martedì 30 novembre 2010

IL PAPA E L'EBRAISMO IN "LUCE DEL MONDO"


Ringrazio l'amico Colafemmina per il testo che segue e che ha gentilmente riportato nel suo Blog Fides et Forma

Formazione e importanza dei rapporti con l'ebraismo pp.122-123

La Sua elezione a 265esimo Capo della Chiesa universale fu accolta con particolare entusiasmo dalle organizzazioni ebraiche. Secondo Israel Singer - allora Presidente del Congresso Ebraico Mondiale - Joseph Ratzinger, quando era Prefetto della CDF, aveva gettato le fondamenta per una avvicinamento fra le due religioni e ha "cambiato in senso positivo la storia bimillenaria dei rapporti fra Ebraismo e Cristianesimo."
Lei è stato il primo Papa a invitare un Rabbino a parlare di fronte al Sinodo dei vescovi. Ha sospeso il processo di beatificazione di un sacerdote francese al quale erano stati attribuiti discorsi antisemiti. Ha visitato più sinagoghe di qualsiasi altro Papa. Il quotidiano "Suddeutshche Zeitung" scrisse allora: "Egli riconosce l'origine ebraica del Cristianesimo come mai nessun altro Papa prima di lui".
Inoltre, il Suo primo atto quale Successore di Pietro è stata una lettera alla comunità ebraica di Roma. Si trattò di un gesto simbolico che voleva essere indicativo di una nota dominante del Suo Pontificato?


Senza dubbio. Devo dire che sin dal primo giorno dei miei studi teologici mi è stata in qualche modo chiara la profonda unità fra Antica e Nuova Alleanza, tra le due parti della nostra Sacra Scrittura. Avevo compreso che avremmo potuto leggere il Nuovo Testamento soltanto insieme con ciò che lo ha preceduto, altrimenti non lo avremmo capito. Poi naturalmente quanto accaduto nel Terzo Reich ci ha colpito come tedeschi e tanto più ci ha spinto a guardare al popolo d'Israele con umiltà, vergogna e amore.
Nella mia formazione teologica queste cose si sono intrecciate ed hanno segnato il percorso del mio pensiero teologico. Dunque era chiaro per me - ed anche qui in assoluta continuità con Giovanni Paolo II - che nel mio annuncio della fede cristiana doveva essere centrale questo nuovo intrecciarsi, amorevole e comprensivo, di Israele e Chiesa, basato sul rispetto del modo di essere di ognuno e della rispettiva missione.

Il Suo predecessore definiva gli ebrei "nostri fratelli maggiori" mentre Lei parla di "Padri nella fede".

L'espressione "fratello maggiore", già utilizzata da Giovanni XXIII non è particolarmente bene accolta dagli ebrei perché nella tradizione ebraica il "fratello maggiore", ovvero Esaù, è anche il fratello abietto. La si può comunque utilizzare perché esprime qualcosa di importante. Ma è giusto che essi siano anche nostri "Padri nella fede". E forse quest'ultima espressione descrive con maggiore chiarezza il nostro rapporto.


La preghiera del Venerdì Santo pp. 154-155

D'altro canto, la decisione (di liberalizzare la Messa Antica) ha provocato una controversia relativa alla preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei contenuta nella Messa Antica. Jacob Neusner, Rabbino di New York nonché storico, ha difeso questa preghiera spiegando che essa "rientra nella logica del monoteismo". Anche gli ebrei praticanti pregherebbero tre volte al dì affinché un giorno tutti i non ebrei invocheranno il nome di JHWHs.
Infine nel febbraio 2008, Lei ha riformulato il testo della preghiera. Può comprendere le argomentazioni dei suoi critici?

In primo luogo sono molto grato al signor Neusner per quello che ha detto perché è veramente utile. In secondo luogo, questa preghiera non riguarda la liturgia con il nuovo messale, ma soltanto le ristretta cerchia di coloro che utilizzano il messale antico. Quindi nulla si è modificato della liturgia in generale. Comunque, a quel punto, anche nella antica liturgia mi è sembrato necessario un cambiamento. Infatti, la formula era tale da ferire veramente gli ebrei e di certo non esprimeva in modo positivo, la grande, profonda unità fra Vecchio e Nuovo Testamento. Per questo motivo ho pensato che nella liturgia antica fosse necessaria una modifica, in particolare, come ho detto, in riferimento al nostro rapporto con gli amici ebrei. L'ho modificata in modo tale che vi fosse contenuta la nostra fede, ovvero che Cristo è salvezza per tutti. Che non esistono due vie di salvezza e che dunque Cristo è anche il Salvatore degli ebrei, non solo dei pagani. Ho inteso anche evitare che non si pregasse direttamente per la conversione degli ebrei in senso missionario, ma perché il Signore affetti l'ora storica in cui noi tutti saremo uniti. Per questo gli argomenti utilizzati da una serie di teologi contro di me sono avventati e non rendono giustizia a quanto fatto.


Viaggio in Terrasanta e missione comune con Israele pp.179-181

Il suo viaggio in Terra Santa era previsto per il mese di maggio del 2009, quindi in mezzo alla bufera provocata dal caso Williamson. Si guardava a quel viaggio con grande preoccupazione. Eppure, proprio come a suo tempo era accaduto con il viaggio in Turchia - che si era svolto mentre infuriavano le polemiche sul "Discorso di Ratisbona" - la visita in Terra Santa ebbe un esito sorprendente. L'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, affermò che grazie a quel viaggio i rapporti erano molto migliorati. E citò un versetto dal Libro dei Giudici: "Dal forte è uscito il dolce".

La tensione con Israele non era uguale a quella registrata in Germania, con Israele c'è sempre stato un rapporto di fiducia reciproca. Israele sa che il Vaticano appoggia Israele, appoggia l'ebraismo nel mondo, sa che noi riconosciamo gli ebrei come nostri padri e fratelli. Per me è stato molto commovente l'essere ricevuto con tanta cortesia dal Presidente Peres che è una grande personalità. Egli stesso porta un ricordo doloroso: suo padre fu imprigionato in una sinagoga che poi fu data alle fiamme. Mi ha incontrato con grande disponibilità, sapendo che lottiamo per valori comuni , per la pace e per la costruzione di un futuro nel quale l'esistenza di Israele ha un ruolo importante .
In generale l'ospitalità è stata squisita. Direi che forse ero troppo protetto. La protezione accordatami è stata imponente. Ma in Israele abbiamo potuto celebrare due grandi liturgie eucaristiche all'aperto, cosa che a Giovanni Paolo II non era stata possibile. La prima si è svolta a Gerusalemme, la seconda, molto commovente, a Nazaret, sul Monte del Precipizio. E' stata una manifestazione grande e visibile di fede cristiana nello Stato di Israele.
E poi naturalmente tocca sempre il cuore visitare i luoghi dell'Annuncio, quello della Natività, quello della Crocifissione, il Sepolcro. Lì ho potuto incontrare anche le altre comunità cristiane. Sono state tutte esperienze grandi e commoventi. Infine ho visitato anche la Giordania e i territori palestinesi, e ho instaurato un rapporto molto cordiale con il Re di Giordania e con tutta la Casa reale. Mi ha donato più di cento bottiglie di acqua del fiume Giordano da utilizzare per l'amministrazione dei battesimi.
Nei Territori Autonomi Palestinesi ho avuto un incontro che mi ha impressionato: ho incontrato bambini, i cui genitori sono prigionieri in Israele. Così abbiamo visto anche l'altro lato del dolore; emergendo così in generale un ampio panorama di dolore, da entrambe le parti.
Risulta dunque chiaro che con la violenza non si risolve nulla, che l'unica soluzione è la pace e che deve essere fatto tutto il possibile affinché entrambe le parti possano vivere insieme pacificamente in quella terra martoriata.



Sul caso Williamson pp.174-175

Se avesse saputo che fra quei vescovi (consacrati da Lefebvre ndr) ve ne era uno che negava l'esistenza delle camere a gas naziste, avrebbe firmato la revoca di scomunica?

No. Si sarebbe innanzitutto dovuto separare il caso Williamson dagli altri, ma purtroppo nessuno di noi ha guardato su internet e preso coscienza di chi si trattava. [da quando il revisionismo storico riguardante la shoah rientra nei dogmi della Chiesa?]

Ma prima di revocare una scomunica non si dovrebbero passare alla lente di ingrandimento le persone e il loro cambiamento di vita, a maggior ragione se si tratta di una comunità che, a causa del suo isolamento, ha avuto uno sviluppo discutibile, sia dal punto di vista teologico, sia da quello politico ?

E' giusto affermare che Williamson è una figura particolare in quanto non è mai stato cattolico nel senso proprio del termine. Era anglicano e dagli anglicani è passato direttamente a Lefebvre. [dunque Lefebvre non era cattolico?] Significa che non ha mai vissuto in comunione con tutta la Chiesa universale, in comunione con il Papa.


Dunque per il Papa gli ebrei oltre ad essere fratelli maggiori, termine per noi errato di per se, sono addirittura "padri nella fede" (Sic!).
Come giustamente commenta il prof. Pastorelli: Addirittura gli ebrei ci son "padri nella Fede". 
Mah, al centro della nostra fede c'è Cristo. E si diventa figli di Dio secondo quanto dice S. Giovanni nel Prologo del suo Vangelo:
In propria venit, et sui eum non receperunt. Quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri; his qui credunt in nomine eius, qui non ex sanguinibus, neque ex voluntate carnis, neque voluntate viri, sed a Deo nati sunt.
Più leggo e più mi convinco che il libro non avrebbe dovuto esser pubblicato.
E continuando dice: C'è da chiedersi: perché si deve direttamente e con spirito missionario pregare per gli eretici, gli scismatici e gl'infedeli d'ogni genere? Non basterebbe pregare per affrettare l'ora storica in cui tutti saremo uniti?
Se fossi protestante o ortodosso mi sentirei offeso da questa mancanza di sensibilità, da questa diversità di trattamento...
A suo tempo ho scritto parecchio, anche in difesa del Papa, contro gli attacchi per le modifiche apportate alla preghiera del Venerdì Santo, proprio perché vi si ribadisce che Cristo resta la salvezza di tutti. Ma dinnanzi ad una simile spiegazione francamente si resta spiazzati.
Certo tanti teologi non capiscono proprio niente. Ma chi li forma? in quali università pontificie studiano? ed i professori da chi son chiamati in cattedra? e perché ve li si mantengono?

Non posso che concordare con il Prof. Pastorelli ed è anche per questo che non acquisterò il suddetto libro.

lunedì 29 novembre 2010

Il giudeo-cristianesimo e le radici d'Europa



Inserisco qui sotto un interessante articolo di don Curzio Nitoglia, alias Agobardo, sul "giudeo-cristianesimo" che tratta la questione sulle radici "giudeo-cristiane" d'Europa. E' tratto dal numero 19 del 15 Novembre scorso della rivista SI' SI' NO NO.



Oggi si parla molto (e a sproposito) di origini giudaico-cristiane dell’ Europa. Dal punto di vista teologico e di fede (dacché sine Fide non remanet theologia) tale termine è erroneo e contraddittorio in se stesso (è come parlare di un cerchio-quadrato). Cerchiamo di vedere che cosa ci dice la Rivelazione, la Patristica e il comune insegnamento dei teologi ed esegeti approvati su questo argomento.
Il termine “giudeo-cristiani” alle origini del Cristianesimo si applica in senso stretto ai “cristiani nati ebrei, i quali ritenevano che la Legge cerimoniale dell’Antico Testamento non fosse abrogata e sono entrati così in conflitto non solo con san Paolo ma con il Cristianesimo stesso”[1]. Mentre la parola “giudaizzanti” etimologicamente indica “i pagani convertiti al Cristianesimo che imitavano i costumi ebraici […] e ritenevano obbligatoria per salvarsi l’osservanza, totale o parziale, della Legge [cerimoniale] mosaica; di fatto, però, furono quasi tutti cristiani di sangue ebraico”[2].
Le pretese giudeo-cristiane si fondavano – materialmente ed erroneamente – sulle promesse fatte da Dio ad Abramo e ai Patriarchi, sul fatto che il Messia, nato dalla razza ebraica, avrebbe stabilito sulla terra un regno, il quale era quello di Israele, e che Cristo era venuto per compiere la Legge dell’antico Israele. Il giudeo-cristianesimo (di cui si parla tanto oggi, teologicamente e politicamente, senza definirne il significato) voleva così “ricalcare il Cristianesimo sul giudaismo, chiedendo ai popoli di affiliarsi – tramite la circoncisione [e le altre osservanze della Legge cerimoniale] – alla nazione ebraica[3]. Inoltre i proseliti o convertiti dal paganesimo, secondo i giudeo-cristiani, sarebbero stati cristiani di seconda serie, con un’ inferiorità ontologica nell’ordine della salvezza.
Dio stesso intervenne visibilmente a dirimere la gravissima questione affinché la Chiesa rispondesse immediatamente e fermamente a quest’insidia che minacciava di soffocare l’universalità della Redenzione.

COME IL GIUDEOCRISTIANESIMO FU ESPULSO DALLA CHIESA
a) Il battesimo del centurione romano Cornelio (Atti X-XI)
Un angelo appare in Cesarea al pio centurione Cornelio della coorte Italica perché invii dei messi in Joppe a Simone soprannominato Pietro. Questi, intanto, rapito in estasi, vede calare dal cielo un grande lenzuolo contenente animali di ogni specie, inclusi quelli dichiarati impuri dalla Legge mosaica; una voce gli ordina: “Uccidi e mangia!”, ma Pietro protesta: “Non sia mai, o Signore! Nulla, infatti, ho mai mangiato di profano e d’impuro”. La voce gli replica: “Ciò che Dio ha purificato tu non chiamarlo impuro”. La visione si ripete tre volte, ma resta un mistero per Pietro finché non giungono i messi del centurione Cornelio. Egli li segue e non esita ad entrare nella casa di questo incirconciso dicendo: “Voi sapete come è illecito ad un giudeo l’unirsi o accostarsi a uno straniero, ma Dio mi ha insegnato a non chiamare profano o impuro alcun uomo” e, quando sa dell’angelo apparso a Cornelio, esclama: “In verità, io riconosco che Dio non fa distinzione di persone, ma in ogni nazione chi lo teme e opera la giustizia è accetto a Lui!”. Mentre Pietro annunzia il perdono dei peccati per chiunque crede in Nostro Signore Gesù Cristo, lo Spirito Santo discende sugli incirconcisi che lo ascoltano con grande stupore dei “fedeli della circoncisione”, cioè dei cristiani provenienti dal giudaismo venuti con Pietro e questi domanda loro: “Può alcuno mai negare l’acqua del Battesimo a questi che ricevettero lo Spirito Santo come noi?”.
L’episodio di Cornelio attesta che dei pagani sono entrati, per ordine di Dio, nella Chiesa senza passare per la circoncisione e quindi per la Sinagoga. Si può essere cristiani senza essere ebrei di sangue (giudeo-cristiani) e senza neppur sottomettersi al cerimoniale ebraico (giudaizzanti). L’antica Legge è stata abrogata, il “muro di separazione” (Ef., II, 14) tra ebrei e gentili è caduto, la Chiesa è aperta a tutti, senza distinzione o primati di razza, non ci sono “fratelli maggiori” o minori, ontologicamente parlando.

b) Il Concilio di Gerusalemme (Atti, XV; Gal. II, 1-10)
«Quando Pietro fu risalito a Gerusalemme, i [cristiani] venuti dalla circoncisione si misero a litigare con lui dicendo:“Sei entrato da uomini incirconcisi e hai mangiato con loro”». Udito, però, da Pietro l’ intervento divino “si calmarono e glorificarono Dio dicendo: “Dunque anche ai Gentili Dio ha concesso il ravvedimento e la vita”. Quando, però, Barbara e Paolo compiono nuove e numerose conquiste tra i pagani, il fermento si riaccende più vivo: «alcuni, venuti dalla Giudea, presero a insegnare ai fratelli: “Se non venite circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete salvarvi”». Ne nasce “non piccolo contrasto” con Paolo e Barnaba, i quali salgono a Gerusalemme affinché gli Apostoli definiscano tale questione. Ha luogo così il primo concilio nella storia della Chiesa, il quale, fondandosi sul battesimo di Cornelio e della sua famiglia (“Dio… ha sentenziato a loro favore dando loro lo Spirito Santo siccome a noi, e non ha fatto differenza alcuna fra noi e loro purificando con la fede i loro cuori”) riconobbe ai gentili la libertà di entrare nella Chiesa, senza passare per il giudaismo; essi non sarebbero neppure stati dei “fratelli minori”, né minorati, ossia non avrebbero avuto un rango secondario nella Chiesa.

c) L’incidente di Antiochia (Gal. II, 11-21)
Pietro, venuto in Antiochia mangia con i cristiani provenienti dal paganesimo. Ma poi, giunti alcuni giudeo-cristiani da Gerusalemme, se ne astiene “per timore dei circoncisi” e attira nella “sua simulazione” anche Barnaba ed altri Giudei, quasi che essi si credessero ancora obbligati dalle osservanze legali mosaiche. Paolo, mosso da zelo apostolico, in pubblica adunanza rimprovera a Pietro l’incoerenza della sua condotta. Noi – egli dice in sostanza – benché Giudei di origine, sapendo che per la salvezza a nulla giovano le osservanze della Legge mosaica, ma è necessaria la fede, abbiamo creduto in Gesù Cristo lasciando le osservanze legali. Come possiamo, dunque, obbligare i Gentili alle osservanze che noi abbiamo con ragione lasciate? Se noi ritornassimo alla Legge, dicendo che essa è necessaria alla salvezza, noi riedificheremmo ciò che prima abbiamo demolito, e con ciò stesso ci riconosceremmo colpevoli di trasgressione. No – conclude l’Apostolo – io non voglio render vana la grazia che Dio ci ha fatta in Gesù Cristo, perché se tornassi alla Legge mosaica come se essa potesse salvarmi, Gesù Nostro Signore sarebbe morto invano.
I cristiani, provenienti dal paganesimo, dunque, si salvano senza obbligo di sottomettersi alla Legge cerimoniale mosaica; basta la fede in Gesù Cristo e la carità (le buone opere). Anche i cristiani, provenienti dal giudaismo, si salvano per la medesima via, né il sangue conferisce loro una dignità ontologica maggiore. San Paolo insegna che “la circoncisione è nulla” (Gal. VI, 15) e che ciò che salva è “la fede che agisce mediante la carità” (Gal. V, 6).
Così il giudeo-cristianesimo fu espulso dalla Chiesa, mentre oggi si cerca di farvelo rientrare con la teoria dei “fratelli maggiori”, dell’Antica Alleanza “mai revocata”, delle radici “giudaico-cristiane” dell’Europa e facendo celebrare ai poveri fedeli sprovveduti la Pasqua giudaica in diverse parrocchie cattoliche. Occorre fare attenzione perché il vecchio errore non si riproduca. La “catastrofe” (in ebraico shoah) più grande sarebbe proprio il ritorno del “giudeo-cristianesimo” o la “nuova giudaizzazione”della Chiesa. Non bisogna perciò dimenticare la dottrina apostolica e occorre mantenere alta la guardia e riprovare ogni forma di discriminazione di stampo giudaico-cristianista, che sarebbe, in quanto particolarismo razzista, un vero peccato contro l’umanità intera a favore di una nazione o di un popolo. San Paolo nell’epistola ai Romani insegna che “il ruolo d’ Israele è oramai finito. Dio, irritato dalla sua condotta, l’ha abbandonato. Verrà un tempo in cui un resto d’Israele si salverà. Ora le promesse divine passano ai gentili”[4].

IL GIUDEO-CRISTIANESIMO NELLA DIVINA RIVELAZIONE
La dottrina sul pericolo del giudeo-cristianesimo è esposta specialmente nelle Epistole di san Paolo. Questi nel suo secondo viaggio apostolico (nel 50 circa) arrivò nella Galazia del nord (con capitale Ankara). Ritornandovi tre anni dopo, si accorse che coloro che aveva evangelizzato nel primo incontro, si “erano lasciati abbindolare dai fanatici giudeo-cristiani, abbracciando le pratiche del giudaismo (circoncisione, ecc.) quasi necessarie alla salvezza”[5]. Dunque, da Efeso (nel 54 circa) s. Paolo – divinamente ispirato - scrive loro confutando gli errori del giudeo-cristianesimo e dei giudaizzanti.
Nell’Epistola ai Galati insegna: “Mi meraviglio che così presto vi siete allontanati da Colui che vi ha chiamato nella grazia di Cristo, passando ad un vangelo diverso…, vi sono alcuni che gettano lo scompiglio in mezzo a voi e si propongono di stravolgere il Vangelo di Cristo. Ora se anche un Angelo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che noi stessi vi abbiamo annunciato, sia anatema!” (I, 6-8).
I Padri, i Dottori e gli esegeti approvati nella Chiesa spiegano in tal senso il passaggio paolino: i giudaizzanti disertano e abbandonano il Vangelo di Cristo, predicato dai suoi Apostoli, per aderire ad un altro vangelo contrapposto a quello cristiano. Il giudeo-cristianesimo vuole disertare o abbandonare Dio, che chiama gli uomini nella grazia ottenutaci da Cristo con la sua Passione e morte, e rimpiazzarlo con l’osservanza delle cerimonie legali antiche. La salvezza, invece, si ottiene solo grazie alla fede in Cristo (vivificata dalla carità). I giudaizzanti sono bestemmiatori e votati alla dannazione; tal è, infatti, il significato dell’anatema (v. 8) equivalente all’herem ebraico, che designava gli scomunicati come votati alla perdizione per motivi religiosi. Neppure un Apostolo e s. Paolo stesso potrebbe sfuggire alla dannazione, se predicasse il contro-vangelo giudeo-cristiano[6].
Nel capitolo II ai versi 3-4, l’Apostolo ricorda che nel 50 circa era salito al concilio apostolico di Gerusalemme assieme a Tito, il quale, essendo greco, non era circonciso. I giudaizzanti gridarono allo scandalo, poiché la presenza di un incirconciso a Gerusalemme e ad un concilio era ritenuta da loro intollerabile e quindi chiesero che fosse circonciso. Ma Paolo vi si oppose recisamente perché Nostro Signore Gesù Cristo ci ha liberati dalla schiavitù della Legge mosaica: “Ad essi noi non cedemmo neppure un istante affinché si conservasse intatta la verità del Vangelo”.
L’Apostolo qualifica i giudaizzanti come “falsi fratelli intrusi” (v. 4), [non maggiori], “che si erano infiltrati per attentare alla libertà nostra, che abbiamo in Gesù Cristo, e renderci schiavi” (v. 4). Il loro scopo, cioè, era d’imporre la Legge giudaica come necessaria alla salvezza, negando così valore alla grazia che rende liberi dal peccato in Gesù Cristo. I cristiani giudaizzanti più che a Cristo credevano al vecchio cerimoniale mosaico, ma l’antico cerimoniale è oramai – con l’avvento di Gesù – incapace di santificare; esso è stato rimpiazzato dalla grazia di Cristo in virtù dei Suoi meriti: “Se la giustificazione vien dalla Legge cerimoniale [mosaica], certamente Gesù è morto invano o senza scopo” (v. 21). Il giudeo- cristianesimo è l’annullamento radicale e totale del Sacrificio di Gesù e della grazia cristiana che ne deriva; in breve è l’apostasia e la distruzione del Cristianesimo apostolico: “Se vi lasciate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla” (V, 2).
* * *
È evidente che, propriamente parlando, l’Europa non ha “radici giudeo-cristiane”, ma ha radici cristiane semplicemente. Né ha solo “radici”, perché l’albero del Cristianesimo, sempre in piedi e vitale, continua a produrre foglie, fiori e frutti per le anime di buona volontà, malgrado l’apostasia degli Stati e delle istituzioni pubbliche e malgrado che questa apostasia abbia finito con l’investire ai nostri giorni anche parte del mondo cattolico.
È altresì evidente che il Cristianesimo è per sua natura universale e, pur avendo difeso questa sua universalità dall’insidia del giudeo-cristianesimo, resta nondimeno aperto a tutti, inclusi gli ebrei che credono in Cristo e attendono la loro salvezza dai Suoi meriti, e non dalla razza e dalle pratiche giudaiche.



[1] F. Vernet, voce Juifs et Chrétiens in Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique, vo. II, col. 1654, Parigi, Beauchesne, 1911.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, col .1655.
[4] D.A.F.C., art. cit., col. 1656.
[5] F. Spadafora, San Paolo: le Lettere, Genova, Quadrivium, 1990, p. 30.
[6] I testi dei Padri possono essere consultati in Cornelius A Lapide, Commentarii in Sacram Scripturam. Epistolas sancti Pauli Apostoli, Amsterdam, 1681; come pure in san Tommaso d’aquino, Super Epistolas Sancti Pauli Lectura, 2 voll., Torino, Marietti, 1951.


Fonte

Il Papa sulla Frat. S. Pio X, sul ministero petrino e su Fatima




Pag. 41/43:  la questione della revoca della scomunica alla FSSPX (Fraternità Sacerdotale San Pio X)

- La revoca della scomunica è stata un errore?
Forse è il caso di fare qualche precisazione rispetto alla revoca della scomunica in sé; perchè sono state diffuse moltissime stupidaggini, perfino da presunti dotti teologici.
Non è vero che quei quattro vescovi, come spesso si è voluto sottendere, siano stati scomunicati a causa del loro atteggiamento negativo nei confronti del Concilio Vaticano II.
In realtà erano stati scomunicati perché avevano ricevuto la consacrazione episcopale senza il mandato del Papa.
E quindi si era proceduto secondo il relativo canone vigente, un canone già presente nell'antico Diritto ecclesiastico.
Secondo di esso [sic], la scomunica viene inflitta a coloro, che, senza mandato del Papa, conferiscono ad altri la consacrazione episcopale, ed anche a coloro che si lasciano consacrare.
Furono quindi scomunicati perchè avevano agito contro il Primato.
Esiste una situazione analoga in Cina; anche lì sono stati consacrati dei vescovi senza il mandato del Papa e per questo sono stati scomunicati.
Ora, non appena uno di questi vescovi dichiara di riconoscere il Primato in generale nonchè quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non più giustificata.
Questo è quello che stiamo facendo in Cina - e speriamo in questo modo di riuscire pian piano a risolvere lo scisma - e così abbiamo agito anche nei casi in questione.
In breve: per il fatto stesso di essere stati consacrati senza il mandato del Papa sono stati scomunicati; e per il fatto stesso di aver riconosciuto il Papa - anche se non lo seguono ancora in tutto - la loro scomunica è stata revocata.
In sé, è un processo giuridico assolutamente normale.
Devo dire a questo proposito che su questo punto il nostro lavoro di comunicazione non è riuscito bene.
Non è stato spiegato abbastanza perchè questi vescovi fossero stati scomunicati e perché poi, già solo per ragioni giuridiche, quella scomunica doveva essere revocata."

- Nell'opinione pubblica nacque l'impressione che Roma trattasse con riguardo gruppi conservatori di destra, mentre riducesse subito al silenzio esponenti liberali e di sinistra.
Si è trattato semplicemente di una situazione giuridica molto chiara. Il Vaticano II non c'entrava assolutamente nulla; e nemmeno altre posizioni teologiche.
Nel momento in cui questi Vescovi riconoscevano il Primato del Papa, giuridicamente dovevano essere liberati dalla scomunica; senza che per questo mantenessero i loro incarichi nella Chiesa e senza che per ciò stesso fosse accettata la posizione da loro assunta nei riguardi del Concilio Vaticano II".


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pag. 21/26 Sul Primato petrino e il ruolo del Pontefice

- Lei oggi è il Papa più potente di tutti i tempi. Mai prima d'ora la Chiesa Cattolica ha avuto tanti fedeli, mai un'estensione simile, letteralmente fino ai confini della terra.
Sono statistiche che certo hanno la loro importanza. Mostrano quanto la Chiesa sia vasta, quanto ampia sia in realtà questa comunità che abbraccia razze e popoli, continenti, culture e persone di ogni genere.
Ma il potere del Papa non è in questi numeri.

- Perchè no?
La comunione con il Papa è di tipo diverso, e naturalmente anche l'appartenenza alla Chiesa.
Tra quel miliardo e 200 milioni di persone ce ne sono molte che poi in realtà nel loro intimo non ne fanno parte.
Già ai suoi tempi, sant'Agostino diceva: molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro.
In una questione come la fede e l'appartenenza alla Chiesa Cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente.
Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il Papa non ha divisioni e non può intimare o imporre nulla.
Non possiede nemmeno una grande impresa, nella quale, per così dire, tutti i fedeli della Chiesa sarebbero suoi dipendenti o subalterni.
In questo senso, da un lato il Papa è una persona assolutamente impotente.
Dall'altro ha una grande responsabilità.
Egli è, in un certo senso, il capo, il rappresentante e allo stesso tempo il responsabile del fatto che quella fede che tiene uniti gli uomini sia creduta, che rimanga viva e che rimanga integra nella sua identità.
Ma unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede.

- Per la Chiesa Cattolica il Papa è Vicarius Christi, il rappresentante di Cristo in terra. Ma lei veramente può parlare a nome di Gesù?
Nell'annuncio della fede e nell'amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo.
Cristo ha affidato la sua Parola alla Chiesa.
Questa Parola vive nella Chiesa.
E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo "per Lui", anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze.
Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e di vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente.

- Il Papa è veramente "infallibile", nel senso in cui a volte lo presentano i mass media? E' cioè un sovrano assoluto il cui pensiero e la cui volontà sono legge?
Questo è sbagliato.
Il concetto dell'infallibilità è andato sviluppandosi nel corso dei secoli.
Esso è nato di fronte alla questione se esistesse da qualche parte un ultimo organo, un ultimo grado che potesse decidere.
Il Concilio Vaticano I - rifacendosi ad una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva - alla fine ha stabilito che quest'ultimo grado esiste.
Non rimane tutto sospeso!
In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro cosa è la fede della Chiesa, e cosa non è.
Il che non significa che il Papa possa di continuo produrre "infallibilità".
Normalmente il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa.
Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il Papa può dire: "Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione ad essa non è fede della Chiesa".
In questo senso il Concilio Vaticano I ha definito la facoltà della decisione ultima: affinchè la fede potesse conservare il suo carattere vincolante.

- Il ministero petrino - così Lei spiegava - garantisce la concordanza con la verità e la tradizione autentica. La comunione con il Papa è presupposto per una fede retta e per la libertà. Sant'Agostino aveva espresso questa idea così: dove c'è Pietro, c'è la Chiesa, e lì c'è anche Dio. Ma è un'espressione che viene da altri tempi, oggi non è più valida....
In realtà l'espressione non è formulata in questi termini e non è di Agostino, ma ora non è questo il punto.
In ogni caso si tratta di un assioma antico della Chiesa Cattolica: dove c'è Pietro, c'è la Chiesa.
Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate!
Ma come detto: quando parla come Pastore Supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento.
Il quel momento egli è consapevole della sua grande responsabilità e, al tempo stesso, della protezione del Signore; per cui egli non condurrà, con una siffatta decisione, la Chiesa nell'errore ma al contrario, garantirà la sua unione con il passato, il presente e il futuro e soprattutto con il Signore.
Questo è il nocciolo della faccenda e questo è quello che percepiscono anche le altre comunità cristiane.

- Durante un simposio svoltosi nel 1977 in occasione dell'80esimo compleanno di Paolo VI, Lei tenne una relazione su cosa e come dovrebbe essere un Papa. Citando il cardinale inglese Reginald Pole, disse che un Papa dovrebbe "considerarsi come il più piccolo degli uomini"; che dovrebbe ammettere "di non conoscere altro se non quell'unica cosa che gli è stata insegnata da Dio Padre attraverso Cristo".
Vicarius Christi, diceva, significa rendere presente il potere di Cristo come contrafforte al potere del mondo. E questo non sotto forma di qualsivoglia dominio, ma piuttosto portando questo peso sovrumano sulle proprie spalle umane. In questo senso, il luogo autentico del Vicarius Christi è la Croce.
Si, anche oggi ritengo che questo sia vero.
Il primato si è sviluppato fin dall'inizio come primato del martirio. Nei primi tre secoli, Roma, è stata fulcro e capitale delle persecuzioni dei cristiani. Tenere testa a queste persecuzioni e rendere testimonianza a Cristo fu il compito particolare della sede episcopale di Roma.
Possiamo considerare provvidenziale il fatto che, nel momento stesso in cui il Cristianesimo si riappacificò con lo Stato, l'impero si trasferisse a Costantinopoli, sul Bosforo.
Roma, per così dire, era divenuta provincia.
Così fu più facile per il Vescovo di Roma evidenziare l'indipendenza della Chiesa, la sua distinzione dallo Stato.
Non è necessario cercare sempre lo scontro, è chiaro, quanto piuttosto mirare al consenso, all'accordo. Ma sempre la Chiesa, il cristiano, e soprattutto il Papa deve essere cosciente del fatto che la testimonianza che deve rendere possa divenire scandalo, che non venga accettata e che quindi egli si trovi costretto nella condizione del testimone, di Cristo sofferente.
Il fatto che i primi Papi siano stati tutti martiri, ha il suo significato!
Essere Papa non significa porsi come un sovrano colmo di gloria, quanto piuttosto rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso, ed essere disposto ad esercitare il proprio ministero anche in questa forma, in unione a Lui.


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pag. 225/229 Maria, il culto a Maria e Fatima

- Al contrario del suo predecessore, Lei è considerato un teologo con un orientamento più cristologico che mariano. Eppure solo un mese dopo la Sua elezione Lei esortò i credenti radunati a Piazza san Pietro ad affidarsi alla Madonna di Fatima. Nel corso della sua visita a Fatima nel maggio 2010 usò parole spettacolari: l'avvenimento di 93 anni fa, quando il cielo si è aperto proprio sul Portogallo, è "come una finestra di speranza che Dio apre quando l'uomo Gli chiude la porta".
Proprio il Papa che il mondo conosce come il difensore della ragione ora dice: "La Vergine Maria è venuta dal Cielo per ricordarci la verità del Vangelo".
E' vero, sono cresciuto in una pietà anzitutto cristocentrica, come si era andata sviluppando tra le due guerre attraverso un rinnovato accostarsi alla Bibbia e ai Padri; in una religiosità che coscientemente ed in misura pronunciata veniva nutrita attraverso la Bibbia e dunque era orientata a Cristo.
Di questo però fa sempre parte certamente la Madre di Dio, la Madre del Signore.
Nella Bibbia, in Luca e Giovanni, compare relativamente tardi, ma in modo tanto più splendente, ed in questo senso è sempre appartenuta alla vita cristiana.
Nelle Chiese d'Oriente già molto presto Ella acquisì grande importanza, si pensi ad esempio al Concilio di Efeso del 431. E di continuo, attraverso tutta la storia, Dio se ne è servito come della luce perchè Egli possa condurci a sè.
In America Latina, ad esempio, il Messico è divenuto cristiano nel momento in cui è apparsa la Madonna di Guadalupe.
Allora gli uomini compresero: "Sì, è questa la nostra fede; con essa veramente arriviamo a Dio; in essa è trasformata e ricompresa tutta la ricchezza delle nostre religioni".
In America Latina, hanno portato le persone alla fede in ultimo due figure:
da una parte la Madre, dall'altra Dio che patisce, che patisce anche per tutto quello che di violento ciascuno di loro ha dovuto sopportare.
Così bisogna dire che la fede ha una storia. L'ha evidenziato il cardinale Newman. La fede si sviluppa. E di questo fa parte anche una manifestazione sempre più potente della Madre di Dio nel mondo, come guida, come luce di Dio, come la Madre attraverso la quale possiamo riconoscere il Padre e il Figlio.
Dio ci ha dato perciò dei segni; proprio nel XX secolo.
Nel nostro razionalismo e di fronte alle nascenti dittature, ci mostra l'umiltà della Madre che appare a dei bambini dicendo loro l'essenziale: fede, speranza, amore, penitenza.
E così capisco anche che le persone qui si trovino per così dire delle finestre. A Fatima ho visto centinaia di migliaia di persone che, attraverso quello che Maria aveva confidato a dei bambini, in questo mondo pieno di sbarramenti e chiusure, ritrovano in certo qual modo l'accesso a Dio.

- Il famoso "Terzo segreto di Fatima" venne pubblicato solo nell'anno 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger si disposizione di Giovanni Paolo II. Il testo parla di un vescovo vestito di bianco, che cade a terra, ucciso da un gruppo di soldati che gli sparano vari colpi di arma da fuoco, scena questa che venne interpretata come prefigurazione dell'attentato subito da Giovanni Paolo II.
Ora Lei dice: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa".
Cosa intende? Significa che il messaggio di Fatima in realtà ancora non si è compiuto?
Nel messaggio di Fatima bisogna tenere distinte due cose: vi è da un lato un preciso avvenimento, rappresentato in forma di visione, dall'altro la cosa fondamentale, della quale si tratta.
Il punto non era soddisfare una curiosità. In questo caso avremmo dovuto pubblicare il testo molto prima! No, il punto è lasciare intendere un momento critico nella storia: quello nel quale si scatena tutta la forza del male che si è cristallizzata nelle grandi dittature e che, in altra forma, agisce anche oggi.
Si trattava poi della risposta a questa sfida. Questa risposta non consiste in grandi azioni politiche, ma ultimamente può giungere solo dalla trasformazione dei cuori: attraverso la fede, la speranza, l'amore e la penitenza. In questo senso il messaggio di Fatima non è concluso, anche se le due grandi dittature sono scomparse.
Rimane la sofferenza della Chiesa, resta la minaccia agli uomini e con essa permane anche la questione della risposta; rimane perciò anche l'indicazione che ci ha dato Maria.
Anche ora vi sono tribolazioni. Anche oggi il potere minaccia di calpestare la fede in tutte le forme possibili. Anche oggi è perciò necessaria la risposta della quale la Madre di Dio ha parlato ai bambini.

- La sua predica del 13 maggio a Fatima ha toni drammatici: "L'uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore", ha detto, "ma non riesce ad interromperlo...".
Quel giorno, di fronte a mezzo milione di persone espresse una supplica che in fin dei conti è impressionante: " Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni, affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità".
Significa che il Papa, che detiene un mandato profetico, ritiene possibile che nell'arco dei prossimi sette anni la Santa Madre di Dio si manifesterà in un modo che equivarrà ad un trionfo?
Ho detto che il "trionfo" si avvicinerà.
Dal punto di vista contenutistico è la stessa cosa di quando preghiamo che venga il Regno di Dio. E' una parola che non va intesa come se io mi aspetti che adesso avvenga una grande svolta e la storia improvvisamente cambi radicalmente corso: sono forse troppo razionalista per questo; volevo dire che la potenza del male deve essere sempre di nuovo arrestata; che sempre nella forza della Madre si mostra la forza di Dio stesso, e la tiene viva.
La Chiesa è sempre chiamata a fare ciò per cui Abramo pregò Dio, e cioè avere cura che vi siano abbastanza giusti per tenere a freno il male e la distruzione.
Ho voluto dire che le forze del bene possono sempre crescere di nuovo. In questo senso i trionfi di Dio, i trionfi di Maria sono silenziosi, e tuttavia reali.

Angelus, le parole del Papa





LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 28.11.2010

Alle ore 12 di oggi, Prima Domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una parte, fa memoria dell’evento di Gesù Cristo e, dall’altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice prospettiva vive il Tempo di Avvento, guardando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà "a giudicare i vivi e i morti", come diciamo nel Credo. Su questo suggestivo tema dell’"attesa" vorrei ora brevemente soffermarmi, perché si tratta di un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt’uno con la nostra carne e il nostro cuore.

L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. 

Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono…

Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra "statura" morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.


Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza come era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l’aveva preparata, prima dei secoli. C’è una misteriosa corrispondenza tra l’attesa di Dio e quella di Maria, la creatura "piena di grazia", totalmente trasparente al disegno d’amore dell’Altissimo. Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare.

DOPO L’ANGELUS

En ce premier dimanche de l’Avent, chers pèlerins francophones, une nouvelle Année liturgique commence. Elle nous rappelle que Jésus Christ, éternellement présent dans notre vie, accomplit pour nous son œuvre de Rédemption dans les actions liturgiques de l’Église. En ces jours où nous prions particulièrement pour le respect de la vie naissante, puisse la Vierge Marie qui a accueilli en son sein le Verbe de Dieu, nous aider à ouvrir nos cœurs à la lumière de son Fils qui vient sauver l’humanité tout entière ! Je souhaite à tous un bon dimanche et joyeux temps de l’Avent !

I offer a warm welcome to the English-speaking visitors gathered here today for this Angelus prayer. Today, Christians begin a new liturgical Year with the season of Advent, a time of preparation to celebrate the Mystery of the Incarnation. By the grace of God, may our prayer, penance and good works in this season make us truly ready to see the Lord face to face. Upon you and your families I invoke God’s gifts of wisdom, strength and peace!

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich den Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Mit dem heutigen Sonntag treten wir in die Adventszeit ein. Dies ist eine heilige Zeit des Wartens auf die Begegnung mit Christus, dem Heiland. Er sehnt sich danach, einer Welt, die immer wieder von Leid gezeichnet ist, Heilung, Frieden und Liebe zu schenken. Öffnen wir unser Herz, bereiten wir uns durch den Empfang der Sakramente vor, daß der Heiland und König der Liebe in uns Wohnung nehmen kann.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, así como a quienes se unen a ella a través de la radio y la televisión. Al iniciar el santo tiempo de Adviento, invito a todos a intensificar la oración y la meditación de la Palabra de Dios, para que se avive el deseo de salir al encuentro de Cristo, cuya primera venida recordamos con gozo, mientras nos preparamos a su segunda venida, al final de los tiempos, con atenta vigilancia y ardiente caridad. Que a ello nos ayude la amorosa protección de María Santísima, Virgen y Madre. Feliz Domingo.

Pozdrawiam wszystkich Polaków. Wczoraj, Nieszporami i czuwaniem w intencji poczętego ludzkiego życia rozpoczęliśmy Adwent: czas przygotowania do świąt Bożego Narodzenia. Razem z Maryją, która z miłością oczekiwała narodzin Bożego Dziecięcia trwajmy na modlitwie, dziękując Bogu za dar życia, prosząc o opiekę nad każdym ludzkim istnieniem. Niech przyszłością świata stanie się cywilizacja miłości i życia. Z serca wam błogosławię, a szczególnie rodzicom oczekującym potomstwa.

[Saluto tutti i Polacchi. Ieri, con i Vespri e con la veglia di preghiera per la vita nascente, abbiamo iniziato l’Avvento: il tempo di preparazione alla festa del Natale del Signore. Insieme a Maria, che ha atteso con amore la nascita del Divino Bambino, perseveriamo nella preghiera, ringraziando Dio per il dono della vita, chiedendoGli protezione su ogni esistenza umana. Possa il futuro del mondo diventare la civiltà dell’amore e della vita. Benedico di cuore tutti voi e, in modo particolare, i genitori in attesa dei figli.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi dell’Unità Pastorale di Lesmo, presso Milano, che si preparano alla Professione di Fede. A tutti auguro una serena domenica e un buon cammino di Avvento.

Grazie, buon Avvento a tutti!

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 28 novembre 2010

L'evoluzione regressiva di chi diviene modernista!

Preghiera del Papa per la vita





Riportiamo la bella preghiera composta e recitata dal Santo Padre ieri sera alla Veglia della prima Domenica di Avvento, preghiera dedicata alla vita nascente così come l'Avvento rappresenta la Vita nascente del Nostro Redentore Cristo Signore:


PREGHIERA PER LA VITA

Signore Gesù,

che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza 
la Chiesa e la storia degli uomini; 
che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna; 
noi ti adoriamo e ti benediciamo. 

Prostrati dinanzi a Te, sorgente e amante della vita
realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo. 

Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente, 
rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno la mirabile opera del Creatore, 
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino che si affaccia alla vita. 

Benedici le famiglie, 
santifica l’unione degli sposi, 
rendi fecondo il loro amore. 

Accompagna con la luce del tuo Spirito le scelte delle assemblee legislative, 
perché i popoli e le nazioni riconoscano
e rispettino la sacralità della vita, di ogni vita umana. 

Guida l’opera degli scienziati e dei medici, 
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona
e nessuno patisca soppressione e ingiustizia. 

Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti, 
perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti 
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi alla nascita di nuovi figli. 

Consola le coppie di sposi che soffrono
a causa dell’impossibilità ad avere figli, 
e nella tua bontà provvedi. 

Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati, 
perché possano sperimentare il calore della tua Carità, 
la consolazione del tuo Cuore divino. 

Con Maria tua Madre, 
la grande credente, nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana, 
attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore, 
la forza di amare e servire la vita, 
in attesa di vivere sempre in Te, nella Comunione della Trinità Beata. 
Amen. 

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

PRIMI VESPRI DI AVVENTO; OMELIA DEL SANTO PADRE





PRIMI VESPRI DI AVVENTO

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle, 

con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tappa: l’Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta con sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signore. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vicinanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo. 
Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola.

Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l’incontro con il Signore che verrà nello splendore della sua gloria. Per questo noi che, in ogni Eucaristia, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”, vigiliamo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avvento, il grido con il quale si chiude l’intera Sacra Scrittura, nell’ultima pagina dell’Apocalisse di san Giovanni: “Vieni, Signore Gesù!” (22,20).
Cari fratelli e sorelle, il nostro radunarci questa sera per iniziare il cammino di Avvento si arricchisce di un altro importante motivo: con tutta la Chiesa, vogliamo celebrare solennemente una veglia di preghiera per la vita nascente. Desidero esprimere il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno aderito a questo invito e a quanti si dedicano in modo specifico ad accogliere e custodire la vita umana nelle diverse situazioni di fragilità, in particolare ai suoi inizi e nei suoi primi passi. Proprio l’inizio dell’Anno Liturgico ci fa vivere nuovamente l’attesa di Dio che si fa carne nel grembo della Vergine Maria, di Dio che si fa piccolo, diventa bambino; ci parla della venuta di un Dio vicino, che ha voluto ripercorrere la vita dell’uomo, fin dagli inizi, e questo per salvarla totalmente, in pienezza. E così il mistero dell’Incarnazione del Signore e l’inizio della vita umana sono intimamente e armonicamente connessi tra loro entro l’unico disegno salvifico di Dio, Signore della vita di tutti e di ciascuno. L’Incarnazione ci rivela con intensa luce e in modo sorprendente che ogni vita umana ha una dignità altissima, incomparabile. 

L’uomo presenta un’originalità inconfondibile rispetto a tutti gli altri esseri viventi che popolano la terra. Si presenta come soggetto unico e singolare, dotato di intelligenza e volontà libera, oltre che composto di realtà materiale. Vive simultaneamente e inscindibilmente nella dimensione spirituale e nella dimensione corporea. Lo suggerisce anche il testo della Prima Lettera ai Tessalonicesi che è stato proclamato: “Il Dio della pace – scrive san Paolo – vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (5,23). 

Siamo dunque spirito, anima e corpo. Siamo parte di questo mondo, legati alle possibilità e ai limiti della condizione materiale; nello stesso tempo siamo aperti su un orizzonte infinito, capaci di dialogare con Dio e di accoglierlo in noi. Operiamo nelle realtà terrene e attraverso di esse possiamo percepire la presenza di Dio e tendere a Lui, verità, bontà e bellezza assoluta. 

Assaporiamo frammenti di vita e di felicità e aneliamo alla pienezza totale.
Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina. Con commozione e gratitudine prendiamo coscienza del valore, della dignità incomparabile di ogni persona umana e della grande responsabilità che abbiamo verso tutti. “Cristo, che è il nuovo Adamo – afferma il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione ... Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).
Credere in Gesù Cristo comporta anche avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia, di speranza. 

Del resto l’esperienza stessa e la retta ragione attestano che l’essere umano è un soggetto capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto e amore. Egli ha il diritto di non essere trattato come un oggetto da possedere o come una cosa che si può manipolare a piacimento, di non essere ridotto a puro strumento a vantaggio di altri e dei loro interessi. La persona è un bene in se stessa e occorre cercare sempre il suo sviluppo integrale. L’amore verso tutti, poi, se è sincero, tende spontaneamente a diventare attenzione preferenziale per i più deboli e i più poveri. Su questa linea si colloca la sollecitudine della Chiesa per la vita nascente, la più fragile, la più minacciata dall’egoismo degli adulti e dall’oscuramento delle coscienze. La Chiesa continuamente ribadisce quanto ha dichiarato il Concilio Vaticano II contro l’aborto e ogni violazione della vita nascente: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura” (ibid., n. 51).

Ci sono tendenze culturali che cercano di anestetizzare le coscienze con motivazioni pretestuose. Riguardo all’embrione nel grembo materno, la scienza stessa ne mette in evidenza l’autonomia capace d’interazione con la madre, il coordinamento dei processi biologici, la continuità dello sviluppo, la crescente complessità dell’organismo. Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana. Così è stato Gesù nel grembo di Maria; così è stato per ognuno di noi, nel grembo della madre. 

Con l’antico autore cristiano Tertulliano possiamo affermare: “E’ già un uomo colui che lo sarà” (Apologetico, IX, 8); non c’è alcuna ragione per non considerarlo persona fin dal concepimento.
Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all’abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamento. Le molteplici violazioni dei loro diritti che si commettono nel mondo feriscono dolorosamente la coscienza di ogni uomo di buona volontà. Davanti al triste panorama delle ingiustizie commesse contro la vita dell’uomo, prima e dopo la nascita, faccio mio l’appassionato appello del Papa Giovanni Paolo II alla responsabilità di tutti e di ciascuno: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità” (Enc. Evangelium vitae, 5). Esorto i protagonisti della politica, dell’economia e della comunicazione sociale a fare quanto è nelle loro possibilità, per promuovere una cultura sempre rispettosa della vita umana, per procurare condizioni favorevoli e reti di sostegno all’accoglienza e allo sviluppo di essa.
Alla Vergine Maria, che ha accolto il Figlio di Dio fatto uomo con la sua fede, con il suo grembo materno, con la cura premurosa, con l’accompagnamento solidale e vibrante di amore, affidiamo la preghiera e l’impegno a favore della vita nascente. Lo facciamo nella liturgia - che è il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi - adorando la divina Eucaristia, in cui contempliamo il Corpo di Cristo, quel Corpo che prese carne da Maria per opera dello Spirito Santo, e da lei nacque a Betlemme, per la nostra salvezza. Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine! 
Amen.

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