L’Osservatore Romano attacca la “Dominus Jesus” e l’ “Ecclesia Dei”?
Tra impliciti inviti al sincretismo religioso e velate accuse al rito tradizionale
L’Osservatore Romano degli ultimi tempi sembra uscire dalla sua tradizionale prudenza e dal deferente omaggio alla Sede Apostolica, per darsi ad iniziative di taglio variegato, ma a ben vedere tutte sulla stessa linea editoriale. In un articolo del 2 febbraio 2011, dal titolo “Una più avvertita esigenza di trasparenza e di semplificazione”, interviene addirittura il vice redattore del giornale Carlo di Cicco. Commentando e apprezzando uno studio recente sulla materia, si intrattiene su alcune meditazioni canoniche quanto alle strane situazioni di alcuni nuovi Istituti di vita consacrata. Dopo lunghe circonvoluzioni verbali su certe società religiose, alcune delle quali poco note e dallo stile di vita veramente singolare, si arriva a quello che sembra essere il vero bersaglio: le famigerate società dipendenti da quello “strano organismo” meglio noto col nome d’ “Ecclesia Dei”. Qual è il messaggio che resta nel lettore dell’articolo, abilmente redatto in forma di recensione dal vice direttore? L’ “Ecclesia Dei” sarebbe una singolare commissione, con poteri canonici sui generis, che necessiterebbe di seria regolamentazione in tutti i campi, non ultimo quello dottrinale. Essa di fatto erigerebbe alcuni istituti e ne dirigerebbe il funzionamento; Istituti che, secondo il codice (promulgato nel 1983, quindi prima che Giovanni Paolo II decidesse l’attuale struttura della Commissione), dovrebbero dipendere dalla Congregazione dei Religiosi. Sorvoliamo sui toni da legalismo kantiano, che sembra non tenere in alcun conto il primato della realtà sul diritto positivo, peccato veniale per i giuristi dei tempi nostri. Meno ammissibile invece è il velato rimprovero alla Santa Sede, che non si lascerebbe imbrigliare dai canoni del diritto. Quasi a scordare che i Romani Pontefici godono di una giurisdizione “estensive universalis et intensive summa” e che il Papa, erigendo la Commissione “Ecclesia Dei” e affidandole poteri straordinari, non sta facendo altro che esercitare il Suo primato. Primato che, non dispiaccia ai canonisti, non è sottomesso al codice, potendo Egli domani stesso potenziare l’Ecclesia Dei, come da più parti invocato, senza che sia il codice a limitarne le azioni. Ma in tempi di gallicanesimo episcopalista questo concetto sembra poco permeabile nelle menti dei giornalisti cattolici. E’ teologicamente, quindi canonicamente, ridicolo discutere del modo migliore di piegare le scelte del Papa all’uniformità del diritto ecclesiastico positivo, il quale trae la sua efficacia dalla promulgazione papale e non dalle urne dei parlamenti. L’articolista non si è spinto fino a tal punto, ma nel suo “giuridismo” avulso dalla realtà, arriva quasi ad insinuare, facendo proprie le conclusioni di alcuni studi, che le approvazioni canoniche dell’Ecclesia Dei sarebbero da riesaminare. Quel che sarebbe da riprendere in considerazione sarebbero gli effettivi poteri della Commissione, nel passato e nel presente, prospettando addirittura una riesamina retroattiva. L’articolista poi - non si capisce bene se parlando ex abundantia cordis o facendo sue le conclusioni dei canonisti citati - non senza una certa audace sfrontatezza, scrive che gli Istituti che dipendono dalla citata Commissione sarebbero ancora passibili di un esame di controllo sulla loro ortodossia (!). Per comprendere a che punto la realtà oltrepassi la fantasia riportiamo le parole testuali: “Per quanto riguarda gli istituti approvati dalla “Ecclesia Dei”, si potrebbe studiare se, una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l'aspetto dottrinale, l'approvazione non possa essere concessa dalla stessa Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, un po' come quando si chiedeva il nulla osta del Sant'Uffizio per l'approvazione degli istituti religiosi”.
L’Osservatore Romano sembra insinuare nel lettore non solo che l’approvazione canonica, di cui gli istituti dell’Ecclesia Dei beneficiano, sia ancora “sub iudice”, ma soprattutto l’autorevole giornale taccia tali Società religiose di essere ancora passibili di verifiche sulla cattolicità della loro dottrina. Citiamo nuovamente: “una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l’aspetto dottrinale”.
Per inciso precisiamo che analoghe preoccupazioni non intervenivano quando, poco sopra, si era parlato dei problemi posti dalle “nuove comunità religiose” che escludono il celibato, ma che prevedono vita conventuale mista di uomini e donne. L’Osservatore sembra essere più inquieto per chi celebra il rito di San Pio V, che non per i problemi che possono sorgere dalla promiscuità conventuale.
Quanto alla non troppo velata accusa di dubbia ortodossia dottrinale, fatta agli Istituti “Ecclesia Dei”, non sappiamo cosa L’Osservatore non apprezzi, forse la formazione tradizionale, seguendo San Tommaso d’Aquino e il Magistero della Chiesa o forse la schiettezza teologica, che osa criticare le derive a cui L’Osservatore ci ha invece abituato. Ammettiamo di buon grado che la linea teologica del giornale non è la nostra, ma crediamo che l’invocato “esame del Sant’Uffizio”, sarebbe più opportuno per la redazione che non per gli Istituti accusati. Nel dicembre 2010 infatti la nostra rivista Disputationes Theologicae, nella persona dello scrivente, si è unita ad una pubblica denuncia alla Rev. da Congregazione per la Dottrina della Fede, invocando interventi a proposito di alcune pubblicazioni del giornale vaticano, apertamente contrarie alla dottrina della Chiesa. In effetti il 10 novembre 2010 a p. 5 il «Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane» Renzo Gattegna, nell’articolo “Un futuro di amicizia”, pubblicato senza alcun commento di disapprovazione - quasi fosse il testo di un qualsivoglia articolista demandato dalla redazione - si esprimeva in questi termini:
«Al fine di proseguire con le iniziative dedicate alla reciproca comprensione e all’amicizia, un gesto utile, necessario e certamente apprezzato sarebbe una aperta dichiarazione di rinuncia da parte della Chiesa a qualsiasi manifestazione di intento rivolto alla conversione degli ebrei, accompagnata dall’eliminazione di questo auspicio dalla liturgia del Venerdì che precede la Pasqua. Sarebbe un segnale forte e significativo di accettazione di un rapporto impostato sulla pari dignità».
Venerdì Santo: Benedetto XVI in preghiera
Queste affermazioni, condannate dal Magistero costante, disapprovate recentemente anche nell’enciclica Redemptoris Missio[1] e nella dichiarazione “Dominus Jesus”[2] - senza citare le innumerevoli condanne precedenti - sono eretiche, contrarie alla Divina Rivelazione, perché in aperta contraddizione con le parole di Cristo (Mc 16, 15-16; Mt 28, 18-20)[3] e “contrarie alla fede cattolica”[4]. Rinunciare alla conversione è contro la natura stessa della Chiesa Cattolica. E’ scandaloso leggere tali affermazioni sul giornale della Santa Sede. Senza considerare quanto scritto sul Venerdì Santo (che nel testo non è più nemmeno “Santo”, ma è un venerdì “che precede la Pasqua”), la cui preghiera per la conversione degli ebrei (approvata da Benedetto XVI) sarebbe addirittura da eliminare, perché non rispetterebbe la pari dignità fra religioni. Pubblicare tali enormità è cosa grave. Né ci si può nascondere dietro la firma del Presidente delle comunità ebraiche, per veicolare l’errore dell’indifferentismo religioso, sotto pretesto di libertà di stampa, nel più puro disprezzo alle raccomandazioni del Magistero. L’errore non ha diritti e, se la redazione è convinta che di errore si tratti, è nell’obbligo morale di specificare che quelle posizioni sono insostenibili per ogni cattolico, perché solennemente condannate come incompatibili con la Fede cattolica. Che la comunità ebraica non riconosca Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, lo sappiamo almeno dai tempi di San Paolo - e in fondo Gattegna, richiesto di collaborazione, non ha fatto altro che ripeterlo - che il giornale della Santa Sede si faccia eco di tale bestemmia, senza nemmeno commentare, è ben più grave.
A nostro avviso L’Osservatore Romano farebbe bene a rispettare maggiormente nei suoi articoli il Romano Pontefice e le Sue scelte, siano esse liturgiche o canoniche, oltre al Magistero costante della Chiesa, e ad evitare insinuazioni d’eterodossia agli Istituti dipendenti dall’ “Ecclesia Dei”. A maggior ragione allorquando affermazioni contro l’unicità salvifica di Gesù Cristo compaiono sulle sue pagine, associate all’implicito invito a non convertirsi alla fede cattolica. Né riusciamo a capacitarci di come il giornale della Santa Sede possa invitare Renzo Gattegna, che fino a prova contraria non è nemmeno membro della Chiesa, a gettare il discredito sulla liturgia cattolica e sulle sue orazioni per la conversione degli ebrei alla fede di Cristo. Orazione peraltro recentemente promulgata per il rito tradizionale, tra mille pretestuose polemiche, dal Regnante Pontefice, sul Quale - con somma irriverenza - si estende il discredito. E’ altresì inopportuno e offensivo insinuare che la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” eriga canonicamente e governi Istituti, la cui ortodossia dottrinale è ancora da verificare. In questo caso invitiamo ancora una volta la redazione al rispetto delle istituzioni ecclesiastiche e alla prudenza nelle sue affermazioni, che possono rivelarsi lesive dell’altrui reputazione. A questo proposito non è escluso un ricorso ai tribunali ecclesiastici competenti, perché si faccia la dovuta chiarezza e perché pubbliche scuse siano presentate agli Istituti dell’ “Ecclesia Dei”, e ai singoli membri di dette società, gravemente danneggiati dalle insinuazioni del suddetto articolo.
Al seguito di tali affermazioni non è difficile capire come sia possibile che il Sommo Pontefice incontri tanta difficoltà nella sua opera di riforma della Chiesa né è arduo comprendere perché si incontrino tanti ostacoli alla diffusione degli Istituti tradizionali. Se su di essi e sulla liturgia che celebrano (vedi la preghiera del Venerdì Santo) si propaga il discredito, è naturale che le autorità ecclesiastiche locali siano diffidenti verso di essi, come in pratica accade. Non desta mistero constatare che l’episcopato sia generalmente ostile al rito tradizionale, all’opera di riforma del Papa e agli Istituti tradizionali, specie se il quotidiano della Santa Sede si permette gratuitamente di affermare che ancora dovranno essere approvati, “una volta esaminato che tutto sia in ordine sotto l’aspetto dottrinale”.
Sottoscriviamo in pieno le parole del Vescovo di San Marino S. Ecc.za Mons. Luigi Negri, che ebbe a dichiarare pochi giorni or sono (Il Timone, gennaio 2011): “il Papa sta facendo fatica a fare questa “riforma della riforma”. Esistono tendenze negative di resistenza, neanche tanto passive”.
Don Stefano Carusi
(sacerdote dipendente dalla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”)
Copia del presente articolo è stata inviata alla redazione de l’Osservatore Romano, unitamente alla preghiera di rettificare quanto scritto. È nostra convinzione che la redazione sia nell’obbligo morale di dissipare gli equivoci, tanto sull’articolo che invita al sincretismo religioso, che sulle insinuazioni sugli Istituti dell’ “Ecclesia Dei”. Copia è stata inviata anche alla Segreteria del Sommo Pontefice, alla Congregazione per la Dottrina della Fede e alla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”.
[1] Lettera Enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II, 7 dicembre 1990. Al n. 55 si legge “Il dialogo non dispensa dall’evangelizzazione”.
[2] Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarazione “Dominus Jesus”, 6 agosto 2000. Al n. 14 si legge: “Deve essere, quindi, fermamente creduto come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta e compiuta una volta per sempre nel mistero dell'incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio”
[3] “Dominus Jesus”, cit. n. 1 : “Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8)”.
[4] “Dominus Jesus”, cit. n. 6
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