domenica 21 novembre 2010

La conversione degli Ebrei. Da rinviare?

 
 
Riportiamo quanto leggiamo nel blog Messainlatino su alcune considerazioni fatte in proposito ad alcune frasi del Pontefice anticipate dall'Osservatore Romano sul tema Chiesa-Ebrei e sulla conversione di quest'ultimi, frasi che, a parer mio, pur sottolineando una visione tradizionale sono tuttavia velate dal cambiamento post-conciliare.
Di seguito il testo: 
 
Abbiamo scritto nel precedente post [Il tema trattato erano le frasi del Papa sui profilattici]che due punti delle anticipazioni dal libro-intervista di Benedetto XVI ci hanno colpito. Abbiamo già parlato di quello, sicuramente più 'mediatico', inerente i profilattici. Ora affrontiamo invece la posizione della Chiesa rispetto alla conversione degli Ebrei; tema che, diciamo subito, ci appare ancor più interessante (e perfino più importante) dell'altro. Ma, dobbiamo a malincuore riconoscerlo, un passaggio delle parole del Papa (come riportate dall'Osservatore romano odierno) ci suscita una certa inquietudine. Leggiamo tutto il brano:

Devo dire che sin dal primo giorno dei miei studi teologici mi è stata in qualche modo chiara la profonda unità fra Antica e Nuova Alleanza, tra le due parti della nostra Sacra Scrittura. Avevo compreso che avremmo potuto leggere il Nuovo Testamento soltanto insieme con ciò che lo ha preceduto, altrimenti non lo avremmo capito. Poi naturalmente quanto accaduto nel Terzo Reich ci ha colpito come tedeschi e tanto più ci ha spinto a guardare al popolo d'Israele con umiltà, vergogna e amore.

Nella mia formazione teologica queste cose si sono intrecciate ed hanno segnato il percorso del mio pensiero teologico. Dunque era chiaro per me - ed anche qui in assoluta continuità con Giovanni Paolo II - che nel mio annuncio della fede cristiana doveva essere centrale questo nuovo intrecciarsi, amorevole e comprensivo, di Israele e Chiesa, basato sul rispetto del modo di essere di ognuno e della rispettiva missione [...]

Comunque, a quel punto, anche nella antica liturgia mi è sembrato necessario un cambiamento. Infatti, la formula era tale da ferire veramente gli ebrei e di certo non esprimeva in modo positivo la grande, profonda unità fra Vecchio e Nuovo Testamento.

Per questo motivo ho pensato che nella liturgia antica fosse necessaria una modifica, in particolare, come ho detto, in riferimento al nostro rapporto con gli amici ebrei. L'ho modificata in modo tale che vi fosse contenuta la nostra fede, ovvero che Cristo è salvezza per tutti. Che non esistono due vie di salvezza e che dunque Cristo è anche il Salvatore degli ebrei, e non solo dei pagani. Ma anche in modo tale che non si pregasse direttamente per la conversione degli ebrei in senso missionario, ma perché il Signore affretti l'ora storica in cui noi tutti saremo uniti. Per questo gli argomenti utilizzati da una serie di teologi polemicamente contro di me sono avventati e non rendono giustizia a quanto fatto.

Naturalmente, le nostre perplessità si appuntano sulla frase che abbiamo sottolineata. Essa pare escludere la necessità, o perfino l'opportunità, di agire (o anche solo pregare) per la conversione attuale dei singoli ebrei, e sembra posporre a tempi escatologici, o comunque futuri, lo sforzo per la conversione, che riguarderà tutto il popolo ebreo. San Paolo (Rm., 11, 25-26), in effetti, scrive che quando "saranno entrate tutte le genti, allora tutto Israele si convertirà". Bene, ma nell'attesa? Il Papa nella frase immediatamente precedente dice che non esistono due vie di salvezza, e questa è un'affermazione da salutare con entusiasmo, perché respinge la tesi teologica, tanto diffusa quanto errata, del 'doppio binario' della salvezza, e appare un riconoscimento implicito della tradizionale teologia della sostituzione, secondo cui la Chiesa è il nuovo Israele (su questi temi, vi invitiamo caldamente a rileggere due articoli già pubblicati: necessità e natura della conversione degli Ebrei e teologia della sostituzione).

Ma se dunque, come scrive subito prima il Papa, ci si salva solo in Cristo, perché mai non si dovrebbe offrire in modo "missionario" la garanzia di quella salvezza a quegli ebrei che, vivendo oggi e morendo prima della futura conversione collettiva, rischiano grosso nel rifiutare di riconoscere in Gesù il Messia?

Enrico
 

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