapolari (cose, tavolta, di forma originale o insolita, ma sempre degne di una sposa di Cristo e comunque munite di una loro storia e di un loro significato), si sono sostituiti dei ridicoli tailleur stile anni Cinquanta, con gonna al ginocchio e giacchetta stilizzata. D'estate non è raro vedere le mezze maniche. Il soggolo è completamente scomparso e il velo si è trasformato in un esile fazzoletto, che lascia intravedere più capelli di quanti ne compra. Non è difficile scorgere, in queste stilizzazioni, il passaggio dall'abito come segno "escatologico", la cui forma suggerisce la realtà che è chiamata a significare, all'abito come segno "di riconoscimento", dotato di una funzione puramente convenzionale. E tutto questo senza tener conto delle conseguenze psicologiche di simili scelte: infatti, stilizzare o trascurare il segno che denota il proprio modo di essere, viene comunemente interpretato come negligenza e disinteresse verso il modo di essere in quanto tale.



6. Considerazioni finali.

Concludo con un tentativo di sintesi. L'abito religioso è il segno esteriore di una realtà interiore. Esso non è coessenziale a questa realtà, nel senso che non è indispensabile affinché questa esista (l'abito non fa il monaco), ma ne è la legittima espressione, conformemente alla natura dell'uomo, che essendo composto di anima e di corpo ha bisogno di servirsi delle cose visibili per cogliere meglio quelle invisibili (l'abito aiuta ad essere monaco). Spogliarsi del segno esteriore non implica la cessazione della realtà interiore; ma è visto dagli altri o come un suo svilimento (vergogna per ciò che si è) o come un tentativo di inganno (fingersi ciò che non si è). Quindi non è in alcun modo funzionale alle relazioni col prossimo, che, al contrario, hanno come presupposto la chiarezza, anche esteriore, dei ruoli. Queste considerazioni, se valgono per il prossimo, valgono a maggior ragione per il consacrato stesso, il quale, per primo, ha bisogno di un segno che gli ricordi sempre, anche quando sarebbe più propenso a scordarlo, la propria condizione. In quanto simbolo (realtà materiale che allude ad una realtà spirituale), la veste sacra deve avere una corrispondenza analogica con ciò che significa: in altre parole, deve in qualche modo rimandare, nel colore e nella forma, alle caratteristiche dello stato di vita che è chiamata a rappresentare. I segni di riconoscimento convenzionali (crocette, colletti, tau), come pure gli abiti stilizzati e imbruttiti che hanno rimpiazzato le dignitose vesti tradizionali, non soddisfano questo requisito, quindi sono da scartare. Essi denotano, tutt'al più, una funzione (come quella di un impiegato che porti un cartellino di riconoscimento), ma non un modo di essere: non sono sufficienti a fare della veste religiosa quel "segno escatologico" di cui parlano gli autori di spiritualità. Anzi, a causa della loro bruttezza ed ordinarietà, finiscono per svilire, a livello psicologico, anche la realtà che significano.

L'esperienza dimostra quanto abbiamo tentato di spiegare a parole. Nel corso della storia, l'abbandono della veste sacra è sempre coinciso con periodi di forte decadenza spirituale. Ad avere in uggia la forma tradizionale dell'abito sacro erano, per esempio, i chierici frivoli e libertini del XVIII secolo. Quanto al clero moderno, l'ostentata noncuranza nei confronti dei segni esteriori fa riscontro ad una mondanizzazione e ad una crisi d'identità (disciplinare e dottrinale) senza precedenti.

Del resto, la decadenza della religiosità esteriore è, ad un tempo, causa ed effetto della decadenza della religiosità interiore, poiché la mente umana è fatta in modo tale da conoscere invisibilia per visibilia. Trascurando il segno visibile, si finisce a poco a poco per perdere il contatto con la realtà invisibile da esso rappresentata. Parallelamente, chi non è più in grado di cogliere adeguatamente le cose spirituali non avverte più il bisogno di esprimerle in forma materiale. Si tratta di un circolo vizioso (abyssus clamat abyssum), dal quale è possibile uscire solo col recupero dei sani concetti della filosofia e della teologia tradizionali e col ritorno alla secolare prassi della Chiesa cattolica.


martedì 22 febbraio 2011

Papa Sisto I e la Comunione nelle mani

 "E' stato stabilito [da Sisto I] che i vasi sacri non siano toccati da altri che da uomini consacrati e dedicati al Signore. E' davvero molto indegno che i sacri vasi, qualunque essi siano, servano ad usi umani o siano trattati da altri che da uomini che servono e sono consacrati al Signore, per evitare che Egli, adirato a causa di tali presunzioni, non infligga un castigo al suo popolo" (Mansi I 653)
Insomma, Sisto I proibì ai laici di toccare i vasi sacri, come il calice e la patena. E' logico pensare che egli tanto più proibisse ai laici di toccare e di trattare con le proprie mani l'Eucaristia.
Sicuramente, con Papa Sisto I, quindi alle origini della Chiesa, era proibita la Comunione sulla mano. Sicuramente assai presto, i Pontefici e la Chiesa delle origini videro quali abusi poteva causare il dare l'Eucaristia sulle mani...e Sisto proibì ai laici persino di toccare i vasi sacri. Davvero bravo papa Sisto!
Severino Bini commenta: "Questo decreto sta nella seconda epistola di Sisto in cui è stabilito che i vasi sacri, che sono necessari all'amministrazione dei Sacramenti e del Sacrificio incruento, e sono stati dedicati al culto divino con religiosa e episcopale consacrazione, in primo luogo il calice e la patena, non siano toccati dai laici. La loro consacrazione è la causa per cui debbano essere salvaguardati dall'essere toccati da costoro [i laici]" (ivi).
Fonte: Si si no no 31 Dicembre 2010 

A colloquio con Mons. Fellay (II parte)



Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista concessa da Mons. Fellay al Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, il 2 febbraio 2011. Qui potete leggere la I parte.

IV La beatificazione di Giovanni Paolo II?

29. L’annuncio della prossima beatificazione di Giovanni Paolo II pone un problema?

Un problema grave, quello di un pontificato che ha fatto fare dei balzi in avanti in senso negativo, nel senso del progressismo e di tutto ciò che si chiama «spirito del Vaticano II». Si tratta dunque della consacrazione, non solo di Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio e di tutto lo spirito che l’ha accompagnato.

30. Vi è un nuovo concetto di santità dopo il Vaticano II?
 
C’è da temerlo! È un concetto di santità per tutti, di santità universale. Non è falso dire che vi è una chiamata, una vocazione alla santità per tutti gli uomini, ma è falso abbassare la santità ad un livello che lascia credere che tutti vadano in cielo.

31. Come potrebbero essere permessi da Dio dei veri miracoli per autenticare una falsa dottrina, in occasione delle molteplici beatificazioni e canonizzazioni fatte in questi ultimi anni?
 
È questo il problema: sono dei veri miracoli? Sono dei prodigi? Secondo me vi sono dei dubbi. Sono molto stupito della leggerezza con la quale si trattano queste cose, per quanto io possa saperne.

32. Se la canonizzazione impegna l’infallibilità pontificia, possiamo rifiutare i nuovi santi canonizzati dal Papa?
 
È vero che vi è un problema sulla questione delle canonizzazioni attuali. Tuttavia ci si può chiedere se nei termini utilizzati dal Sommo Pontefice vi sia una reale volontà di impegnare l’infallibilità. Per la canonizzazione, questi termini sono cambiati, e sono divenuti meno forti di un tempo. Penso che questo vada di pari passo con la nuova mentalità che non vuole definire dogmaticamente impegnando l’infallibilità. Tuttavia, riconosciamo che su questo ci troviamo su un terreno problematico… Non v’è risposta soddisfacente, se non quella dell’intenzione dell’autorità suprema di impegnare o meno la sua infallibilità.

33. Si può scegliere tra i nuovi santi proposti alla venerazione dei fedeli? Che ne è di Padre Pio?
 
Penso che non bisogna scegliere. Tuttavia, si possono sempre conservare i criteri che sono stati riconosciuti universalmente in passato, così, quando vi è una massiccia devozione popolare, come per Padre Massimiliano Kolbe o per Padre Pio, la cosa non dovrebbe presentare delle difficoltà. Ma, ancora una volta, in assenza di un giudizio del Magistero dogmaticamente enunciato, qui si tratta solo di opinioni.

34. Per Mons. Lefebvre, conosce degli esempi di grazie ottenute per sua intercessione?
 
Si, se ne conoscono, e perfino abbastanza. Ma non so se appartengono veramente all’ordine dei miracoli, forse per l’uno o l’altro caso. Quando si tratta di guarigioni non si hanno, a mia conoscenza, tutti i documenti medici necessari. Per intercessione di Mons. Lefebvre sono ottenute molte grazie, ma non mi spingo oltre.

V – La Fraternità San Pio X

35. La Fraternità ha appena festeggiato un importante anniversario. Come può riassumere questi 40 anni?
 
Una storia entusiasmante… lacrime, molte, in mezzo a grandi gioie. Una delle gioie più grandi è quella di constatare fino a che punto il Buon Dio ci permette di essere associati a molte delle beatitudini che ha predicato nel Discorso della Montagna, come quella di poter soffrire a causa del Suo Nome. E attraverso tutte le vicissitudini della crisi attuale, vediamo che quest’opera continua a crescere – cosa che, umanamente è prossima all’impossibile. È proprio il segno di Dio sull’opera di Mons. Lefebvre.

36. Vi è un aumento delle vocazioni? E se sì, quali sono le cause?
 
Credo che vi sia una grande stabilità. Amerei vedere più vocazioni. Penso che bisognerà rilanciare delle crociate per le vocazioni. Il mondo in quanto tale è molto ostile allo sbocciare delle vocazioni, è per questo che occorre provare a ricreare dappertutto un clima nel quale le vocazioni possano nuovamente sbocciare. In effetti vi sono molte vocazioni, ma spesso esse non riescono a maturare a causa di questo mondo materialista.

37. Ultimamente, in occasione del Congresso del Courrier de Rome, a Parigi, Lei ha parlato di una riunione di una trentina di sacerdoti diocesani in Italia, alla quale ha assistito. Cos’è che oggi i sacerdoti si aspettano dalla Fraternità?
 
Questi sacerdoti ci chiedono innanzitutto la dottrina, il che è un segno eccellente. Se essi vengono da noi è sicuramente perché vogliono la Messa antica, ma dopo la scoperta di questa Messa, essi vogliono dell’altro. E vogliono di più perché scoprono tutto un mondo che riconoscono essere autentico. Essi non hanno dubbi che si tratta della vera religione. E allora hanno bisogno di rinnovare le loro conoscenze teologiche. E non si sbagliano, e vanno direttamente a San Tommaso d’Aquino.

38. Questo movimento di sacerdoti che si rivolgono alla Fraternità è, per gradi diversi, lo stesso in tutti i paesi?
 
Vi sono certamente dei gradi diversi e anche delle cifre diverse a seconda dei paesi. Ma si ritrova un po’ dappertutto lo stesso fenomeno. Il sacerdote, in genere giovane, che si accosta alla Messa tradizionale, che scopre con grande entusiasmo questo tesoro, percorre pian piano un cammino verso la Tradizione, che alla fine lo rende del tutto tradizionale.

39. Ha la speranza che un tale interesse possa raggiungere certi vescovi, al punto da intravedere una futura collaborazione?
 
Noi abbiamo già dei contatti con dei vescovi, ma per adesso tutto è congelato a causa delle conferenze episcopali e delle pressioni circostanti, ma non c’è dubbio che in avvenire vi potrà essere una collaborazione con certi vescovi.

40. È pronto a tentare l’esperienza della Tradizione con un vescovo, a livello diocesano?
 
La cosa non è ancora matura, non siamo ancora a questo punto, ma penso che potremmo arrivarci. Sarà difficile, bisognerà valutare da vicino in che modo lo si possa realizzare. Sarà indispensabile che questo si faccia con dei vescovi che abbiano compreso realmente la crisi e che veramente vogliano saperne di noi.

41. I fedeli sono sempre più numerosi. Le cappelle si moltiplicano. Lo stato di necessità è sempre presente. Ha preso in considerazione la consacrazione di altri vescovi ausiliari per la Fraternità? Pensa che oggi Roma possa essere favorevole a delle consacrazioni episcopali nella Tradizione?
 
Per me, la risposta è molto semplice: vi saranno o non vi saranno dei vescovi a seconda che si verifichino o meno le circostanze che hanno prevalso per la prima consacrazione.

VI – L’espansione della Fraternità San Pio X negli Stati Uniti

42. Monsignore, abbiamo la gioia di vederLa spesso negli Stati Uniti. Le piace venirvi. Un commento?
 
Il mio commento è questo: io amo tutte le anime che il Buon Dio ci affida, e negli Stati Uniti non sono poche. Ecco tutto!

43. Ha già potuto incontrare il cardinale Burke?
 
Ho cercato di vederlo diverse volte, ma non l’ho ancora visto.

44. Sono stati numerosi i vescovi che hanno manifestato il loro sostegno alla Marcia per la Vita, uno di essi è anche intervenuto energicamente contro un ospedale che favorisce l’aborto. Vi è la speranza che essi comprendano che la crisi attuale tocca anche la Fede?
 
Io penso che, sfortunatamente, tra i vescovi attuali bisogna distinguere tra i costumi e la fede. Così che si potranno trovare più vescovi ancora sensibili ai problemi morali di quanti ve ne siano legati alle questioni della fede. Tuttavia, si può dire che se qualcuno difende con molto coraggio la morale cattolica, necessariamente deve avere la fede, e la sua fede ne sarà anche rafforzata… Questo è ciò che spero, pur riconoscendo che vi sono alcune eccezioni…

45. I vescovi americani vogliono rivedere insieme le direttive date da Giovanni Paolo II per le Università. Quali dovrebbero essere, secondo Lei, le misure urgenti da prendere per fare delle Università attuali delle vere Università cattoliche?
 
La misura urgente, la prima, è il ritorno alla scolastica. Occorre sbaragliare queste filosofie moderne, ritornare alla sana filosofia, alla filosofia oggettiva, realista. Come all’inizio del XX secolo, San Tommaso deve tornare ad essere la norma. Un tempo le 24 tesi tomiste erano obbligatorie. Occorre ritornarvi, è assolutamente necessario. E dopo questa restaurazione filosofica si potrà continuare con lo stesso slancio in teologia.

46. Mons. Robert Vasa de Baker (Oregon) ha recentemente ricordato che le dichiarazioni della Conferenza Episcopale non possono obbligare un vescovo nella sua diocesi. È questa una rimessa in questione della collegialità promossa dal Concilio?
 
Su questa questione della collegialità non è solo un vescovo che ha parlato. Il Papa stesso, rivolgendosi alla Conferenza Episcopale Brasiliana, ha usato delle parole molto forti, rimettendo al suo posto il ruolo della Conferenza Episcopale e insistendo sull’autorità personale dei vescovi e sulle loro relazioni dirette con il Santo Padre.

47. Il seminario di Winona è il più importante come numero di seminaristi. Come lo spiega?
 
Penso che questo sia dovuto, molto semplicemente, alla generosità di questo paese che si lascia facilmente entusiasmare per una buona causa.

48. Che fare per moltiplicare le vocazioni sacerdotali e religiose?
 
Pregare, pregare, pregare! E anche sacrificarsi.

49. Quali sono i punti importanti della Tradizione negli Stati Uniti?
 
Penso che vi sia questa generosità di cui ho detto prima, ed anche le scuole. Vero è che vi è un numero considerevole di sacerdoti e che ne servirebbero ancora di più, ma direi che ad essere indispensabili sono soprattutto le scuole. Occorre anche incoraggiare l’aiuto alle famiglie tradizionali. Occorre mettere in piedi un movimento per le famiglie, per sostenerle, per formarle. La famiglia è la prima cellula della società. Essa è fondamentale nell’ordine naturale e nell’ordine soprannaturale.

50. Qual è secondo Lei, Monsignore, l’importanza delle scuole?
 
È un’importanza capitale. È il futuro. La giovinezza sarà cattolica se ha ricevuto una buona formazione. E per questo ci servono delle scuole cattoliche.

51. Le famiglie numerose, perché generose, talvolta sono ridotte a fare la scuola a casa. Cosa raccomanda a quelle che hanno accesso a delle buone scuole?
 
Quelle che hanno accesso a delle buone scuole non esitino un istante: mandino i figli in queste scuole! La scuola in casa non sostituirà mai una buona scuola. Naturalmente la cosa diversa è se non vi sono buone scuole.

52. Pensa, Monsignore, di indire una nuova crociata del Rosario? Cosa raccomanda oggi ai fedeli?
 
Sì! La situazione del mondo, la situazione della Chiesa – lo si vede proprio – continua ad essere molto cupa, anche se vi sono dei bagliori di speranza, e questi elementi angoscianti ci obbligano più che mai a raddoppiare l’intensità nella preghiera, nel ricorso alla Santa Vergine. Oggi per i fedeli è indispensabile la preghiera, la preghiera in famiglia, rinnovata, frequente, accompagnata da ciò che forma l’anima cristiana: lo spirito di sacrificio.

VII – Per concludere

53. Monsignore, il prossimo anno Lei festeggerà 30 anni di sacerdozio, di cui 20 a capo della Fraternità San Pio X. Quali sono stati gli avvenimenti più importanti in tutti questi anni?
 
È tutto un romanzo!… Sicuramente, bisogna citare per primo le consacrazioni! Come avvenimenti importanti figurano anche la gioia di essere stato vicino a Mons. Lefebvre, la gioia di essere stato vicino a Don Schmidberger, e di aver imparato molto al loro fianco; anche la gioia di aver potuto lavorare con gli altri vescovi della Fraternità, come anche con tutti i nostri sacerdoti in un grande slancio di zelo per la Fede, per il mantenimento della Chiesa cattolica.

54. Un auspicio per gli anni a venire?

Che la Chiesa ritrovi i suoi binari! È un’immagine, ma è veramente il nostro augurio. E per questo è necessario che giunga il trionfo del Cuore Immacolato della Santissima Vergine! Ne abbiamo tanto bisogno!

Grazie, Monsignore, per aver accettato di rispondere a questa intervista.

Intervista raccolta nel seminario San Tommaso d’Aquino di Winona, USA, il 2 febbraio 2011,
nella festa della Presentazione di Gesù e della Purificazione della Santissima Vergine.

Fonte: www.sanpiox.it

Cattedra di San Pietro apostolo



"Per questo ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo [cioè il battesimo N.d.R].
No davvero! Né l'immensità del mare, né l'enorme distanza terrestre hanno potuto impedirmi di cercare la perla preziosa. Dove sarà il corpo, là si raduneranno le aquile (Lc 17,37). Dopo che il patrimonio è stato dissipato da una progenie perversa, solo presso di voi si conserva intatta l'eredità dei Padri. Costì una terra dalle zolle fertili riproduce al centuplo la pura semente del Signore; qui il frumento nascosto nei solchi degenera in loglio e avena. In Occidente sorge il sole della giustizia, mentre in Oriente ha posto il suo trono sopra le stelle quel Lucifero, che era caduto dal cielo. Voi siete la luce del mondo, il sale della terra (Mt 5,13), voi i vasi d'oro e d'argento; qui da noi vasi di terra cotta e di legno attendono la verga di ferro che li spezzi e il fuoco eterno.
La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezione, ma la tua bontà m'attira. Io, vittima, attendo dal sacerdote la salvezza, e come una pecorella chiedo protezione al pastore. Metti da parte ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fasto dell'altissima dignità romana: ecco il successore del pescatore, con un discepolo della croce che desidero parlare.
Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa. Chiunque si ciba dell'Agnello fuori di tale casa è un empio. Chi non si trova nell'arca di Noè, perirà nel giorno del diluvio." (Girolamo, Le Lettere, I, 15,1-2)

Istruzione sul motu proprio. Aggiornamenti con notizie a dir poco pessime.



Nel giorno della Cattedra di San Pietro, giorno previsto come data di approvazione formale, da parte del Sommo Pontefice, dell’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede sul motu proprio, ci viene confermato ulteriormente da diverse fonti fededegne che il "documento Levada" d’interpretazione del Motu Proprio è un testo deludente, un incontestabile annacquamento del "documento Pozzo" anteriormente preparato. La paura maggiore è che il nuovo testo dia un cattivo segnale di incoraggiamento a quei vescovi che - e sono la maggioranza - sono ostili ad una interpretazione non minimalistica del motu proprio.

Ma vediamo la storia di queste attesissime istruzioni. Esse sono in cantiere da oltre tre anni, da subito dopo l’emanazione del motu proprio, nel quale erano già preannunziate: l’art. 11 prevede infatti che la Commissione Ecclesia Dei avrà "la forma, i compiti e le norme di comportamento che il romano Pontefice le vorrà attribuire".

Una prima versione di Istruzione o decreto applicativo era già "sul tavolo del Papa" nel febbraio 2008: così letteralmente assicurò al sottoscritto mons. Perl, allora Segretario della Commissione Ecclesia Dei. Si trattava di una redazione buona, certo, ma tutt’altro che eccezionale e lasciava molte questioni e lacune aperte; fu quindi, per questi buoni motivi, ripresa in mano.

L’esperienza dell’Ecclesia Dei in questi anni di fronte all’inesauribile opposizione episcopale, ma anche il rafforzamento degli effettivi della Commissione con collaboratori che proprio dal mondo della Tradizione provenivano, ha portato alla stesura di una seconda bozza, che chiamiamo per brevità "documento Pozzo" (dal nome dell’attuale Segretario della Commissione, sotto la cui supervisione questa seconda bozza di Istruzione applicativa è stata redatta). Tutte le informazioni concordano nel definire questo testo come eccellente, in grado di appianare molte difficoltà applicative del motu proprio e di fornire le ali al testo papale, attualmente tarpato nella sua concreta realizzazione.

Ma forse quel "documento Pozzo" era troppo bello per poter giungere in porto. Non si deve dimenticare che uomini come i cardinali Re, Arinze, Kasper, Tauran, fanno parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, e non sono certo favorevoli ad una applicazione "larga e generosa" del motu proprio. Con loro (e con lo stesso Prefetto della Congregazione, il card. Levada) le lamentele di vescovi e episcopati sfavorevoli ad una larga interpretazione hanno trovato orecchie compiacenti.

Oltre la questione dei riti latini diversi dal romano e quella delle ordinazioni (punti sui quali il contenuto restrittivo da noi anticipato ha ricevuto l’autorevole conferma di Andrea Tornielli, salvo per i riti degli ordini religiosi), ci sono diversi altri punti – già risolti molto favorevolmente dal "documento Pozzo " – che sono posti in causa da questa terza stesura del testo dell'Istruzione, stesura che abbiamo definito "documento Levada". In particolare, la definizione di coetus fidelium (art. 5 § 1); la questione del prete idoneus e la sua designazione da parte del parroco stesso per la celebrazione in forma straordinaria (art. 5 § 4); le possibilità di ricorso dei fedeli ai quali sia rifiutata una celebrazione in forma straordinaria (art. 7).

Viene ammesso Oltretevere che le indiscrezioni finora trapelate erano fondate: proprio mons. Scicluna, Promotore della Fede, è stato uno degli ‘artefici’ tecnici del "documento Levada". Non che Scicluna o lo stesso Levada (nonostante alcune sue originali liturgie come vescovo di S. Francisco) siano due progressisti; la loro lealtà al Papa, inoltre, è del tutto fuori discussione. Ma nondimeno, il motu proprio "is not their cup of tea", potremmo dire visto che sono entrambi anglofoni.

Il punto sensibile di tutta questa querelle sull’interpretazione del motu proprio è stato proprio questo: a causa della discussa gestione del caso Williamson, il Papa ha tolto alla Commissione Ecclesia Dei la sua autonomia, integrandola all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cui Prefetto è diventato anche Presidente della Commissione. L’Ecclesia Dei, in questo modo, è divenuta una mera articolazione del dicastero che Joseph Ratzinger ha presieduto per decenni. Sennonché il Papa non è più Prefetto del Sant’Uffizio e la supervisione sulla liturgia tradizionale è così ricaduta sul cardinal Levada, il quale ha una ben diversa sensibilità liturgica. Donde il problema attuale.

Enrico
 

domenica 20 febbraio 2011

Buon gusto e coerenza episcopali

Mentre per quanto riguarda il Motu Proprio si prevedono ristrettive di ogni genere pur di affossare la Messa di Sempre, le Conferenze Episcopali si danno molto da fare per le pubbliche pagliacciate senza che alcuno prenda provvedimenti!:

I riti splendano per nobile semplicità... (Sacrosanctum Concilium, 34):


Mons. Le Gall, arcivescovo di Tolosa, Presidente della commissione episcopale per la liturgia e la pastorale sacramentale e membro della Congregazione del Culto Divino, durante la celebrazione di una 'Festa dei Popoli'
Fonte: Perepiscopus

Informazione complementare: in un'intervista a Le Monde del 5.7.2008, mons. Le Gall ha deprecato le "pressioni intollerabili" di coloro che domandano la Messa antica, e allo stesso tempo ha osservato che è indispensabile reintrodurre nelle celebrazioni secondo il nuovo messale "più silenzio, più ieratismo, più interiorità, più bellezza nelle vesti liturgiche". Come mostra la foto qui sopra, è precisamente quanto sta facendo...

A colloquio con Mons. Fellay (I parte)



Intervista concessa da Mons. Fellay al Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, il 2 febbraio 2011, nella quale sono affrontate tutte le questioni relative alla vita della Chiesa e a quella della Fraternità San Pio X. Non è stato evitato alcun argomento, e noi ringraziamo il Superiore Generale per aver impegnato il suo tempo a rispondere alle nostre domande.

 

I – I colloqui dottrinali

1. Monsignore, Lei ha scelto di intraprendere dei colloqui dottrinali con Roma. Ce ne può ricordare lo scopo?
Occorre distinguere lo scopo romano dal nostro. Roma ha indicato che esistevano dei problemi dottrinali con la Fraternità e che bisognava chiarirli prima di un riconoscimento canonico, - problemi che chiaramente sarebbero da parte nostra, trattandosi dell’accettazione del Concilio. Ma per noi si tratta di altra cosa, noi desideriamo dire a Roma ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e, per ciò stesso, intendiamo evidenziare le contraddizioni che esistono fra questo insegnamento plurisecolare e ciò che si pratica nella Chiesa da dopo il Concilio. Per quanto ci riguarda, è questo il solo scopo che perseguiamo.
2. Qual è la natura di questi colloqui: negoziati, discussioni o esposizione della dottrina?
Non si può parlare di negoziati. Non si tratta affatto di questo. Vi è, per un verso, un’esposizione della dottrina, e per l’altro una discussione, poiché abbiamo effettivamente un interlocutore romano col quale discutiamo su dei testi e sul modo di comprenderli. Ma non si può parlare di negoziati, né di ricerca di un compromesso, poiché si tratta di una questione di Fede.
3. Ci può ricordare il metodo di lavoro utilizzato? Quali sono i temi che sono già stati affrontati?
Il metodo di lavoro è quello dello scritto: vengono redatti dei testi sui quali si baserà il colloquio teologico ulteriore. Sono già stati affrontati diversi temi. Ma per adesso lascio questa domanda in sospeso. Posso dire semplicemente che siamo alla conclusione, poiché abbiamo fatto il giro delle grandi questioni poste dal Concilio.
4. Può presentarci gli interlocutori romani?
Sono degli esperti, cioè dei professori di teologia che sono anche consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si può dire dei «professionisti» di teologia. Vi è uno svizzero, il Rettore dell’Angelicum, il Padre Morerod; un gesuita, un po’ più anziano, il Padre Becker; un membro dell’Opus Dei, nella persona del suo Vicario generale, Mons. Ocariz Braña; poi Mons. Ladaria Ferrer, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine il moderatore, Mons. Guido Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei.
5. Vi è un’evoluzione nel pensiero dei nostri interlocutori, dopo che hanno letto le esposizioni dei teologi della Fraternità?
Non penso che si possa dirlo.
6. Mons. De Galarreta, nel corso dell’omelia per le ordinazioni a La Reja, a dicembre 2010, ha detto che Roma aveva accettato che il Magistero anteriore al Vaticano II fosse assunto come «unico criterio comune e possibile» in questi colloqui. Vi è qualche speranza che i nostri interlocutori rivedano il Vaticano II o si tratta di una cosa impossibile per loro? Il Vaticano II è veramente una pietra d’inciampo?
Penso che bisogna porre la domanda in altro modo. Dalle distinzioni fatte da Papa Benedetto XVI nel suo discorso del dicembre 2005, si capisce molto bene che una certa interpretazione del Concilio non è più permessa e dunque, senza parlare direttamente di una revisione del Concilio, vi è malgrado tutto una certa volontà di rivedere il modo di presentare il Concilio. La distinzione può sembrare sottile, ma è proprio su questa distinzione che si basano coloro che non vogliono toccare il Concilio e che nondimeno riconoscono che, a causa di un certo numero di ambiguità, vi è stata un’apertura in direzione di strade proibite, di cui bisogna ricordare che sono proibite. – Il Vaticano II è una pietra d’inciampo? Per noi sì, senza alcun dubbio!
7. Perché è così difficile per loro ammettere una contraddizione tra il Vaticano II e il Magistero anteriore?
La risposta è molto semplice. Dal momento in cui si riconosce il principio secondo il quale la Chiesa non può cambiare, se si vuole fare accettare il Vaticano II si è obbligati a dire che esso non ha cambiato niente. È per questo che non accettano di riconoscere delle contraddizioni tra il Vaticano II e il Magistero anteriore. E tuttavia sono a disagio nello spiegare la natura del cambiamento che è effettivamente accertato.
8. Al di là della testimonianza della Fede, è importante e vantaggioso per la Fraternità recarsi a Roma? È pericoloso? Pensa che questo possa durare a lungo?
È molto importante che la Fraternità porti questa testimonianza, è anche la ragione di questi colloqui dottrinali. Si tratta veramente di far risuonare a Roma la fede cattolica e – perché no? – ancor meglio farla risuonare in tutta la Chiesa.
Un pericolo esiste, ed è quello di nutrire delle illusioni. Si capisce che certi fedeli hanno potuto nutrire delle illusioni. Ma gli ultimi avvenimenti hanno provveduto a dissiparle. Penso all’annuncio della beatificazione di Giovanni Paolo II o a quello di una nuova Assisi nella linea delle riunioni interreligiose del 1986 e del 2002.
9. Il Papa segue da vicino questi colloqui? Li ha già commentati?
Penso di sì, ma non so nulla di preciso. Li ha commentati? In occasione della riunione dei suoi collaboratori, a Castel Gandolfo, ha detto che era soddisfatto. È tutto.
10. Si può dire che il Santo Padre, che da più di venticinque anni ha trattato con la Fraternità, oggi si dimostri nei suoi confronti più favorevole che nel passato?
Non ne sono sicuro. Sì e no. Penso che in quanto Papa egli abbia il fardello di tutta la Chiesa, la preoccupazione per la sua unità, il timore di vedere dichiarato uno scisma. Lui stesso ha detto che erano questi i motivi che lo spingevano ad agire. Oggi egli è il capo visibile della Chiesa ed è questo che può spiegare perché agisce così. Questo significa che manifesta una maggiore comprensione per la Fraternità? Io credo che egli abbia una certa simpatia per noi, ma con dei limiti.
11. Riassumendo, che direbbe oggi di questi colloqui?
Se occorresse rifarli, li rifarei. È molto importante. È capitale. Se si spera di correggere tutto un movimento di pensiero, non si può fare a meno di questi colloqui.
12. Da qualche tempo si fanno sentire le voci di ecclesiastici, come Mons. Gherardini o Mons. Schneider, che nella stessa Roma pronunciano delle vere critiche sui testi del Vaticano II, non solo sulla loro interpretazione. Si può sperare che questo movimento si amplifichi e penetri all’interno del Vaticano?
Io non dico che lo si può sperare, ma che bisogna sperarlo. Bisogna veramente sperare che questi inizi di critiche - diciamo: obiettive, serene – si sviluppino. Fino ad oggi si è sempre considerato il Vaticano II come un tabù, e questo rende quasi impossibile la guarigione da questa malattia che è la crisi nella Chiesa. Occorre poter parlare dei problemi e andare al fondo delle cose, altrimenti non si arriverà mai ad applicare i rimedi giusti.
13. La Fraternità può svolgere un ruolo importante in questa presa di coscienza? Come? Qual è il ruolo dei fedeli in questo contesto?
Da parte della Fraternità sì, essa può svolgere un ruolo, e precisamente quello di presentare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e di porre delle obiezioni sulle novità conciliari. Il ruolo dei fedeli consiste nel dare una prova con l’azione, poiché essi sono la prova che oggi la Tradizione è vivibile. Ciò che la Chiesa ha sempre chiesto, la disciplina tradizionale, è non solo attuale, ma realmente vivibile anche oggi.

II – L’effetto Motu Proprio

14. Monsignore, pensa che il Motu Proprio, malgrado le sue deficienze, sia un passo in favore della restaurazione della Tradizione?
È un passo capitale. È un passo che si può chiamare essenziale, anche se fino ad oggi praticamente non ha avuto effetto, o molto poco, perché vi è un’opposizione massiccia dei Vescovi. In termini di diritto, il fatto di aver riconosciuto che l’antica legge, quella della Messa tradizionale, non è mai stata abrogata è un passo capitale per ridare il suo posto alla Tradizione.
15. Concretamente, a partire dal Motu Proprio, Lei ha visto nel mondo degli importanti cambiamenti da parte dei Vescovi sulla Messa tradizionale?
No. Qui o là alcuni obbediscono al Papa, ma sono rari.
16. E per quanto riguarda i sacerdoti?
Sì, vedo un grande interesse da parte loro, ma molti di essi sono perseguitati. Occorre un coraggio straordinario per osare semplicemente applicare il Motu Proprio così com’è stato emanato. Certo, vi sono sempre più sacerdoti che si interessano alla Messa tradizionale, soprattutto tra le giovani generazioni. E questo è consolante!
17. Vi sono delle comunità che hanno deciso di adottare l’antica liturgia?
Forse ve ne sono diverse, ma ve n’è una che si conosca, in Italia, quella dei Francescani dell’Immacolata, che ha deciso di ritornare all’antica liturgia. Per il ramo femminile questo è già stato fatto. Per i sacerdoti che sono implicati nella vita delle diocesi la cosa non è sempre facile.
18. Cosa consiglia ai fedeli che, a partire dal Motu Proprio e grazie ad esso, hanno una Messa tradizionale più vicina per loro di quanto lo sia una cappella della Fraternità San Pio X?
Per prima cosa io consiglio di chiedere il parere dei sacerdoti della Fraternità, di non andare alla cieca a qualunque Messa tradizionale celebrata vicino a loro. La Messa è un tesoro, ma vi è anche il modo di dirla e tutto quello che l’accompagna: l’omelia, il catechismo, il modo di amministrare i Sacramenti… Ogni Messa tradizionale non è automaticamente accompagnata dalle condizioni richieste perché porti tutti i suoi frutti e protegga l’anima dai pericoli della crisi attuale. Dunque, si chieda prima consiglio ai sacerdoti della Fraternità.
19. La liturgia non è l’elemento di fondo della crisi nella Chiesa. Lei pensa che il ritorno della liturgia sia sempre l’inizio di un ritorno all’integrità della Fede?
La Messa tradizionale ha una potenza di grazia assolutamente straordinaria. Lo si vede nell’azione apostolica, lo si vede soprattutto nei sacerdoti che ritornano ad essa, è veramente l’antidoto alla crisi. Essa è realmente molto potente, a tutti i livelli, quello della grazia, quello della fede… Penso che se si lasciasse una vera libertà alla Messa antica la Chiesa potrebbe uscire assai presto da questa crisi, ma nondimeno questo comporterebbe parecchi anni!
20. Da lungo tempo, il Papa parla della «riforma della riforma». Lei pensa che egli voglia tentare di conciliare la liturgia antica con la dottrina del Vaticano II, in una riforma che sarebbe una via di mezzo?
Ascolti, per adesso non se ne sa niente! Si sa che egli vuole questa riforma, ma fin dove andrebbe? E alla fine tutto sarebbe fuso insieme, «forma ordinaria» e «forma straordinaria»? Non è quello che troviamo nel Motu Proprio, che chiede che si distinguano bene le due «forme» e che non le si mischi: il che è molto saggio. Occorre aspettare e vedere, per adesso atteniamoci a ciò che dicono le autorità romane.

III – Assisi 2011

21. Il Santo Padre ha annunciato la prossima riunione di Assisi. Lei ha reagito nella sua omelia a Saint-Nicolas, del 9 gennaio 2011, e ha fatto sua l’opposizione che fu di Mons. Lefebvre in occasione della prima riunione di Assisi, 25 anni fa. Pensa di intervenire direttamente presso il Santo Padre?
Se me ne sarà data l’occasione e se essa potrà portare dei frutti, perché no?
22. È così grave chiamare le altre religioni ad operare per la pace?
Sotto un certo aspetto, e solo sotto tale aspetto, no. Chiamare le altre religioni ad operare per la pace – una pace civile – non è un problema; ma in questo caso non si tratterebbe del livello religioso, ma di quello civile. Non sarebbe un atto di religione, ma molto semplicemente l’atto di una società religiosa che opera civilmente in favore della pace. E non sarebbe la pace religiosa ad essere ricercata, ma la pace civile tra gli uomini. Invece, chiedere che in occasione di questa riunione si pongano degli atti religiosi è un’assurdità, perché tra le religioni vi è un’incomprensione radicale. In queste condizioni non si capisce cosa significhi tendere alla pace, quando non si è neanche d’accordo sulla natura di Dio, sul significato che si dà alla divinità. Ci si chiede veramente come si possa giungere a qualcosa di serio.
23. Si può pensare che il Santo Padre non intenda l’ecumenismo alla stessa maniera di Giovanni Paolo II. Non si tratterebbe di una differenza di grado nello stesso errore?
No, io credo che egli l’intenda alla stessa maniera. Egli dice proprio: «È impossibile pregare insieme». Ma bisogna vedere cosa intenda con questo esattamente. Ne ha data una spiegazione nel 2003, in un libro intitolato «La fede, la verità, la tolleranza, la cristianità e le religioni del mondo». Trovo che egli tagli il capello in quattro. Cerca di giustificare Assisi. Ci si chiede proprio come questo sarà possibile il prossimo ottobre.
24. Degli intellettuali italiani hanno manifestato pubblicamente la loro inquietudine sulle conseguenze di una tale riunione. Conosce altre reazioni all’interno della Chiesa?
Hanno ragione. Vediamo altre reazioni all’interno della Chiesa? Negli ambienti ufficiali, no. Da noi, evidentemente sì.
25. Vi sono state delle reazioni dalle comunità Ecclesia Dei?
Che io sappia, no.
26. Come spiega che il Santo Padre che denuncia il relativismo in campo religioso e che si era anche rifiutato di assistere alla riunione di Assisi del 1986, possa voler commemorare tale riunione reiterandola?
Per me è un mistero. Non lo so. Penso che forse egli subisca delle pressioni o delle influenze. Probabilmente è spaventato per le azioni anticristiane, le violenze anticattoliche: le bombe in Egitto, in Iraq. Forse è questa la ragione che lo ha spinto ad attuare quest’atto di una nuova Assisi, atto che non voglio chiamare disperato, ma che è stato posto in maniera disperata… Prova a fare qualcosa. Non mi stupirei se fosse così, ma non so niente di più.
27. Vi è la possibilità che il Santo Padre rinunci a questa manifestazione religiosa?
Non si sa molto bene come verrà organizzata. Bisognerà vedere. Suppongo che cercheranno di provare a minimizzarla, poiché, ancora una volta, per l’attuale Papa è impossibile che dei gruppi differenti possano pregare insieme quando non riconoscono lo stesso Dio. Ci si chiede quindi ancora e sempre cos’è che possano fare insieme!
28. Che devono fare i cattolici di fronte a quest’annuncio di un’Assisi III?
Pregare che il Buon Dio in un modo o in un altro intervenga perché la cosa non avvenga, e in ogni caso incominciare già a riparare.

sabato 19 febbraio 2011

I seminaristi ambrosiani implorano il Papa di estendere il motu proprio a Milano


Beatissimo Padre,
Cari lettori, 

a Milano vogliamo il Motu Proprio, e lo vogliamo anche in Seminario, dove invece ci vengono propinate liturgie protestantizzanti modello “BOSE”.

Santo Padre, Eminenze, Eccellenze, fedeli tutti, venite a vedere come si celebra nel Seminario di Milano, gli arredi liturgici della nostra cappella, la sedicente statua della Madonna (una donna svestita che siede davanti al Tabernacolo in atteggiamento sensuale!). Vi renderete conto. Comprendiamo bene che i tempi cambiano, che la storia cambia, ma il cuore della gente ha bisogno delle risposte di sempre, di una Verità che è sempre uguale: Gesù Cristo lo stesso ieri oggi e sempre.

Perché, come cattolici e come seminaristi, non possiamo essere formati alla conoscenza della Tradizione bimillenaria della Chiesa? Non chiediamo che venga imposto il rito antico. Ci sta bene che resti in forma straordinaria. Ma perché non possiamo studiarlo ufficialmente, e saltuariamente anche celebrarlo e pregarlo, piuttosto che farlo di nascosto, clandestinamente, all'insaputa del Rettore e del Padre spirituale, di notte, nelle nostre stanze, come se fosse un atto di disobbedienza alla Chiesa?

Al contrario, però, ci viene imposta una sensibilità liturgica creativa inventata dalla comunità di Bose, che non è la nostra vocazione, non è quello per cui abbiamo scelto di seguire il Signore nella Chiesa cattolica. Non vogliamo fare i preti per vivere alla Bose o per celebrare riti sincretistici. Chi ha quella sensibilità è liberissimo di andare a Bose.

Vogliamo poter cantare il Tantum Ergo in latino (di regola vietato!), non solo i canoni di Taizè in inglese o in spagnolo.

Possibile che chi la pensa così debba vivere nel nascondimento, tacendo e fingendo che tutto vada bene?
Che male c'è, ci chiediamo, a voler essere cattolici del terzo millennio, evangelizzatori del nostro tempo e nel contempo poter pregare come sempre hanno pregato i sacerdoti, i laici della Chiesa ambrosiana CATTOLICA?

Lo ribadiamo: non vogliamo assolutizzare, non vogliamo un ritorno assoluto al rito VO, ma vogliamo un rispetto vero, autentico, non ideologizzato, verso la Chiesa, la Sua storia, la Sua Tradizione, la Sua ricchezza spirituale che può nutrire veramente un'anima che voglia conformarsi a Cristo Sacerdote.

Grazie a tutti per il ricordo nelle Vostre preghiere di quanti, come noi, cercano di seguire il Signore, nel solco della Sua Chiesa, con le nostre difficoltà e i nostri limiti, ma illuminati dalla splendida grazia di Nostro Signore Gesù Cristo.

Ci auguriamo che questo nostro umile appello possa giungere al cuore di chi ama la Chiesa e di chi vuole servire i fratelli nelle cose che riguardano Dio.

Santi Ambrogio e Carlo, intercedete per noi.

In Gesù e Maria,

Alcuni Seminaristi di Seveso
(Arcidiocesi Metropolitana di Milano)
 

APPELLO INTERNAZIONE AL PAPA PER LA DIFESA DI SUMMORUM PONTIFICUM

Ormai le notizie che Messainlatino ha dettagliatamente fornito all'opinione pubblica negli ultimi tre giorni sono definitivamente accertate e confermate dalle più diverse fonti.

Vincolato al segreto e quindi senza dir nulla di preciso ("I am not at liberty at the moment to talk about it too much yet"), ma lasciando intendere molto, Father Z. (che avendo lavorato per anni all'Ecclesia Dei, ha i suoi contatti) invita pressantemente alla preghiera, al sacrificio, al digiuno (vedi qui).

Tornielli, in un commento, con l'aria di voler negare che sia in cantiere un annacquamento del motu proprio, conferma praticamente tutto quello che abbiamo rivelato: dice che l'improbabile Scicluna "ha fatto osservazioni al testo, e alcune sono state accolte"; conferma che il motu proprio non si applicherà alla diocesi di Milano (sì invece, dice, ai riti dei religiosi: ma noi insistiamo che qui si sbaglia); e anche sulle ordinazioni afferma precisamente quanto da noi sostenuto, anche se aggiunge che, non essendo la cosa prevista nel motu proprio, quella non sarà una restrizione. Paralogismo, quest'ultimo, a dir poco esemplare: con la stessa 'logica', visto che nella Costituzione non c'è scritto che si ha diritto di fischiettare, una legge che d'improvviso lo vietasse non sarebbe affatto una restrizione...

Ora anche l'autorevole New Liturgical Movement, dopo aver preso il tempo di verificare sue proprie fonti, conferma "that there is a very real and substantive reason for some concern here" (=che c'è una concretissima e sostanziale ragione per una certa preoccupazione) e addirittura promuove un appello internazione e una raccolta di firme per smuovere il Santo Padre ad intervenire. Aderiamo certamente all'iniziativa e precipitatevi a sottoscrivere cliccando su questo banner:




Nota: se il sistema di archiviazione delle firme dovesse chiedervi di effettuare una donazione, NON fatela. La vostra firma sarà conteggiata egualmente.

venerdì 18 febbraio 2011

La posizione della Frat. San Pio X nei colloqui dottrinali a Roma


Intervista condotta da John Vennari, direttore di Catholic Family News, con il rev. Arnaud Rostand, Superiore del distretto degli Stati Uniti della Fraternità San Pio X.



- J Vennari: I nostri lettori sono interessati alle discussioni dottrinali attualmente in corso tra la Fraternità San Pio X e Roma. Sappiamo che queste discussioni si svolgono in una sorta di segretezza. Perché questo?
Father Rostand: Fin dall'inizio delle discussioni dottrinali tra Roma e la FFSPX, è stato dichiarato chiaramente che queste discussioni sarebbero rimaste segrete. Era il desiderio di Roma e della Fraternità. In primo luogo, è importante ricordare le circostanze in cui tali discussioni sono iniziate: quando il Papa ha revocato le scomuniche invalide dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Marcel Lefebvre, una campagna mediatica ha attaccato il Papa stesso e la Frat. San Pio X, con pesanti pressioni su tutte le parti interessate.
Non è sempre facile capire il potere che i media hanno sulla mente delle persone, specialmente qui negli Stati Uniti; ma come dato di fatto, la pressione è stata intensa. Roma vuole evitare questo tipo di stress e tensione, in particolare durante le discussioni cruciali.
Ma soprattutto, è una pratica normale e comune della Chiesa mantenere la privacy, anche il segreto, nel corso di questi tipi di questioni o di affari. Un esempio potrebbe essere l'elezione del Papa, che è fatta in assoluta segretezza, senza contatti con il mondo al fine di evitare qualsiasi influenza esterna. Molte questioni sono discusse dal Papa e dai cardinali in una maniera simile. Non c'è nulla di disturbante o allarmante su questa abitudine; è effettivamente la normale procedura. Vorrei anche aggiungere che è anche una questione di rispetto per il Papa, perché stiamo parlando con il vescovo di Roma, la massima autorità del mondo, il successore di San Pietro, il vicario di nostro Signore Gesù Cristo.
La pressione, tuttavia, non è unicamente dal mondo, da fuori della Chiesa; proviene anche dall'interno. C'è un’implacabile lotta in corso all'interno della Chiesa. La maggior parte dei modernisti non vuole alcuna discussione con la Frat. San Pio X, non vogliono eventuali discussioni sul Concilio Vaticano II, perché nessuno può questionare il Concilio Vaticano II. Essi sono da tempo passati dall’idea di un concilio pastorale, che hanno originariamente promosso al fine di ottenere i loro obiettivi, ad uno dottrinale, un Concilio che deve essere accettato come dottrinale, e che in realtà è anzi diventato ancora più importante che tutti i concilii precedenti.
Tuttavia, oggi Roma ha deciso di ascoltare le nostre obiezioni e rimostranze per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e ciò che è accaduto alla Chiesa nel corso degli ultimi decenni; Questo di per sé è un miracolo. Mons. Fellay, in una conferenza che ha tenuto a Parigi il 9 gennaio 2011, ha dichiarato che queste discussioni sono sorprendenti! È sorprendente che Roma, il supremo Magistero della Chiesa cattolica, accetti di discutere la propria dottrina. Eppure, questo è esattamente ciò che sta succedendo a Roma con queste discussioni. È molto inusuale.
Su questa questione, potrebbe essere necessario sottolineare che, sebbene la riservatezza venga mantenuta mentre queste discussioni sono in corso, probabilmente non avverrà più così quando saranno finite. Tutto ciò che è detto è registrato sia in audio che video, e tutto è trascritto, e questi documenti vengono dati al Papa e a mons. Fellay.

- Data la riservatezza delle discussioni, che cosa siete liberi di dire circa il loro stato attuale?
La riservatezza di tali discussioni riguarda essenzialmente la questione che viene esaminata. Tuttavia, alcuni aspetti di queste discussioni sono state rese pubbliche. Fin dall'inizio, mons. de Galarreta, il Presidente della Commissione della FSSPX, ha spiegato che questi colloqui sono a livello dottrinale e riguardano esclusivamente il Concilio Vaticano II e il Magistero postconciliare. Roma ha accettato anche che il Magistero della Chiesa prima del Vaticano II serva come riferimento. Per noi era una condizione sine qua non per queste discussioni. Così, noi esponiamo come l'insegnamento del Vaticano II è in contraddizione con ciò che i concili e i papi hanno esposto in passato, mentre loro tentano di dimostrare che c'è continuità.
Sebbene ognuno mantenga la riservatezza necessaria su queste discussioni, le posizioni delle due parti sono ben note e sono anche state pubblicamente ribadite recentemente.
La Fraternità San Pio X fedelmente continua a condannare gli errori del Vaticano II. Permettetemi di citare il vescovo de Galarreta come un esempio fra tanti: "Noi sappiamo chiaramente ciò che non siamo disposti ad accettare. Se non sappiamo perfettamente come possono evolvere le cose, d'altro canto, sappiamo chiaramente ciò che non abbiamo intenzione di fare in qualsiasi caso: in primo luogo, a cedere su questioni di dottrina e in secondo luogo, a raggiungere un accordo puramente pratico" (19 dicembre 2009). Ci atteniamo a questo proposito.
D'altro canto, Monsignor Pozzo, il capo della Commissione Pontificia, anche pubblicamente ha dichiarato la sua posizione: tenere sul Concilio Vaticano II e difendere le opinioni del Papa, Benedetto XVI. Finora, nessuna delle due parti ha cambiato il proprio punto di vista.
Nonostante ciò, possiamo già vedere alcuni buoni frutti da queste discussioni: il primo esempio che vorrei dare è l'interesse che è dimostrato oggi sull’arcivescovo Marcel Lefebvre. L'anno scorso, sull'arcivescovo, quattro libri sono stati pubblicati in Europa, due in Italia, due in Francia! Questi studi, queste pubblicazioni, non sono stati effettuati da sacerdoti o fedeli della Frat. San Pio X: sono state scritte da persone che possiamo considerare come outsiders e la maggior parte di loro sono a favore e difendono l’opera dell'Arcivescovo. Questa considerazione è nuova ed è un risultato indiretto di questi colloqui.
Un altro esempio è l'influenza maggiore della Frat. San Pio X sui sacerdoti diocesani. Ad esempio, mons. Fellay, nell'ambito della Conferenza di cui sopra, ha rivelato che un gruppo abbastanza grande di sacerdoti in Italia è regolarmente in contatto con la Fraternità. Nell'ultima riunione che ha frequentato, c'erano circa una trentina di sacerdoti diocesani. Che cosa aspettano questi sacerdoti dalla Frat. San Pio X è ancora più interessante. Essi ci supplicano di dare loro la dottrina; ci chiedono di insegnare loro la dottrina cattolica. Si rendono conto che non sono stati nutriti con dottrina sana e solida. Questo è molto importante. Non è solo una questione della Messa in latino come affermano la Commissione Ecclesia Dei e le fraternità che ne dipendono; è davvero una questione di dottrina. I sacerdoti diocesani si rendono conto che non è stata insegnata loro la vera dottrina e ne hanno sete!
Due anni fa, per la prima volta, una voce a Roma si è levata per questionare il Concilio Vaticano II: monsignor Gherardini ha scritto numerosi articoli e un libro per criticare il Concilio. Egli dimostra che il Concilio Vaticano II non è in continuità con la precedente dottrina della Chiesa. Il 17 dicembre 2010 un vescovo, Mgr. Schneider, ha chiesto un nuovo Sillabo. In una conferenza a Roma , ha denunciato le interpretazioni sbagliate del Vaticano II e proposto un elenco di proposizioni (un Syllabus) di condanna degli "errori di interpretazione del Vaticano II". Così, la soluzione che egli raccomanda per correggere la situazione attuale della Chiesa è l'uso del Magistero straordinario del Papa, una dichiarazione solenne infallibile del Papa per chiarire il Concilio. Questa evoluzione è molto interessante e andrà più lontano, perché se il Magistero infallibile è necessario per chiarire il Concilio, vuol dire che, per usare un eufemismo, esso è ambiguo e quindi porta ad errori riguardanti la fede! Questo spostamento del dibattito verso il livello dottrinale sta chiaramente accadendo, anche se a un ritmo lento. Credo che questo sia un altro effetto delle discussioni dottrinali.
Il semplice fatto che siamo in grado di discutere la dottrina con Roma , anche se rimane segreto, ha portato alcuni effetti imprevisti molto importanti. Per noi, è solo una questione di pazienza e di fermezza.
 

- La Frat. San Pio X giustamente insiste sul fatto che la crisi nella Chiesa è causata da problemi con il Concilio Vaticano II stesso. Papa Benedetto XVI sostiene che il problema non è con il Concilio, ma con una cattiva interpretazione del Concilio. Sembra che quelli a Roma con cui avete queste discussioni dottrinali, stiano seguendo questa linea e non siano ancora disposti ad ammettere che il Concilio è la vera causa del problema. Pensa che stiano ancora cercando di "salvare" il Concilio Vaticano II?
Come accennato in precedenza, la Frat. di San Pio X insiste sul fatto che la causa principale della crisi interna della Chiesa è il Concilio Vaticano II. Non diciamo che è l'unica causa della decristianizzazione del mondo oggi; le radici della crisi sono iniziate ben prima del Vaticano II, e San Pio X vide chiaramente i pericoli molti decenni prima del Concilio. Non possono essere esclusi altri fattori, come ad esempio le azioni politiche della secolarizzazione, la separazione tra Chiesa e Stato, le leggi immorali diffuse in tutto il mondo e così via.
Tuttavia, abbiamo affermato sempre che il Concilio era il 1789 nella Chiesa. Questa espressione, riferita alla rivoluzione francese, è stata usata la prima volta da un modernista, il Cardinale Suenens. Si tratta di una rivoluzione che ha minato e distrutto la sana dottrina, la vera liturgia e la morale, e ha portato alla perdizione di milioni, se non miliardi di anime.
D'altro canto, il papa afferma che solo l'interpretazione del Concilio è andata storta. Egli afferma che non esiste alcuna rottura tra l'insegnamento della Chiesa prima e dopo il Concilio Vaticano II. C'è continuità, perché ci deve essere una continuità!
Così, la Commissione di Roma sta cercando di salvare Vaticano II? Direi di no, non stanno cercando di salvare il Concilio Vaticano II; sono davvero convinti del Vaticano II.
Baso la mia opinione in proposito solo su loro dichiarazioni pubbliche e non sulle discussioni. Queste affermazioni mostrano che non ammettono ancora che il Vaticano II è la vera causa.
La linea che segue Roma è che dobbiamo tornare alla vera interpretazione del Concilio, evitare gli estremi, ritornare al vero spirito del Concilio. Tentano di correggere gli eccessi, la traduzione del pro multis per esempio, o il subsistit, la comunione nella mano o ragazze chierichette, ma non c'è nessuna messa in discussione dei principi sottostanti. Così allo stesso tempo avete azioni che sono molto più gravi e devastanti per la Chiesa, come la visita alla sinagoga, la preghiera in un tempio protestante, la settimana ecumenica per l’unità e, ultimamente, l'annuncio di Assisi III.
Tuttavia, possiamo vedere un'evoluzione nell'analisi della situazione della Chiesa. Il primo passo è quello di accettare che vi sia una crisi nella Chiesa, quindi accettare la discussione sul Concilio, una cosa impossibile non molto tempo fa. Il passaggio successivo per loro potrebbe essere un tentativo di ‘salvare’ il Concilio e l'ultima, si spera, sarà riconoscere che questa crisi proviene dal Concilio e pertanto correggere i suoi errori.
Dietro la questione della denuncia e rettifica del Concilio c'è la questione della infallibilità del Papa. Uno degli ostacoli principali alla messa in discussione del Concilio è il problema del Magistero della Chiesa. Non possono accettare che il Concilio e i Papi avevano torto. Com'è possibile che la Chiesa possa essere stata sviata in modo quasi universale? La questione non è nuova per noi, poiché è stato sollevato dall'inizio della crisi, ma la questione sembra essere nuova per loro.
Prima del Concilio Vaticano primo, il Cardinale Newman ha espresso la sua apprensione sulla dichiarazione della infallibilità pontificia. Egli non aveva dubbi sulla verità del dogma, che il Papa è il pastore e maestro di tutti i cristiani, non aveva alcun dubbio che il Papa è infallibile in determinate condizioni, ma era preoccupato delle conseguenze se ciò fosse stato frainteso. Oggi, possiamo dire che egli era un profeta? L'infallibilità del Papa non è capita e viene utilizzata come strumento per ottenere pieno conformismo e sottomissione su questioni che non rientrano nelle condizioni di infallibilità della Chiesa. Il Concilio Vaticano II è stato pastorale e non dogmatico. I Papi stessi hanno chiarito che non avevano l'intenzione di insegnare la dottrina. Non c'è dubbio che il Vaticano II non è stato un insegnamento infallibile della Chiesa. È diventato, tuttavia, un superdogma, una legge che ha abrogato tutto l'insegnamento del passato.
In definitiva, ci troviamo davanti a un mistero, il mistero della Chiesa cattolica, che è indefettibile ancorché costituita di persone imperfette e fallibili. La Frat. San Pio X ha riflettuto su questo tema per anni. Grazie alla leadership e alla chiarezza della visione dell'arcivescovo Marcel Lefebvre, abbiamo risposte chiare a questo problema. Non è così per quelli con cui ci incontriamo a Roma. La cosa farà ovviamente parte delle discussioni.

- Potrebbe dare alcuni esempi del perché il Concilio stesso è il problema?
Il Vaticano II ha portato nella Chiesa un nuovo insegnamento, un nuovo "spirito". I principali errori possono essere elencati come segue: errori riguardanti la santa Messa e la sacra liturgia; errori sulla libertà religiosa e la sua conseguenza, l'ecumenismo; errori riguardo ai rapporti tra Stato e Chiesa; errori per quanto riguarda la collegialità e il potere del Papa e dei vescovi, ma anche gli errori relativi al sacerdozio, al matrimonio e così via - la lista è lunga.
Per motivi di chiarezza e concisione, vorrei illustrare solo alcuni esempi: uno degli errori più semplici da comprendere del Concilio Vaticano II, è la nuova definizione della Messa: abbiamo solo bisogno di confrontare la definizione fornita dal Catechismo di San Pio X e la nuova definizione data dal Concilio. San Pio X definisce la Santa messa come "il sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, sono offerti dal sacerdote a Dio sull'altare in memoria e rinnovamento del sacrificio della Croce". Si può ammirare la chiarezza e la precisione di questa definizione. Che cosa dice il Concilio Vaticano II? "la celebrazione eucaristica è il centro dell'Assemblea dei fedeli presieduta dal sacerdote. Pertanto, i sacerdoti insegnano ai fedeli ad offrire la vittima divina a Dio Padre nel sacrificio della Messa e con la vittima a fare un'offerta di tutta la loro vita" (Presbyterorum ordinis - § 5)
Si noterà che la funzione del sacerdote è ridotta a "presiedere" e "insegnare". L'idea di una con-celebrazione tra il sacerdote e il popolo si manifesta qui; un'idea espressamente condannata dal Magistero preconciliare.
Oggi, Roma incoraggia a girare l'altare al suo posto, con il sacerdote rivolto verso est e verso il Tabernacolo. Tuttavia, si rifiutano di vedere che, se il sacerdote semplicemente presiede e insegna, perché egli non dovrebbe esser girato verso i fedeli? Il motivo per cui hanno girato originariamente l'altare, la tavola, è perché il Vaticano II dà una nuova definizione del sacerdote. Le radici della riforma si trovano nel testo stesso. L'altare sta tornando al suo posto, ma la dottrina non viene corretta!
Oggi, Roma cerca di combattere gli abusi nella liturgia, ricordando, per esempio, che il modo ordinario per ricevere la comunione è inginocchiati e sulla lingua, non in piedi e nelle mani. Beh, è Concilio Vaticano II che ha dato alle conferenze dei vescovi per la prima volta un'inedita e straordinaria autorità in materia liturgica, con un'ampia facoltà di sperimentare nuove forme di culto. Roma tenta di spegnere il fuoco, l'origine del quale è il Concilio stesso. (Sacrosanctum concilium - §§ 22, 39, 40)
Il Concilio Vaticano II si diletta con una definizione carente di "prete". I sacerdoti sono definiti, soprattutto, in qualità di cooperatori dei "vescovi". (PO §4). "In quanto è unito con l'ordine episcopale, l'ufficio dei sacerdoti partecipa dell'autorità con cui Cristo stesso costruisce, santifica e governa il Suo Corpo" (PO §2; vedi anche LG §28). Il Vaticano II sembra avere voluto, diciamo, comprimere la figura del sacerdote nel "Popolo di Dio", cancellando, nei limiti del possibile, la sua differenza dai fedeli, e dall'altra parte, soprattutto, descrivendo la sua principale qualità come quella di essere il "collaboratore" subordinato dei vescovi
Come diceva l'Arcivescovo Lefebvre, le due vittime del Concilio sono il Papa e il Sacerdote. Il primo ha perso il suo potere a causa della collegialità dei vescovi e il secondo è semplicemente diventato un "Presidente dell'Assemblea". Questo è oggi evidente con la Messa Tridentina. Andando oltre le norme del Motu Proprio di Benedetto XVI, i vescovi esigono abusivamente un'autorizzazione e molti sacerdoti non osano celebrare per timore dell'assemblea o lo fanno solo se si sentono supportati da un gruppo di fedeli!
Questi esempi non sono le più rivoluzionarie novità del Vaticano II, ma possono essere facilmente comprensibili e oggi possiamo vederne gli effetti nella vita della Chiesa.
Come spesso ha spiegato l'Arcivescovo Lefebvre, ciò che può essere visto nella Chiesa oggi non sono solo gli abusi, ma le conseguenze di principi, di idee già stabilite in sede di Consiglio. Non sono solo interpretazioni errate. I vescovi stessi che prima hanno portato queste idee al Concilio, le hanno poi introdotte nelle loro diocesi. Ovviamente i risultati sono venuti dal Concilio stesso, perché uno agisce come pensa.

- JV: In un discorso che lei ha dato in Ridgefield (Connecticut) lo scorso luglio, lei ha ricordato che il vescovo della Fraternità de Galarreta ha detto egli pensa che queste discussioni dottrinali non dovrebbero andare troppo a lungo. Avrebbe voglia di commentare su questo?
FR: Il Vescovo de Galarreta ha espresso, in effetti, che egli non pensa che queste discussioni dovrebbero andare avanti troppo a lungo. La società di San Pio X vuole esporre la discrepanza del Vaticano II, riaffermare l'insegnamento tradizionale della Chiesa, documentare tutto quanto affermiamo e rispondere alle obiezioni. Vogliamo "essere un testimone per la Fede". La società non vuole, tuttavia, discutere per il gusto della discussione. Questo è quel che, credo, esprimeva il vescovo de Galarreta.


Fonte: Catholic Family News