mercoledì 17 novembre 2010

PER LA DIGNITÀ E L’EFFICACIA DELLA POLEMICA RELIGIOSA



Anche per questo testo ringrazio l'amico Professor Andrea Moncada:



PER LA DIGNITÀ E L’EFFICACIA DELLA POLEMICA RELIGIOSA

di A Oddone S.I.

Religione di preghiera, di fratellanza, di perdono e di pace, il Cristianesimo è anche religione di combattimento. Gesù Cristo, fondando la Chiesa le affidava la missione di lottare, come esercito schierato in battaglia, per l’onore di Dio e la salvezza delle anime, per il trionfo della verità e l’estirpazione dell’errore. Fin dalla sua origine quindi la Chiesa si presenta con il carattere di «militante»; fin dal principio inculca ai suoi seguaci la necessità della lotta, e li prepara e li ammaestra ad essere lottatori; le sue prime manifestazioni si svolgono su di un terreno di battaglia, sono contrassegnate da duri assalti di potenti avversari.
Assalti della forza materiale, della forza bruta. La spada, sfoderata più volte nei primi tre secoli cristiani, colpisce i figli della Chiesa, che muoiono a schiere, ma morendo trionfano. Il sangue dei martiri feconda e sviluppa la vita della Chiesa, che è vita divina. A nessuna potenza umana è concesso sterminare la vita di Dio.
Assalti della forza intellettuale. Ai carnefici sottentrano i sofisti, i filosofi, i letterati, che con l’arma terribile della parola tentano di battere in breccia gli insegnamenti della Chiesa, la sua gerarchia, le sue istituzioni salutari e il suo culto, che mirano a soffocare la nuova Religione nel disprezzo, nel ridicolo, nell’ignoranza e nel silenzio della morte. Ma tutti i colpi dell’eloquenza più raffinata e della più sottile dialettica si spuntano e s’infrangono contro l’impenetrabile corazza che la Chiesa porta sul petto. Il mondo vede d’improvviso un’esplosione miracolosa di dottrina cattolica. La parola sacra echeggia e rifulge dappertutto con tali accenti che suscitano la meraviglia degli stessi pagani. È la parola degli apologisti cristiani, di questi generosi ed intrepidi difensori del Cristianesimo sul terreno scientifico, che pongono al servizio della Chiesa l’acutezza del loro ingegno, i tesori delle loro cognizioni, l’arte della loro penna. La tirannia del mondo pagano, armata di tutte le armi intellettuali dei suoi dotti per vincere la Chiesa viene vinta essa stessa dalle parole di questi atleti del pensiero cattolico. Tutti i fulmini dell’eloquenza pagana non servono ad altro che a far meglio risplendere la bellezza della verità divina.
Nello svolgersi dei secoli le lotte cruente della Chiesa cessano o diventano meno frequenti. Non hanno invece mai tregua le lotte del pensiero, le lotte sul campo dottrinale. Contro le verità cattoliche c’è sempre in ogni epoca un fronte di opposizione, ci sono sempre degli avversari più o meno invidiosi, più o meno astuti, che le impugnano in diversi modi, che nei loro discorsi e scritti le fanno bersaglio di critiche e di calunnie, di falsità e di menzogne.
Ai cattolici quindi s’impone l’obbligo di essere continuamente in armi per la difesa della loro fede. Oggi la lotta ferve soprattutto sul terreno dottrinale. Rivivono oggi, sotto altro aspetto, gli antichi errori; se ne aggiungono di nuovi, prodotti dalle situazioni contingenti; si ripetono gli assalti d’altri tempi, con tattica però diversa, più astuta e più subdola. Ma non mancano neppure oggi al Cristianesimo i suoi apologisti, i suoi difensori, che non solo fronteggiano gli avversari e resistono al loro impeto, ma passano coraggiosamente anche all’offensiva. La Chiesa possiede anche ai nostri giorni una milizia scelta ed entusiastica, che consacra le sue forze intellettuali per rendere ragione delle sue convinzioni religiose, che impugna l’arma della penna per la difesa del sacro patrimonio delle verità religiose.
La difesa delle verità religiose si compie in tanti modi e spetta, più o meno, a tutti i cristiani. Ma uno dei modi più comuni e più efficaci è indubbiamente quello della stampa. A compiere questo dovere devono essere in prima linea i pubblicisti cattolici e specialmente i giornalisti, se rettamente comprendono la finalità della loro missione. La missione del giornalismo cattolico è una specie di apostolato religioso. Noi non concepiamo un giornalismo cattolico, da cui non si possa ritrarre alcun giovamento né per la mente né per il cuore, un giornalismo che si accontenti soltanto del risultato negativo di non pervertire, che si limiti soltanto a svagare e sollazzare i lettori, ad essere un mero passatempo, un semplice zibaldone di notizie. Lo vogliamo invece faro di luce e di orientamento, arma di difesa, di assalto e di conquista. E tale sarà il nostro giornalismo, se gli scrittori cattolici possederanno quelle doti intellettuali e morali, cioè la preparazione, la dignità, la prudenza e la carità che sono assolutamente indispensabili a coloro, che debbono essere veramente i difensori dei diritti della verità e della giustizia, gli assertori dei sovrani diritti di Cristo nella società.
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Al giornalista cattolico è innanzi tutto necessaria una solida cultura religiosa. Egli è soldato delle battaglie della fede; è avvocato della causa di Cristo. Ha quindi l’obbligo di essere ben fornito di armi, ben agguerrito nelle discipline religiose; ha il dovere di studiare la causa, che deve trattare e di conoscerla a fondo in tutti i suoi elementi e in tutti i suoi aspetti. «Quei cattolici, diceva Pio XI, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la dottrina cristiana, innanzi tutto studino, con somma diligenza e giungano, per quanto possono, a possedere la dottrina cattolica» .
Il dibattito intorno a questioni religiose è sempre cosa difficile e delicata, che richiede una conveniente preparazione: studio serio, ponderata riflessione, dottrina sicura e profonda, linguaggio preciso ed esatto. Eppure nella stampa contemporanea si nota spesso a questo riguardo, una deplorevole noncuranza e leggerezza. Il giornalista si crede facilmente autorizzato a scrivere di tutto, quasi fosse in tutto maestro; a dire in tutte le discussioni la sua parola, quasi fosse un enciclopedico. Egli non risparmia il campo religioso, ma vi si avventura con particolare arroganza ed audacia. Le credenze della Chiesa Cattolica, la sua morale, il suo culto, le sue decisioni, le sue diverse forme di attività e di apostolato, sono spesso oggetto dei suoi giudizi precipitosi e infondati, delle sue critiche, delle sue disapprovazioni e condanne. Questa ignoranza ed incompetenza del giornalista in materia religiosa, dà logicamente luogo a inesattezze, a confusioni, a falsità e a menzogne, ad errori ed eresie, che sconvolgono e turbano le menti dei lettori.
Tocca al giornalista cattolico prendere posizione contro questa deplorevole condotta, reagire alla incomprensione e alla malafede. Il giornalista cattolico, che sta sulla breccia della battaglia quotidiana, è il più obbligato a conoscere e le insidie e gli assalti dell’errore e degli erranti, ed è pure lo strumento più agile in mezzo al popolo, più poderoso e più pronto alla difesa della verità. Deve quindi rispondere e ribattere, perché il tacere sarebbe viltà o connivenza; deve segnalare, confutare errori; deve smascherare insidie tese all’anima cristiana, deve chiarire concetti, sciogliere sofismi, dissipare pregiudizi, illuminare intelligenze. Il giornalista cattolico, nel giudicare della politica, dell’onestà, della giustizia, delle leggi e degli avvenimenti, non potrà mai prescindere dai principii della dottrina cattolica e dagli insegnamenti della Chiesa, maestra di luce e di verità. Dovrà quindi conoscere i principii di questa dottrina e questi insegnamenti, per non errare nei suoi apprezzamenti in materia religiosa, per tenerli come guida nei dibattiti e nelle discussioni.
Nessuno quindi può ragionevolmente meravigliarsi che si richieda da un giornalista, incaricato di trattare materie religiose, una cognizione profonda della fede religiosa, delle sue verità, dei suoi misteri, delle sue forze divine, e anche un linguaggio tecnicamente esatto nella trattazione. Non esigiamo forse questo per le altre materie? Se un giornalista vuole scrivere, per esempio di medicina o di matematica, noi giustamente pretendiamo che prima studi e conosca queste scienze. Anzi nelle scienze religiose l’esigenza della preparazione, in colui che ne ragiona e ne discute, è ancora più necessaria, perché gli errori che si commettono in essa, sono assai più dannosi che nelle altre scienze. È noto che un errore, un’eresia può nascere anche da frasi, da espressioni, da semplici parole, che mancano di esattezza e che non rispondono al rigore teologico: «Ex verbis inordinate prolatis sequitur haeresis» . Avremo così in questi difficili tempi, che tanto duramente ci mettono alla prova, una schiera di giornalisti ben formati non solo tecnicamente, ma anche religiosamente, i quali sapranno compiere con grande vantaggio della civiltà cristiana, l’importante e laborioso ufficio che la Provvidenza ha loro assegnato. Non deve mai essere dimenticato che per noi cattolici il carattere del giornale non è solo meramente industriale e commerciale, ma soprattutto formativo di coscienza.

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La conoscenza e l’amore della verità religiosa rende il giornalista vigile e attento contro gli errori, che tentano di offuscarla e di deformarla, da qualsiasi parte essi vengano e sotto qualunque veste si presentino. Li denunzierà senza debolezze e non permetterà mai che in nessun modo venga minimamente intaccata la sua fede religiosa. Ma in questa gelosa ed energica difesa della verità, dovrà sempre procedere con la massima lealtà. La lealtà nella discussione: ecco la seconda qualità che si richiede nel giornalista soprattutto cattolico. Si, difendere la propria fede con vigore e con animo virilmente robusto, ma sempre secondo giustizia, senza doppiezze, senza sotterfugi, senza esagerazioni, per la via diritta e non per le vie traverse. Potrà il giornalista cattolico adoperare ogni mezzo lecito di lotta, quando lo creda utile e opportuno al suo intento. Ma vi sono dei mezzi, a cui ricorrono purtroppo i suoi avversari con facilità, di cui egli però non dovrà mai permettersi l’uso.
La stampa oggi è largamente intossicata dal veleno della menzogna, della finzione e della slealtà. Per favorire loschi interessi e bassi egoismi, per riportare facili vittorie, i giornalisti spesso non rifuggono da insinuazioni maligne, da vili denigrazioni, da gratuite interpretazioni sopra le altrui intenzioni e neppure da accuse infondate o almeno esagerate. A questo ignobile metodo di lotta non ricorrerà mai il giornalista cattolico, coerente ai suoi principii. Scrupolosamente amante della veracità e della giustizia, egli eviterà tutto quello che possa anche lontanamente incrinare queste due bellissime virtù sociali; si manterrà costantemente retto a costo di qualsiasi sacrificio; darà sempre agli amici e ai nemici l’esempio della correttezza, non travisando alcun pensiero, non snaturando alcuna frase, non mutilando alcuna citazione, non esagerando mai, rispettando sempre le opinioni altrui nelle questioni incerte.
La Chiesa Cattolica, dice S. Tommaso, cammina a passo lento tra gli errori contrari: «Sancta Catholica et Apostolica Ecclesia inter errores contrarios medio lento passu incedit» . Profonde e sapienti parole, che assommano in sé tutta la storia ecclesiastica. La Chiesa non ama i suoi difensori esagerati, più capaci di spingere le cose agli estremi che di tenere in briglia il ragionamento; la Chiesa disapprova coloro che non conoscono altra autorità che il loro ardire, né altra scienza che le loro precipitose decisioni . Ad un leale procedimento informi la sua discussione il pubblicista cattolico. Anch’egli si avanzi a passo lento tra gli errori contrari, riprovi quello che è stato dalla Chiesa condannato, come contrario alla verità cattolica, ma non ponga le proprie idee in luogo della vera dottrina, e nelle materie controverse sappia rispettare il parere dei suoi avversari e discuterlo sempre lealmente. Il desiderio di riportare sull’avversario un facile trionfo non conferisce il diritto di travisare il suo pensiero, di fargli dire ciò che non ha detto. Le false allegazioni e i giudizi esagerati aggravano le querele, perpetuano le controversie, moltiplicano i malintesi e provocano diffidenze. Vi è pericolo, dice S. Girolamo, che una falsa interpretazione faccia del Vangelo di Cristo il vangelo del demonio .
È vero, i nostri avversari sono spesso maligni e falsi contro di noi. Ma non dobbiamo imitarli. S. Agostino osserva: «Se accade che i lupi si vestano da pecore, non ne segue che le pecore debbano lasciare la loro veste» . Lottiamo soltanto con le armi legittime, che sono quelle della sincerità e della giustizia: «Combattiamo, esorta S. Paolo, a destra e a sinistra, con le armi della giustizia». Il bene pubblico o privato renderà in qualche occasione doveroso e necessario un riserbo nel comunicare e manifestare la verità. Ma non si potrà mai essere costretti a dire la falsità. Ogni giornalista onesto dovrebbe prendere come sua tessera, come norma del suo operare, le parole di S. Paolo: «Nulla possiamo contro la verità, ma tutto possiamo per la verità» . Agendo diversamente potrà forse scansare qualche difficoltà o assicurarsi qualche momentaneo trionfo, ma lungi dal far progredire la sua causa nella mente dell’avversario, otterrà il risultato assolutamente contrario. Il culto appassionato della verità è segno di dignità personale, di fortezza d’animo, di nobiltà di sentimento, e rafforza ogni autorità morale e spirituale. La lealtà cristiana nella discussione è quindi giustamente considerata tra le influenze più atte ad aprire le anime al dono della fede.

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Al giornalista cattolico è necessaria in terzo luogo una giusta conoscenza del suo tempo, degli uomini per i quali scrive, degli errori e delle difficoltà che turbano il loro spirito. Senza questa conoscenza, egli scriverà cose buone e vere, ma forse inutili allo scopo, forse inopportune; combatterà difficoltà inesistenti, userà armi spuntate e inefficaci, e perciò invece di rendere un servizio alla causa religiosa, la danneggerà con il confermare maggiormente nel dubbio l’avversario, che vuole persuadere. Nulla di più umiliante che il vedere apologisti, che non sanno indovinare i bisogni di un’anima, che non comprendono le lacune di una intelligenza, che ignorano la sostanza e il punto centrale di una discussione. Esitano nelle risposte, si sbandano in ragionamenti estranei, disorientano se stessi e i lettori, o ciò che è peggio, tentano di sopperire con la violenza del linguaggio alla loro incomprensione.
Certo la verità è sempre la stessa. Non muta e non può mutare nella sostanza con il mutare degli uomini e dei tempi. Ma essa muta continuamente nelle forme e negli aspetti, sotto cui viene presentata nelle diverse epoche. Perciò il cattolico ha il dovere non solo di conoscere la verità, ma anche di conoscere il modo con cui deve essere presentata alle intelligenze dei contemporanei; non solo ha l’obbligo di difendere la verità, ma di difenderla con armi adatte. Le armi di cui si servì S. Agostino con tanto vigore e con tanto frutto contro gli avversari del Cristianesimo al suo tempo, non sarebbero sempre utili per combattere gli increduli moderni. La dottrina cattolica deve essere messa alla portata delle intelligenze moderne. Bisogna adattare l’esposizione delle verità eterne, che non cambiano mai, alle disposizioni, alle tendenze, alle aspirazioni delle generazioni che cambiano sempre. La verità è indipendente dalle intelligenze, che possono conoscerla o ignorarla, senza però distruggerla né alterarla. Ma la conoscenza e l’accettazione della verità dipendono, in larga misura, e dallo stato d’animo di coloro che sono chiamati a riceverla, e dalla forma più o meno accessibile sotto la quale la verità viene loro esposta. Ad ogni epoca corrispondono tendenze e preoccupazioni particolari, metodi di investigazione proprii, speciali teorie e anche accentuati entusiasmi e strani pregiudizi. La mente umana, troppo debole a cogliere e comprendere tutti gli aspetti delle realtà complesse, esagera volentieri l’angolo che la colpisce di più; i suoi errori spesso non sono che la deformazione o l’amplificazione di verità parziali. L’uomo contemporaneo s’invaghisce facilmente degli aspetti nuovi di problemi antichi, cerca di applicare a tutte le questioni, che lo inquietano, i metodi e i risultati delle felici scoperte dei tempi presenti, e non concede la sua fiducia, se non a quelle dottrine, che sono imbevute dei suoi pensieri ed espresse nel suo proprio linguaggio.
Per conquistare quindi alla verità religiosa l’anima contemporanea, è necessario conoscere gli errori che seducono quest’anima, conoscere la genesi di tali errori, sapere da quali cause siano nati, come si alimentino, con quali altri errori intimamente si colleghino e a quali altri diano forza. È necessario avere una conoscenza psicologica profonda di coloro stessi che professano questi errori, dei principii che li guidano, delle idee di cui vivono, dei metodi che essi seguono, dei sentimenti da cui sono animati. Uno scrittore che difetti di questa cognizione, potrà forse confutare l’avversario, ma non lo persuaderà. Il segreto della persuasione consiste nel saper partire dal punto di vista dell’avversario per condurlo dolcemente al nostro. Bisogna ben notare che nessun uomo si arrenderà e crederà, finché si accorge di non essere compreso. Se egli invece vede che il suo avversario riconosce volentieri ciò che la sua obiezione contiene di vero o almeno di probabile, ben di rado si manterrà restio e porterà un’attenzione sostenuta a ciò che gli viene esposto. Soprattutto nella difesa delle verità religiose ha valore il detto che: «se si vuole guadagnare un uomo al nostro modo di vedere, non bisogna offenderlo mai nei suoi sentimenti».

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Cultura religiosa, lealtà di discussione, conoscenza di tempi e di uomini, sono doti indispensabili per il buon successo della polemica religiosa: il pubblicista cattolico, che le trascurasse, comprometterebbe la causa della fede che deve difendere. Ma bisogna che queste doti siano integrate e avvivate dalla carità, che sopra tutto primeggia e dà loro unità, armonia ed efficacia. La difesa della verità pertanto sia sempre moderata dalla carità: nel vigore e nella vivezza della discussione aleggi sempre la bontà. È questo lo spirito del Vangelo. Gesù afferma coraggiosamente la verità e condanna senza riserve e sottintesi l’errore; ma lo fa preparando gli animi, rispettando i tempi e le circostanze, compatendo le lentezze e le miserie umane, adattando sempre con infinita condiscendenza la sua parola alla capacità e allo stato d’animo dei suoi uditori.
A questo spirito evangelico, cioè a compatire gli erranti e a condurli nella via della verità con la pratica della carità, ci esortano i più insigni difensori del Cristianesimo, anche quelli che pure erano di temperamento focoso e violento. Ascoltiamo, ad esempio, qualche consiglio di San Giovanni Crisostomo. «Nelle nostre dispute con i pagani, scrive egli, procuriamo di confutarli senza ira e senza asprezza: altrimenti sembrerà che noi siamo mossi dalla passione e non dalla verità. Il dire cose giuste con ira è un perdere tutto» . «Colui che riprende si astenga dalle beffe e dalle insolenze, ed usi invece dolcezza e mansuetudine, perché di esse ha bisogno per indurre il colpevole a subire l’operazione della correzione. Non vedi tu come i medici usino la dolcezza, quando debbono ricorrere al fuoco e al taglio? Tanto più la dolcezza è necessaria a colui che vuole fare correzione, la quale offende più del ferro e del fuoco» . «Vi sono molti che sotto pretesto di rivendicare l’onore di Dio, danno piuttosto soddisfazione alle loro passioni, dimenticando che tutto si deve trattare con dolcezza. Il Signore dell’universo, che potrebbe subito fulminare coloro che lo bestemmiano, fa levare il sole anche sopra di essi, e liberalissimo, come egli è, fornisce loro il necessario alla vita» . «Per imparare cose utili, è necessario innanzi tutto essere ben affetto verso colui che insegna; ma come possiamo esserlo con chi ci ingiuria?» «Apri le reti della carità, getta il dolce amo della misericordia per ritrarre il tuo fratello dall’abisso. Non far mostra a suo riguardo di odio, di avversione, di persecuzione, ma di vera e sincera carità. Vedi, l’apostolo S. Paolo non ingiuriava mai nessuno. Benché umiliato, percosso con le verghe, esposto alle beffe ed agli scherni, tutto sopportava e rispondeva solo con la mansuetudine e la preghiera. O prodigio di carità, o viscere veramente di Padre! Vorrei che voi tutti ed io per primo, imitassimo questo esempio. Non sapete forse che il Figlio di Dio non ispezzò la canna infranta né estinguerà il lucignolo ancora fumante?» .
A queste raccomandazioni del grande Dottore della Chiesa greca fanno magnifico riscontro quelle di S. Agostino della Chiesa latina. «Chi gode della luce, dice egli, non si adira con i ciechi, perché non la possono godere, ma li compatisce, e vedendo quanto gran bene sia la luce, se avesse i mezzi, subito correrebbe a sanarli. Chiunque ha la pace della verità, abbia dunque compassione di colui che non ha questa pace e che non possiede questo divino tesoro» . La carità di questo infaticabile atleta del Cristianesimo va più oltre e vuole che si usi un trattamento benevolo anche verso coloro che insultano la verità. Scrive infatti: «Se odi un insulto, un’ingiuria, tollera e dissimula. Osserva come i medici sono pazienti e dolci verso i malati, che mentre li curano danno loro morsicature e dicono loro villanie. Ricevono l’ingiuria e presentano la medicina. Ma tu mi dici che non puoi sopportare, perché bestemmiano la Chiesa. Ma la Chiesa ti prega di voler sopportare la bestemmia che si pronunzia contro di lei. Sopporta l’ingiuria e prega per colui che ti insulta» .

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Questo linguaggio di mitezza e di carità nella polemica religiosa, con nemici e con amici, si tramanda immutato nei secoli cristiani e lo sentiamo riecheggiare, con insistenza e con forza particolare, specialmente nei momenti di lotta più vivace e più accanita.
A tutti i cultori di scienze religiose è noto quale intrepido difensore della Chiesa Cattolica contro i Protestanti sia stato in Germania S. Pietro Canisio. Eppure non poteva soffrire che negli scritti dei Cattolici ci fossero parole aspre, ironie, scherni, allusioni violente; ma desiderava che tutto fosse informato alla carità e alla moderazione cristiana e religiosa. Il suo pensiero a questo riguardo traspare con chiarezza da una lettera, che egli scrisse ad un suo illustre amico: «Io sono del parere, egli dice, di molte altre persone, che vorrebbero vedere nel vostro modo di scrivere un po’ meno di asprezza, soprattutto in certe allusioni sui nomi di Calvino, di Melantone e di altri simili eretici. Tutto questo poco si addice alla gravità di un teologo. Si può tutto al più concedere ai retori e ai letterati di divertirsi e gingillarsi con questi piccoli fiori, dei quali si dilettano di ornare e abbellire i loro discorsi. Ma le anime non si guariscono con simili rimedi; il male al contrario in tal modo si inasprisce anziché diminuire. La verità deve essere difesa con saggezza, con energia e vigore, ma sempre con quella moderazione che tempera e addolcisce quello che si potrebbe dire di più forte. Così io vorrei che i nostri Tedeschi non trovassero mai nulla nei nostri scritti che potesse urtarli e disgustarli. Mi augurerei piuttosto che la nostra carità e moderazione fossero conosciute da tutti, e che se ciò fosse possibile, noi meritassimo di ricevere una favorevole testimonianza da quelli stessi che non sono dei nostri, ma che dobbiamo sforzarci di guadagnare e di riconciliare con Gesù Cristo» . Sappiamo dalla storia che il metodo usato dal S. Dottore nelle controversie con i Protestanti si ispirò costantemente a queste norme.
Nello stesso senso e con pari energia parlava un altro campione della difesa della fede il celebre Bossuet: «Persuadiamoci, scriveva, che lo spirito di dolcezza è il vero spirito del Cristianesimo. Non prendiamo quel piglio superbo e baldanzoso, perché operando in tal modo daremmo indizio di grande debolezza. La forza sta nella verità esposta con tutta calma; e questa forza appunto manca, quando si ricorre a quella forma altiera e litigiosa, che si vuole chiamare in aiuto. Quando vi accadrà di dovere combattere per la verità ponete mente che il Vangelo non si diffuse con acerbe dispute, ma con la dolcezza e pazienza… La vittoria appartiene alla dolcezza e alla pazienza. Trattate dunque con dolcezza e pazienza la causa di Dio» .
Lo spirito di dolcezza e di mitezza forma in modo speciale la caratteristica di S. Francesco di Sales e risponde meravigliosamente nelle dispute, che egli ebbe con i Calvinisti. Quanto spesso e con quale insistenza egli raccomanda nei suoi scritti di trattare caritatevolmente gli avversari, di non indisporli con parole dure e severe, di non ricorrere allo sdegno ed al corruccio se non rarissime volte, di guardarci dal coprire il nostro zelo col mantello della nostra asprezza, della nostra presunzione, del nostro cattivo umore, delle nostre passioni. Ben a ragione quindi Pio XI lo eleggeva a patrono e a modello degli scrittori cattolici in genere e dei giornalisti in ispecie, affinché da lui imparassero il modo di polemizzare con gli avversari .

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Ma quando si raccomanda la mansuetudine nella discussione, non si vuole affatto sminuire la fermezza e il vigore, e molto meno favorire quella bassa condiscendenza, che assomiglia a viltà. La pazienza non ci deve ridurre all’inerte atteggiamento dei deboli e degli impotenti, che si rendono responsabili del male che non hanno impedito o del bene che non fu fatto per la loro mancanza di fortezza e di coraggio. Dio, la verità, la giustizia, la Chiesa, il suo Capo, la sua gerarchia, i suoi diritti, vanno difesi con energia, con calore, con un animo virilmente robusto. Anzi, oggi più che mai è necessaria questa robustezza di affermazioni e di posizioni, perché i nemici sono straordinariamente audaci e insolenti e sarà qualche volta utile usare un linguaggio più severo, come lo hanno adoperato anche i Santi, per rintuzzare la sfrontatezza e le ingiurie degli avversari . S. Tommaso osserva che non è contro la natura della pazienza attaccare colui che ha fatto male, perché, al dire del Crisostomo, «è bensì cosa lodevole sopportare pazientemente le ingiurie che sono fatte a noi, ma è invece cosa empia tollerare con pazienza che venga ingiuriato Dio» .
Tuttavia anche nella repressione, anche nel parlar forte ed energico, dovrà sempre dominare la carità, come dice lo stesso S. Tommaso: «l’audacia di chi oltraggia deve essere repressa con moderazione, per un motivo cioè di carità e non per una sollecitudine esagerata del proprio onore» . Converrà in particolare osservare queste tre condizioni: che cioè si tenga ferma la regola generale data, intorno alla dolcezza; che dal modo di parlare, dalle parole e dalle circostanze si possa sempre argomentare che la severità eccezionale proviene da un cuore che ama; e infine che parole più severe siano sempre temperate da altre più dolci.
Il giornalismo cattolico antico vanta nella sua storia nobili tradizioni di santo apostolato cristiano. Ebbe spesso dure lotte da affrontare per il trionfo degli ideali cristiani, le sostenne con fierezza e prudenza e le vinse nel nome di dio e della sua fede. A questo giornalismo si presenta oggi un campo di battaglia più esteso, si affacciano nuovi problemi da risolvere, nuovi ostacoli da superare, nuovi avversari da convincere. L’ideale per cui esso combatte e sempre lo stesso: far penetrare l’idea cattolica per mezzo della stampa in ogni settore della vita sociale. Il modo di combattere è indicato dal mirabile connubio di energia e di carità, con prevalenza della carità.
In tal modo soltanto potrà divenire un conquistatore. Conquisterà le intelligenze mediante la fiaccola della verità, con la diffusione delle idee giuste, con la confutazione degli errori. Ma le discussioni dotte e sottili, le dimostrazioni calzanti ed eloquenti, non bastano: devono essere accompagnate dalla carità, devono farsi sentire al cuore. Altrimenti rimangono facilmente sterili e sono simili alla luce fredda che ci viene dal sole d’inverno. Perciò il giornalismo cattolico dovrà conquistare soprattutto il cuore e la volontà, guadagnarsi cioè la simpatia e la benevolenza dell’avversario con l’essere a suo riguardo sempre dolce, sempre caritatevole e comprensivo, sempre «imperturbabilmente evangelico», come diceva il Gratry. S. Agostino afferma nelle sue confessioni che fu preso e conquistato dalla soavità di S. Ambrogio più che non dalla sua dottrina .
Siamo fermamente convinti che nell’opera nostra di pubblicisti cattolici questa sia la tattica più consona e più giovevole alla mentalità moderna e alla situazione degli animi ai nostri giorni. Siamo del parere che non saranno mai gli scherni, i sarcasmi, gli insulti, le violenze di parola, che conquisteranno le intelligenze ed i cuori, ma soltanto la verità presentata con calma e serenità, con carità, con discernimento ed opportunità: le conquiste delle intelligenze e dei cuori sono riservate a quegli scrittori, a quei giornalisti che sapranno contemperare le esigenze della verità con le condiscendenze della carità, che odieranno e combatteranno gli errori, ma ameranno e aiuteranno gli erranti, che lotteranno nel solo intento che trionfi non l’amor proprio, ma unicamente la verità .

(La Civiltà cattolica 1948)

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