venerdì 9 novembre 2012

I pentiti del Concilio



"Tutto è diventato così avvizzito".

Il filosofo Spaemann a cinquant'annidal Concilio Vaticano II



In una recente intervista rilasciata da Robert Spaemann al giornale Die Welt (26 ottobre 2012), il filosofo tedesco spiega perché a suo giudizio non c'è motivo, a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, per una celebrazione giubilare: "tutto infatti è divenuto così avvizzito... È subentrata nella Chiesa un'epoca del tramonto. Persone che negano la risurrezione di Cristo rimangono professori di teologia e predicano come sacerdoti. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui c'è qualcosa che non va". Vediamo in dettaglio l'intervista in una nostra traduzione [Approfondimenti di "Fides Catholica"]

Die Welt: Lei era a Roma per la celebrazione del giubileo del Concilio Vaticano II. Per lei personalmente un motivo per festeggiare?

Robert Spaemann: In verità no. Si deve dire apertamente in primo luogo che si è introdotta un'epoca del tramonto. Una celebrazione giubilare non può far assolutamente niente di fronte al fatto che migliaia di sacerdoti già durante il Concilio hanno lasciato il loro ministero.

Die Welt: Quale la responsabilità del Concilio a tal proposito?

Robert Spaemann: Fu parte di un movimento, che ha avvolto l'intero mondo occidentale, parte della cultura della rivoluzione. Papa Giovanni XXIII disse allora che fine del Concilio era l'aggiornamento della Chiesa. Questo fu tradotto da molti con adattamento, adattamento al mondo. Ma questo fu un malinteso. Aggiornamento significa: opposizione della Chiesa al mondo, che sempre ha avuto e sempre deve avere, attualizzandola per il nostro tempo. Questo è il contrario di adattamento.

Die Welt: Giovanni XXIII certamente nel suo stesso discorso di apertura del Concilio ha risvegliato le attese che si trattasse di adattamento.

Robert Spaemann: Questo è vero. Giovanni XXIII era un uomo profondamente devoto. Ma era impresso di un ottimismo che presto già lo si poteva definire scellerato. Questo ottimismo non era giustificato. Nelle cose ultime la prospettiva storica cristiana suona conforme al Nuovo Testamento: alla fine ci sarà un grande apostasia, e la storia si scontrerà con l'Anticristo. Ma di questo il Concilio non fa parola. Si è eliminato tutto ciò che alludeva a lite e conflitto. Si è voluto benedire lo spirito del mondo emancipatore e culturalmente rivoluzionario.

Die Welt: Se in Germania come all'inizio dell'anno un tribunale giudica che la Chiesa cattolica può essere chiamata impunita setta di pedofili nessuno protesta. Questo ha qualcosa a che fare con lo spirito del Concilio Vaticano II?

Robert Spaemann: Sì. Il Concilio ha indebolito i cattolici. La Chiesa si è sempre trovata in un combattimento, un combattimento spirituale, non militare, ma una lotta. L'Apostolo Paolo parla delle armi della luce, l'elmo della fede ecc. Oggi la parola "nemico" è diventata indecente, il comandamento "Amate i vostri nemici" non può essere più impiegato perché non siamo più autorizzati ad avere nemici. Per i cosiddetti cattolici progressisti c'è in realtà ancora solo un nemico: i tradizionalisti. Questo è sì un'eredità del Concilio. Certamente noi cristiani per le offese della fede e della Chiesa non dovremmo usare nessuna violenza. Ma protestare dovrebbe essere possibile.

Die Welt: I testi che il Concilio dopo lunghe discussioni ha approvato sono vaghi compromessi. Chi ha vinto, riformatori o tradizionalisti?

Robert Spaemann: Nessuno dei due. Entrambi gli schieramenti hanno agito al Concilio come politici. Questo vale soprattutto per il partito dei progressisti. Quando per una decisione potevano prevedere di non ottenere la maggioranza, hanno introdotto nella decisione di compromesso alcune clausole generali, da cui sapevano, che dopo il Concilio poteva essere ammollita. Hanno spesso lavorato in modo cospirativo. E hanno fino a oggi la prerogativa dell'interpretazione sul Vaticano. Gradualmente tuttavia si instaura una nuova coscienza. Lentamente si cessa di mentire nelle proprie tasche. Tutto è diventato così avvizzito: uomini che negano la risurrezione di Cristo possono rimanere professori di teologia cattolici e predicare come sacerdoti durante le Messe. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui certo qualcosa non funziona.

Die Welt: Cosa intende quando dice che i novatori avrebbero una prerogativa di interpretazione sul Vaticano?

Robert Spaemann: Le porto tre esempi. Oggi viene detto spesso che il Concilio avrebbe eliminato il celibato. Si dovrebbe solo condurre fino in fondo gli accenni di allora. A tal proposito mai prima alcun concilio ha difeso il celibato con così tanto rilievo. Secondo esempio. I vescovi tedeschi hanno annunciato nella cosiddetta dichiarazione di Königstein che l'insegnamento della Chiesa in materia di "pillola" non è vincolante. Il Concilio aveva detto proprio il contrario, ovvero che l'insegnamento della Chiesa in questa domanda obbliga in coscienza i cattolici. O, terzo esempio: ognuno sa che il Concilio ha autorizzato la lingua del popolo nella liturgia. Solo alcuni sanno: il Concilio ha soprattuto asserito che la lingua propria della liturgia della Chiesa occidentale è e riamane il latino. E Papa Giovanni XXIII ha appositamente scritto un'enciclica sul significato del latino per la Chiesa occidentale.

Die Welt: Cosa le disturba soprattutto?

Robert Spaemann: Non penso a singole scelte. Maggiormente a ciò che veramente è stato fatto dal Concilio. Forse si deve ricominciare a leggere i testi originali. Già alla fine del Concilio si è sollevato, come scrive Joseph Ratzinger, come un certo spettro, che si chiama "spirito del Concilio" che, molto condizionato, aveva a che fare solo con decisioni fattuali. Spirito del Concilio significa: la volontà del nuovo. Fino ad oggi i cosiddetti riformatori si richiamano attraverso tutte le possibili idee di riforma allo spirito del Concilio e intendono con ciò adattamento. Oggi però abbiamo bisogno del contrario del "mondanizzarsi della Chiesa", che già Lutero deplorava. Abbiamo bisogno di ciò che il Papa chiama "fine della mondanizzazione" (Entweltlichung).

Die Welt: Lei ha scritto: "L'autentico progresso rende talvolta necessarie le correzioni di corso e in talune circostanze anche passi indietro" Come può la Chiesa invertire rotta?

Robert Spaemann: Fondamentalmente deve fare quello che sempre ha fatto: deve sempre tornare indietro. Vive dei Santi, che sono modello del tornare indietro. Non è in ordine se la Chiesa in Germania, a cui appartiene la Casa Editrice "Weltbildverlag", si sostiene per anni mediante la vendita del porno. Per dieci lunghi anni i cattolici hanno informato di questo i vescovi e non è successo niente. Ora che il tutto viene fuori il segretario della Conferenza Episcopale Tedesca ha fatto di questi fedeli con disprezzo dei fondamentalisti. Che ora viene introdotta questa prassi di vendita ha a che fare poco evidentemente con il tornare indietro.
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Fonte: Die Welt by Approfondimenti di "fides Catholica"
Vedi anche la notizia su: www.kath.net
Tratto da Una Fides

venerdì 2 novembre 2012

IL DOVERE DI PAGARE LE TASSE GIUSTE


 
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“Il cristiano non deve sempre tirarsi indietro, far la parte del moderato, del perennemente condannato alla perplessità, all’astensione e all’impotenza, lasciando così praticamente le fila del movimento della storia  in mano a coloro che sono meno dotati di scrupoli; il cristiano, quindi, non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando  sia necessario in modo assoluto” (R. Pizzorni).
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Introduzione/attualità

●In questi ultimi mesi si parla molto del dovere di pagare le tasse, del danno grave che arrecano alla Società gli evasori fiscali. Tuttavia si omette di ricordare che vi sono tasse giuste, che vanno pagate sotto pena di peccato mortale e di reato penale, tasse ingiuste, che si possono evadere senza peccato e senza reato e addirittura tasse intrinsecamente e direttamente perverse, ossia direttamente contrarie alla  legge divina, che debbono essere non pagate anche col rischio della propria vita. In quest’articolo cercherò di esporre un sunto della dottrina cattolica tradizionale a riguardo.

La dottrina cattolica

●Se lo Stato esige dall’individuo un sacrificio non necessario al bene comune, come quando impone ai sudditi imposte troppo onerose (se per esempio le imposte dirette superino il 20% ed arrivassero al 50% di ciò che il capofamiglia guadagna)  e che non giovano al bene pubblico, esse non obbligano in coscienza. 

●I moralisti  in genere insegnano che l’imposta giusta non deve superare circa il 10 % -20 % del salario: “Bisogna riconoscere che in pratica gli Stati abusano del loro diritto di imporre  i tributi, elevandoli a dismisura, senza un’adeguata ragione di bene comune, per cui facilmente i cittadini si convincono della poca giustizia dei tributi [...]. Per questo  oggi i teologi parlano di rieducazione dello Stato e dei cittadini alle proprie responsabilità [imporre imposte giuste, e dovere di pagare le imposte giuste, nda]...” (Enciclopedia Cattolica, vol. XII, col. 512, Città del Vaticano, 1954). 

●È chiaro che non solo i cittadini hanno l’obbligo  di pagare le tasse, ma soprattutto lo Stato  deve essere rieducato ad imporre tasse giuste quanto alla materia (non oltre il 20%) e quanto al fine (per il bene comune della Nazione); esso deve trattare i contribuenti come cittadini e non come schiavi, se non vuole diventare tirannide (cfr. S. Th., II-II, q. 64, a.1, ad 5um). Ora si costata che soprattutto oggi le tasse sono ingiuste sia quanto alla materia (esse superano di gran lunga il limite del 20%) sia quanto al fine (non mi riferisco solo agli episodi di ruberie da parte dei governanti, ma soprattutto al fatto che oggi le Patrie non esistono più e si tende alla globalizzazione e alla costruzione del Nuovo Ordine Mondiale, che è il nemico delle Patrie e del bene comune dei cittadini). Il governo di tecnici, sotto apparenza di bene, sta instaurando una cleptocrazia e uno stato di polizia ove il benessere comune della Società civile e le vere libertà della persona sono quasi totalmente inesistenti. Se già da qualche decennio la situazione degli Stati è iniziata a degenerare, oramai si può parlare di vera e propria tirannia. Cerchiamo di vedere qual è la giusta attitudine da adottare in questo stato di cose.

Resistenza alle leggi ingiuste

●Una legge può essere ingiusta in due maniere:
a) se prescrive una cosa direttamente contraria al diritto divino (es. aborto, divorzio, matrimoni omosessuali ed eutanasia …).
b) Se si oppone al diritto umano (imposte troppo onerose, che sorpassano il  10-20% di quanto guadagna il capo famiglia). Le tasse ingiuste (contrarie al diritto umano) se sono utilizzate dallo Stato anche per un fine cattivo (per la pratica degli aborti) diventano indirettamente contrarie al diritto divino.
In tutti i casi tali prescrizioni “non hanno alcuna forza di legge, perché sono in disaccordo - scrive Leone XIII - con i princìpi della retta ragione e gli interessi del bene pubblico” ([1]) e quindi non obbligano in coscienza. Per quanto riguarda le tasse ingiuste è lecito perciò praticare la ‘compensatio occulta’, ossia possono essere evase, e, se vengono impiegate direttamente per un fine contrario alla legge divina, debbono essere evase (per esempio se arrivasse al cittadino una cartella delle imposte con specificata richiesta di un importo per la pratica degli aborti, bisogna fare l’obiezione di coscienza anche a costo di grave incomodo, pure sotto pena di morte). Se invece le tasse sono impiegate soltanto indirettamente per un fine contrario alla legge naturale e divina (se arriva la richiesta delle tasse con cui lo Stato finanzia anche gli aborti, senza che ciò sia specificato e venga richiesta una somma per questo fine intrinsecamente malvagio) possono essere evase a condizione che non obblighino con grave incomodo (persecuzione, carcere, uccisione).

●Si può obiettare: chi ha il diritto di giudicare se una legge è nociva? La risposta è semplice: ogni coscienza retta è normalmente in grado di discernere;  nei casi difficili bisogna farsi illuminare da uomini prudenti e competenti, possibilmente ecclesiastici. In breve, la tradizione scolastica, quasi unanimemente, riconosce che la Nazione ha il diritto di resistenza, che può giungere, come extrema ratio, sino alla rivolta e alla deposizione del tiranno.

Liceità della resistenza alla legge ingiusta

●Il Padre gesuita Andrea Oddone  ha scritto nel 1944-45 che la resistenza passiva è sempre lecita nei riguardi di una legge ingiusta. La resistenza attiva legale, in casi in cui la religione è messa in pericolo, è lecita, anzi occorre ²deplorare  - come insegna Leone XIII nell’Enciclica Sapientiae christianae del 1890 - l’attitudine di coloro che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”. La resistenza attiva armata è legittima:
a)  se la tirannia è costante;
b)  se è manifesta o giudicata tale dalla “sanior pars” della società;
c)   se le probabilità di successo sono numerose;
d)  se la situazione successiva non si prevede peggiore dell’anteriore ([2]).

●Ai nostri giorni il Padre domenicano Reginaldo Pizzorni  insegna che l’obbligazione appartiene all’essenza della legge, perché sarebbe inconcepibile una legge non obbligante; però si pone una domanda: “Siamo sempre tenuti a ubbidire alla legge umana?; oppure: è lecita la resistenza alla legge ingiusta?, è ‘un sacro dovere’ la resistenza all’oppressione?” ([3]).

●Per i Padri e i Dottori della Chiesa la risposta è unanime. S. Agostino dice: “legge ingiusta, legge nulla” ([4]) ; essa non è più legge sed corruptio legis. Parimenti “un’autorità che non s’ispirasse alla giustizia  sarebbe tirannide e la sua legge non avrebbe più un valore intrinseco di giuridicità, ma sarebbe solo una perversione della legge, più che una legge sarebbe un’iniquità, per cui non ha più natura di legge, ma di in-giustizia. Quindi [...] non è assolutamente vincolante, perché nulla che è contro la ragione è permesso” ([5]). In questi casi non solo è lecito non ubbidire, “ma sarà moralmente legittima anche la resistenza, benché i limiti della stessa siano segnati dalla conservazione del bene comune, che deve prevalere sul bene individuale [...]. Pertanto anche delle leggi ingiuste, a meno che  non si tratti di leggi contrarie direttamente al bonum divinum, nel qual caso in nessun modo si possono osservare (S.Th., I-II, q. 96, a. 4), possono obbligare per [...] salvare l’ordine e la tranquillità dello Stato. [...]. Non bisogna tuttavia temere tra i sudditi solo lo spirito di ribellione, ma anche quello del servilismo” ([6]).

●Per quali motivi, prosegue padre Pizzorni, “la legge è propriamente ingiusta? Per due motivi:
1°) Perché in contrasto col bene umano:
a) sia per il fine, come quando chi comanda impone al suddito leggi onerose (come le tasse sproporzionate), non per il bene comune, ma piuttosto per la sua cupidigia (l’arricchimento dei politicanti);
b) sia per l’autorità, come quando uno emana una legge  superiore ai propri poteri [per esempio lo Stato che voglia legiferare in spiritualibus] ; [...]. Perciò codeste leggi non obbligano in coscienza; a meno che non si tratti di evitare scandali o turbamenti [...].
2°) Perché contrarie al bene divino: come le leggi che portano direttamente all’idolatria [...]. E tali leggi in nessun modo si possono osservare; poiché sta scritto: ‘Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini’ (Atti, V,  29)” ([7]).

●Nel resistere alla legge ingiusta occorre distinguere la resistenza passiva da quella attiva.
La resistenza passiva consiste nella non esecuzione della legge ingiusta, fino a che non vi si è costretti con la forza; ma nel caso in cui la legge ingiusta comandi qualcosa di peccaminoso, “un atto intrinsecamente cattivo in sé, la resistenza non solo è permessa, ma è sempre obbligatoria; non si possono eseguire ordini criminali” ([8]).
La resistenza attiva, a sua volta, si suddivide in :
a) Resistenza attiva non violenta: consiste in un’opposizione positiva alla legge ingiusta, compiuta sul terreno delle leggi o con mezzi legali, per es. pubbliche riunioni, proteste, petizioni, ricorso ai tribunali. “Occorre non rifugiarsi nell’indifferenza e nell’inerzia di coloro che non sanno o non vogliono organizzarsi e lottare per una causa nobile e giusta, per timore e viltà di affrontare i sacrifici e i maggiori doveri che questa lotta porta con sé [...]. ‘A chi cadrebbe in animo di tacciare i cristiani dei primi secoli di nemici dell’Impero Romano, solo perché non si curvavano dinanzi alle prescrizioni idolatriche, ma si sforzavano di ottenerne l’abolizione?’ (Leone XIII, Lettera ‘Notre Consolation’ ai cardinali francesi , 3 maggio 1892)” ([9]) . 
b) Resistenza attiva violenta o a mano armata: “Quando la legge ingiusta cerca di imporsi con la violenza e con la forza, è lecito ai cittadini organizzarsi e armarsi, opporre la forza alla forza” ([10]). Padre Pizzorni continua: “il diritto di resistenza è generalmente ammesso, e, da S. Tommaso in poi, salvo rare eccezioni, è stato ammesso anche da tutti i teologi come ultima ratio, come ultimo ed estremo rimedio, quando tutti gli altri mezzi previsti non sono possibili o si sono dimostrati insufficienti” ([11]).

●Tuttavia, occorre specificare che secondo l’Angelico le condizioni richieste per la liceità della resistenza attiva, violenta o a mano armata sono quattro:
1°) la tirannide deve essere costante e abituale, tale da rendersi intollerabile, e ciò vale sia per il tiranno di usurpazione che per quello di governo (De regimine principum I, 7).
2°) La gravità della situazione deve essere manifesta, non solo a una qualsiasi persona privata, ma alla sanior pars populi.
Qualora non vi sia un superiore del re, come l’Imperatore o il Papa che deponeva i tiranni, secondo S. Tommaso è la vox populi o la multitudo, ossia la comunità, che debbono farsi sentire, guidate dal consiglio degli homines virtuosi. Così “quelle persone non agirebbero più come persone private, ma come persone autorizzate dal popolo, la qual cosa è richiesta perché il punire è un atto di giurisdizione che richiede un superiore” ([12]).
3°) Ci deve essere una fondata speranza di riuscita: altrimenti non vi sarebbe ragion sufficiente di insorgere, per il pericolo di inasprire la tirannide. La resistenza armata deve perciò essere ben organizzata, ben concordata e ben condotta.
4°) La caduta del tiranno non deve creare una situazione peggiore di quella in cui si stava prima.

●“Il cristiano non deve sempre tirarsi indietro, far la parte del moderato, del perennemente condannato alla perplessità, all’astensione e all’impotenza, lasciando così praticamente le fila del movimento della storia  in mano a coloro che sono meno dotati di scrupoli; il cristiano, quindi, non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando  sia necessario in modo assoluto” ([13]).

La tirannide

Secondo S. Tommaso l’essenza della tirannide si esprime nei comandi rivolti dall’Autorità ai sudditi non in quanto soggetti della società bensì come schiavi (S. Th. , II-II, q. 64, a.1, ad 5um). I commentatori dell’Angelico, ad esempio il Gaetano ([14]) e Suarez ([15]), distinguono tra tiranno d’usurpazione  e  tiranno di governo.
1°) Il  Tiranno d’usurpazione è l’ingiusto aggressore di un potere legittimo. All’inizio del suo operare, egli è senza titolo legittimo, ma dopo un certo tempo può giungere ad imporsi e la Nazione può accettarlo come suo capo legittimo.
2°) Il Tiranno di governo è un sovrano legittimo, regolarmente investito del potere. Ma egli abusa dell’autorità, non governando per il bene comune dei sudditi, bensì per il proprio.

Tirannia e legittimità

Nessuna società potrebbe sussistere senza un capo che comanda e dirige i sudditi verso il bene comune. Dio ha voluto la società, avendo creato l’uomo animale sociale, e perciò necessariamente ha voluto l’autorità, che procede da Dio. L’autorità, la cui missione è la salus populi suprema lex , ha, però, dei limiti. Il ruolo del potere e la sua ragion d’essere è di spingere ognuno verso il bene comune. “Se l’autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d’essere” ([16]). 

Perdita della legittimità

 ●La Scolastica riteneva che l’abuso di potere fosse il caso principale di realizzazione di una tirannia: “Gli scolastici, da S. Tommaso a Suarez, non esitano a dire che la Nazione  ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno, poiché ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo. Ma bisogna che l’abuso sia grave, permanente e universale [...]. Secondo gli scolastici, il potere del principe decaduto ritorna al popolo o alla Nazione che glielo  aveva affidato” ([17]).


La resistenza al tiranno

Nell’XI secolo, Manegold da Lautenbach ([18]) equiparava il principe-tiranno “ad un guardiano di porci; se il pastore, invece di far pascere i porci, li ruba, li uccide o li smarrisce, è giusto rifiutargli  di pagargli il salario e scacciarlo ignominiosamente” ([19]). «In Manegoldo - scrive Padre Carlo Giacon - vi è tutta una teoria logicamente connessa [...] è legittima l’autorità che governa secondo la legge di Dio [...] e siccome il potere è nel re  perché datogli immediatamente dal popolo [e mediatamente da Dio, nda] [...] per cui il popolo è obbligato ad ubbidire e i re a ben governare [...] se il re va contro la legge naturale e divina... da sé rinuncia al diritto di governare [...] giudicato come un pubblico nemico, è legittima la resistenza e la difesa contro di lui» ([20]). S. Tommaso nel De regimine principum  insegna che, “se appartiene di diritto alla moltitudine di darsi  un capo, essa può, senza ingiustizia, condannare il principe a disparire, o può mettere freno al suo potere se ne usa tirannicamente...” ([21]). Tuttavia per l’Angelico, «anche se alcuni insegnano essere lecita l’uccisione del tiranno per mano di un qualsiasi privato [...], è pericolosissimo permettere l’uccisione privata del tiranno, perché i malvagi si riterrebbero autorizzati a uccidere i re non tiranni, severi difensori della giustizia [...] contro i tiranni eccesivi e insopportabili  si può agire solo in virtù di una pubblica autorità» ([22]). La stessa dottrina è insegnata da Bañez ([23]) Billuart ([24]) Bellarmino ([25]) Suarez ([26]). La tradizione scolastica è quasi unanime nel riconoscere il diritto di resistenza, che - in casi estremi - può giungere alla rivolta armata. Juan De Mariana opina che il tirannicidio sia lecito anche privata auctoritate, perché non è da condannarsi colui che, eseguendo la comune volontà, procura di sopprimere il tiranno ([27]). Tuttavia, per il Mariana, non significa che a ciò basti l’iniziativa semplicemente privata, occorre prima una condanna pubblica del tiranno e solo poi, come extrema ratio, l’esecuzione può essere privata, quando non si possa raggiungere l’autorità superiore; allora, fondandosi sulla condanna pubblica, senza un mandato esplicito del potere pubblico e solo con mandato interpretativo e presunto, si esegue il tirannicidio ([28]). Il cardinal Tommaso Zigliara scrive: “i soggetti possiedono il diritto di resistere passivamente, vale a dire di non obbedire alle leggi tiranniche... di resistere alla violenza del potere esecutivo, respingendo la violenza colla violenza, e questa è la resistenza difensiva” (Summa  philosophica, tomo III, Lione, 1882, pagg. 266-267) ([29]) .

Conclusione/attualità

●Come si vede questi princìpi si confanno alla situazione presente. Tasse smodate, non utilizzate per il bene comune della Nazione, ma indirettamente utilizzate per scopi contrari al diritto naturale e divino. I  cittadini, specialmente la classe medio-bassa, vengono trattati più come schiavi che come uomini (il numero elevato di suicidi di persone che non arrivano più alla fine del mese perché oberate di tasse è impressionante). Ora in questo caso secondo S. Tommaso l’essenza della tirannide si esprime esattamente nei comandi rivolti dall’Autorità ai sudditi non in quanto soggetti della società bensì come schiavi (S. Th. , II-II, q. 64, a.1, ad 5um). Quindi ci si trova in uno stato di regime tirannico. Tuttavia se la dottrina cattolica ammette la reazione anche attiva a questo stato di cose in pratica occorre tenere ben presenti le condizioni esposte dagli Scolastici per non “mettere una pezza peggiore del buco” e cadere nel caos anarchico o nella guerra civile costante, che – data l’esasperazione dei cittadini tartassati – purtroppo stanno iniziando a prevalere in questi giorni, con episodi di violenza privata e spontanea, i quali pur se comprensibili, tuttavia, impediscono la reazione ben organizzata, ben concordata e ben condotta e favoriscono l’instaurazione di uno Stato di psico-polizia tributaria.

●Di fronte ad un Leviatano così potente e quasi universale come è il potere mondialista odierno ci si sente quasi impotenti per reagire come si dovrebbe. Tuttavia ci resta un’arma che nessuno potrà mai strapparci: la preghiera che ottiene l’intervento della Onnipotenza divina infinitamente misericordiosa, ma anche infinitamente giusta e molto più esigente verso il potente che verso il debole.

d. CURZIO NITOGLIA
12 maggio 2012


[1]) Enciclica Sapientiae christianae, 10 gennaio 1890.  
[2])  A. ODDONE,  La resistenza alle leggi ingiuste secondo la dottrina cattolica” in Civiltà cattolica, n.° 95, 1944, pp. 329-336;  Ibid., n.° 96, 1945, pp. 81-89.
[3]) R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo, in S. Tommaso D’Aquino, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1999, p. 348.
[4]) De libero arbitrio, I, 5; PL, XXXII, 1227.
[5]) R. Pizzorni, op. cit., p. 352.
[6]) Ibidem, pp. 353-354.
[7]) Cfr. S. Th., I-II, q. 96, a. 4. 
[8]) R. Pizzorni, op. cit., p. 358. 
[9]) Ibidem, p. 359.
[10]) Ibidem, p. 360. 
[11]) Ibidem, p. 361.
[12]) Ibidem, p. 365. 
[13]) Ibidem, p. 369.
[14]) In Summ. Th., II-II, q. 64, a. 1, ad 3um.
[15]) De virtutibus, disput. XIII, sect. VIII, Opera omnia, éd.  Vivès, t. XII, p. 759.
[16]) D. Th. C., vol. 29, col. 1952.
[17]) D. Th. C., vol. 29, col. 1962. 
[18]) Cfr. O. Capitani, Papato e Impero nei secoli XI e XII, in «Storia delle idee politiche economico e sociali», diretto da L. Firpo,  vol. 2°, tomo II, Il Medioevo, Torino, Utet, 1983; pp. 141-165.
[19]) Liber ad Gebehardum, cap. XXX.
[20]) C. Giacon, La seconda scolastica. I problemi giuridico-politici: Suarez, Bellarmino, Mariana, Milano, Bocca, 1950, vol. 3°, pp. 89-90.
[21]) De regimine principum, Lib. I, cap. 6.
[22]) C. Giacon, ibidem, p. 98.
[23]) In IIam-IIae, q. 64, a. 3, concl. 1, Opera, Salamanca, 1584-1612.
[24]) De jure et justitia, dissert. X, a.2, ad 3um, Liège, 1746-51.
[25]) De concil. auctorit., lib. II, cap. 19, Ingolstadt, 1586-1593.
[26]) Defensio fidei, lib. VI, cap. IV, §15, Colonia, 1614.
[27]) Cfr. De rege et de regis institutione, lib. I, cap. VI, p. 76, Toledo, 1599.
[28]) Cfr. C. Giacon, op. cit., pp. 271-272.
[29]) D. Th. C., vol. 29, col. 1670.

d. CURZIO NITOGLIA
12 maggio 2012

lunedì 22 ottobre 2012

Magistero contro Tradizione?


Una spiegazione chiara ed intelliggibile dello staus queastionis
 

Magistero contro Tradizione? 


Il motivo di contrasto fra la Fraternità San Pio X e le autorità romane è il suo opporsi all’insegnamento attuale della Chiesa, che fonda le sue radici nell’ultimo concilio. Tale opposizione è da noi motivata dal fatto che si insegnano ora nuove dottrine in contrasto con l’insegnamento passato. Il Vaticano ci accusa per questo di avere una concezione erronea della Tradizione e del magistero della Chiesa.
Secondo Giovanni Paolo II la posizione della Fraternità San Pio X ha come origine il fatto che non si consideri la Tradizione come qualcosa di vivente, rimanendo fissati sul passato. Così si esprimeva nel 1988, all’occasione della consacrazione dei nostri quattro vescovi: «La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione».[1]
A sua volta Benedetto XVI accusa la Fraternità San Pio X di essersi fissata al magistero pre-conciliare e di non riconoscere appunto il magistero del Concilio e del post-concilio: «Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità».[2]
La Tradizione deve essere vivente, cioè interpretata dal magistero attuale che ci dice oggi ciò che è conforme o meno alla fede. Chi vuole opporre la Tradizione di ieri al magistero di oggi si erge a giudice della Chiesa e del suo insegnamento, rimpiazzandolo appunto con il suo personale giudizio.
Per sviscerare il problema, rispondere a questa obiezione e comprendere in cosa consista questa opposizione che sembra sia fondamentale risolvere, prima di poter giungere ad una soluzione giuridica fra la Fraternità San Pio X e Roma, è necessario definire e chiarire i concetti di Tradizione e magistero.

La Rivelazione

Poiché la Tradizione è la trasmissione della Rivelazione divina tramite il magistero, cominciamo con il definire tale nozione. La Rivelazione è l’atto con cui Dio si manifesta all’uomo. Egli si fa conoscere prima di tutto tramite la creazione dell’universo, che riflette gli attributi divini per sé invisibili, ed è questa la Rivelazione naturale.
In modo particolare Dio si è manifestato per mezzo dei profeti e di Gesù Cristo, facendoci conoscere direttamente verità di per sé naturali, come l’immortalità dell’anima, ma anche verità che superano la ragione dell’uomo come tutti i misteri soprannaturali, per esempio la Santissima Trinità e l’Incarnazione.
La Rivelazione soprannaturale si definisce quindi come un insegnamento fatto da Dio agli uomini in ordine alla loro santificazione e alla vita eterna.[3] Essa si è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo[4] e la Chiesa ricevette da Gesù Cristo il mandato di annunciarla a tutte le genti perché, tramite la fede nelle verità rivelate, gli uomini potessero giungere alla salvezza.
Compito della Chiesa è quindi trasmettere la Rivelazione intatta e approfondirla, attingendo dalle sue fonti che sono la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza alterarla.[5]

La Tradizione

Il termine “tradizione” è di origine greca e significa trasmissione, dottrina orale. Nel senso teologico si può definire come la parola di Dio, concernente la fede e la morale, non scritta ma trasmessa a viva voce da Gesù, dagli apostoli e da questi ai loro successori fino a noi. Parola “non scritta” non nel senso che non possa essere contenuta in alcuno scritto, ma per differenziarla dalla Sacra Scrittura, altra fonte della Rivelazione divina, che appunto è stata scritta sotto l’ispirazione divina.
La Tradizione si dice divina quando l’insegnamento venne direttamente da Gesù Cristo; divino-apostolica quando esso fu dato agli apostoli per ispirazione dello Spirito Santo secondo la promessa di Gesù: «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto».[6]
Contro l’eresia protestante che nega la Tradizione come fonte della Rivelazione, il Concilio di Trento ha definito che la dottrina riguardante la fede e la morale «si contiene tanto nei libri scritti (Sacra Scrittura) quanto nelle tradizioni non scritte» e quindi bisogna ricevere con «uguale pietà e amore e riverenza» sia l’una che l’altra fonte della Rivelazione.[7]
Gesù, dopo aver predicato (e non scritto) la sua dottrina, affidò agli apostoli la missione non di scrivere ma di propagare oralmente quanto avevano udito dalle sue labbra o avrebbero imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo. «Andate dunque ad insegnare a tutte le genti» (Mt 28,18). «Andate per tutto il mondo e predicate l'evangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
I principali strumenti attraverso i quali si è conservata la Tradizione divina sono le professioni di fede, la sacra liturgia, gli scritti dei Padri, gli atti dei martiri, la prassi della Chiesa, i monumenti archeologici. La Rivelazione divina quindi ci proviene da due fonti: la Tradizione e la Sacra Scrittura. L’organo che ce la trasmette intatta è il magistero infallibile della Chiesa.[8]

Il magistero

Nel senso etimologico il magistero è una funzione che ha per scopo di istruire. Poiché l’oggetto del magistero ecclesiastico sono le verità di fede rivelate, questa istruzione si farà essenzialmente per testimonianza: trasmissione delle verità di fede ricevute da Dio per permettere agli uomini di giungere al fine per cui sono stati creati: la salvezza eterna.
Il magistero si può definire come il potere conferito da Gesù Cristo alla sua Chiesa in virtù del quale essa è costituita unica depositaria e autentica interprete della Rivelazione divina da proporre agli uomini come oggetto di fede per la loro salvezza eterna, in maniera infallibile in quanto assistita divinamente da Gesù Cristo.[9] Quando si parla di magistero è opportuno distinguerne il soggetto (il Papa ed i vescovi) dal contenuto (trasmissione e approfondimento del deposito rivelato) e infine dal suo modo di esercizio (infallibile o semplicemente autentico).

Chi insegna?

Il soggetto di tale potere è il Papa cui il Signore ha affidato il compito di pascere le sue pecorelle, aiutato dai vescovi. È questa la Chiesa insegnante. Si tratta di un soggetto umano e quindi volontario, assistito da Dio, nella missione che gli è stata affidata, nella misura in cui vorrà sottomettersi a questa assistenza divina ed esercitare il potere di insegnare.

L’oggetto del magistero

L’oggetto del magistero sono le verità rivelate da trasmettere, approfondire e difendere, senza alcuna variazione né cambiamento. Il magistero della Chiesa, in quanto contenuto, è essenzialmente tradizionale e costante.
Fra l’insegnamento degli apostoli e quello dei loro successori vi è una differenza importante che il card. Franzelin sintetizza con questo parole: «L’apostolato fu istituito per fondare la Chiesa predicando tutta la verità rivelata. Per questo i successori degli apostoli non possono aver per funzione di rivelare ancora un’altra verità; devono al contrario conservare e predicare nella sua integrità e nel suo significato autentico tutta la verità che gli apostoli hanno ricevuto». In altre parole il magistero degli apostoli è stato l’organo della Rivelazione mentre il magistero della Chiesa è quello della Tradizione nel suo senso più etimologico, cioè quello della trasmissione del deposito ricevuto. Per questo una tale trasmissione dipende della Rivelazione che è la sua regola ed il suo principio fondamentale. «I successori degli apostoli – continua il nostro autore – appaiono sempre come i testimoni ed i dottori incaricati di proporre unicamente ciò che hanno ricevuto dagli apostoli. Il loro incarico apostolico ed il loro compito infatti ha per oggetto il rimanere fedeli all’insegnamento che hanno ricevuto e alle verità che sono state loro affidate dagli apostoli».[10]

L’approfondimento del deposito rivelato

Il compito del magistero non consiste unicamente nel trasmettere le verità di fede ma anche nell’approfondirle, cioè darne ai fedeli una comprensione più grande. Ciò deve farsi non nel senso di una evoluzione eterogenea del dogma, ma soltanto tramite una comprensione più grande di ciò che è già stato rivelato. Il magistero contribuisce al passaggio da una conoscenza implicita ad una conoscenza più esplicita della fede. Così si esprime padre Marin Zola nel suo studio magistrale su dogma cattolico: «Gli apostoli non hanno comunicato alla Chiesa una spiegazione perfetta di tutto il senso implicito (della Rivelazione) che conoscevano esplicitamente. Però hanno lasciato il magistero dogmatico permanente, prolungamento perpetuo del loro magistero divino, per spiegare o manifestare sempre più “l’implicito” del deposito rivelato, a seconda che lo avrebbero richiesto le eresie, le controversie o le necessità di ogni epoca».[11]
Un tale approfondimento, come dichiara il Concilio Vaticano I, deve prodursi «nella stessa credenza, nello stesso senso, nello stesso pensiero». Non è mai possibile allontanarsi dal senso delle verità di fede definite «sotto il pretesto o in nome di una comprensione più approfondita».[12]

Il modo dell’insegnamento

Questa assistenza divina alla Chiesa è differente a secondo di come essa esercita il suo potere magisteriale poiché esso dipende dalla volontà del soggetto. Il Papa può insegnare in maniera infallibile, in modo semplicemente autentico, si può accontentare di riferire opinioni personali, oppure, e questo sembra essere il nocciolo del problema del concilio Vaticano II, limitarsi a dare consigli pastorali.

Il magistero infallibile

Magistero infallibile è quello in cui il Papa è assistito divinamente perché possa insegnare senza errore la verità rivelata. Egli gioisce del carisma dell’infallibilità nel suo atto solenne quando, da solo ex cathedraoppure quando si trova alla testa di tutto il corpo dei vescovi riuniti in concilio ecumenico, definisce una dottrina sulla fede o la morale in quanto pastore supremo, da tenersi da tutta la Chiesa.[13]
Nel concilio il soggetto dell’infallibilità è sempre il Papa, capo di quella persona morale che è il concilio, anche se il modo di insegnamento è diverso (non da solo ma appunto in unione con tutti i vescovi riuniti). Non vi sono due soggetti distinti del carisma dell’infallibilità ma uno solo, il Papa, che può insegnare in modi diversi. Il concilio è quindi formalmente soggetto del primato in ragione del Papa poiché, secondo il Concilio Vaticano I[14], il soggetto del primato è unico ed è il Papa.[15]
Il concilio ecumenico è quindi infallibile quando intende definire una verità di fede perché partecipa dell’infallibilità del Papa. Tale volontà di definire si può constatare nei suoi decreti quando si afferma che una verità deve essere creduta fermamente dai fedeli o ancora quando la si deve ricevere come un dogma di fede; quando si condanna con l’anatema l’errore contrario, quando la proposizione contraddittoria alla verità di fede insegnata è qualificata come eretica.
Il Papa poi può anche definire infallibilmente delle dottrine e condannare errori senza affermare esplicitamente che sono da tenersi di fede. In questo caso chi le nega non può considerarsi formalmente eretico, ma pecca gravemente contro la fede.[16]

Il magistero ordinario e universale

Il magistero infallibile del Papa si esercita in maniera ordinaria, quando egli insegna alla testa ed in unione con il corpo episcopale disperso nel mondo. È questo il Magistero ordinario universale (MOU).
Lo si chiama ordinario perché è dato al di fuori delle circostanze eccezionali delle definizioni ex cathedra e del concilio ecumenico. Esso si esercita tutti i giorni tramite la predicazione abituale dei pastori. È universale perché, per gioire della nota di infallibilità, deve esercitarsi, dal Papa e dai vescovi a lui sottomessi e dispersi nel mondo, in maniera concorde ed unanime.
Questa unanimità non deve essere soltanto considerata nello spazio, cioè tutti i vescovi viventi uniti al Papa, ma anche nel tempo per ciò che riguardo la dottrina insegnata. Esso è per definizione tradizionale, nel senso che si fa eco oggi della dottrina insegnata nei secoli.
Non definisce, come lo fa il magistero solenne, ma propone semplicemente l’oggetto della fede e lo trasmette. Un elemento che secondo Pio IX (Tua libenter) permette di riconoscere le verità che sono proposte come dogmi dal magistero ordinario della Chiesa dispersa è l’accordo unanime e costante dei teologi: «Infatti anche se si tratta di quella sottomissione che si deve prestare con un atto di fede divina, tuttavia questa non deve essere limitata a quelle cose che sono state definite con espliciti decreti dei concili o dei pontefici romani e di questa sede apostolica, ma deve essere estesa anche a quelle cose che, per mezzo del magistero ordinario di tutta la chiesa diffusa su tutta la terra, sono trasmesse come divinamente rivelate e quindi, per l’universale e costante consenso, dai teologi cattolici sono considerate come appartenenti alla fede» (Dz 2879).
La definizione dogmatica suppone l’insegnamento del magistero universale; essa precisa che tale verità, già insegnata dalla Chiesa, deve essere creduta come definita di fede divina e cattolica.

Regola prossima della fede

La Sacra Scrittura e la Tradizione sono quindi la fonte e la regola remota della fede, mentre la regola prossima è il magistero della Chiesa. Si tratta del magistero infallibile e definitivo che nel corso dei secoli ci ha trasmesso intatto ed in maniera sempre più intelligibile il deposito rivelato, senza mai alterarlo, e che deve continuare nella sua opera fino alla fine del mondo.
Sant’Agostino, facendosi eco di tutto l’insegnamento della Tradizione, affermava che egli non crederebbe neppure al Vangelo se il Magistero della Chiesa non glielo proponesse a credere.[17] Lutero ha osato impugnare questa verità vissuta già da 15 secoli di cristianesimo e, rinnegando il magistero della Chiesa, ha proclamato come unica regola di fede la Sacra Scrittura affidata all'interpretazione individuale dei fedeli. Le innumerevoli sette protestanti, con lo smarrimento e la degenerazione dottrinale che le caratterizza, sono una prova evidente del fallimento di quel falso principio.[18]

Il magistero semplicemente autentico

Il magistero semplicemente autentico è quello che si esercita senza impegnare l'infallibilità. La stessa definizione dell’infallibilità pontificia data dal Concilio Vaticano I, stabilendo le condizioni nelle quali il Papa è infallibile, lascia aperta la possibilità che, al di fuori di esse, non vi sia questa assistenza. Questo può verificarsi quando non vi è giudizio positivo sulla dottrina rivelata, ma il Papa vuol semplicemente dirimere una controversia; oppure vi è un giudizio positivo ma unicamente prudenziale e non definitivo.[19]
Gli atti di un insegnamento non infallibile reclamano comunque un assenso religioso interno, cioè dell’intelletto sotto la mozione della volontà. Questo assenso può essere sospeso solo nel caso in cui appare affermata una dottrina chiaramente in contrasto con il magistero infallibile.
Quando si constatasse «un’opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica» allora, per il cattolico che abbia approfondito la questione, è possibile sospendere o negare il suo assenso al documento papale.[20]

Magistero vivente e perennità della fede

Poste queste premesse cerchiamo ora di rispondere alle accuse mosse alla Fraternità San Pio X di «non tener conto del carattere vivo della Tradizione» e di «voler congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962».[21]
Quando si parla di “carattere vivo della Tradizione”, se si intende la capacità che ha l’insegnamento di Gesù e degli apostoli, trasmessoci dalla Chiesa fino ad oggi tramite il suo magistero infallibile e quindi immutabile, di dare la vita spirituale alle anime e di vivificare la società contemporanea, siamo i primi ad aderire a questa verità incontestabile.
Se si intende invece il concetto di “tradizione vivente” come una caratteristica del deposito rivelato trasmesso dalla Chiesa di trasformarsi ed adattarsi ai tempi e alle circostanze fino al punto di essere in contraddizione con l’insegnamento infallibile del passato, allora siamo di fronte alla teoria modernista dell’evoluzione dei dogmi.
Se per “voler congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962” si vuol affermare che la Chiesa non ha più potere di insegnare a partire da quell’anno, chiaramente rigettiamo quest’errore e riconosciamo che la Chiesa anche oggi ha il potere di insegnare, di trasmettere e approfondire con il suo magistero infallibile la verità, e questo fino alla fine del mondo.
Ma se si intende con questa affermazione che l’autorità della Chiesa di oggi avrebbe il potere di insegnare ed obbligare a credere qualche cosa di diverso da quello che il magistero ha già definito infallibilmente, chiaramente ci troviamo di fronte ad una concezione erronea del magistero, slegata dal motivo formale per cui fu istituito da Nostro Signore, cioè la trasmissione di ciò che già è stato rivelato, approfondendolo «nello stesso senso e nello stesso pensiero».
L’attributo “vivente” può concernere il soggetto dell’atto del magistero, cioè il Papa ed i vescovi, oppure riguardare il contenuto del loro insegnamento. Per quel che è del soggetto, “vivente” si oppone a “postumo”. Il magistero postumo è quello esercitato con autorità da tutti i Papi e vescovi del passato, che continua comunque ad esercitarsi tramite i loro scritti che, in quanto infallibili, sono di loro natura immutabili. Il magistero vivente invece è l’insegnamento attuale dei pastori della Chiesa che si esercita principalmente tramite la predicazione orale fatta dai ministri legittimi, e per i loro scritti.
Ma quanto al contenuto dell’insegnamento, le professioni di fede, i dogmi, tutte le verità definite ed insegnate infallibilmente nel passato, continuano, tramite lo scritto, a far parte del magistero vivente della Chiesa e nessuna autorità ecclesiastica potrà mai legittimamente contraddirle o insegnare l’opposto.
Il magistero vivente può, come abbiamo visto, approfondire sempre di più le verità di fede già rivelate, darne una comprensione sempre più profonda, ma sempre nello stesso senso e nella stessa linea di ciò che è già stato insegnato in maniera definitiva.
In questo senso l’attributo “vivente” è una caratteristica essenziale del magistero della Chiesa. I pastori di oggi si fanno eco di quelli di ieri e quelli di domani continueranno ad annunciare il messaggio ascoltato da Gesù e dagli apostoli fino alla fine del mondo, difendendolo dagli errori e dalle eresie, per generare la fede negli uomini e dare così loro la possibilità di raggiungere la salvezza eterna.

Libero esame o difesa della fede?

“Come i protestanti anche voi giudicate il magistero della Chiesa, ma al posto della Sola Scriptura utilizzate il criterio Sola Traditione, come se non fosse la Chiesa ad insegnarci ciò che è contenuto nella Tradizione. Sostituite così il vostro giudizio a quello della Chiesa e cadete nell’errore del libero esame”. Questa l’accusa ricorrente da parte di alcuni dei nostri oppositori.
Si risponde facilmente a una tale obiezione che il criterio di giudizio non è soggettivo. Non è l’individuo che può ergersi a giudicare il magistero attuale, secondo le sue idee personali.
Il criterio di giudizio, poi, non si può neppure assumere unicamente da una sorgente del deposito rivelato, come fanno i protestanti con la Sacra Scrittura. Tale criterio può essere soltanto tutto il deposito rivelato cioè Sacra Scrittura e Tradizione come ci è stata trasmessa infallibilmente appunto dal magistero Chiesa.
Quando una contraddizione appare in maniera manifesta alla ragione fra una dottrina proposta con ciò che sono obbligato a credere, devo far riferimento a ciò che la Chiesa, guidata dal magistero, ha sempre creduto.[22] La ragione manifesta questa opposizione, ma chi permette di portare il giudizio sull’errore è il magistero definitivo della Chiesa, criterio assoluto e definitivo di verità.
Concretamente, se un giorno una qualunque autorità nella Chiesa, compreso il Papa, affermasse che nella Santissima Trinità ci sono quattro persone, non potrei essere tacciato di libero esame se affermassi che tale insegnamento è falso, perché il mistero della Santissima Trinità è già stato definito in maniera irrevocabile dalla Chiesa e quindi nel futuro essa potrà soltanto cercare di approfondire questo dogma, ma mai insegnare il contrario di ciò che ha già insegnato infallibilmente.
Ora vi è palese contraddizione fra l’insegnamento tradizionale della Chiesa e numerose nuove dottrine propagate dal Concilio Vaticano II e nel post-concilio come è stato dimostrato in numerose pubblicazioni e come teologi di rilevanza, anche nell’ambito della Chiesa ufficiale,[23] hanno anche recentemente messo in rilievo. In questa sede sarà sufficiente mostrare, con qualche citazione, come questo disaccordo è riconosciuto persino da personalità di spicco della Chiesa, che hanno partecipato attivamente all’ultimo concilio.
«Non si può negare che la Dichiarazione sulla libertà religiosa dica materialmente altra cosa che il Sillabo del 1864 e anche più o meno il contrario».[24]
«Se si cerca una diagnosi globale del testo (Gaudium et spes), si potrebbe dire che è (unitamente ai testi sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo) una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di contro-sillabo».[25]
«Si potrebbe fare una lista impressionante delle tesi insegnate a Roma prima del Concilio come unicamente valide e che furono eliminate dai Padri del concilio».[26]

«È chiaro, sarebbe vano nasconderlo, il decreto conciliare Unitatis Redintegratio afferma su più punti altra cosa che “Fuori dalla Chiesa non vi è salvezza”, nel senso in cui si è inteso questo assioma durante dei secoli. (…) Lumen Gentium ha abbandonato la tesi che la Chiesa Cattolica sarebbe Chiesa in maniera esclusiva».[27]
«In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. (…) Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità».[28]
Di fronte a questi cambiamenti che toccano la fede e sono alla radice della grave crisi che la Chiesa sta subendo, è doveroso manifestare pubblicamente la propria opposizione, alla luce del vero magistero vivo della Chiesa che è il suo insegnamento costante, infallibile e definitivo, il solo capace di illuminare l’oscurità e l’incertezza dottrinale contemporanea.
da La Tradizione Cattolica anno XXIII n° 2


[1] Giovanni Paolo II, Motu proprio Ecclesia Dei afflicta del 2 luglio 1988
[2] Benedetto XVI, Lettera ai vescovi, 10 marzo 2009
[3] Pietro Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica, ed. Studium 1952 p. 293
[4] Il decreto Lamentabili di S. Pio X nella sua 21° proposizione condanna l’errore opposto.
[5] Concilio Vaticano I, Costituzione Dei Filius, c. 4; DS 3020
[6] Gv 14,26
[7] Sess. 4
[8] Cfr. Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica p. 332 et ss.
[9] Cfr. Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica p. 204
[10] Tesi 22
[11] Marin Sola, L’évolution homogène du dogme catholique n° 59
[12] Conc. Vat. I Dei Filius cap. 4; DS 3020
[13] Concilio Vaticano I, Pastor aeternus, c. 4
[14] Pastor aeternus cap 3 Dz 3059
[15] La nuova teoria proposta da Lumen gentium (cap. 3, 22) secondo cui il corpo dei vescovi unito al Papa sarebbe, oltre al Papa solo, un altro soggetto permanente ed ordinario del potere supremo, è totalmente contraria all’insegnamento tradizionale della Chiesa.
[16] Non è stata ancora definita l’infallibilità per ciò che non è presentato dal Papa come di fede divina. Marin Sola, L’Evolution homogène du dogme catholique, T. I n° 269 p. 472
[17] Contra ep. fundam. C. 5, PL, 42, 176
[18] Cfr. Parente, Dizionario di Teologia Dogmatica p. 204
[19] Billot, De Ecclesia Q 14 Tesi 31, 1 p. 640
[20] Arnaldo Xavier da Silveira, La nouvelle messe de Paul VI: qu’en penser? DPF 1974, p. 300 et ss.
[21] Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, vedi introduzione all’articolo.
[22] È il criterio che ci propone san Vincenzo di Lerino: «Quod semper quod ubique quod ab omnibus».
[23] Come per esempio mons. Brunero Gherardini e padre Serafino Lanzetta. Leggere in particolare Lo hanno detronizzato, mons. Marcel Lefebvre, ed. Amicizia Cristiana 2009.
[24] Y. Congar, La crise de l’Eglise et Mgr Lefebvre, le Cerf 1977, p. 54
[25] I principi della teologia cattolica, Card. Ratzinger 1982
[26] Card. Suenens, I.C.I del 15 maggio 1969
[27] Congar, Essais oecumeniques, le Centurion 1984 p. 216
[28] Benedetto XVI, Discorso alla Curia, 22-12-2005