martedì 31 luglio 2012

Intervista di Paolo Facciotto a don Pierpaolo Maria Petrucci

Don Pierpaolo

- Può darmi qualche numero del distretto italiano della FSSPX nell'ultimo anno (quanti nuovi seminaristi e/o nuovi sacerdoti, ecc.)

Due sacerdoti italiani (e riminesi) hanno partecipato all’ultimo capitolo generale della Fraternità San Pio X. Don Davide Pagliarani, superiore del Seminario della Reja, in Argentina, ed io stesso, in qualità di superiore del Distretto d’Italia.

Quest’anno un nuovo giovane sacerdote ha raggiunto il nostro Priorato di Albano: don Massimo Sbicego che, dopo aver lasciato la diocesi di Vicenza, ha trascorso un anno nel nostro seminario di Ecône, in Svizzera. Per il momento cinque seminaristi italiani sono in formazioni di cui due dovrebbero essere ordinati sacerdoti il prossimo anno.

- Il Capitolo si è concluso riconfermando l'unità interna alla Fraternità, quindi anche con coloro che non vedevano di buon occhio gli sviluppi dei colloqui con la Santa Sede. D'altra parte mons. Fellay ha ribadito “non siamo noi che rompiamo con Roma”, “lungi da noi l'idea di costituire una Chiesa parallela”, “noi riconosciamo il Papa e i Vescovi”. E' un'apertura a un ulteriore dialogo?

Il dialogo non sarà certo interrotto da parte nostra poiché non pretendiamo difendere opinioni personali. Per circa un anno e mezzo tre sacerdoti della Fraternità, guidati da un nostro vescovo, Mons. de Gallareta, hanno spiegato ai rappresentanti della congregazione della dottrina per la fede che il nostro rigetto delle nuove dottrine del Concilio Vaticano II è motivato dalla loro opposizione al magistero perenne della Chiesa. Ogni qual volta saremo chiamati dalle autorità romane a questo confronto risponderemo all’appello.

- Intendo rispettare il vincolo di segretezza cui è legato sui documenti intercorsi tra Fraternità e Santa Sede. Posso chiederle però di spiegarmi in parole semplici almeno un punto di controversia sui testi del Concilio Vaticano II?

Un punto di controversia è, per esempio, l’erronea affermazione che esistano verità salvifiche, nelle religioni non cristiane, anche se in cotraddizione con quanto la Chiesa "crede e propone". (Nostra Aetate n° 2). Tale dottrina è fondata sul non identificare più la Chiesa di Cristo con la Chiesa Cattolica (Lumen gentium n° 8). Tutte le religioni, in particolare quelle cristiane, divengono allora “strumenti di salvezza”, (Unitatis redintegratio n° 3).
Questa dottrina si oppone all’insegnamento tradizionale del magistero ed è all’origine di tutta una pastorale che mina lo spirito missionario del Corpo Mistico.

- Mons. Fellay ha fatto riferimento alla vostra Fraternità come “un cuore solo e un'anima sola”. Immagino che per voi sia ciò a cui tendere a riguardo di tutta la Chiesa. Lei si dichiara ottimista circa il fatto che un domani la Fraternità ritrovi una piena comunione con la Chiesa?

La comunione nella Chiesa è fondata essenzialmente sulla fede. Poiché, come Gesù lo ha promesso, “le porte dell’inferno non prevarranno”, un giorno la Chiesa rigetterà gli errori che sono penetrati nel suo seno e il problema della Fraternità San Pio X non avrà più ragione d’essere. Ma fino a quando essa sarà minacciata da dottrine eterodosse, professate anche dalle più alte autorità, sarà per noi un dovere di coscienza continuare a denunciarle. Il fatto che sia stato nominato come prefetto della Congregazione per dottrina della fede un vescovo che ha posizioni, per lo meno ambigue su punti capitali della fede cattolica, come il mistero della presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia, mostra che questa crisi nella Chiesa non è ancora finita.


giovedì 19 luglio 2012

Dichiarazione del Capitolo generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X


pieX_02_okAlla fine del Capitolo generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, riuniti accanto alla tomba del suo venerato fondatore Mons. Marcel Lefebvre, e uniti al suo Superiore generale, noi partecipanti, Vescovi, superiori e anziani di questa Fraternità, teniamo a far salire al cielo le nostre più vive azioni di grazia per i quarantadue anni di protezione divina così meravigliosa sulla nostra opera, in mezzo ad una Chiesa in piena crisi e ad un mondo che si allontana di giorno in giorno da Dio e dalla sua legge.
Noi esprimiamo la nostra profonda gratitudine a tutti i membri di questa Fraternità, sacerdoti, frati, suore, terziari, alle comunità religiose amiche, come ai cari fedeli, per la loro dedizione quotidiana e le loro ferventi preghiere in occasione di questo Capitolo, che ha conosciuto un franco confronto e svolto un lavoro molto fruttuoso. Tutti i sacrifici, tutte le pene accettate con generosità hanno certamente contribuito a superare le difficoltà che la Fraternità ha incontrato in questi ultimi tempi. Noi abbiamo ritrovato la nostra profonda unione nella sua missione essenziale: conservare e difendere la fede cattolica, formare dei buoni sacerdoti e lavorare per la restaurazione della Cristianità. Abbiamo definito ed approvato le necessarie condizioni per una eventuale regolarizzazione canonica. Si è stabilito che, in questo caso, sarà convocato prima un Capitolo straordinario deliberativo. Ma non dimentichiamo che la santificazione delle anime comincia sempre in noi stessi. Essa è opera di una fede vivificata ed operante attraverso la carità, secondo le parole di San Paolo: «Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità» (II Cor. XIII, 8), e anche: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, al fine… di renderla santa e immacolata» (Cfr. Ef. V, 25 ss.).
Il Capitolo ritiene che il primo dovere della Fraternità nel servizio che intende rendere alla Chiesa, sia quello di continuare a professare, con l’aiuto di Dio, la fede cattolica in tutta la sua purezza e integrità, con una determinazione proporzionata agli attacchi che questa stessa fede oggi non cessa di subire.
È per questo che ci sembra opportuno riaffermare la nostra fede nella Chiesa cattolica romana, la sola Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo, al di fuori della quale non c’è salvezza né possibilità di trovare i mezzi che conducono ad essa; nella sua costituzione monarchica, voluta da Nostro Signore, che fa sì che il potere supremo di governo su tutta la Chiesa appartenga solo al Papa, Vicario di Cristo sulla terra; nella regalità universale di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’ordine naturale e soprannaturale, alla quale ogni uomo e ogni società devono sottomettersi.
Per tutte le novità del Concilio Vaticano II che restano viziate da errori, e per le riforme che ne sono derivate, la Fraternità può solo continuare ad attenersi alle affermazioni e agli insegnamenti del Magistero costante della Chiesa; essa trova la sua guida in questo Magistero ininterrotto che, con la sua azione di insegnamento, trasmette il deposito rivelato in perfetta armonia con tutto ciò che la Chiesa intera ha sempre creduto, in ogni luogo.
Parimenti, la Fraternità trova la sua guida nella Tradizione costante della Chiesa, che trasmette e trasmetterà fino alla fine dei tempi l’insieme degli insegnamenti necessari al mantenimento della fede e alla salvezza, in attesa che sia reso possibile un dibattito aperto e serio mirante ad un ritorno delle autorità ecclesiastiche alla Tradizione.
Noi ci uniamo ai altri cristiani perseguitati nei diversi paesi del mondo, che soffrono per la fede cattolica, spesso fino al martirio. Il loro sangue versato in unione con la Vittima dei nostri altari è la prova del rinnovamento della Chiesa in capite et membris, secondo il vecchio adagio «sanguis martyrum semen christianorum».
«Infine, ci rivolgiamo alla Vergine Maria, anch’ella gelosa dei privilegi del suo Figlio divino, gelosa della sua gloria, del suo Regno sulla terra come in Cielo. Quante volte ella è intervenuta in difesa, anche armata, della Cristianità, contro i nemici del Regno di Nostro Signore! Noi la supplichiamo di intervenire oggi per scacciare i nemici interni che tentano di distruggere la Chiesa più radicalmente dei nemici esterni. Che ella si degni di conservare nell’integrità della fede, nell’amore per la Chiesa, nella devozione al successore di Pietro, tutti i membri della Fraternità San Pio X  e tutti i sacerdoti e i fedeli che operano con le stesse intenzioni, affinché ella ci difenda e ci preservi tanto dallo scisma quanto dall’eresia.
« Che San Michele Arcangelo ci trasmetta il suo zelo per la gloria di Dio e la sua forza per combattere il demonio.
« Che San Pio X ci faccia partecipi della sua saggezza, della sua scienza e della sua santità per discernere, in questi tempi di confusione e di menzogna, il vero dal falso e il bene dal male.» (Mons. Marcel Lefebvre, Albano, 19 ottobre 1983).
Ecône, 14 luglio 2012
Fonte: Dici

martedì 17 luglio 2012

Il mutismo dottrinale non è la risposta all’«apostasia silenziosa»

Mons. Fellay

DICI: Come si è svolto il Capitolo generale? In quale atmosfera?

Mons. Fellay: In un’atmosfera molto calda, perché il mese di luglio è particolarmente torrido, nel Vallese! Ma in un clima molto diligente, in fondo, poiché i membri del Capitolo hanno potuto dialogare in tutta libertà, come si conviene in una tale riunione di lavoro.



DICI: Sono state trattate le relazioni con Roma? Vi erano delle questioni proibite? I dissensi che si sono manifestati in questi ultimi tempi in seno alla Fraternità, hanno potuto essere placati?

Mons. Fellay: Questa non è una domanda sola! A proposito di Roma, siamo veramente andati al fondo delle cose, e tutti i capitolari hanno potuto prendere visione dell’intero dossier. Niente è stato messo da parte, non ci sono tabù tra noi. Era mio dovere esporre con precisione l’insieme dei documenti scambiati col Vaticano, cosa che si era rivelata difficile per il clima deleterio di questi ultimi mesi. Tale esposizione ha permesso una discussione franca che ha chiarito i dubbi e dissipato le incomprensioni. Questo ha favorito la pace e l’unità dei cuori, cosa che è molto gratificante.



DICI: Come vede le relazioni con Roma dopo questo Capitolo?

Mons. Fellay: Per quanto ci riguarda tutte le ambiguità sono state eliminate. Molto presto faremo pervenire a Roma la posizione del Capitolo, che ci ha dato l’occasione di precisare la nostra tabella di marcia insistendo sulla conservazione della nostra identità, unico mezzo efficace per aiutare la Chiesa a restaurare la Cristianità. Poiché, come ho già detto recentemente, «se vogliamo far fruttare il tesoro della Tradizione per il bene delle anime, dobbiamo parlare e agire» (si veda l’intervista in DICI n° 256 dell’8 giugno 2012). Noi non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla perdita generalizzata della fede, né di fronte alla caduta vertiginosa delle vocazioni e della pratica religiosa. Non possiamo tacere di fronte all’«apostasia silenziosa» e alle sue cause. Poiché il mutismo dottrinale non è la risposta a questa «apostasia silenziosa» che perfino Giovanni Paolo II constatava nel 2003.

In questi frangenti, noi intendiamo ispirarci, non solo alla fermezza dottrinale di Mons. Lefebvre, ma anche alla sua carità pastorale. La Chiesa ha sempre considerato che la migliore testimonianza a favore della verità fosse data dall’unione dei primi cristiani nella preghiera e nella carità. Essi erano «un cuore solo e un’anima sola», ci dicono gli Atti degli Apostoli (4, 32). Il bollettino interno della Fraternità San Pio X si intitola Cor unum, che per tutti noi è un ideale comune, una parola d’ordine. Così noi ci allontaniamo decisamente da tutti coloro che hanno voluto approfittare della situazione per seminare la zizzania, ponendo i membri della Fraternità gli uni contro gli altri. Tale spirito non viene da Dio.



DICI: Cosa Le fa pensare la nomina di Mons. Ludwig Müller a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede?

Mons. Fellay: L’ex Vescovo di Ratisbona, dove si trova il nostro seminario di Zaitzkofen, non ci apprezza, non è un segreto per nessuno. Dopo l’atto coraggioso di Benedetto XVI in nostro favore, nel 2009, ha dato prova di non voler collaborare nella stessa direzione e ci ha trattati come dei paria! Fu lui che allora dichiarò che il nostro seminario avrebbe dovuto essere chiuso e i nostri studenti sarebbero dovuti andare nei seminari delle loro regioni d’origine, prima di affermare senza mezzi termini: «I quattro Vescovi della Fraternità San Pio X dovrebbero dimettersi tutti»! (si veda l’intervista rilasciata a Zeit on line l’8 maggio 2009).

Ma più importante e più inquietante per noi è il ruolo che deve assumere a capo della Congregazione della Fede, che ha il compito di difendere la Fede e la cui missione propria e di combattere gli errori dottrinali e le eresie. In effetti, diversi testi di Mons. Müller sulla reale transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, sul dogma della verginità di Maria, sulla necessità per i non cattolici di una conversione alla Chiesa cattolica… sono più che discutibili! Senza alcun dubbio, un tempo essi sarebbero stati oggetto di un intervento del Sant’Uffizio, da cui è sorta la Congregazione della Fede che egli oggi presiede.



DICI: Come si presenta l’avvenire della Fraternità San Pio X? Nella sua battaglia per la Tradizione è sempre sulla linea di cresta?

Mons. Fellay: Più che mai noi dobbiamo conservare effettivamente questa linea di cresta fissata dal nostro fondatore. È una linea difficile da mantenere, ma assolutamente vitale per la Chiesa e il tesoro della sua Tradizione. Noi siamo cattolici, noi riconosciamo il Papa e i Vescovi, ma innanzi tutto dobbiamo conservare inalterata la fede, fonte della grazia del Buon Dio. Di conseguenza bisogna evitare tutto ciò che potrebbe metterla in pericolo, senza tuttavia sostituirci alla Chiesa cattolica, apostolica e romana. Lungi da noi l’idea di costituire una Chiesa parallela, esercitando un ministero parallelo!

Mons. Lefebvre è stato molto chiaro su questo, già trent’anni fa: egli ha solo voluto trasmettere ciò che aveva ricevuto dalla Chiesa bi-millenaria. È tutto quanto noi vogliamo, seguendo le sue orme, poiché è solo così che potremo aiutare efficacemente a «restaurare tutte le cose in Cristo». Non siamo noi che rompiamo con Roma, con la Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. Ciò nonostante sarebbe irrealistico negare l’influenza modernista e liberale che si esercita nella Chiesa a partire dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono derivate. In poche parole, noi conserviamo la fede nel primato del Pontefice romano e nella Chiesa fondata su Pietro, ma rifiutiamo tutto ciò che contribuisce all’«autodistruzione della Chiesa», riconosciuta dallo stesso Paolo VI già nel 1968.

Si degni la Madonna, Madre della Chiesa, affrettare il giorno della sua autentica restaurazione!



Fonte: DICI n°258 tramite www.sanpiox.it 

venerdì 13 luglio 2012

Comunicato della Casa Generalizia della Fraternità San Pio X (11 luglio 2012)


Membri del Capitolo generale 2012


Il Capitolo generale della Fraternità San Pio X si è aperto lunedì 9 luglio 2012, al seminario di Ecône (Svizzera), e proseguirà fino a sabato 14 luglio. Questa riunione di lavoro ha lo scopo di studiare le questioni che si presentano nel tempo che intercorre tra i Capitoli elettivi che si tengono ogni 12 anni, – il prossimo si terrà a luglio del 2018.

Nel presente contesto, dopo la risposta del Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 14 giugno 2012, questo Capitolo dà la possibilità al Superiore generale della Fraternità San Pio X, Mons. Bernard Fellay, di esporre lo stato delle relazioni della Fraternità San Pio X con Roma, e di raccogliere i pareri dei capitolari sull’argomento. Le discussioni si svolgono in un’atmosfera fraterna, improntata alla franca cordialità.

Ecône, l'11 luglio 2012

Fonte: DICI tramite www.sanpiox.it 

martedì 10 luglio 2012

La FSSPX chiede urgentemente a Mons. Müller di fare una dichiarazione su queste controverse posizioni, correggendole

Continua, a buon ragione, lo stupore e la richiesta di chiarimenti riguardante la nomina di Mons. Müller a Prefetto della CDF a causa di non poche dichiarazioni, scritte ed orali, quanto meno eterodosse nei confronti di dottrine dommatiche della Chiesa.
Il sito Una Vox  mette alla nostra evidenza l'ennesima (non è la prima da parte della Freternità, si veda qui) richiesta di chiarimenti, Catechismo e Vaticano II alla mano, riguardo dichiarazioni contrarie alla Fede cattolica:

Comunicato del Distretto tedesco
della Fraternità Sacerdotale San Pio Xdel 5 luglio 2012

sulla nomina di Mons. Gerhard Ludwig Müller a
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

dal sito della Fraternità in Germania




La Fraternità San Pio X chiede urgentemente a Mons. Müller di fare una dichiarazione su queste controverse posizioni, correggendole

La Chiesa ha sempre ritenuto che uno dei compiti più importanti per difendere fedelmente il deposito della Fede, affidatole da Cristo e dagli Apostoli, fosse quello di preservarlo dagli errori, per poterlo trasmettere intatto alle future generazioni. Giustamente, quindi, l’ufficio di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è uno dei più alti incarichi nella Chiesa.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X in Germania è stata quindi colta di sorpresa dall’assegnazione a quest’ufficio del Vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Müller. E si meraviglia per come sia possibile che si assegni a quel posto un uomo che nei suoi scritti e nei suoi pubblici discorsi ha ripetutamente offeso la dottrina cattolica.

Ecco i punti salienti:

Mons. Müller, nel suo libro Die Messe – Quelle christlichen Lebens (La Messa, fonte della vita cristiana), nega la reale transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Secondo lui, il pane e il vino restano quello che sono, ma sono i mezzi per integrare i credenti nella comunione di vita col Padre e il Figlio. Questo assomiglia alla dottrina calvinista, secondo la quale il pane e il vino non cambiano, ma sono mezzi della grazia. (1)

Contrariamente a quanto afferma la dottrina cattolica, che la transustanziazione dei doni si compie per mezzo dell’espressione “Questo è il mio corpo… questo è il calice del mio sangue” (2), Mons. Müller afferma che la questione del momento esatto del cambiamento, “teologicamente non ha alcun significato reale” (3).

Nei suoi insegnamenti dogmatici, Mons. Müller nega la dottrina della verginità di Maria (4), e pure la dottrina che Maria diede alla luce suo Figlio senza pregiudizio per la sua integrità fisica (5).

In un elogio del vescovo protestante Johannes Friedrich, l’11 ottobre del 2011, Mons. Müller afferma: “I cristiani che non sono in piena comunione con l’insegnamento sulla salvezza e la costituzione apostolica ed episcopale della Chiesa cattolica, sono giustificati dalla fede e dal battesimo e incorporati integralmente nella Chiesa di Dio in quanto Corpo di Cristo.” Questo contraddice tutta la tradizione cattolica e in particolare l’insegnamento di pio XII nella Mystici Corporis.

In contrasto con la dottrina cattolica della necessità della conversione alla Chiesa cattolica, come insegnato esplicitamente dal Concilio Vaticano II (6), Mons. Müller, nello stesso discorso, afferma che il cosiddetto “ecumenismo di ritorno” sarebbe “assurdo”.

La Fraternità San Pio X chiede urgentemente a Mons. Müller di fare una dichiarazione su queste controverse posizioni, correggendole. Non è per antipatia personale che la Fraternità assume questa posizione, ma solo per il desiderio della predicazione corretta della dottrina della fede.

Poiché in questi ultimi anni Mons. Müller non ha fatto mistero del suo atteggiamento negativo nei confronti della Fraternità San Pio X, questa non vede alcun nuovo segnale positivo circa la volontà di discutere la questione del riconoscimento canonico. Essa spera che il nuovo Prefetto possa addivenire a più positivi atteggiamenti nei confronti della Fraternità, nel contesto dei colloqui con la Chiesa universale.

Don Matthias Gaudron, teologo dogmatico della Fraternità San Pio X

NOTE

1 - «In realtà, Corpo e sangue di Cristo non significano le parti fisiche dell’uomo Gesù durante la sua vita o nel suo corpo glorificato [...] Corpo e sangue significano qui piuttosto una presenza di Cristo nel segno mediato dal pane e del vino». Noi abbiamo «adesso la comunione con Gesù Cristo, mangiando e bevendo il pane e il vino. Qualcosa che nelle relazioni interpersonali basta una lettera d’amicizia a stabilire, così che alla ricezione si può dire che l’amore del mittente può essere visto e incarnato» (Die Messe – Quelle christlichen Lebens [La Messa, fonte della vita cristiana], Augsburg, St. Ulrich Editore: 2002, pp 139 ss).
2 - Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1375, 1377.
3 - Die Messe – Quelle christlichen Lebens, p. 142.
4 - Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 499, 510.
5 – «Non si tratta delle caratteristiche fisiologiche del processo naturale della nascita (qualcosa come la non apertura della cervice, la non violazione dell’imene o l’assenza di doglie), ma della guarigione e dell’influenza redentrice della grazia del Salvatore sulla natura umana ferita dal peccato originale. I contenuti delle affermazioni dottrinali… non derivano dell’azione fisiologica ed empiricamente verificabile dei dettagli somatici» (Katholische Dogmatik für Studium und Praxis, Freiburg, 5° ed., 2003, p. 498 – In italiano: Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia, Ed. San paolo, 1999). 
In verità, l'insegnamento tradizionale mantiene persino tali peculiarità fisiologiche.
6 - «Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare.» (Lumen Gentium, 14).

Due errori - Commento settimanale di Mons. Richard Williamson





Due errori

Che la Fraternità San Pio X sopravviva o meno alle sue difficili prove odierne, i liberali continueranno a premere con falsi argomenti per convincerla a commettere suicidio. Vediamo due di questi argomenti.

Il primo è stato avanzato costantemente nel recente dibattito se la FSSPX dovesse accettare o meno un qualche accordo pratico (non dottrinale) con la Roma conciliare. Esso è semplice: un capo (o capi) cattolico ha la grazia di stato che gli viene da Dio, quindi non dovrebbe essere criticato, ma automaticamente seguito con fiducia. Risposta: certo, Dio offre in ogni momento ad ognuno di noi, e non solo ai capi, l’assistenza naturale e/o la grazia soprannaturale di cui abbiamo bisogno per cominciare ad adempiere al nostro dovere di stato, ma noi abbiamo il libero arbitrio per cooperare con questa grazia o per rifiutarla. Se tutti i capi della Chiesa avessero sempre cooperato con la loro grazia di stato, come mai ci sarebbe stato Giuda Iscariota? E come mai ci sarebbe stato il Vaticano II?   L’argomento della grazia di stato è tanto semplice quanto sciocco.

Il secondo argomento è più serio: è stato proposto il mese scorso in un articolo di dieci pagine del signor J. L. su un periodico cattolico conservatore inglese. Esso è favorevole ad un accordo pratico Roma-FSSPX. Ecco l’argomentazione, ovviamente abbreviata, ma non distorta: Oggi la Chiesa cattolica è sotto un pesante attacco dall’esterno (p. e. dal governo USA), dall’interno (p. e. dai vescovi che amano la bella vita, ma che non conoscono la teologia cattolica) e al più alto livello, da un’amministrazione vaticana colma di scandali e di lotte interne. Il Papa è assediato da ogni parte e guarda alla FSSPX come ad un aiuto per ristabilire nella Chiesa la sana influenza del passato della Chiesa, nel quale egli crede, anche se crede pure nel Vaticano II. Mons. Bux ha dato voce all’appello del Papa: se solo la FSSPX rispondesse accettando un accordo pratico, ci sarebbe un immediato beneficio, non solo per la FSSPX, ma per la Chiesa intera. Don Aulagnier, ex importante sacerdote della FSSPX, intravede questo con chiarezza.

Caro J. L., ogni plauso per il suo amore per la Chiesa e per il riconoscimento dei suoi problemi, per la sua preoccupazione per il Papa e il suo desiderio di aiutarlo, ma nessuna lode per dove Lei individua l’origine di tali problemi e per ciò che pensa sia la FSSPX. Come milioni di anime nella Chiesa odierna e nel mondo, incluso Don Aulagnier, Lei dimentica l’importanza assolutamente fondamentale della dottrina della Fede.

Il governo USA attacca perché la Chiesa è debole. E la Chiesa è debole perché la misera condotta dei vescovi è conseguenza della loro misera comprensione della dottrina del Cielo, dell’Inferno, del peccato, della dannazione, della Redenzione, della grazia salvifica e della perenne riattualizzazione del Sacrificio del Redentore nella vera Messa. E i vescovi hanno una misera comprensione di tutte queste verità salvifiche perché, fra le altre cose, il Vescovo dei vescovi crede in esse solo a metà. E il Papa vi crede a metà perché l’altra metà di Lui crede nel Vaticano II. E il Vaticano II mina l’intera vera religione di Dio con le mortali ambiguità introdotte in tutti i suoi documenti (come Lei stesso riconosce) e concepite per porre l’uomo al posto di Dio.

Caro J. L., il problema di base è la falsa dottrina. Con la grazia di Dio, la FSSPX ha mantenuto fino ad ora i veri insegnamenti di Gesù Cristo, ma se si ponesse sotto le autorità della Chiesa che nella migliore delle ipotesi credono a tali insegnamenti solo a metà, presto dovrebbe smettere di attaccare l’errore (come sta già accadendo) e finirebbe col promuovere l’errore, e con esso tutti gli orrori da Lei menzionati. Dio non voglia!
                                                                                                                                            
Kyrie eleison.

Londra, Inghilterra

Tratto da Una Vox

Lettera aperta a Mons. Williamson del Priore di Nizza della FSSPX



scarica la lettera in formato pdf (in francese)


Abbé Charles Moulin
Prieuré de Nice
17, Place Ste Claire
06300 Nice

Lettera aperta a

Sua Eccellenza Monsignor
Richard Williamson
St George’s House
125, Arthur Road, Wimbleton Park
GB – London SW 19 7DR

Monsignore,
voglia perdonare il carattere pubblico di queste righe che mi permetto rispettosamente e amichevolmente di indirizzarLe, come seguito all’ultima lettera interna del Segretario Generale della Fraternità, che ci informa della sua esclusione dal prossimo Capitolo Generale a Ecône.

Così, è all’amico personale di Monsignor Lefebvre, al decano dei vescovi della Fraternità, all’antico Superiore, vice Direttore del Seminario di Ecône, al mio antico professore di filosofia e teologia, a un Fratello maggiore nel sacerdozio e infine all’amico di più di quarant’anni della mia famiglia, provvidenzialmente incontrato sotto l’egida di Nostra Signora del Monte Carmelo, che chiedo rispettosamente di non tenere conto di quella lettera, conseguenza di un probabile deplorevole malinteso nei suoi confronti, e di non rinunciare a recarsi come previsto a Ecône per questo Capitolo Generale del prossimo luglio. È vero che in questi momenti difficili che attraversa la Fraternità, secondo le caritatevoli parole del buon Re Luigi XVI, espresse nel suo mirabile testamento: «
spesso nei momenti di difficoltà e turbolenze, non si è padroni di sé».

Di non tener conto del Canone 1331 §§ 1 e 2, maldestramente invocato contro di Lei, poiché esso condanna ugualmente la «ribellione e la disubbidienza» di Mons. Lefebvre e rimette in causa la legittimità della sua disobbedienza nei confronti della Roma modernista che dirige la Chiesa da dopo l’ultimo Concilio!


Malinteso reale, a giudicare dalla mia conoscenza personale del nostro Superiore Generale, con il quale sono entrato al seminario di Ecône orsono circa 35 anni fa, che mi permette di affermare che egli che da mesi dimostra una così reale  benevolenza, comprensione e carità nei confronti dei nemici di ieri della Chiesa e della Fraternità, e accetta in uno spirito di apertura di dialogare con essi dal momento che essi sembrano sospendere la loro persecuzione contro di noi… che egli non possa oggi perdonare al suo «compagno d’armi» alcuni scatti di disobbedienza dopo tanti anni di battaglie comuni, fedeli ed eroiche al servizio di Cristo Re, della Sua Chiesa, della Fede, della Santa Messa e del sacerdozio, secondo la direttiva di lotta di Mons. Lefebvre.


Che per di più egli voglia sanzionare il fatto che un vero «Vescovo parla» e risponde modestamente ogni settimana agli interrogativi legittimi dei «cattolici perplessi» di fronte all’evoluzione giudicata lunga ma positiva della Chiesa conciliare. E in un momento molto delicato in cui questo Vescovo chiede loro di riprendere lo studio attento ed oggettivo dei testi del Vaticano II, e di «leggere tra le righe» dei testi, dei comunicati e delle decisioni delle autorità romane, per discernervi quei felici cambiamenti che spingono il Superiore, non segretamente ma discretamente, a rivedere favorevolmente, in nome di tutta la Tradizione, il suo giudizio sulle leali disposizioni delle autorità romane nei nostri confronti e sulla loro sincerità di voler operare una certa riforma della “loro Chiesa”. Come per esempio, essere attenti ai fatti, come quello accaduto recentemente in Corsica, dove il Vescovo del luogo si è generosamente offerto di venire a cresimare col rito tradizionale i fedeli della nostra cappella.


Tanto più, Monsignore, che visto che provvidenzialmente Lei non è stato impegnato nei colloqui dottrinali con le autorità romane, mi sembra che il nostro Superiore, preoccupato della nostra futura indipendenza di parola, d’apostolato e di azione «intra muros», non possa che rallegrarsi della sua libertà di parola, autentico e tradizionale privilegio di ogni vescovo cattolico, ad un tempo pastore, guardiano e difensore del suo piccolo gregge contro tutti i nemici della Chiesa, sia esterni che interni. La Chiesa, non ci mostra San Paolo che predica la buona dottrina «in tempo opportuno e inopportuno», fino a riprendere severamente e perfino con forza lo stesso grande San Pietro? «
Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto… dissi a Cefa in presenza di tutti… (Gal. 2, 11-12 e 14).

Ugualmente, mi è difficile immaginare che il nostro Superiore Generale, che fu uno degli allievi più attenti del suo corso magistrale al seminario di Ecône, e Le deve, come a Mons. Tissier de Mallerais, l’essenziale della sua solida formazione filosofica e teologica… possa, in questo periodo particolarmente delicato per l’avvenire della nostra Fraternità, fare a meno del suo sapere e dei suoi lumi in occasione del prossimo Capitolo Generale che indubbiamente farà storia.


E soprattutto, mi è difficile supporre che il nostro Superiore, oggi preoccupato per l’unità nella Fraternità, possa legittimamente escludere uno dei quattro vescovi scelti dallo stesso Mons. Lefebvre, senza rompere la stretta e indissolubile unione da lui voluta e senza distruggere la loro armoniosa complementarità.

Poiché questo suo servitore è personalmente convinto che Lei sia stato scelto provvidenzialmente dal nostro Fondatore, allo scopo di impedire efficacemente, col suo carisma personale e meritorio di convertito dall’anglicanesimo, una sempre possibile “protestantizzazione” della nostra modesta Fraternità, dopo avere assistito, impotente, a quella operatasi da cinquant’anni in tutta la Chiesa.

E mi è anche difficile comprendere che egli voglia privarsi delle sue preziose conoscenze in materia di tattiche sovversive, moderniste, liberali e rivoluzionarie dei nemici della Chiesa. Formazione largamente arricchitasi nel tempo per i suoi contatti stretti e alcuni amichevoli con quegli uomini che sono stati provvidenzialmente suscitati per i nostri tempi (anche se, ahimé, un certo numero di essi sono diventati passabilmente impopolari nei nostri ambienti tradizionali in seguito all’opera di un certo «Gentleman cambrioleur » [ladro gentiluomo]!). Penso in particolare a Pierre Virion e a A. M. Bonnet de Viller e ad altri come Jean Vaquier, che sono autori essenziali da conoscere per formarsi una buona comprensione della terribile crisi religiosa, sociale e politica che noi attraversiamo, e dei quali il nostro Superiore non può ignorare gli scritti, secondo la raccomandazione di Nostro Signore che invita gli Apostoli a essere “
semplici come colombe e prudenti come i serpenti».

Infine, mi è difficile immaginare questo Capitolo Generale senza la sua eminente presenza, per la quale esso rischierebbe, forse per solidarietà, di essere privato anche della presenza dei suoi due altri confratelli nell’episcopato, ma soprattutto rischierebbe di privare il nostro Superiore Generale dei suoi preziosi consigli nella redazione finale delle ragioni profonde che egli dovrà necessariamente presentare alle autorità romane per giustificare il rifiuto della Fraternità ad accettare i termini dell’ultima proposta del Card. Levada, dal Superiore stesso giudicata inaccettabile.


Dio voglia che, dissipato felicemente e prontamente questo malinteso, il Capitolo Generale al completo, possa trovare tutta la sua legittimità e permettere, nella pace e nell’unità, a tutti i capitolanti di accordarsi, e al tempo stesso di meditare con frutto questa verità meravigliosamente formulata da San Giovanni Crisostomo che diceva: «
c’è da fidarsi più delle ferite di un amico che dei baci dati da un nemico», e infine di lavorare per chiedere alle autorità romane, con la remissione della scomunica dei due grandi Dimenticati, la piena ed intera riabilitazione del nostro venerato e compianto fondatore Monsignor Marcel Lefebvre, a cui noi dobbiamo tanto!

Sperando con tutto cuore che Lei prenda in considerazione la mia supplica, voglia credere, Monsignore, all’espressione della mia rispettosa e sacerdotale amicizia in Christo Rege et Maria. 


 
Fonte: Una Vox

sabato 7 luglio 2012

Dialogo ebraico-cristiano: la dottrina della sostituzione soppiantata dalla “dottrina delle due salvezze parallele”



In questo articolo vengono presi in esame i più recenti sviluppi del dialogo ebraico-cristiano, e la questione dell’avvenuta mutazione della dottrina della “sostituzione” con la dottrina delle “salvezze parallele”, in riferimento alla più che significativa visita del Papa in Sinagoga il 17 gennaio 2010 ed al ‘succo’ delle parole che vi sono state pronunciate sia da Benedetto XVI che dal rabbino Riccardo Di Segni nonché ai più recenti eventi susseguitisi.

Identità etnica di Israele, identità spirituale del Cristianesimo

Nel corso della visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma, è stata fatta dal Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni una lezione di esegesi su “Israele-Popolo-Terra”.
Nella coscienza ebraica, ha detto Di Segni, è «fondamentale e irrinunciabile» ricordare che la terra santa «è la terra di Israele» per «la promessa fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi di darla ai loro discendenti». Una promessa, ha sottolineato il rabbino, che «si basa sulla Bibbia» la quale per cattolici ed ebrei ha, «pur nelle differenti letture, un significato sacro». Il Papa non ha replicato nulla ma i suoi scritti dimostrano che egli ha idee chiare al riguardo. Che siano esagerati il nazionalismo e le ristrette vedute d’Israele, perché l’Antico Testamento testimonia anche un suo ben pronunciato universalismo, lo dimostra l’allora card. Ratzinger nello scritto seguente:
«Il cristianesimo era quella forma di giudaismo[1] ampliata fino ad attingere l’universalità, nella quale ora veniva pienamente donato quanto l’Antico Testamento fino ad allora non era stato in grado di dare. La fede di Israele presentata nella ‘Septuaginta’ mostrava l’accordo tra Dio e il mondo, tra ragione e mistero. Essa dava direttive morali, ma mancava di qualcosa: il Dio universale era comunque legato a un determinato popolo; la morale universale era legata a forme di vita molto particolari, che fuori di Israele non si potevano affatto praticare; il culto spirituale era pur sempre vincolato ai rituali del Tempio che certo si potevano interpretare simbolicamente, ma in fondo erano superati dalla critica profetica e non potevano essere fatti propri da parte di animi in ricerca. Un non ebreo poteva trovare posto soltanto ai margini di questa religione, rimanere ‘proselito’, poiché l’appartenenza piena era legata alla discendenza carnale da Abramo, a una etnia. Rimaneva il dilemma se era necessario, e in quale misura, l’elemento specifico giudaico per poter servire rettamente questo Dio e a chi spettasse tracciare il confine tra quanto era irrinunciabile e quanto invece era storicamente accidentale o superato. Una piena universalità non era possibile, poiché non era possibile un’appartenenza piena. A questo livello è stato il cristianesimo a praticare per primo una breccia, ad ‘abbattere il muro’ (Ef. 2,14) in un triplice senso: i legami di sangue con il capostipite non sono più necessari, poiché è il legame con Gesù a determinare la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini sono in grado e sono autorizzati a divenire suo popolo. Gli ordinamenti giuridici e morali particolari non obbligano più, essi sono divenuti un precedente storico, poiché nella persona di Gesù Cristo tutto è ricapitolato e chi lo segue porta in sé e adempie l’intera essenza della legge. Il culto antico non è più in vigore, è stato abrogato con l’offerta di sé che Gesù ha fatto a Dio e agli uomini. È  essa ora il vero sacrificio, il culto spirituale, in cui Dio e l’uomo si abbracciano e vengono riconciliati; e la Cena del Signore, l’Eucarestia, ne risulta la reale e certa garanzia sempre presente» (J. Ratzinger, «Fede, Verità, Tolleranza - Il Cristianesimo e le religioni del mondo», Cantagalli, Siena, 2005).
Il Card Ratzinger, oggi Benedetto XVI, spiega che l'universalismo, non esclusivista né etnocentrico ma teologale, già presente nel Vecchio Testamento  è diventato esplicito e si è compiuto solo con l’autentica esegesi che Gesù Cristo ha rivelato e realizzato. Ed è questa la risposta cristiana all’esegesi rabbinica, tuttora esclusivista ed etnocentrica, espressa ed enfatizzata dall’ebraismo. L’ identificazione tribale tra "Dio - terra - popolo" è stata ormai superata da duemila anni. Volerla ripristinare significa non camminare con la Storia della Salvezza portata a compimento dal Signore Gesù. In questo senso possiamo definire arcaica, cioè mitica, la pretesa sionista. Forse queste sono parole 'contro corrente' rispetto alla cultura imperante, ma esse servono per chiamare le cose col loro nome. Ne consegue, infatti, il riconoscimento di Israele come Stato e Nazione, ma senza alcuna valenza 'messianica'.

Attribuzione di portata teologica alla shoah né 'luogo' teologico né dogma di fede

Purtroppo nel suo discorso in Sinagoga il Papa ha asserito che “la shoah” segna “il vertice del cammino dell’odio”, che voleva “uccidere Dio”[2]. Questo  non può restare senza conseguenza sulla tendenza odierna – che va generalizzandosi sempre più – di conferire portata teologica e “neo-dogmatica” ad un fatto storico come la shoah quale “nuovo Olocausto”, che sembra addirittura aver rimpiazzato quello di Cristo. Infatti l’odio di satana ha mosso degli uomini (Sinedrio con il popolo ebraico a lui sottomesso e con la connivenza dei dominatori Romani) ad uccidere Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua natura umana. Questo è il vero vertice dell’odio contro Dio.
La shoah non è né un “luogo teologico” – che, nella metodologia di Melchior Cano, è un criterio di prova teologica – né un dogma di fede, perché i dogmi di fede hanno per oggetto esclusivamente verità rivelate. Nessun cristiano è quindi autorizzato ad enfatizzazioni fuorvianti.
L'appartenenza alla Chiesa non può essere condizionata dall'accettazione di un fatto storico, che non è, non può e non deve diventare un dogma di fede. In ogni caso si tratta di un'appartenenza che non riguarda il popolo ebraico, il quale è interessato al dialogo ma non certo all'assimilazione; rischio che, invece, correrebbe la Chiesa se continuasse il processo di giudaizzazione innescato da tempo e di cui, ad esempio, tra le realtà ecclesiali emergenti, il cammino neocatecumenale è una 'punta' avanzata.

Derive sincretiste e moderniste e processo di giudaizzazione presenti nella Chiesa

Dove viene espunta la Presenza Reale del Signore in una celebrazione (il particolare rito neocatecumenale) la quale non è più il Sacrificio eucaristico che riattualizza il Sacrificio di Cristo, ma solo una festa assembleare che 'commemora' la Cena con la commistione del ricordo dell'uscita degli ebrei dall'Egitto, non è forse già entrato l' abominio della desolazione? Oggi, negli insegnamenti e nelle prassi, soprattutto ai livelli più avanzati, si assiste ad una progressiva giudaizzazione del cristianesimo, arbitrariamente attribuita ad un sedicente spirito-del-concilio, che assume anche connotati neo-protestanti.
Di questo processo è riprova un recente articolo a firma di Marco Morselli “L'ebraismo e i diritti culturali” ove egli afferma tra l'altro: "Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui" (salvo che gli ebrei restano "il popolo dell'Alleanza" e noi i goym...). Nella conclusione, Morselli cita Elia Benamozegh, il noto rabbino livornese che in un’ opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml. 3,24)[3].
Citazione strumentale di Malachia, che parla anche della riconciliazione dei padri verso i figli. E nessuno autorizza a pensare che “i padri” siano gli ebrei e “i figli” siano i cristiani, i quali sono innanzitutto figli di Dio nel Figlio (Giovanni, Prologo 12-14).

Dialogo a “senso unico”

Sta di fatto che gli ebrei si sono in qualche modo riappropriati di Cristo come rabbi e profeta e non certo come Dio... e, oggi, in riferimento al dialogo, arrivano a sostenere: "Il dialogo ebraico-cristiano era giunto negli ultimi mesi a un punto di crisi che sembrava insormontabile, intorno alla questione della conversione degli ebrei. In un recente incontro tra Autorità rabbiniche e Autorità episcopali italiane si è chiarito che non vi è nessuna intenzione da parte della Chiesa Cattolica di operare attivamente per la conversione degli ebrei e che di conversione si parla solo in una prospettiva escatologica"[4] (citazione dall’articolo di Morselli sopra indicato –cfr. Comunicato della CEI riportato di seguito).
Certo, non può esistere da parte della Chiesa – in materia di conversione, che è un dono legato alla libertà inviolabile di ognuno – alcun comportamento coercitorio nei confronti di chicchessia, ebrei compresi; ma questo non significa che la Chiesa debba rinunciare ad annunciare il Signore a tutti, compresi gli ebrei. Questi hanno tutta la libertà di continuare a rifiutarLo ed aspettare il “loro” Messia, ma non hanno il diritto di assimilarci a loro dopo aver annichilito l'Incarnazione, il Sacrificio e la Risurrezione di Cristo con la connivenza dell'apostasia ormai interna agli uomini di Chiesa.
È altresì certo che gli ebrei vanno amati e non perseguitati. L' antisemitismo, la furia distruttrice contro qualsiasi popolo, in quanto creature di Dio è da condannare senza riserve. Questo sembra condiviso da ogni uomo di buona volontà prima ancora che da un vero cristiano. Ciò premesso, dichiarazioni come quella della CEI riportata qui di seguito, nonché le espressioni sul valore delle false religioni presenti nella Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate e le ulteriori posizioni nei confronti degli ebrei non solo non sono imposte con autorità infallibile, ma sono posizioni "pastorali" ambigue e pericolosissime, in contrasto col Magistero precedente, anche perché aprono la strada all'indifferentismo ed al relativismo religioso e, peggio, al sincretismo, i cui guasti abbiamo sotto gli occhi giorno dopo giorno.
Nell’incontro con i rabbini Laras e Di Segni il card. Bagnasco ha dichiarato: «Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’ atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei»[5].
In virtù di quell’incontro e di quella dichiarazione della CEI, è stata ripresa la celebrazione comune della Giornata di riflessione ebraico-cristiana, che cade ogni anno il 17 gennaio e che tre anni fa non vide la partecipazione degli ebrei. “È stata comune la convinzione – si legge nel comunicato – che la ripresa di tale Celebrazione aiuterà la comprensione reciproca e renderà più fruttuosa la collaborazione per la crescita dell’amore verso Dio e il prossimo. Il cammino compiuto in questi ultimi decenni è stato straordinario e pieno di frutti per tutti. In tale orizzonte, quindi, continuerà la riflessione sulle Dieci Parole, come Benedetto XVI aveva auspicato nella sinagoga di Colonia”. Quest’anno, pertanto, per la Giornata di riflessione ebraico-cristiana, si è ripreso il quarto comandamento, secondo la numerazione ebraica: “Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo”. “La fede nel Dio dei Padri, ricevuta in dono – è stato affermato al termine dell’incontro – rende responsabili i credenti cristiani ed ebrei per l’edificazione di una convivenza basata sul rispetto dell'Insegnamento di Dio”.
Ora, noi non possiamo e non dobbiamo ignorare che il riferimento ai dieci comandamenti gli ebrei lo fanno anche quando ne attribuiscono l'osservanza ai “noachidi” né possiamo dimenticare che Noè per loro non fa parte della Storia della Salvezza, la quale comincia con Abramo, e perciò noachidi sono tutti i non-ebrei, compresi noi, mentre gli ebrei si ritengono Popolo Sacerdotale al quale appartengono l'Alleanza e le promesse (v. sì sì no no, 15 maggio 2009, pp. 1-8 Modernismo e giudaismo). Perciò se gli uomini della “Chiesa conciliare” si profondono in questo riconoscimento, altrettanto non può dirsi da parte degli ebrei nei confronti della Chiesa e dei cristiani, che appartengono alla Nuova ed Eterna Alleanza per essi inconcepibile e da essi tuttora rifiutata!
C’è da sottolineare inoltre che l'impegno espresso con le parole: “non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei” eventualmente poteva esser preso, se fosse stato lecito, solo da una persona, che gode di una rappresentatività tale da poter parlare in nome dell'intera Chiesa, e questa persona è il Papa, e non una semplice conferenza episcopale.

CONCLUSIONE

L'irrevocabilità della predilezione appartiene al “Nuovo Israele”, cioè alla Chiesa, fuori della quale la vecchia Alleanza non ha né senso né fine. I rami vecchi sono stati recisi e i nuovi sono stati innestati sul tronco dell'Israele di Abramo che ha creduto nel Cristo venturo. La Legge antica non ha di per sé più alcuna linfa ed i rami isteriliti potranno riavere vita solo dall'innesto in Cristo (v. San Paolo).
L'irrevocabilità della predilezione è qui e solo qui. L’unico oggetto di una predilezione irrevocabile è la Chiesa. Da questa predilezione irrevocabile gli ebrei increduli restano fuori per loro scelta.
L'Antica Alleanza vive, nella parte in cui doveva ancor continuare a vivere dopo la venuta di Cristo, nella Chiesa, Nuovo Israele non secondo la carne, ma frutto della Nuova ed Eterna Alleanza. Vivendo nell'Antica Alleanza, la fede degli ebrei non giustifica né salva, perché non è più la fede di Abramo e dei giusti che credettero nel Cristo venturo, né è quella di coloro che hanno accolto il Cristo venuto.
La discendenza resta "marchiata" in eterno finché si rifiuta di riconoscere il Signore Gesù. Infatti, se è vero che il Signore è fedele alle sue promesse e quindi non ha mai revocato l'Antica Alleanza, è altrettanto vero che i suoi destinatari l'hanno respinta, e che nel Sangue Prezioso di Cristo è stata sancita la Nuova ed Eterna Alleanza, che ha portato a compimento la Salvezza la quale viene, sì, dai giudei, ma non prescindendo dal Signore Gesù. Perciò per salvarsi agli ebrei non basta la Torah e i Profeti (per nulla il Talmud), ma devono riconoscere Gesù Signore come Cristo, cioè come Messia, come colui che doveva venire: è proprio per la sua fede nel Cristo venturo che Abramo ha ricevuto la sua giustificazione ed è divenuto il “padre dei credenti”. Ora gli ebrei si stanno riappropriando di Gesù come rabbi, come profeta, ma non certo come Figlio di Dio e quindi come Dio. Molti rabbini, come Neusner[6] riconoscono i Suoi insegnamenti che sono legati anche alle fonti giudaiche, ma ne respingono il Discorso della Montagna che, guarda caso, sintetizza la Legge Nuova.... Gesù, sia durante l'Ultima Cena che sul Calvario, nonché oltre la Sua tomba vuota, ha fatto qualcosa di completamente nuovo che è esploso in un'altro orizzonte: quello della Creazione Nuova, iniziata dal "fiat" di Maria e dal verginale concepimento di quel Figlio che ha detto un altro "fiat" definitivo.
Questa è la grande, meravigliosa, salvifica eredità che il Signore ci ha lasciato, ed è anche la nostra identità, sulla quale non accettiamo né interferenze né sconti, nel senso di diluizioni e sviamenti apportati da falsi profeti e cattivi maestri, figli del modernismo.
Quanto alle derive sincretiste, il rischio che corre seriamente una certa ala post-conciliare della Chiesa, presente nelle esternazioni di molti vescovi (Zollitsch, ad esempio), è quella di considerare la Morte in Croce di Cristo solo come un grande atto di amore e solidarietà e non ciò che essa è e compie: un sublime atto di Amore, certamente, ma un amore espiativo, oblativo, dono di sé fino alla fine, nel quale si fondono Giustizia e Misericordia da parte di Dio e obbedienza e affidamento totali da parte dell'uomo-Gesù per ogni uomo. In questo senso la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo è il Kippur perenne, affermato da Koch e contestato da Di Segni;[7] perché è il ripristino della Giustizia nel rovesciamento della disobbedienza originaria attraverso il duplice «Fiat», quello dell'Annunciazione ed il suo inscindibile rapporto col mistero del Getsemani, quando "il Sovrano della Storia ha detto il «Fiat» della sofferenza e dell'unione con l'esistenza di tutti gli uomini, per liberare ogni uomo, ogni volta unico, dalla morte e farlo entrare in un'altra realtà di vita eterna"[8].
Non si può ignorare che è proprio la Croce di Cristo la ‘pietra di scandalo’ sia per gli ebrei che per i Riformati di ieri e di oggi e per i non credenti. Stat Crux dum volvitur orbis.
M. G.



[1] Una chiosa sul "cristianesimo come forma di giudaismo": quando si parla di giudaismo in riferimento al cristianesimo, bisogna intendere il giudaismo puro, con esclusione di quello spurio, che condanna e maledice i notzrì (cioè i cristiani). Questo ha inizio con l'esilio in Babilonia e sfocia, a partire dall’ Assemblea di Yavne dopo la distruzione di Gerusalemme, nel giudaismo talmudico o rabbinico, che si è sviluppato contemporaneamente al cristianesimo in una netta differenziazione reciproca. Il cristianesimo, più che una 'forma' di giudaismo, ne è il compimento, nella Persona di Cristo, nei 'tempi ultimi' e nella Creazione Nuova da Lui inaugurata.
[2] Discorso tenuto durante la visita alla Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2009
[3] Marco Morselli, L'ebraismo e i diritti culturali, http://www.nostreradici.it/ebrediritti.htm.
[4] Idem.
[5] Dichiarazione del card. Bagnasco nell' incontro con i rabbini Laras e Di Segni 22 settembre 2009 [6] Jacob Neusner, Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme, 1996.
[7] L’Osservatore Romano, 7 e 29 luglio 2011. sì sì no no , 15 ottobre 2011, pp. 7-8. Entrambi i testi sono consultabili sulla rete Internet alla URL http://www.internetica.it/Croce-Kippur_CristianiedEbrei.htm
[8] Giuseppe Siri, Getsemani, 1987.

Fonte: Si, si, no, no

giovedì 5 luglio 2012

I frutti del Vaticano II in Brasile



Rio de Janeiro


La pubblicazione dei risultati del censimento del 2010 rivela lo stato del Cattolicesimo nel più grande paese cattolico al mondo. Non c’è da rallegrarsi.

La scheda qui sotto è basata sulle schede 36 e 37 del rapporto pubblicato alcuni giorni fa per il Censo Demográfico del 2010 in Brasile fatto dall’ Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística.
Secondo questo rapporto, I cattolici erano il 99,7% della popolazione nel 1872. Nel 1970, la percentuale era calata al 91,8%. Questo declino graduale nell’arco di un secolo si è accelerato dopo il Concilio Vaticano II e l’introduzione della nuova Messa. Ecco le percentuali dei cattolici tra la popolazione totale del Brasile: 89% nel 1980, 83% nel 1991, 73,6% nel 2000 e 64,6% nel 2010.

I protestanti “evangelici” sono quelli che hanno guadagnato di più crescendo da 6,6% nel 1980 al 9% nel 1991, al 15,4% nel 2000, e al 22,2% nel 2010 – con un tasso di crescita che aumenta ogni dieci anni.
Lo Stato con la percentuale di cattolici più piccola è Rio de Janeiro dove solo il 48,5% è cattolico.

Il censimento del 2010 conferma ufficialmente ciò che i sondaggi prevedevano già nel 2007 cioè che i cattolici sarebbero calati al 64% della popolazione del Brasile nel 2010.

Se questa tendenza continua, il Brasile non sarà più un paese a maggioranza cattolica tra il 2020 e il 2025.



Scheda Brasile


Fonte: Rorate Caeli

QUIS CUSTODIT CUSTODEM?

Gerhard Ludwig Müller

Riguardo le nuove nomine di Benedetto XVI



Il Papa ha appena nominato Gerhard Ludwig Müller come Prefetto della Congregazione per la Fede. Come riportato dalle stesse testate giornalistiche, il Vescovo di Ratisbona, 64 anni, originario di Maenz, è un esponente delle cosiddette forze progressiste contro le quali -secondo il cattolico comune- il Papa lotterebbe.

Ma una nomina così importante che segue quella fatta qualche giorno fa al Vescovo inglese Roche come nuovo "Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti" (tristemente noto per la sua avversione alla diffusione della Messa Tradizionale tramite il "Motu Proprio Summorum Pontificum"), dimostra come nelle Sue nomine, Benedetto XVI abbia messo in posti di governo chiave, personaggi totalmente avversi alla Tradizione.

Nello specifico, il Vescovo Muller, ha professato le seguenti eresie:

Contro la Vergintà di Maria Santissima.

Nel suo libro "Dogmatica cattolica: studio e pratica della teologia", Müller nega il dogma della verginità di Maria. Per lui la verginità non ha a che fare con le "caratteristiche fisiologiche nel processo naturale della nascita di Gesù (come la non-apertura della cervice, l’incolumità dell’imene o l’assenza di doglie), ma con l’influsso salvifico e redentore della grazia di Cristo per la natura umana."

Contro il dogma della transustanziazione

Nel suo libro "La Messa, fonte della vita cristiana", egli scrive: "Corpo e sangue di Cristo non significano le parti fisiche dell’uomo Gesù durante la sua vita o nel suo corpo glorificato[...] Corpo e sangue significano qui piuttosto una presenza di Cristo nel segno mediato dal pane e del vino".
Müller in questo modo spiega la transustanziazione: "L’essenza del pane e del vino deve essere definita in un senso antropologico. Il carattere naturale di questi doni [pane e vino] come frutti della terra e del lavoro umano, come prodotti naturali e culturali, consiste nella designazione del cibo e del ristoro delle persone e della comunità umana nel segno del pasto comune [...]. L’essere naturale del pane e del vino è trasformato da Dio nel senso che questo essere ora dimostra e realizza la comunione salvifica."

I protestanti come parte della Chiesa

Durante un discorso in onore del vescovo luterano Johannes Friedrich, l’11 ottobre 2011, Müller ha affermato: "Il Battesimo è il carattere fondamentale che ci unisce sacramentalmente in Cristo davanti al mondo in una sola Chiesa visibile. Noi come cristiani, cattolici e protestanti, siamo dunque già uniti in ciò che chiamiamo la Chiesa visibile. In un senso stretto esistono dunque non tante Chiese, cioè, una accanto all’altra, ma esistono divisioni e spaccature all’interno di un unico popolo e di un’unica casa di Dio."

lunedì 2 luglio 2012

Uno sguardo alla dichiarazione dottrinale rinviata a Roma da Mons. Fellay



L'articolo (Analyse de la déclaration doctrinale)
è stato pubblicato, in tre parti, sul sito francese
Cattolico Refrattario

Noi ne abbiamo fatto un articolo unico, eliminando i richiami  alle parti precedenti presenti all'inizio della seconda e della terza parte.





«L’intera Tradizione della fede cattolica dev’essere il criterio e la guida per la comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, il quale a sua volta chiarisce certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa, implicitamente presenti in esso, non ancora formulati. Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del successivo Magistero Pontificio, relative alla relazione fra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche, devono essere comprese alla luce dell’intera Tradizione.»

Nel corso di una conferenza tenuta alla scuola Saint Joseph des Carmes (nell’Aude) lo scorso 5 giugno, Don Pflüger ha letto un estratto della dichiarazione dottrinale rinviata a Roma da Mons. Fellay, lo scorso 15 aprile. Questo testo, finora rimasto sigillato dal più grande segreto, per la prima volta viene reso pubblico parzialmente ad opera del primo Assistente della Fraternità. Anche se si tratta solo di un estratto, esso è sufficientemente significativo perché ci si possa soffermare a considerarlo.

In questo tipo di documenti – si tratta di una dichiarazione dottrinale – ogni parola conta. Solo un’analisi lineare permette di affrontare in modo appropriato tale testo, che comporta tre grandi affermazioni. Le prime due enunciano dei principi generali, adattati ad un caso particolare nella terza.

L’intera Tradizione della fede cattolica dev’essere il criterio e la guida per la comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
Questa prima affermazione è chiaramente legata alla richiesta spesso ribadita da Mons. Lefebvre: che il Concilio venga letto alla luce della Tradizione.
Queste due espressioni si equivalgono veramente?

A più riprese, l’antico Arcivescovo di Dakar aveva precisato la portata di una tale formula: che siano conservati gli enunciati conformi alla Tradizione, che siano interpretati alla luce di questa stessa Tradizione le formule ambigue e che siano tranquillamente rigettate le affermazioni ad essa contrarie.
Tale spiegazione lascia chiaramente intendere che Mons. Lefebvre non considerava ogni affermazione del Concilio Vaticano II come un “insegnamento” della Chiesa. In effetti, è semplicemente proibito all’anima cattolica rigettare un qualsiasi insegnamento della Chiesa, anche se non esposto in maniera infallibile.

Di contro, la Dichiarazione in questione ammette come “insegnamenti” tutti gli enunciati del Vaticano II, lasciando semplicemente la preoccupazione per la «comprensione».
I termini usati non sono casuali. Dal momento che un insegnamento della Chiesa non può essere messo in dubbio, questi termini implicano l’accettazione globale delle affermazioni conciliari, lasciando da parte la scoperta del loro significato perché se ne abbia la giusta comprensione. L’aggiunta della griglia di lettura: L’intera Tradizione della fede cattolica, non toglie nulla a questo riconoscimento, fondamentale per la Roma odierna e fondamentalmente nuova nella bocca dei rappresentanti ufficiali della Fraternità San Pio X: le affermazioni del Vaticano II, prese globalmente, sono “insegnamenti” della Chiesa.

Questo nuovo posizionamento della Fraternità non è sfuggito agli interlocutori romani di Mons. Fellay, che hanno sottolineato il netto  cambiamento di tono della Fraternità nei confronti del Concilio. Hanno espresso la loro gioia. Mentre hanno pianto coloro che in coscienza non possono ammettere un tale mutamento di attitudine dottrinale.

Ma vi è ancora di peggio. La Dichiarazione dottrinale citata da Don Pflüger aggiunge: il quale [Vaticano II] a sua volta chiarisce certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa, implicitamente presenti in esso e non ancora formulati.

C’è da ritenere che i figli spirituali di Mons. Lefebvre, che hanno conservato una sia pur debole memoria, finiscano col restare quantomeno costernati al cospetto di una tale formula. Poiché a suo tempo il fondatore della loro Fraternità faceva un discorso del tutto diverso, quando metteva ufficialmente nero su bianco il suo giudizio sul Concilio. Rivolgendosi all’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Card. Ottaviani, il 20 dicembre del 1966 (la lettera sarebbe da leggere per intero), Monsignore scriveva:

«Mentre il Concilio si apprestava ad essere una nube di luce nel mondo di oggi, se si fossero utilizzati i testi preconciliari nei quali si trovava una professione solenne della dottrina certa nei confronti dei problemi moderni, oggi si può e si deve sfortunatamente affermare che: dal momento che il Concilio ha innovato, in maniera pressoché generale esso ha scosso la certezza delle verità insegnate dal Magistero autentico della Chiesa in quanto appartenenti definitivamente al tesoro della Tradizione.»

Ed è lo stesso Mons. Lefebvre che entra nei particolari:

«Che si tratti della trasmissione della giurisdizione dei vescovi, delle due fonti della Rivelazione, dell’ispirazione scritturale, della necessità della grazia per la giustificazione, della necessità del battesimo cattolico, della vita della grazia per gli eretici, gli scismatici e i pagani, dei fini del matrimonio, della libertà religiosa, dei fini ultimi, ecc… su questi punti fondamentali la dottrina tradizionale era chiara e unanimemente insegnata nelle università cattoliche. Oggi, numerosi testi del Concilio su queste verità permettono di dubitarne.»

Dopo una tale enumerazione, cosa rimane delle grandi tesi conciliari? Quali sono questi “aspetti della vita e della dottrina della Chiesa” che si suppone siano stati chiariti dal Vaticano II?
Invano mi sono armato di buona volontà… confesso che non sono riuscito a trovarli.

Certo, è stata dichiarata per la prima volta la sacramentalità dell’episcopato, ma anche questa affermazione, che era già comunemente ammessa, è stata offuscata dal Concilio. Se esso la menziona è per poter mettere avanti la sua nuova dottrina sulla trasmissione della giurisdizione episcopale, contraria agli insegnamenti espliciti di Pio XII. Si usa il verbo “chiarire”… ma questo non è il linguaggio della verità, né può essere quello della Fraternità.

Supporre il chiarimento reciproco fra la Tradizione e il Vaticano II è una sciocchezza, frutto dell’accecamento, se si legge ancora la dichiarazione di Mons. Lefebvre del 1966:

«Sarebbe negare l’evidenza, chiudere gli occhi, il non affermare coraggiosamente che il Concilio ha permesso a quelli che professano gli errori e seguono le tendenze condannate dai Papi, di credere legittimamente che le loro dottrine siano ormai approvate.»

Passiamo adesso alla terza affermazione: “Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del successivo Magistero Pontificio, relative alla relazione fra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche, devono essere comprese alla luce dell’intera Tradizione”.

La lettura di quest’ultima frase fa scaturire una prima domanda: perché la questione ecumenica è la sola menzionata? L’affermazione conciliare della libertà religiosa, la trasmissione della giurisdizione episcopale o anche lo statuto dell’ebraismo attuale (beneficiario o meno dell’alleanza salutare di Dio malgrado il suo rifiuto del Salvatore), o più particolarmente la nuova deleteria ecclesiologia che è all’origine di tutte queste deviazioni conciliari… tutte queste novità e molte altre ancora non sarebbero più dei punti non negoziabili per la Fraternità San Pio X? Non negoziabili in quanto derivate dalla stessa fede della Chiesa?
Ma la buona volontà ci porta ad ammettere un’altra possibilità, anche se non appare dalla lettura di queste righe: supponiamo che la questione ecumenica sia menzionata qui solo a titolo d’esempio.

In queste materie ove la divergenza impegna la fede, la Dichiarazione chiede di accettare gli “insegnamenti” del Vaticano II per “comprenderli” alla luce della Tradizione. Testi alla mano, non possiamo evitare di sottolinearne l’utopia.

Come ammettere che lo Spirito di Cristo non ricusi di servirsi delle comunità eretiche o scismatiche come di strumenti di salvezza (Unitatis Redintegratio, n° 3, §3), se si aderisce al dogma cattolico tante volte definito dal Magistero della Chiesa: fuori dalla Chiesa non v’è salvezza? Poiché le due proposizioni sono contraddittorie, si escludono a vicenda, e non si può pretendere di adottarle entrambe, salvo che alle parole non si tolga il loro significato… cosa che allora rende impossibile ogni professione di fede!

Come ammettere l’insegnamento del Magistero pontificio posteriore quand’esso afferma che tutti i battezzati, cattolici o no, sono vivificati dallo stesso e indivisibile Spirito di Dio (Giovanni Paolo II al Consiglio Ecumenico delle Chiese), senza rimettere direttamente in causa la verità più ferma secondo la quale ogni peccato mortale (e cosa c’è di maggior peccato mortale contro la fede del peccato di eresia?) fa perdere questa vita secondo lo Spirito Santo (la grazia santificante)?
Anche qui, l’anima cattolica è al cospetto di proposizioni contraddittorie in materia di fede, proposizioni contraddittorie e dunque inconciliabili.

Come ammettere che i vescovi ortodossi esercitano una vera giurisdizione sui loro fedeli – insegnamento comune per i detentori del Magistero a partire dal Vaticano II – senza rimettere direttamente in causa la fede della Chiesa secondo la quale ogni giurisdizione deriva dal Sommo Pontefice che solo ne ha la pienezza?

In questo solo dominio ecumenico, gli esempi di questo genere potrebbero moltiplicarsi, e la lista potrebbe allungarsi a dismisura se si volessero prendere in considerazione tutti problemi sollevati dalle abituali affermazioni dei detentori del Magistero da dopo il Vaticano II. Come ammettere, per esempio, con Benedetto XVI (discorso alla sinagoga di Roma), che l’Antica Alleanza rimane salvifica, quando San Paolo afferma esattamente l’opposto nelle lettere ai Romani e ai Galati?

Questi pochi esempi manifestano la vera gravità della Dichiarazione dottrinale inviata a Roma nell’aprile scorso. Essa esclude la possibilità di ogni contraddizione tra queste differenti affermazioni, per costringersi sulla strada di un’impossibile ermeneutica della continuità: non possono aversi degli sviluppi omogenei tra due contraddizioni. Richiudersi in questa logica non è di nocumento alla sola Fraternità, è soprattutto di nocumento al bene della fede e dunque all’intera Chiesa.


Fonte: Una Vox

Scippata l'opera di Mons. Lefebvre

 
 
L'articolo (Hold-up sur l'oeuvre de Mgr. Lefebvre)
è pubblicato sul settimanale francese Rivarol
 
di Pierre Labat

La novella delle relazioni della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX, fondata da Mons. Lefebvre) con Roma non smette di occupare i titoli di prima pagina.

Ultima novità: il Superiore della FSSPX, Mons. Bernard Fellay, rifiuterebbe di firmare il Preambolo dottrinale propostogli dal Vaticano, dopo che questo testo è stato oggetto di negoziati da quasi un anno. Al tempo stesso, si viene a sapere che a Mons. Williamson è stato interdetto di assistere alle ordinazioni sacerdotali del 29 giugno e al Capitolo generale della sua Congregazione. Infine, diverse comunità religiose tradizionali (Domenicani di Avrillé, Cappuccini di Morgon) quest’anno non potranno fare ordinare i loro candidati.

È da dodici anni che la Fraternità si avvicina a poco a poco alle autorità vaticane. A metà aprile, tutto sembrava concluso.
Questo nuovo passo indietro di Mons. Fellay è veramente reale?
Tutto lascia pensare che esso mascheri solo le ultime manovre per disarmare le opposizioni interne.
In effetti, queste non mancano. Ci sono innanzi tutto i tre confratelli nell’episcopato di Mons. Fellay, che l’hanno messo in guardia solennemente. Poi ci sono diversi semplici sacerdoti che, a rischio di farsi escludere dalla loro Congregazione, non hanno esitato a manifestare pubblicamente la loro opposizione ad una “regolarizzazione” canonica mentre ancora sussistono più grandi disaccordi dottrinali.

I chierici sono divisi e i fedeli sono inquieti. Mons. Fellay, che credeva di riunire dolcemente il suo piccolo mondo a Benedetto XVI, in realtà ha appiccato un incendio in casa sua. Egli appare isolato tra i suoi confratelli, anche se gran parte di essi non osano esprimersi per paura di essere allontanati.
Regna il terrore.

Come si è giunti a tanto?

Mons. Fellay è stato nominato Superiore generale della FSSPX nel luglio del 1994. Dirige la Congregazione da diciotto anni. Prima è stato uno dei principali collaboratori di Don Franz Schmidberger, nominato Superiore nel 1982 per succedere a Mons. Lefebvre.
Non è esagerato affermare che Mons. Fellay è stato formato da Don Schmidberger, che gli è rimasto vicino e non esita a riprenderlo vivamente quando le cose non vanno secondo il suo piacimento.

Don Schmidberger, originario di una famiglia contadina della Schwaben [in Baviera], è attualmente il Superiore del Distretto di Germania della FSSPX. Egli ha sempre mantenuto il contatto col Card. Ratzinger, di cui aveva seguito i corsi durante i suoi studi. Secondo quanto si dice, egli avrebbe inviato ogni anno dei fiori al suo vecchio professore in occasione del compleanno.
Ha anche svolto un ruolo importante nel corso dei primi negoziati della FSSPX, condotti nel 1988 da Mons. Lefebvre con la Roma modernista e apostata… rappresentata dal Card. Ratzinger. Quell’anno, Mons. Lefebvre firmò un accordo col Cardinale, che rigettò l’indomani e procedette alla consacrazione dei quattro vescovi ricordati prima.

Mons. Fellay, che risiede nella Svizzera tedesca, ama circondarsi di sacerdoti germanofoni, come il suo braccio destro Don Pfluger. In effetti, nonostante la maggior parte dei suoi fedeli siano francesi, la FSSPX è diretta da Tedeschi.

Don Schmidberger era presente all’udienza dell’agosto 2005, nel corso della quale Benedetto XVI e Mons. Fellay misero a punto le tappe del processo di riunione della FSSPX alla Chiesa conciliare.
La brutale ripresa in mano della FSSPX a cui assistiamo oggi, porta il suo marchio.

In effetti, il processo di ritorno nella Chiesa conciliare dei tradizionalisti lefebvriani non si è certo svolto in maniera tranquilla.
Iniziato nell’agosto del 2000, in occasione del pellegrinaggio dei tradizionalisti a Roma, nel corso del quale il Card. Castrillon Hoyos aveva ricevuto i quattro vescovi, esso conobbe una brutale battuta d’arresto nel 2001 a causa della vigorosa opposizione di numerosi sacerdoti e laici.
Certo d’accordo con Roma, da allora Mons. Fellay si adoperato per rimettere un po’ d’ordine in casa. Il che è iniziato con la ripresa in mano dei seminari: furono scartati dalle ordinazioni tutti gli spiriti liberi. Mons. Fellay dichiarava in privato che preferiva avere meno sacerdoti, ma che fossero ubbidienti. Questa brutale gestione maltusiana provocherà una grave crisi nel 2004, anno che vide il distacco dalla FSSPX di forti personalità come Don Laguérie e Don de Tanoüarn, oggi ritornati a Roma.

Mons. Fellay si è poi adoperato ad escludere dai posti di responsabilità, in particolare da quelli che permettono l’accesso al Capitolo generale della FSSPX, i sacerdoti che non condividevano la sua attrazione per la Roma conciliare. Questa politica gli ha permesso di conservare la sua poltrona al Capitolo del 2006, è sempre più facile essere rieletti quando si nominano i propri elettori.

L’elezione di Benedetto XVI nel 2005 rilanciò i negoziati. Si convenne di andare avanti lentamente. Allo scopo di rassicurare gli oppositori, Mons. Fellay promise che non vi sarebbe stato alcun accordo senza la concretizzazione di preliminari che sarebbe stato impossibile ottenere. Si trattava innanzi tutto della remissione della comunica che aveva colpito i Vescovi tradizionalisti e poi che Benedetto XVI “liberalizzasse” la Messa tradizionale. Questi “preliminari” furono un’idea di Mons. Rifan, Vescovo di Campos, oggi ritornato a Roma.

Mons. Fellay, che ostenta una grande pietà mariana, al punto che i suoi sostenitori gli attribuiscono una vera santità degna, loro pensano, di Mons. Lefebvre, ha chiamato i fedeli a recitare (e a contabilizzare) milioni di Rosari. Gli obiettivi erano quantitativi! Questo li avrebbe tenuti occupati, anziché perdere il loro tempo ad informarsi su internet!
Di fronte al gran numero di Rosari debitamente consegnati dalla FSSPX, il Cielo si sarebbe pur deciso a fare i “miracoli” richiesti.

Così Benedetto XVI ha tolto le scomuniche, dopo che i Vescovi ne avevano fatta richiesta scritta. Non bisogna scoraggiare coloro che dimostrano buona volontà. E poi l’aveva già fatto Paolo VI nel 1965 col Patriarca Atenagora. D’altronde, queste preoccupazioni d’altri tempi non interessano più nessuno.

Quanto alla Messa tradizionale, egli decise che poteva essere celebrata a titolo “straordinario”: in qualche modo un posto folkloristico nel patrimonio cattolico.

Venne in seguito la tappa dei colloqui dottrinali. Si trattava del cuore della questione: per mettersi d’accordo bisognava professare la stessa fede.
Questi colloqui furono circondati dal segreto più stretto, poiché non si era troppo sicuri del loro successo.
Ed ecco che questi colloqui sfociano in uno scacco totale. Secondo i teologi, è impossibile conciliare le dottrine partorite dal Vaticano II con i precedenti insegnamenti dei papi, specialmente sulla questione dei rapporti con le altre religioni e del posto della religione cristiana nella società.
Gli esperti tradizionalisti uscirono da due anni di colloqui più agguerriti che mai: l’accordo si presentava impossibile!

Bisognerà lavorare tanto sui testi, per firmare un accordo in cui ciascuno possa leggere l’inverso di quello che vi legge il suo interlocutore!
Fu questo il lavoro degli ultimi mesi.
Mons. Fellay mantenne uno stretto segreto (secondo i metodi massonici) sul progetto di Preambolo. Il cui impatto avrebbe toccato incontestabilmente la fede di tutti i tradizionalisti.
Neanche i sacerdoti (i Vescovi?) della FSSPX ne hanno avuto conoscenza, cosa che ha creato un vero malessere.

Ma più è complicato, più si realizza!
Don Pfluger ha spiegato appena due settimane fa, nel Sud della Francia, che l’obiettivo dei colloqui dottrinali non era mai stato quello di convincere gli interlocutori dei tradizionalisti. Si trattava al massimo di valutare le differenze. Mons. Fellay, quindi, si appresta a concludere lo stesso accordo puramente pratico che aveva rimproverato ai suoi vecchi confratelli dell’Istituto del Buon Pastore.

Perché dunque il voltafaccia attuale?

Il fatto è che la ribellione sale. La FSSPX minaccia di esplodere. Roma non ha intenzione di recuperare una conchiglia vuota, anche se questa conchiglia apporta il patrimonio della FSSPX, che appare importante.

Ciò che interessa a Benedetto XVI è far cessare questa dissidenza che contesta il Vaticano II e di conseguenza getta nel dubbio circa la sua legittimità. Bisogna quindi che la truppa si accodi.

Ecco allora che Roma rileva opportunamente le sue esigenze dottrinali, fornendo così a Mons. Fellay, che si appresta a rifiutare il Preambolo dottrinale, il bel ruolo di difensore dell’ortodossia.
Ovviamente, Mons. Fellay metterà a profitto questo nuovo ritardo, “ripulendo” le sacche di resistenza. Cadono le teste. A cominciare da quella di Mons. Williamson, che da solo costituisce un ostacolo all’avvicinamento, poiché s’è messo contro la comunità ebraica. Altri seguiranno.

Cosa accadrà al Capitolo generale? Si ha ragione di credere che si tratterà di un non-avvenimento. Mons. Fellay esclude d’autorità i suoi oppositori. Egli ripete che si tratta di un Capitolo speciale, non previsto dagli Statuti. Padroneggia perfettamente l’ordine del giorno. D’altronde, gli Statuti non sembrano essere la sua preoccupazione principale e le modalità di convocazione di questo Capitolo meriterebbero indubbiamente un esame di conformità.
Mons. Fellay non sembra preoccupato per l’esito delle discussioni. Cadranno le teste.

Assistiamo ad uno scippo dell’opera di Mons. Lefebvre, condotta dal commando tedesco di Benedetto XVI.


 Fonte: Una Vox