d. CURZIO NITOGLIA
1 febbraio 2011
● Il 26 gennaio 2011 su Avvenire (il quotidiano della “Conferenza Episcopale Italiana”), è apparso un articolo della professoressa israelita Anna Foa intitolato: “Nel dopoguerra la vera svolta nella teologia” in cui si legge: «Non vi è dubbio che il mutamento dei rapporti tra Chiesa ed ebraismo verificatosi con il Concilio Vaticano II e con la dichiarazione Nostra aetate abbia avuto le sue radici nel trauma della shoah. […]. Nostra aetate fu una svolta radicale, […] che aprì la strada ad una vera e propria rivisitazione teologica del rapporto con l’ebraismo, destinata ad approfondirsi […], introducendo l’idea, per dirla con Giovanni Paolo II nella sua visita in sinagoga del 1986, che la religione ebraica non fosse “estrinseca” ma in un certo qual modo “intrinseca” alla religione cristiana. La presa di coscienza determinata dallo sterminio di sei milioni di ebrei aveva così modificato in profondità non solo i rapporti tra ebrei e cristiani, ma le basi teologiche stesse su cui tali rapporti si fondavano» (p. 26).
● Sempre sul medesimo quotidiano, lo stesso giorno e nella stessa pagina, un articolo di Enzo Bianchi, “Intorno al Concilio la convergenza tra le Fedi” ci spiega che «la svolta storica cui abbiamo assistito in questi ultimi cinquanta anni, svolta cui non è stata certo estranea la tragedia del “male assoluto”» è talmente epocale che «nessun cristiano potrà più invocare l’ignoranza a propria scusante: ciascuno è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione a questa svolta».
● Il povero mons. Richard Williamson ne aveva già fatto l’esperienza per aver osato opinare, nell’ottobre del 2008, che la “tragedia del male assoluto” non gode di tutte quelle prove storico-scientifiche di cui avrebbe bisogno per imporsi come super-dogma, il quale non ammette ignoranza e che non è lecito contraddire né non conoscere.
● Inoltre Bianchi continua, scrivendo, che «Giovanni Paolo II […], il 17 novembre 1980 a Magonza pronuncia una formula inedita, anzi contraddittoria a diciannove secoli di esegesi e teologia cristiana, in cui gli ebrei sono definiti “il popolo di Dio dell’Antica Alleanza che non è stata mai revocata”. […]. Si può notare la novità e l’audacia rispetto a tutto il magistero ecclesiastico precedente. […]. La teologia della sostituzione è così abbandonata per sempre». L’ermeneutica della rottura trova spazio sulle pagine del quotidiano dell’Episcopato Italiano, il cui Primate è il Papa, che però sostiene, ma non dimostra, l’ermeneutica della continuità.
● La Redazione dell’Avvenire chiosava gli articoli sulla shoah del 26 gennaio spiegando che essa ha una «valenza teologica» come avevano già dimostrato gli articoli di Aharon Appelfeld, Elie Wiesel e padre Johann Baptist Metz apparsi il 23 e il 25 gennaio 2011 sul quotidiano dei Vescovi Italiani.
● È quindi pacifico che la shoah non è un fatto politico o del tutto contingente per la Fede cattolica, ma che ha innegabilmente un valore teologico tale da rivoluzionare la dottrina della Chiesa sui rapporti tra Cristianesimo e giudaismo. Gli unici che si ostinano a volerlo negare sono alcuni “tradi-ecumenisti”, che pur di uscire dal “ghetto” in cui li ha posti il Vaticano II sono disposti ad entrare persino in dialogo “giudaico-cristiano”, passando per la shoah. È sorprendente e rivelatrice l’aggressione mediatica subita, dal 2009 sino ad oggi, da mons. Williamson da parte di alcuni “teo-tradizionalisti” per la questione della vulgata sterminazionista sulla shoah da lui non condivisa.
Una seconda svolta in ambiente antimodernista?
● Elio Toaff racconta come già all’inizio degli anni Cinquanta avesse contattato al “Pontificio Istituto Biblico” il futuro card. Agostino Bea e prosegue: «La nostra conoscenza si trasformò ben presto in amicizia, e un giorno monsignor Bea mi confidò che, essendo tedesco di nascita, sentiva tutto il peso del male che il suo popolo aveva fatto agli ebrei e voleva fare qualcosa per riparare. Gli nacque l’idea di un Concilio ecumenico nel quale si sarebbe dovuto approvare un documento sugli ebrei». Fu proprio ciò che avvenne circa 10-15 anni dopo nel Concilio Vaticano II con la dichiarazione Nostra aetate (7 dicembre 1965).
● Ora, mi domando e dico, non si sta forse ritentando di portare avanti un’operazione analoga nei confronti di coloro che hanno resistito alle novità conciliaristiche e alla giudaizzazione dell’ambiente cattolico? Temo seriamente che sia in atto, mutatis mutandis, una ripetizione del caso Toaff, “si parva licet componere magnis” (Virgilio, Georgiche IV, 176). Non mi permetto di giudicare le intenzioni soggettive di nessuno, solo Dio le conosce. Tuttavia facciamo attenzione! Ne va della nostra Fede, “senza la quale è impossibile piacere a Dio” (s. Paolo). Se la religione giudaica post-biblica è viva Cristo è vano, se l’Olocausto è quello del popolo ebraico quello di Cristo è accessorio.
● Non voglio fare la lezione a chicchessia, non pretendo risposte, non mi ergo a giudice, cerco soltanto - quale sacerdote legato alla Tradizione apostolica della Chiesa romana - di dire (come fece Laocoonte quando cercò di scongiurare i troiani a non far entrare dentro la città di Troia il Cavallo di Ulisse) a tutti gli antimodernisti che occorre molta prudenza e circospezione in circostanze come queste, le quali già si sono verificate negli anni Cinquanta e per le quali ancora stiamo soffrendo. A tutto c’è rimedio, basta la buona volontà di correggersi: “errare humanum est”. Dopo di che taccio e aspetto gli avvenimenti: “se son rose fioriranno, se son spine pungeranno”. Constato, tuttavia, che vi è una notevole penetrazione di idee teoconservatrici, filo-americaniste, giudaizzanti e filo-sioniste in ambiente cattolico tradizionale, il quale si sta trasformando in una specie di neo o “teo-tradizionalismo”, che è soltanto un’appendice di destra del teo-conservatorismo e non più l’attaccamento alla Tradizione apostolica della Chiesa e quindi, implicitamente, il rifiuto del modernismo e del giudeo-cristianesimo. La questione dei rapporti tra Cristianesimo e giudaismo post-cristiano in ambiente “teo-tradi” è misconosciuta se non guardata addirittura con sufficienza; la shoah non è vista volutamente in tutta la sua forza teologicamente sovvertitrice della dottrina cattolica e guai a farlo notare: “tolle, tolle, substitue eum!” ci si sente rispondere e si viene giudicati ante praevisa merita.
● Dopo aver descritto questi semplici fatti ed averne tratto le conclusioni, che sono comuni ed evidenti anche per l’ebraismo ufficiale odierno e per l’episcopato postconciliare, mi limito a tacere ed aspettare, senza farmi eccessive illusioni: “haec est ora vestra et potestas tenebrarum”. Spero che almeno qualcuno di coloro che sono caduti nel trabocchetto in buona fede apra gli occhi. Se nessuno vorrà ascoltare, metto in pratica il consiglio della Sacra Scrittura “ubi non est auditus noli effundere sermonem”.
Ringrazio in anticipo per le critiche ed eventuali contumelie (che oggi vanno di moda, sono inevitabili per “uscire dal ghetto” ed essere “uguali” agli altri) e auguro a tutti Pace e Bene!
d. CURZIO NITOGLIA
1 febbraio 2011
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