venerdì 30 dicembre 2011

Audit del debito, come primo passo...


A scanso di equivoci, chiarisco subito in premessa che, dal mio personalissimo punto di vista, tutto il debito pubblico che la Repubblica Italiana ha emesso dopo il 15 agosto 1971 (fine degli accordi di Bretton Woods e della parità dollaro-oro) è totalmente illegittimo e dovrebbero pagarlo di tasca loro i politici e i banchieri che lo hanno generato.

Lo considero un debito illegittimo perché (come insegna Auriti) se, dal '71, non esiste più la riserva aurea a garanzia del denaro “stampato” dai banchieri centrali, appaiono ovvie ed evidenti le seguenti conclusioni:

  a) le banche centrali non sono più “proprietarie” del denaro emesso (perchè non sono più proprietarie della riserva) e quindi non possono concedere a prestito una cosa che non possiedono

  b) se il denaro viene creato dal nulla, senza alcuna copertura, il Popolo Sovrano può tranquillamente stamparselo da solo senza indebitarsi 

  c) in una Repubblica Democratica, una Banca Centrale controllata da un cartello di banchieri privati non può avere maggiore sovranità del Popolo sovrano

La totale illegittimità del debito pubblico post-BrettonWoods dovrebbe indurci ad una unica decisione politica: ridare al Popolo la sovranità monetaria nazionalizzando la banca centrale e tornando ad emettere moneta esente da debito.
Questo in un mondo governato dalla logica, dal buon senso, e da una classe politica consacrata esclusivamente alla tutela del bene comune.

Che non è il mondo in cui viviamo, purtroppo.

Conclusa la doverosa premessa e accantonata (solo per un attimo) l'idea di lottare per una soluzione radicale e definitiva del problema del denaro-debito, mi pongo più pragmaticamente il problema di definire una strategia immediata per la riduzione del danno valutando con attenzione la situazione in cui ci troviamo dopo 40 anni di selvaggia speculazione.

E l'unica strategia di riduzione del danno consiste, ora, nel guardare in faccia il debito accumulato, analizzarlo con meticolosa attenzione e stabilire:

a) Quali creditori devono essere assolutamente rimborsati
b) Quali creditori possono aspettare un po’ di più o avere un po’ di meno
c) Quali creditori devono mettersi il cuore in pace...

Le famiglie e le imprese italiane che hanno investito nei titoli di stato i risparmi accumulati in una vita di sacrifici e lavoro, i piccoli risparmiatori domestici insomma, vanno assolutamente salvati. Non si discute.

Per tutti gli altri, facciamo una bella analisi, caso per caso, e stabiliamo il giusto livello di rimborso e la giusta priorità (per un debito che è e resta, comunque, complessivamente, illegittimo).

Questo non è un esercizio di fantasia ma si chiama AUDIT DEL DEBITO PUBBLICO e può essere affidata ad una commissione di esperti incaricata dal nostro Parlamento.

Ad esempio, lo hanno fatto nel 1992 in Ecuador:

Che dite, lo chiediamo anche noi a gran voce ai nostri “politici” ?

Con quali motivazioni possono rifiutarsi di appoggiare una iniziativa del genere mentre ci chiedono ogni giorno di fare sacrifici proprio per "abbattere" il debito ?

Vogliamo solo sapere chi sono i nostri creditori: è il minimo che possiamo chiedere prima di pagare il conto, no?

Fonte: Piazza Verdi

venerdì 9 dicembre 2011

Il liberalismo cattolico e i suoi perniciosi errori




Padre Julio Meinvielle - Liberalismo e Cattolicesimo-Liberale da Lamennais a Maritain e De Gasperi


La questione democristiana.
Gramsci scriveva che la Democrazia Cristiana è necessaria al Comunismo per ottenere il consenso e poi il governo in Europa, specialmente nei Paesi cattolici. Ma perché? Don Dario Composta risponde: «Il modello ideale DC si potrebbe definire… come politica progressista e aconfessionale»1. Essa è «un partito di centro che guarda a sinistra», come diceva De Gasperi.
Don Composta distingue tre tipi di cattolici:
  1. a) I cristiano-sociali, che respinsero i princìpi della rivoluzione francese per rimanere fedeli alla dottrina sociale e politica del Magistero ecclesiastico.
  2. b) I cristiano-liberali, che si collocarono a mezza strada tra le idee della rivoluzione e l’insegnamento della Chiesa cattolica.
  3. c) I democristiani, che, pur accogliendo un certo indirizzo o ispirazione vagamente cristiana, si mantennero laicisti e si orientarono verso teorie affini a quelle della rivoluzione francese; essi ebbero come capiscuola Lamennais e Maritain in Francia e in Italia Murri-Sturzo-De Gasperi.
I democristiani – continua don Composta – «erano convinti che il pensiero sociale cattolico in qualche modo avrebbe dovuto riconciliarsi con la situazione di fatto… ed abbandonare l’intransigenza»2. La DC pensava che la rivoluzione francese fosse un fenomeno divino e positivo, e che ogni forma di governo non democratica fosse inaccettabile e anticristiana. La DC rappresenta l’aspetto sociale del modernismo. Don Romolo Murri, fondatore della Lega Democratica Nazionale, fu condannato assieme alla sua Lega, e scomunicato come modernista il 28 luglio 1906. Don Sturzo fu più abile: non volle invischiarsi, in modo aperto, con il modernismo, anche se era di idee progressiste o modernizzanti; egli fondò il PPI (Partito Popolare Italiano), che fu severamente criticato da padre Agostino Gemelli, monsignor Olgiati e dal cardinal Pio Boggiani O.P., arcivescovo di Genova. Questi il 5 agosto 1920 pubblicò una «Lettera pastorale» ove metteva in luce i gravi errori del PPI:
a) emancipazione dalla gerarchia ecclesiastica;
b) esaltazione della libertà come valore assoluto in collusione coi liberali;
c) derivazione della sua teoria politica dai princìpi della rivoluzione francese.
Tali errori si ritrovano puntualmente nella DC. De Gasperi, in un discorso tenuto a Bruxelles il 20 novembre 1954, affermò che la DC si fonda sulla triade: libertà, fraternità, democrazia, che sono l’eredità della rivoluzione francese. Pio XII ne fu talmente irritato che da quel momento non lo volle mai più ricevere in udienza.
I fondamenti della DC sono – secondo don Composta – due:
1) il progressismo politico nella linea dell’azione;
2) l’aconfessionalità nella linea dei princìpi.
Il progressismo è una teoria ottimista circa la natura umana, che in campo socio-politico si manifesta come fiducia illimitata in uno sviluppo economico civile e morale continuo ed inarrestabile.
L’aconfessionalità della DC l’aveva già professata don Sturzo il 19 marzo 1919 in un discorso a Verona, in cui asseriva: «Il PPI è nato come partito non cattolico, aconfessionale,… a forte contenuto democratico, e che si ispira alla idealità cristiana, ma che non prende la religione come mezzo di differenziazione politica». Ecco perché Gramsci vedeva nella DC un alleato indispensabile del comunismo per poter egemonizzare la società civile e prendere stabilmente, poi, il governo politico3.
Morto Pio XII, la DC non ha più «chi la trattenga…»: apre a sinistra e porta i socialisti al governo. Aldo Moro ha preso il posto di De Gasperi ed è convinto che il socialismo sia la carta vincente, per cui è necessario stringere un patto con esso; nel 1961, con Giovanni XXIII, cade l’ ostilità al centro-sinistra da parte del Vaticano e nel 1963 Moro presiede il primo governo di centro-sinistra. I frutti saranno: la legge sul divorzio (1970) e sull’aborto (1978). Né si deve dimenticare che tra il 1976 e il 1978 la DC cercherà di far entrare i comunisti al governo, rispondendo positivamente alla «mano tesa» (il compromesso storico) offerta da Berlinguer sin dal 1973, dopo l’esperienza cilena. Il 16 marzo 1978, però, le BR sequestrano e poi uccidono Moro, mettendo – temporaneamente – a tacere la questione.
Jacques Maritain maitre à penser della DC
Ricordiamo che Maritain ha attraversato varie tappe nel suo cammino filosofico: la prima è quella bergsoniana, la seconda è quella tomista e la terza, purtroppo, è quella cattolico-liberale, in cui cerca di sposare San Tommaso con il pensiero moderno. Qui ci occupiamo della terza tappa di Maritain, conosciuta come quella de «L’Umanesimo integrale» (1936).
Maritain nel 1946 scriveva: «Se si stabilisce come postulato che l’umanità marcia sempre in avanti e verso il meglio, tutto lo svolgersi della storia deve essere interpretato come necessariamente buono; non bisogna contrariarlo in nulla, ma anzi stimolarlo»4. Dunque, Maritain come De Gasperi era convinto del continuo inarrestabile progresso terrestre dell’umanità.
Ora il fatto di stabilire come postulato il progresso all’infinito dell’umanità presuppone una filosofia fondata sulla dialettica della filosofia moderna, figlia della rivoluzione e dell’immanentismo. Nel caso si accetti tale filosofia, opporsi alla rivoluzione è un male, favorirla è un bene. Infatti don Julio Meinvielle, il più lucido critico di Maritain, scrive: «In tal caso bisognerebbe ammettere la bontà della Riforma protestante, mentre la Chiesa le ha opposto la Controriforma; bisognerebbe ammettere il liberalismo della rivoluzione francese, e tuttavia la Chiesa lo ha condannato e stracondannato; e infine bisognerebbe ammettere, oggi, il comunismo e tuttavia Pio XII lo ha scomunicato....»5.
Bisogna anche, secondo Maritain, che lo Stato rinunci alla sua confessionalità e che tutte le confessioni religiose siano riconosciute, di diritto, nella «nuova cristianità». Per Maritain, infatti, vi sono anche due cristianesimi: il cristianesimo come credo religioso, che conduce alla vita eterna, e il cristianesimo come fermento della vita sociale e politica, che procura la felicità temporale dell’uomo. Meinvielle obietta che si può ammettere l’esistenza di un’azione politica cristiana «liberata» dall’autorità della Chiesa, ma non si può ammettere la sua bontà morale; infatti nella misura in cui è indipendente dalla Chiesa, l’azione politica non è più cristiana, ma anticristiana o «demi-cristiana». Eppure è questa la nuova cristianità di Maritain, la quale consiste nell’accordo tra rivoluzione e Chiesa. Idee che abbiamo visto tutte esposte da De Gasperi e dalla DC italiana nella loro professione di fede nell’Umanità, nel Progresso, nella Libertà, nella Fraternità e nella Democrazia.
«Maritain – scrive don Meinvielle – ha la triste missione di cooperare, dall’interno della Chiesa, all’opera social-comunista… Secondo lui vi sono nel comunismo degli elementi cristiani(‘Humanisme Intégral’, pagina 48)… La famosa cristianità di Maritain è una città supercomunista, una sintesi della città libertaria americana e della città comunista russa»6. Maritain esclude l’influsso dell’Ordine Soprannaturale sulla vita politica-sociale e materializza il soprannaturale, scivolando così verso l’ anticristianesimo radicale. Meinvielle conclude: «La nuova cristianità di Maritain e la vera cristianità sono le due città di cui parla Sant’Agostino (la città di Dio e la città di satana), «le quali ora sono mescolate, ma alla fine saranno separate e già lo sono quanto al cuore e per sempre»7.
Anche padre Antonio Messineo S.J., per esplicito ordine di Pio XII, criticò su La Civiltà Cattolica l’umanesimo integrale di Maritain; il Papa apprezzò l’articolo, ma lo reputò troppo moderato. Secondo il padre gesuita si scorgono nell’opera del pensatore francese «gli influssi della filosofia diBergson sull’evoluzione creatrice… Per Maritain, infatti, la storia consiste essenzialmente in un processo evolutivo incessante, che si svolge, senza mai sottostare a ritorni o a cicli involutivi, per successive tappe, in ciascuna delle quali l’umanità consegue nuove conquiste, anche se apparentemente alla superficie possa sembrare che attraversi un periodo di decadimento… o punto morto, dal quale muoverebbe il processo evolutivo… (punto morto) sarebbe il medioevo, epoca in cui l’uomo avrebbe obliato compiutamente se stesso (…) perché sarebbe stato assorbito in Dio… Ma la storia non si arresta. Con le sue scosse costringe l’uomo a risvegliarsi e a prendere coscienza di sé. La prima scossa(…) è la riforma protestante, la quale ebbe il merito… di fargli comprendere il valore dell’iniziativa umana (…) e di averlo così orientato verso la ricerca della prosperità materiale (…) Poi grazie al pensiero agnostico contemporaneo (…) è bastato abbattere il frontone della grazia, per raggiungere un umanesimo totale (…). L’umanesimo totale sarebbe stato conseguito soltanto nel tempo moderno, quando il pensiero, avendo abbattuto il frontone della grazia, si è del tutto sganciato dal trascendente. (…). Affermata l’essenza puramente umana della civiltà, non si può evitare di inferirne la separazione dalla religione e dalla rivelazione, per cui comincia a vacillare il concetto tradizionale di civiltà cristiana (…). La religione dunque sarebbe fuori della storia e fuori del tempo.(Maritain ci presenta) un cristianesimo e un vangelo svuotati del loro contenuto soprannaturale e naturalizzati, temporalizzati. Solo sotto questa forma l’uno e l’altro possono diventare elemento di civiltà ed entrare come componenti dell’umanesimo integrale. (…). Segue che l’umanesimo integrale non è un umanesimo intrinsecamente cristiano (…) è un umanesimo soltanto estrinsecamente cristiano; ad esso possono infatti aderire persino l’agnostico e l’ateo (…). Nella sua sostanza l’umanesimo integrale è, dunque, un naturalismo integrale»8.
Falso concetto di persona umana in Maritain
Don Julio Meinvielle criticò anche il falso concetto filosofico di persona umana che sta alla base de «L’Umanesimo integrale» di Maritain; infatti da un errore filosofico sull’individuo segue necessariamente un errore sulla Società, che è un insieme di individui. Se la persona umana ha una dignità assoluta, che non perde mai, anche se aderisce all’errore e fa il male, la Società di conseguenza dovrà essere pluralista, relativista e indifferentista. Non c’è più spazio per la Cristianità medievale, che deve essere rimpiazzata dalla Nuova (demo)-Cristianità de L’Umanesimo integrale9.
Liberalismo e cattolicesimo- liberale
A) Il liberalismo
Le origini della D.C. maritainiana e degasperiana vanno ricercate nel Liberalismo e in quella sua forma specifica che fu il «Cattolicesimo-liberale».
Secondo il cardinal Louis Billot S.J. («De Ecclesia Christi», tomus secundus, «De habitudine Ecclesiae ad civilem societatem», edizione 3ª, Roma, Gregoriana, 1929, che è un compendio di quanto ha scritto, ancor meglio, padre Matteo Liberatore S.J., «Lo Stato e la Chiesa», Napoli, Giannini, 1872, pagine 7- 47), il Liberalismo, sia individuale che sociale, è un errore nella fede, poiché vuole emancipare l’uomo e la Società da Dio, come se quest’ultimo non esistesse, fondandosi sul postulato della libertà umana come valore infinito e assoluto10. Ma – prosegue il cardinale – il principio fondamentale del Liberalismo è assurdo e contraddittorio. Infatti la libertà assoluta non può essere, come dicono i liberali, un fine ultimo, poiché essa è una facoltà o potenza di agire in vista di un fine. Quindi la libertà è mezzo per raggiungere il fine (ea quae sunt ad finem). Essa, inoltre, deve avere dei limiti, e non può essere assoluta o illimitata, come insegna la scuola liberale. In effetti, non esiste crimine o delitto in cui la libertà non precipiti se usata male; quindi essa deve essere ritenuta da freni potenti ed efficaci perché non si getti in un burrone. Ma, se si ammette il principio fondamentale del Liberalismo e si nega questa conclusione, allora si cadrà necessariamente in una delle due assurdità: o si pretenderà che la libertà sia infallibile e non possa cadere in nessun difetto, oppure si ammetterà che la libertà può fallire, ma che ciò è un bene, e l’uso della libertà deficiente deve essere comunque rispettato, e questa è pura demenza11.
Inoltre, secondo l’illustre teologo gesuita, il Liberalismo conduce al caos e all’anarchia, ancor prima del Comunismo; infatti il Liberalismo volendo l’applicazione dell’individualismo puro in ogni campo (religioso, morale, politico, economico) porta immancabilmente alla dissoluzione degli organi sociali e dello Stato, e questa è anarchia. Oppure, volendo evitare questo eccesso, cade in un altro difetto: lo Stato leviatano che, per non crollare, si fa rispettare schiacciando ogni individuo o corpo intermedio che gli si ponga innanzi, come si addice ad uno Stato di polizia; ma questa è la sconfitta implicita e intrinseca del Liberalismo12.
Il principio del liberalismo, continua il Billot, è essenzialmente anti-religioso, esso se la prende direttamente con Dio, volendo sopprimere nella società il culto al vero Dio e cancellare ogni influsso della Religione da Lui istituita sugli individui e sugli organismi sociali. Perciò, contro il «Credo» definitivo e contro l’autorità religiosa esterna, il Liberalismo rivendica l’autonomia del pensiero umano e della «coscienza» individuale; contro il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, vuole lo Stato «neutro» cioè aconfessionale, largo di «diritti» a tutte le credenze religiose, vere e false che siano (vedi Leone XIII «Libertas»). In ciò il Liberalismo è tributario dei princìpi della rivoluzione francese «satanica nella sua essenza».
L’empietà del Liberalismo ha qualcosa di nuovo e di più grave. Nell’antichità l’empietà esiste, anzi inizia ad esistere già con il primo uomo, ma non ancora è organizzata e acrimoniosa. Quando Gesù predica il Vangelo, è già più intensa e meglio organizzata, ma solo in un piccolo angolo della terra. Però col XVIII secolo essa diventa universale, furiosa, rabbiosa, forsennata, infiammata; si passa dall’odio alla Religione all’odio esplicito di ex-cristiani contro Gesù Cristo: è l’apostasia, più o meno aperta; perché il Liberalismo sa nascondersi, quando è il momento, e presentarsi sotto sembianze di angelo di luce, mentre è un angelo decaduto13.
B) Il cattolicesimo-liberale
Nel secondo articolo, Billot, tratta delle diverse forme di Liberalismo, e – come il padre Liberatore – ne distingue tre:
1) il Liberalismo assoluto o radicale in cui lo Stato domina la Chiesa.
2) Il Liberalismo moderato in cui vale il principio «Libera Chiesa in libero Stato».
3) Il Cattolicesimo-liberale che, separando la dottrina dalla prassi, ritiene che la separazione tra Stato e Chiesa è il miglior modo di vivere, non de jure (la loro cooperazione rimane l’ideale, la «tesi», buona da insegnare nei seminari), ma de facto (l’ipotesi, buona da applicare in pratica, senza curarsi di tendere all’instaurazione della tesi)14.
Secondo Billot il Liberalismo assoluto coincide con il materialismo e l’ateismo perché nega l’immortalità dell’anima, come ogni materialismo, e nega che Dio sia fine ultimo dell’uomo, come ogni ateismo. Onde l’essere più nobile dell’universo è l’uomo, che è principio e fine di se stesso15: è l’antropocentrismo opposto al teocentrismo, non più Dio ma l’uomo come il centro dell’universo.
Il Liberalismo moderato, invece, è riconducibile al manicheismo: per lui Chiesa e Stato sono due princìpi irriducibili, come il «dio» cattivo e il «dio» buono di Mani, il primo dei quali crea la materia (cattiva) e il secondo lo spirito (buono). Soltanto che il Liberalismo, in questo punto, rovescia la teoria di Mani e la peggiora: le cose temporali (Stato) sono buone, mentre quelle spirituali (Chiesa) sono cattive; «l’una contro l’altra armate», mai potranno trovare un accordo. Il Liberalismo moderato separa l’uomo pubblico dal privato, il politico dal fedele; ma ciò sarebbe concepibile solo se in un unico uomo ci fossero due anime, due mentalità, due coscienze, due personalità, realmente distinte tra loro (come nello schizofrenico), di cui una è atea, l’altra religiosa; una incredula, l’altra fedele; una del tutto materiale, l’altra assolutamente spirituale16.
Infine il Cattolicesimo-liberale è l’incoerenza stessa sussistente. Infatti il Cristianesimo professa che l’uomo ha per fine il Cielo, che la vita presente è tutta relativa alla vita eterna e che le cose temporali devono essere subordinate a quelle spirituali; mentre il Liberalismo insegna tutto il contrario, ossia i princìpi del 1789: l’uomo è assolutamente libero (Liberté) e non è per nulla ordinato a Dio o al Cielo; vita presente e vita eterna sono la stessa cosa ossia la vita eterna è ridotta a questa presente (Egalité); e tra Stato e Chiesa vige l’assoluta fratellanza o meglio lo Stato ingloba e fagocita la Chiesa (Fraternité) (Paragrafo 3°, Quod Liberalismus «catholicorum» – liberalium est perfecta incohaerentia, pagine 51- 59).
Il nostro lettore è ora in grado di valutare l’apertura del Vaticano II al modernismo anche sociale ovvero a quel «cattolicesimo liberale» che da tempo premeva per conciliare, contro il costante Magistero pontificio, la Chiesa con i pretesi «valori» del liberalismo. Sull’apertura alla «concezione liberale dello Stato» nei testi del Concilio, in particolare nella Gaudium et Spes, nella Dignitatis Humanae e in Nostra Aetate, rimandiamo alla testimonianza inoppugnabile dell’allora cardinale Ratzinger ne «Les principes de la Théologie Catholique» (edizioni Tequi, Parigi, pagine 423 e seguenti).
U.T.T.
www.effedieffe.com/content/view/7116/142/


(pubblicato anche su «SìSì-NoNo», periodico cattolico, Anno XXXV, numero 6, 31 marzo 2009)

Note:
1 D. Composta, «Questione cattolica e questione democristiana», CEDAM, Padova, 1987, pagina 25; confronta N. Arbol, «I democristiani nel mondo», edizioni Paoline, Milano, 1990; E. Corti, «Breve storia della democrazia cristiana con particolare riguardo ai suoi errori», in «Il Fumo nel Tempio», Ares, Milano, 1997, pagine 154-184; H. Delassus, «La Democratie Chretienne», Lille, Desclée, 1911.
2 D. Composta, opera citata, pagina 36.
3 Confronta A. Del Noce, «L’Eurocomunismo e l’Italia», Editrice Europa Informazioni, Roma, 1976; A. Del Noce, «Il suicidio della
rivoluzione»,
Rusconi, Milano, 1978; A. Del Noce, «Il cattocomunista», Rusconi, Milano, 1981; A. Caruso S.J., «Da Lenin a Berlinguer», Idea Centro Editoriale, Roma, 1976; Cardinale L. Billot S.J., «De Ecclesia Christi», Tomus secundus, «De habitudine Ecclesiae ad civilem societatem», 3ª edizione, Roma, Università Gregoriana, 1929, Q. XVII «De errore liberalismi et variis ejus formis», traduzione francese della Q. XVII: «Les principes de 89 et leurs conséquences», Tequi, Paris, 1989.
4 J. Maritain, «Les droits de l’homme et la loi naturelle», Hartmann, 1946, pagina 37.
5 Vedi anche J. Meinvielle, «De Lamennais a Maritain», La Cité Catholique, Paris, 1956, pagine 9-10. Esiste una recente traduzione
italiana del libro succitato, che s’intitola: «Il cedimento dei cattolici al liberalismo», a cura di don Ennio Innocenti, Roma, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, 1991; J. Meinvielle, «Critica de la conception de Maritain sobre la persona humana», Ediciones Nuestro Tiempo, 1948, Buenos Aires.
6 J. Meinvielle, opera citata, pagine 235-236.
7 Ibidem, pagina 300
8 A. Messineo, «L’umanesimo integrale», ne «La Civiltà Cattolica», volume III, quad. 2549, 25 agosto 1956, pagine 449-462; confronta anche A. Roussel, «Libéralisme et Catholicisme», Semaine Catholique, 1926, Rennes ; F. Sardà y Salvany, «Il liberalismo è peccato», rist. Forni editore, Bologna, (1888) 1972; J. Morel, «Somme contre le catholicisme libéral», 2 volumi, Paris-Bruxelles, Palmé-Lebrocquy, 1876; E. Barbier, «Histoire du catholicisme libéral et du catholicisme social en France», 5 volumi, 1923, sine ed. et loco; D. Castellano, «L’aristotelismo cristiano di Marcel De Corte», Pucci Cipriani editore, Firenze, 1975; L. Gedda, «18 aprile 1948», Mondadori, Milano, 1998.
9 J. Meinvielle, «Critique de la conception de Maritain sur la personne humaine», (1948), traduzione francese, sine loco, et editore, 1993.
10 Q. XVII, «De errore Liberalismi et variis ejus formis», pagina 17.11Art. I, «De fundamentali principio Liberalismi», pagine 19-20.Paragr. 1°, «Quod principium fundamentale Liberalismi est in se
absurdum et chimericum»,
pagine 20-28.
12 Paragrafo 2°, «Quod principium Liberalismi in applicationibus ad res humanas, secum fert dissolutionem omnium socialium organorum», pagine 28-34.
13 Paragrafo 3°, «Quod principium Liberalismi est essentialiter antireligiosum», pagine 34-40.
14 Art. II, «De variis formis Liberalismi in re religiosa», pagina 41
15 Paragrafo 1°, «Quod prima forma Liberalismi convertitur cum materialismo et atheismo», pagine 41-45.
16 Paragrafo 2°, «Quod Liberalismus moderatus ad manicheismus reducitur», pagine 45-51.
 
Tratto da Una fides

giovedì 8 dicembre 2011

Mons. Gherardini sull’importanza e i limiti del Magistero autentico

Il Coetus Internationalis Patrum in piazza S. Pietro


Disputationes Theologicae ha chiesto a Mons. Brunero Gherardini un contributo sulla nozione di Magistero autentico e sui suoi eventuali limiti. L’illustre docente emerito all’Università del Papa, decano della facoltà di teologia, che già è intervenuto su queste colonne qualificando l’insegnamento costituito dal Concilio Vaticano II, apporta ora più ampiamente, in maniera agile e profonda, alcune precisazioni,  richiamando l’attenzione su alcune distinzioni spesso omesse. Tale richiamo è in consonanza con quanto rilevato negli anni ‘70 da S. Ecc. Mons. De Castro Mayer, allora ordinario di Campos, a conclusione dello studio teologico sulla libertà religiosa da lui inviato a S.S. il Papa Paolo VI (che non lo condannò): c’è un caso specifico in cui un insegnamento non è vincolante in coscienza, pur essendo un atto di Magistero autentico, quando vi sia una dissonanza rispetto a quanto già dalla Chiesa lungamente insegnato. 

La Redazione


Chiesa-Tradizione-Magistero

di Mons. Brunero Gherardini


            La grande celebrazione cinquantenaria è iniziata. Non s’è ancor al tam-tam, ma lo s’avverte nell’aria. Il cinquantenario del Vaticano II darà la stura a quanto di più superlativo, in fatto di giudizi elogiativi, sarà possibile escogitare. Della sobrietà ch’era stata richiesta, come atteggiamento e come momento di riflessione e d’analisi per una valutazione più criticamente approfondita dell’evento conciliare, neanche l’ombra. Già si procede a ruota libera nel dir e ripetere quello che da cinquant’anni si va dicendo e ripetendo: il Vaticano II è il punto culminante della Tradizione e la sua stessa sintesi. Congressi internazionali sul più grande e più significativo fra tutt’i Concili ecumenici son già programmati; altri, di maggiore o di minore portata, lo saranno strada facendo. E, sull’argomento, la saggistica s’arricchisce di giorno in giorno. L’Osservatore Romano, ovviamente, fa la sua parte e batte soprattutto sul tasto dell’adesione dovuta al Magistero (2/12/2011, p. 6): il Vaticano II è un atto di Magistero, quindi… La ragione addotta è che ogni atto di Magistero va recepito da Pastori che, a motivo della successione apostolica, parlano con il carisma della verità (DV 8), con l’autorità di Cristo (LG 25), alla luce dello Spirito Santo (ibid.).
            A parte il fatto di provare il Magistero del Vaticano II con il Vaticano II, che un tempo si chiamava petitio principii, sembra evidente che un tal modo di procedere parte dalla premessa del Magistero come assoluto, soggetto indipendente da tutto e da tutti, tranne che dalla successione apostolica e dall’assistenza dello Spirito Santo. Ora, se della successione apostolica garantisce la legittimità della sacra ordinazione, difficile appare stabilire chi garantisca l’intervento dello Spirito Santo, nei termini in cui se ne parla.
            Una cosa, peraltro, è fuori discussione: nulla al mondo, ricettacolo delle cose create, ha la dote dell’assoluto. Tutt’è in movimento, in un circuito di reciproche interdipendenze, e  pertanto tutto dipende, tutto ha un inizio ed avrà una fine: “Mutantur enim – diceva il grande Agostino – ergo creata sunt”. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero. Si tratta di realtà sublimi, ai vertici della scala di tutt’i valori creaturali, dotate di qualità che danno il capogiro, ma sempre di realtà penultime. L’eschaton, la realtà ultima è soltanto Lui, Dio.  Si ricorre spesso ad un linguaggio che capovolge questo dato di fatto e si riconosce a codeste sublimi realtà una portata ed un significato al di là e al di sopra dei loro confini; cioè s’assolutizzano. La conseguenza è che le si espropria del loro statuto ontico, se ne fa un presupposto irreale, che perde per ciò stesso anche le sublimi grandezze della loro realtà penultima.
            Immersa nel momento trinitario della sua progettazione, la Chiesa è ed opera nel tempo come sacramento di salvezza. Il teandrismo, che ne fa una continuazione misterica di Cristo, non si discute, le sue proprietà costitutive (unità, santità, cattolicità ed apostolicità) nemmeno, e nemmeno la sua struttura ed il suo servizio,  ma tutto questo rimane all’interno d’una realtà di questo mondo, abilitata a mediare sacramentalmente la divina presenza, ma sempre come ed in quanto realtà di questo mondo, che per definizione, dunque, rifugge dall’assoluto.
            Tant’è che s’identifica nella sua Tradizione, dalla quale attinge la continuità con se stessa, alla quale deve il suo respiro vitale, dalla quale deriva la certezza che il suo ieri diventa sempre oggi per preparar il suo domani. La Tradizione, pertanto, le dà il movimento interiore che la sospinge verso il futuro, salvaguardandone il presente ed il passato. Ma nemmeno la Tradizione è un assoluto: incominciò con la Chiesa, finirà con essa. Dio solo rimane.
            Sulla Tradizione la Chiesa esercita un vero controllo: un discernimento che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa con uno strumento, al quale non fa difetto “il carisma della verità”, purché non si lasci prender la mano dalla tentazione dell’assoluto. Tale strumento è il Magistero, di cui titolari son il Papa, come successore del primo Papa, l’apostolo san Pietro, sulla cattedra romana, ed i vescovi come successori dei Dodici nel ministero o servizio alla Chiesa, ovunque sia una sua espressione locale. Ricordare le distinzioni del Magistero – solenne, se del Concilio ecumenico oppure del Papa, quando l’uno o l’altro definiscono verità di fede e di morale; ordinario, se del Papa nella sua attività specifica, e dei vescovi nel loro complesso ed  in comunione col Papa – è superfluo; molto più importante è precisar entro quali limiti al Magistero è garantito “il carisma della verità”.
            Occorre dir anzitutto che il Magistero non è una superchiesa che imponga giudizi e comportamenti alla Chiesa stessa; né una casta privilegiata al di sopra del popolo di Dio, una sorta di potere forte al quale è doveroso obbedir e basta. E’ un servizio, una diakonìa. Ma anche un compito da svolgere, un munus, appunto il munus docendi, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, coincide con la Chiesa docente, Papa e vescovi uniti col Papa, in funzione della proposta ufficiale della Fede. Dal punto di vista operativo, è lo strumento con cui tale funzione viene svolta.
            Troppo spesso, però, si fa dello strumento un valore a sé e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se esso fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretar e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà.  E proprio qui s’evidenziano quei limiti che lo salvaguardano dal pericolo dell’elefantiasi e dalla tentazione assolutistica.
            Non è il caso di soffermarsi sul primo di tali limiti, la successione apostolica. Non dovrebb’esser difficile per nessuno il dimostrarne, caso per caso, la legittimità e quindi la conseguente successione nel possesso del carisma proprio degli Apostoli.  Qualche parola, invece, occorre dire sul secondo, ovvero sull’assistenza dello Spirito Santo. Il procedimento sbrigativo oggi invalso è più o meno il seguente: Cristo promise agli Apostoli, e quindi ai loro successori, val a dire alla Chiesa docente, l’invio dello Spirito Santo e la sua assistenza per un esercizio del munus docendi nella verità; l’errore è dunque scongiurato in partenza.  Sì, Cristo fece una tale promessa, ma indicò pure le condizioni del suo avverarsi. Se non che, proprio nel modo d’appellarsi alla promessa se ne intravede una grave adulterazione: o non si riportan le parole di Cristo, o qualora vengan citate  non si dà loro il significato che hanno. Vediamo di che cosa si tratta.
            La promessa è riferita soprattutto da due testi del quarto evangelista: Gv 14,16.26 e 16,13-14. Già nel primo risuona con estrema chiarezza uno dei suddetti limiti: Gesù infatti non si ferma  alla promessa de “lo Spirito dellaverità” – si noti questo corsivo, dovuto all’articolo specificativo thV, che in alto ed in basso si continua a tradurre di, come se la verità fosse un  optional dello Spirito Santo, che invece la impersona -,  ma ne preannuncia la funzione: riporterà alla memoria tutto quanto Lui, Gesù, aveva prima insegnato. Si tratta, dunque, d’un’assistenza conservativa della verità rivelata, non d’un’integrazione in  essa di verità altre o diverse da quelle rivelate, o presuntecome tali .
            Il secondo dei due testi giovannei, confermando il primo, scende ad ulteriori precisazioni: lo Spirito Santo, infatti, “vi guiderà a tutta la verità”, anche a quella che ora Gesù tace, perché al di là e al di sopra della portata dei suoi (16,12). Nel far questo,  lo Spirito “non parlerà per conto suo, ma dirà tutto quello che ascolta […] prenderà del mio e ve lo comunicherà”. Dunque non ci saranno ulteriori rivelazioni. L’unica si chiude con coloro ai quali Gesù sta ora parlando. Le sue parole si presentano con un significato univoco, riguardante l’insegnamento da Lui impartito  e soltanto codest’insegnamento. Un linguaggio, questo, non criptato o cifrato, ma limpido come il sole. Si potrebbe sollevar un’obiezione sulla prospettiva d’apparente novità in relazione a quello che, ora taciuto da Gesù, verrà annunziato dallo Spirito Santo; ma la delimitazione della sua assistenza ad un’azione di guida verso il possesso di tutta la verità  rivelata da Cristo esclude novità sostanziali. Se novità emergeranno, si tratterà di significati nuovi, non di verità nuove; donde il giustissimo “eodem sensu eademque sententia” del Lerinense. Insomma, la pretesa d’agganciar all’assistenza dello Spirito Santo ogni stormir di fronda, voglio dire ogni novità e segnatamente quelle che commisurano la Chiesa sulle dimensioni della cultura imperante e della c. d. dignità della persona umana, non solo è un capovolgimento strutturale della Chiesa stessa, ma è pure un gran segno di croce sui due testi sopra indicati.
            Non è tutto. Il limite dell’intervento magisteriale sta anche nella sua stessa formulazione tecnica. Perché sia veramente magisteriale, in senso definitorio o no, occorre che l’intervento ricorra ad un formulario ormai consacrato, dal quale risulti senz’incertezza alcuna la volontà di parlare da “Pastore e Dottore di tutt’i cristiani in materia di Fede e di Morale, in forza della sua apostolica Autorità”, se a parlare è il Papa; o risulti con pari certezza, p. es. da parte d’un Concilio ecumenico, attraverso le consuete formule dell’asserto dogmatico, la volontà dei Padri conciliari di collegare la Fede cristiana con la Rivelazione divina e la sua ininterrotta trasmissione. Mancando tali premesse, solo in senso lato si potrà parlare di Magistero: non ogni parola del Papa, scritta o detta, è necessariamente Magistero; ed altrettanto si dica dei Concili ecumenici, non pochi dei quali di dogma o non parlarono, o non esclusivamente; talvolta addirittura innestaron il dogma in un contesto di diatribe interne e di liti personali o di corrente, da render assurda una loro pretesa magisteriale all’interno del detto contesto. Suscita tuttora un’impressione nettamente negativa un Concilio ecumenico d’indiscussa importanza dogmatico-cristologica come quello di Calcedonia, che spese la maggior parte del suo tempo in una vergognosa lotta di personalismi, di precedenze, di deposizioni, di riabilitazioni; non in questo Calcedonia è dogma. Come non lo è la parola del Papa quando privatamente dichiara che “Paolo non intendeva la Chiesa come istituzione, come organizzazione, ma come organismo vivente, nel quale tutti operano l’uno per l’altro e l’uno con l’altro, essendo uniti a partire da Cristo”; è vero esattamente il contrario e si sa che la prima forma istituzionale, proprio per favorire l’organismo vivente, fu strutturata da Paolo in modo piramidale: l’apostolo al vertice, poi gli episcopoi-presbuteroi, gli hgoumenoi, i proistamenoi, inouqetounteV, i diakonoi:  sono distinzioni di compiti e d’uffici non ancora esattamente definiti, ma son già distinzioni d’un organismo istituzionalizzato. Anche in questo caso, sia ben chiaro, l’atteggiamento del cristiano è quello del rispetto e, almeno in linea di principio, anche dell’adesione. Se però alla coscienza del singolo credente l’adesione ad un caso come quello sopra esposto non  è possibile, ciò non comporta  ribellione al Papa o negazione del suo Magistero: significa solo che ciò non è Magistero.
            Il discorso ritorna ora, in  chiusura, al Vaticano II, per dire, se possibile, una parola definitiva sulla sua appartenenza o meno alla Tradizione e sulla sua qualità magisteriale. Su questa non cade nessun interrogativo e quei laudatores che non si stancano da ben cinquant’anni di sostenere l’identità magisteriale del Vaticano II perdono e fanno perder tempo: nessuno lo nega. Stanti però le loro acritiche esuberanze, nasce un problema di qualità: di che Magistero si tratta? L’articolo de “L’Osservatore Romano” al quale mi son inizialmente richiamato, parla di Magistero dottrinale: e chi l’ha mai negato? Perfino un’affermazione puramente pastorale può esser dottrinale, nel senso d’appartener ad una data dottrina. Chi però dicesse dottrinale nel senso di dogmatico, sbaglierebbe: nessun dogma è all’attivo del Vaticano II, il quale  se ha anche un valore dogmatico, lo ha di riflesso là dove s’aggancia a dogmi precedentemente definiti. Il suo, insomma, come s’è detto e ridetto a chiunque abbia orecchi per intendere, è un Magistero solenne e supremo.
            Più problematica è la sua continuità con la Tradizione, non perché esso non abbia dichiarato una tale continuità, ma perché, specie in quei punti-chiave dov’era necessario che tale continuità fosse evidente, la dichiarazione è rimasta indimostrata.

venerdì 2 dicembre 2011

Il falso ecumenismo e dialogo interreligioso modernista.


 

 14 maggio 1999: Giovanni Paolo II bacia il Corano in Vaticano

Alcune persone, imbarazzate dallo scandalo, pretendono che Giovanni Paolo II non abbia mai baciato il Corano . Oppure dicono che il ritratto libro nella fotografia non sia il Corano, o affermano che si tratti di un montaggio fotografico! Queste obiezioni sono facili da smontare. Innanzitutto, c'è la testimonianza del Patriarca caldeo cattolico Raphaël I BiDawid (1922-2003), che era presente a quell'incontro : «Il 14 maggio sono stato ricevuto dal Papa, con una delegazione composta dall'iman sciita della moschea sunnita Khadum e dal presidente del consiglio di amministrazione della Banca islamica irachena. C'era anche un rappresentante del Ministero iracheno della religione [...]. Alla fine dell'udienza, il Papa si è inchinato davanti al libro sacro musulmano, il Corano, presentato dalla delegazione, e lo ha baciato in segno di rispetto. La foto di questo gesto è stata mandata in onda a più riprese dalla televisione irachena per dimostrare che il Papa non solo ha consapevolezza della sofferenza del popolo iracheno, ma che ha anche molto rispetto per l'islam». Questa testimonianza potrebbe bastare, ma si potrebbero citare anche altri articoli apparsi sui media:

- In un articolo pubblicato su Le Monde des religions in occasione della morte di Giovanni Paolo II è stato scritto: «Giovanni Paolo II ha compiuto alcuni gesti simbolici senza precedenti. Egli è stato il primo Papa a riunire in preghiera i capi spirituali delle principali confessioni del pianeta, il primo ad entrare in una sinagoga, il primo a penetrare in una moschea, il primo a baciare pubblicamente il Corano, a pregare davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme, a partecipare in numerose occasioni a riti non monoteisti […]. Non dimentichiamo inoltre che è stato soprattutto un Papa viaggiatore, trovandosi di fronte, naturalmente, in quasi tutti i suoi spostamenti, al problema della diversità. Ora, ogni volta che si è trovato dinanzi a popolazioni non cattoliche, egli ha tentato, con un senso acuto del simbolo, di entrare in relazione fraterna con i loro rappresentanti religiosi» 

- Un altro articolo apparso su La Vie, del 10 settembre 2008, contiene un'affermazione di Rémi Brague, professore di filosofia alla Sorbona e a Monaco, rilasciata nel corso di un'intervista: «Quale è il suo atteggiamento profondo (di Benedetto XVI) nei confronti dell'islam»? Risposta di Brague: «Non credo che lo conosca bene. Non ha avuto alcuna ragione di studiarlo. E io non so chi lo consiglia a questo riguardo. Spero che eviti certi errori come quello, molto più grave, di Giovanni Paolo II, di baciare il Corano […]. Avrebbe fatto molto meglio prima a leggerselo».

- In un articolo pubblicato su Valeurs actuelles e ripreso da Salon Beige ha dichiarato Annie Laurent, politologa e scrittrice francese: «Il bacio del Corano di Giovanni Paolo II, portato in dono da una delegazione irachena, nel 1999, ha suscitato un forte smarrimento presso i cristiani d'Occidente e d'Oriente, come se fosse un'attestazione ufficiale della veridicità dell'islam» .


 Il papa firma il Libro d'oro di Santa Sofia e scrive:
"Nelle nostre  diversità ci troviamo davanti alla fede
del Dio unico. Che Dio ci illumini e ci faccia trovare la strada dell’amore e della pace
"

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Islam e Cristianesimo

Islamici e Cristiani non pregano lo stesso Dio
Le menzogne dell'Ecumenismo


L'avanzata massiccia dell'Islam, come già ai tempi delle invasioni saracene e turche, si dirige in vari modi verso l'Europa che, a conti fatti, è la nuova frontiera dell'Islam. Il movimento politico islamico, fondato da Maometto e mascherato da religione, ha ben deciso a non rinunciare allo spirito missionario della sua fede, e, purtroppo, trova in Occidente parroci che spalancano le porte delle loro Chiese, affinché siano adibite anche ad uso di Moschee. C'è da sottolineare la considerazione che non si è mai verificato che gli islamici abbiano dato una Moschea a noi Cristiani per farci pregare, in quei paesi ove non fosse disponibile una Chiesa. Da questo presupposto si è consolidata negli anni, nei paesi islamici, la figura della "Chiesa clandestina", ovvero gruppi di fedeli che, come ai tempi delle persecuzioni romane, si riuniscono in condomini e private abitazioni, al fine di pregare Nostro Signore! Ma c'è di più. Quella che è in atto, come notano gli osservatori più realisti, non è un'immigrazione ma una vera e propria migrazione: lo spostamento, cioè, di interi popoli che portano con sé le proprie tradizioni, a cominciare da quelle politico - religiose, cui non vogliono abdicare in alcun modo.
Si crede poi, ingenuamente, nel giustificabile ma illusorio processo di integrazione degli islamici nella società occidentale.


Al merito, il noto antropologo R. Guidieri ha detto: “SPESSO LE CULTURE NON OCCIDENTALI NON SONO CULTURE DI ASSIMILAZIONE; SEMMAI LO SONO NEL SIGNIFICATO MAFIOSO, CIOÈ SE TU DIVENTI COME NOI (MUSULMANO), VA BENE, SE VUOI RESTARE DIVERSO, NO”.

Il che è tutto dire! Purtroppo i fatti gli danno ragione.

I magrebini a Marsiglia o a Parigi, i pakistani a Londra, i turchi a Berlino, non sanno che farsene delle solite “anime belle” locali che esortano ad una “pacifica integrazione”, alla creazione di una “fraterna società multietnica e multiculturale”: si chiudono invece nei quartieri che, via via, occupano e dove ricreano una società islamica chiusa e diffidente verso ciò che è esterno.
Dunque non l'unica, multietnica società prospettata dagli utopisti, ma DUE SOCIETÀ PARALLELE E SPESSO OSTILI.

Anche in Italia come del resto in tutta l'Europa, il fenomeno delle conversioni all'Islam ha messo piede e, come leone ruggente, cerca anime indifese da divorare.
E' importante conoscere i rudimenti dell'Islam per poter essere in grado di aprire un dibattito religioso con i mussulmani e, pur rischiano, cercare di convertirli al Cattolicesimo; ricordiamo che Nostro Signore non ci ha mai detto di convivere con gli infedeli, anzi, ci ha esortato allo spirito missionario, impedendoci tassativamente di peccare di omissione - termine oggi tradotto "buonismo - e di tollerare ideologie anti Cristiane.

Perché Islamici e Cristiani non pregano lo stesso Dio? Le risposte sono molto semplici e partono da un presupposto di base: il nostro Dio è Uno e Trino, il loro no. Scendiamo nello specifico:

1) L’Islam nega la SS. Trinità
I Cristiani ed i Musulmani credono in un unico Dio, ma “dire che i Musulmani adorano lo stesso Dio dei Cristiani non è esatto, perché il Dio dei Cristiani è trinitario ed un Musulmano non adora come Dio, né Gesù né lo Spirito Santo, e ancor meno dei simboli concreti come la Croce”.
In effetti il Corano, il libro sacro dell’Islam, respinge con orrore la SS. Trinità. “Sono miscredenti quelli che dicono: in verità Dio è il terzo di tre” (sura 5,73). “ La Trinità è il più importante dei punti di divergenza fra le due religioni”. Il Corano dice: “ come potrebbe Dio avere un figlio se non ha consorte? (sura 6,100-101). Per il Corano infatti l’espressione “figlio di Dio” implica una concretezza di rapporti carnali che è agli antipodi della concezione cristiana. I Cristiani hanno sempre professato e professano la fede in un unico Dio.
Fedeli, tuttavia, all’insegnamento evangelico sanno che l’unico Dio ha fatto conoscere pienamente se stesso per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo.


Per la fede cristiana l’unico Dio si è fatto conoscere come PADRE, come FIGLIO e come SPIRITO SANTO, che sono Persone distinte, aventi tutte e tre la stessa natura divina, e perciò uguali.
Nel Nuovo Testamento vi sono circa 40 testi trinitari. Uno dei più noti è quello del Vangelo di Matteo 28,19. Sono le parole di Gesù e che la Chiesa usa come formula battesimale fin dalle sue origini. Ecco il testo: “E Gesù disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.



Perciò non credere alla SS. Trinità, rivelataci da Gesù, significa praticamente dire che Gesù è un bugiardo. Il Vangelo, invece, ci dice: “DIO NESSUNO LO HA MAI VISTO: PROPRIO IL FIGLIO UNIGENITO CHE E’ NEL SENO DEL PADRE, LUI LO HA RIVELATO” (Gv 1,18).

2) L’Islam nega la divinità di Gesù
All’inizio del Vangelo di S. Giovanni si legge: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio(...) Tutte le cose furono fatte per mezzo di Lui (...) Ed il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi” (Gv 1,1-14).
Gesù Cristo, come afferma esplicitamente questo passo del Vangelo, è vero Dio e vero Uomo. E davanti ai giudici ebrei Gesù disse chiaramente di essere Dio e Giudice universale (Mt 26,63-65) pur sapendo che per questa affermazione lo avrebbero accusato di bestemmia e lo avrebbero condannato a morte.

Il Corano, invece, “pur parlando sempre di Gesù col più grande rispetto, condanna e respinge in modo non meno categorico la sua divinità”. “Certo sono miscredenti quelli che dicono: il Messia, figlio di Maria, è Dio (sura 5,72). I Cristiani dicono: il Messia è Figlio di Dio! Dio li maledica! In che grave errore sono caduti!” (sura 9,30-31).
“Chiunque associ a Dio altre divinità si vedrà interdire da Dio l’entrata in Paradiso. Sua dimora sarà il fuoco” (sura5,72).

Gesù, perciò, per l’Islam non è Dio; è solo un uomo, un profeta, e per di più inferiore a Maometto.

È questo un abisso incolmabile che separa Islam e Cristianesimo.

In effetti, su questo, il Vangelo è in radicale contrapposizione col Corano, provando chiaramente la divinità di Gesù. Gesù dimostrò di essere Dio col rendere in un attimo la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la salute ad ogni sorta ammalato, col resuscitare i morti, col comandare da padrone ai demoni e alle forze della natura e, soprattutto, con la sua resurrezione dalla morte.

Inoltre per il Corano Gesù non è stato né ucciso né crocifisso. Al suo posto fu crocifisso uno simile a lui. “Gli ebrei affermano: Abbiamo ucciso il Messia, Gesù figlio di Maria! In realtà non l’hanno né ucciso né crocifisso, ma qualcun altro fu reso ai loro occhi simile a lui” (sura 4,156-159).

Il Vangelo, però, prova tutto l’opposto. Gesù stesso più volte predisse la sua morte (Mt 16,21; Me 8,31-33, ecc.). I Vangeli stessi attestano la morte del Figlio di Dio. I soldati spezzano le gambe ai due ladroni sulla croce, ma a Gesù non lo fecero perché era già morto (Gv 19,32-33). Lo stesso evangelista Giovanni ci dice come a Gesù, pur essendo già morto, fu dato il colpo di grazia con la lancia squarciandogli il cuore (Gv 19,34).

La morte di Gesù ci viene provata anche dal fatto che i suoi stessi discepoli faticarono molto ad accettare l’idea della Resurrezione, tanto era rimasto impresso in loro il corpo privo di vita di Gesù sulla croce!


3) L’Islam nega il peccato Originale
Il Corano ignora un elemento importantissimo ed essenziale del Cristianesimo,  il peccato Originale. La 2° e la 7° sura del Corano parlano della disobbedienza di Adamo ed Eva, della loro punizione e dell’espulsione dal paradiso terrestre. Contrariamente a ciò che insegna il Cristianesimo, l’Islam ignora la trasmissione del peccato Originale a tutti gli uomini.


Viene così a cadere la necessità della Redenzione di Gesù e, quindi, dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ciò significa distruggere il Cristianesimo alle radici! Altro che credere nello stesso Dio! “La concezione islamica della giustizia divina non ammette la punizione di un innocente come condizione per il perdono dei peccatori colpevoli”. In questo modo viene negata l’intera sostanza del Cristianesimo nel quale la Redenzione presuppone appunto la possibilità che un Innocente (cioè Gesù) paghi per le colpe dell’umanità peccatrice.

4) L’Islam nega che Maria sia Madre di Dio
Gesù Cristo, seconda Persona della SS. Trinità, come Dio è sempre esistito; come Uomo cominciò ad esistere nel tempo al momento dell’Incarnazione nel seno purissimo della Vergine Maria. I Musulmani, rifiutando la divinità di Gesù, negano conseguentemente che Maria sia Madre di Dio.

Siccome per il Corano Gesù è una semplice creatura, anche Maria non è Madre di Dio, ma solo del profeta Gesù. Più o meno è la stessa cosa che dicono i Testimoni di Geova!
Il Corano, libro che i Musulmani credono dettato parola per parola da Dio (sura 75,17-19), confonde però la Vergine Maria, Madre di Gesù, con un’altra Maria che invece era sorella di Aronne e Mosè (sura 19,27-33). Tra questa Maria e la Beata Vergine Maria, Madre di Gesù Cristo, intercorsero 1500 anni! Si tratta di una delle numerose contraddizioni storiche di cui è pieno il Corano. Inoltre, poiché l’Islam ignora il peccato Originale e la sua trasmissione agli esseri umani, viene escluso a priori qualsiasi riferimento al dogma dell’Immacolata Concezione in senso cristiano.

Nel Vangelo, invece, l’Angelo Gabriele, mandato da Dio, saluta la Madonna con un nome nuovo: “Ti saluto, o piena di grazia” (Lc 1,28). Nello stile biblico il nome indica ciò che è la persona che lo porta. Chiamando Maria PIENA DI GRAZIA, l’Angelo ha voluto far capire che in quella creatura umana, MARIA e PIENA DI GRAZIA coincidevano.

Quella donna cominciò ad essere PIENA DI GRAZIA fin da quando cominciò ad essere MARIA, ossia una creatura umana. Più semplicemente: se Maria avesse avuto il peccato Originale, l’Angelo non avrebbe potuto chiamarla “piena di grazia”, perché la pienezza di grazia non può coesistere con qualsiasi macchia di peccato. Che poi la Madonna sia nata senza peccato Originale lo ha confermato Lei stessa, scendendo dal Cielo su questa terra, a LOURDES, nel 1858 dicendo a Bernardetta: “IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE”.

5) Ci accusano di aver falsificato i Vangeli
Per i Musulmani il Corano è stato “dettato” parola per parola a Maometto dall’Angelo Gabriele, per cui Maometto non è che un semplice trasmettitore del testo divino (sura 75,17 -19). In prospettiva islamica, Toràh, Vangelo e Corano, non sono che tre aspetti diversi della medesima Parola Divina, rivelata in epoche successive a tre popoli diversi (sura 6,155-157). Perciò il Corano chiama gli Ebrei ed i Cristiani “Gente del Libro” (sura 6, 154), ma li accusa di aver corrotto e falsificato la rivelazione divina (sure 5,41 ; 2,75-79; 3,78). Ciò spiega pure agli occhi dei Musulmani le divergenze che si incontrano nei racconti paralleli della Bibbia e del Corano: il racconto autentico per i Musulmani è quello del Corano,mentre quello della Bibbia e dei Vangeli è stato corrotto e falsificato dagli Ebrei e dai Cristiani.
L’accusa che i Musulmani fanno ai Cristiani di aver falsificato i Vangeli rivela un’ignoranza che è sia vasta che sorprendente. Infatti qualunque studioso serio (anche ateo) sa bene che, prima di accettare come degno di fede un testo dell’antichità, deve accertarsi che le deposizioni scritte non siano alterate attraverso i secoli.

Dei Vangeli possediamo ben 34.086 copie tra codici greci , abbiamo traduzioni di essi in tutte le lingue antiche e molte decine di migliaia di citazioni di scrittori cristiani dei primi secoli. Le loro citazioni stabiliscono che i Vangeli furono scritti nella seconda metà del l° secolo (dal 50 al 100 d.C.) e sono tante che CON ESSE SI POTREBBERORICOSTRUIRE I VANGELI STESSI SE ESSI FOSSERO ANDATI PERDUTI!

Tutti questi codici e citazioni riportano i Vangeli originali. Ce lo provano in maniera categorica le centinaia di papiri scoperti in tutto questo secolo. Tutti questi papiri, così antichi, riportano i Vangeli tali e quali come li leggiamo nelle nostre edizioni moderne! Dire dunque che i Cristiani hanno falsificato i Vangeli è solo frutto di ignoranza e mancanza di serietà scientifica.

6) E se fosse stato Maometto il falsario?
Da quanto esposto risulta che i Cristiani non hanno falsificato i Vangeli. Possiamo dunque essere sicuri che noi oggi li leggiamo così come sono usciti dalla penna dei loro autori.
I Cristiani non hanno falsificato, per gli stessi motivi, il Vecchio Testamento (cioè la Bibbia degli Ebrei); anche perché gli Ebrei (che non sono certo Cristiani) hanno sempre e giustamente vegliato sui loro Testi Sacri (che, tra l’altro, esistevano già secoli prima che nascesse il Cristianesimo!), facendolo sempre con severità e rigore.
Adesso l’accusa, fatta dai Musulmani ai Cristiani si può ribaltare: e se fosse stato Maometto a falsificare e a “truccare” i Vangeli?
La domanda è legittima, come è legittimo verificare.
La verità oggettiva è che non sono stati i Cristiani, ma semmai Maometto a “truccare” il Vangelo.
Ciò con cui Maometto venne a contatto erano i Vangeli scritti da eretici (cioè i Vangeli apocrifi) che circolavano allora in Arabia.

Analfabeta, ingannato da quanto sentiva dire da quei “Cristiani” presunti con cui veniva a contatto, Maometto ci ha lasciato nel Corano non un’immagine autentica della fede in Gesù, ma una sua caricatura.
E’ convinto, ad esempio, che la TRINITÀ’ sia composta di PADRE, FIGLIO, e MARIA (sura 5,116).
Crede che L’EUCARESTIA SIA STATA ISTITUITA FACENDO SCENDERE DAL CIELO UNA TAVOLA IMBANDITA (sura 5, 111-115).
Confonde Maria, Madre di Gesù, con Maria, sorella di Mosè ed Aronne, vissuta 1500 anni prima!(sura 9,27-33).

Afferma che AL POSTO DI GESÙ FU CROCIFISSO UNO SIMILE A LUI (sura 4,156) seguendo in ciò le dottrine di antichi eretici.
Già il grande S. Tommaso d’Aquino (1226-1274) nella sua Summa contra Gentiles (I.VI) scriveva:
“… anzi egli (=Maometto) altera quasi tutti i testi dell’Antico e Nuovo Testamento con narrazioni favolose, come appare a chi esamini la sua legge, per la qual ragione scaltramente egli vieta ai suoi seguaci di leggere i libri dell’Antico e Nuovo Testamento per impedire che scoprano le sue imposture. Da tutto questo appare chiaramente che coloro che prestano fede ai suoi insegnamenti lo fanno per leggerezza”.

7) I nemici
Dice Gesù nel Vangelo: “Avete udito che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano. Perché se amate solo quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i peccatori? E se salutate solo i vostri fratelli, che fate di speciale? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,43-48).
E Gesù stesso, morendo sulla croce, perdonò i suoi crocifissori: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 25,34).

Invece il Corano esorta i Musulmani a uccidere i nemici: "AMMAZZATELI OVUNQUE LI INCONTRIATE" (sura2,191).


Recupero Archivio Pontifex Roma
da M.S.M.A. Novembre 2002
di Carlo Di Pietro
Rivisitazione a cura dell'autore Novembre 2011

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giovanni paolo II bacia il corano

Ecco cosa si dice nel libro
che Giovanni Paolo II ha baciato:
gesù cristo non è nè il figlio di dio, nè dio!
affermarlo equivale a bestemmiare!
Può un vero beato baciare il corano?


Sura V, 77 (La tavola)
 
«Infedele è colui che dice: "Allàh è il terzo della Trinità": non vi è che un solo Allàh, e questo Allàh è unico; se essi non ritrarranno ciò che affermano, un doloroso castigo attenderà gli infedeli».

Sura IV, 169 (Le femmine)
 
«O voi che riceveste le Scritture (i cristiani; N.d.R.)! Non varcate i limiti della fede; non dite di Allàh che la verità. Gesù è il figlio di Maria, l'inviato dell’Altissimo e il suo Verbo. Egli l'ha fatto scendere in Maria. Esso è il suo soffio. Credete in Allàh e nei suoi apostoli; non dite esservi una Trinità; egli è uno. Questa credenza vi riuscirà più utile. Lungi che egli abbia un figlio, ma governa da solo il cielo e la terra, e basta a sé stesso».

Sura V, 76 (La tavola)
 
«Quelli che dicono che il Messia, figlio di Maria, è Dio, pronunciano una bestemmia. Non ha egli stesso detto: "Figli d'Israele, adorate Allàh, mio e vostro Signore"? Chiunque associa altri dei ad Allàh non entrerà nel giardino delle delizie, e la sua dimora sarà nel fuoco...».

Sura V, 116 (La tavola)
 
«Allàh chiese a Gesù, figlio di Maria, se avesse comandato agli uomini di adorare lui e sua madre come dèi; "Signore, rispose, avrei loro ordinato un sacrilegio? Se ne fossi colpevole, non lo saresti tu pure? Tu conosci ciò che è nel mio cuore, e io ignoro ciò che vela la tua maestà suprema. La conoscenza dei misteri non spetta che all'Altissimo"».

Sura XXXIX, 6 (Le schiere)
 
«Se Allàh avesse voluto avere un figlio, lo avrebbe scelto tra gli esseri che ha voluto creare. Ma che questa bestemmia sia lontana dalla sua gloria! Egli è unico e potente».

Sura XIX, 92-93 (Maria)
 
«Essi (gli infedeli; N.d.R.) dicono che Allàh ha un figlio, e proferiscono così una bestemmia. Poco manca che i cieli non si schiantino a queste parole, che la terra non si spacchi e che le montagne spezzate non crollino! Essi attribuiscono un figlio al misericordioso, e non potrebbe averne».

Sura IX, 30 (La conversione)
 
«I giudei dicono che Ozai è figlio di Dio; i cristiani dicono lo stesso del Messia. Parlano come gli infedeli che li precedettero; il cielo punirà le loro bestemmie. Chiamano signori i loro pontefici, i loro monaci e il Messia, figlio di Maria, ed è loro imposto di servire un solo Dio; non ce n'è un altro. Anatema a quelli che si associano al suo culto»!

Fonte: Non Possumus