mercoledì 17 novembre 2010

L’UOMO DI FRONTE ALLA VERITÀ RELIGIOSA







Ringrazio di cuore un caro amico e fratello in Cristo, il Professor Andrea Moncada per avermi concesso il testo a seguire:


L’UOMO DI FRONTE ALLA VERITÀ RELIGIOSA

di A. Oddone S.I.


L’intelligenza umana ha sete di verità; la ricerca sempre e dappertutto; soltanto nel suo possesso trova quiete e riposo. «Che cosa più fortemente desidera l’anima, dice S. Agostino, che la verità: Quid fortius desiderat anima quam veritatem?»[1]. Potrà ben accadere che l’uomo traviato e perverso cerchi l’errore, lo voglia, se ne faccia apostolo; ma anche in questo caso egli protesterà sempre che cerca, che ama e insegna la verità. La natura, più forte della sua perversità, l’obbliga a mentire a se stesso e a chiamare verità quella che egli sa essere menzogna. La verità e l’errore sono nemici inconciliabili, che si disputano il dominio dell’uomo. Ma la verità, come sovrana naturale dell’intelligenza, basta solo che si mostri e si manifesti per quello che è per riscuotere dall’intelligenza l’omaggio e l’adesione; l’errore invece, simile ad un tiranno usurpatore, non può imporsi alla mente umana, se non ricoperto e mascherato dalle nobili insegne della verità.
Che se l’uomo tende naturalmente a qualsiasi verità, possiede tuttavia una speciale e più vigorosa inclinazione verso la verità religiosa. Le numerose questioni intorno a Dio e ai suoi attributi, intorno all’origine e alla finalità dell’anima umana, intorno a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, si affacciano di continuo e con insistenza all’orizzonte della sua mente, la tormentano, la turbano e chiedono imperiosamente una soluzione. Queste sono infatti questioni della più alta importanza a motivo dei loro indissolubili nessi con la vita morale di ciascun individuo. Non si tratta, come per tanti altri problemi estetici, storici, scientifici, di procurarsi un’emozione, di soddisfare una curiosità, di assicurarsi comodi materiali. Si tratta invece di problemi, che concernono gli interessi dello spirito ed i supremi destini dell’uomo, che investono tutto ciò che vi è in lui di più intimo, di più nobile e di più prezioso, che hanno sempre profonde ripercussioni nella vita presente e futura. Dalla soluzione, in un senso o nell’altro, dei problemi religiosi, dipendono distinti e opposti orientamenti e indirizzi della vita individuale e sociale. «Come volete voi che gente che non sa né come né perché sia in questo mondo, sappia ciò che deve fare della vita? E come volete che, non sapendo ciò che deve fare della vita, sappia poi come debba costituire, ordinare e dirigere la società? Chi ignora il destino dell’uomo, ignora quello della società, e chi ignora il destino della società, non è in grado di organizzarla. La soluzione del problema sociale sta tutto in una fede morale e religiosa. Questa fede oggi manca e fintanto che non sarà trovata, tutte le rivoluzioni materiali e sociali immaginabili non potranno giovare a nulla»[2].
Ma nonostante la bontà che in sé racchiude, nonostante la sua incalcolabile importanza, il suo potente influsso sulla condotta umana, le sue forti attrattive, la verità religiosa purtroppo non ottiene sempre da tutti gli uomini il dovuto riconoscimento e apprezzamento. Di fronte ad essa si manifestano infatti da parte degli uomini tre atteggiamenti differenti. Vi sono di quelli che la disprezzano, l’odiano, la combattono e tentano di sopprimerla e distruggerla; altri non se ne curano, passando oltre senza degnarla né di un saluto e nemmeno di un insulto; altri infine si professano suoi discepoli e seguaci e le tributano sincera e incondizionata adesione.
Gli uomini del primo atteggiamento, si dicono comunemente increduli; quelli del secondo, indifferenti; quelli del terzo, credenti. Con maggior esattezza di linguaggio i primi si potrebbero chiamare antireligiosi, i secondi areligiosi, gli ultimi religiosi[3]. Un breve esame di questi diversi atteggiamenti ci porgerà l’occasione per alcuni rilievi di pratica utilità per i tempi presenti. E incominciamo dall’atteggiamento antireligioso.
La vita religiosa, osserva il Bossuet, che quaggiù ci si presenta come in uno specchio, in enigma, videmus nunc per speculum et in aenigmate, appare invece in cielo pienamente svelata in tutto il suo splendore, ed è venerata, adorata e acclamata dagli spiriti beati. Anche nell’inferno essa estende, in certo modo, il suo dominio, e benché non vi trovi che nemici, costringe tuttavia questi suoi nemici a riconoscerla e a tremare sotto la sua potenza[4]. Così la verità è rispettata in cielo e nell’inferno. Soltanto la terra è il luogo in cui viene odiata e negata. Ciò che rende l’audacia degli uomini più inescusabile è che questa verità eterna non ha fatto come il sole, che restando sempre nella sua sfera, si contenta d’inviarci i suoi raggi, ma è venuta essa stessa tra noi, a portarci direttamente la sua luce per mezzo di Cristo[5].
È veramente strano quest’odio dell’uomo contro la verità religiosa! Ma donde nasce e quali sono le sue cause e i suoi motivi? S. Tommaso espressamente tratta l’argomento. Seguiamolo con la guida dello stesso Bossuet, che mirabilmente commenta le parole dell’Angelico[6].
Poniamo come fondamento che il principio dell’odio è la contrarietà e la ripugnanza. La verità non può essere odiata in se stessa, quando si mostra a noi in modo generale, nelle sue amabili e divine bellezze. Noi la odiamo soltanto, quando la consideriamo in qualche soggetto particolare, nel quale essa combatte le nostre cattive tendenze e i nostri malvagi desideri; la odiamo, quando il suo incantevole splendore mette in chiaro i nostri difetti, quando non contenta di mostrarci ciò che è in se stessa, la sua ineffabile bellezza, ci mostra anche ciò che siamo noi e ci manifesta la nostra bruttezza.
Tre sono i soggetti particolari in cui risiede la verità religiosa: Dio che ne è la sorgente, la nostra coscienza che ce la proclama, gli uomini incaricati di comunicarci gli insegnamenti di Dio e d’indirizzarci nella via del bene. Ma in ciascuno di questi tre soggetti la verità si oppone costantemente alla malvagità degli uomini, la disapprova, la condanna. E perciò essa diventa bersaglio del loro disprezzo e del loro odio. L’odiano sempre e in qualsiasi luogo si trovi; l’odiano in Dio, in se stessi e negli altri uomini.
È della natura dell’odio voler distruggere e annientare il proprio oggetto, com’è della natura dell’amore volerlo conservare. Quando si odia, si mira a distruggere nella sua realtà quello che si è già distrutto nel proprio cuore. La presenza dell’oggetto che odiamo offende la nostra vista; il dover trovarsi con esso, in sua compagnia, ci appare cosa funesta e insopportabile; tutto ciò che viene da parte sua ci fa orrore. Vorremmo quindi interamente disfarcene, e perciò l’attacchiamo e lo combattiamo accanitamente e senza quartiere. Giustamente quindi da S. Giovanni colui che odia è chiamato omicida: «Chi odia il suo fratello è omicida»[7].
Applicando questa dottrina al caso nostro, comprendiamo l’accanimento della lotta che gli odiatori della verità fanno a Dio, alla loro coscienza, a tutti coloro che della verità sono divulgatori e apostoli.
* * *
Dio è la stessa verità, la verità per essenza, da cui deriva ogni altra verità, dalla quale emana la legge suprema del bene e del male, l’inesorabile giustizia che punisce tutti i delitti degli uomini. Gli empi quindi non vorrebbero nel mondo né verità, né legge, né giustizia. Essi gridano dal profondo del loro cuore «Dio non c’è»[8].
Di qui la guerra incessante dell’ateo contro ogn’idea di Dio, e i suoi sacrileghi sforzi per distruggerlo; di qui la folle pretesa di certa scienza, o per meglio dire di alcuni uomini che vogliono far credere di essere stati costretti in nome della scienza e di essere riusciti nell’impresa, di avere cioè eliminato Dio dal consorzio umano, di averlo «decapitato».
Sono note le bestemmie e gli insulti contro Dio degli scrittori materialisti e positivisti del secolo scorso, i loro orgogliosi annunzi della morte di Dio, i proclami dei suoi funerali. «Quando Buddha morì, scrive il Nietzsche, si mostrò ancora per secoli la sua ombra in una caverna: ombra enorme, paurosa. Dio è morto! Ma gli uomini fanno sì che ancora per millenni nelle caverne si mostrerà la sua ombra... Noi dobbiamo ancora vincere quest’ombra... Dov’è Dio? Voglio dirvelo: l’abbiamo ucciso voi ed io»[9].
Ai nostri giorni il canto funebre per la morte di Dio è stato orchestrato ed eseguito in modo speciale dal bolscevismo russo. Ce ne dà un tipico saggio Vladimir Majakovski in una poesia di volgare contenuto, che merita di essere conosciuta come prova purtroppo eloquente delle funeste conseguenze prodotte dalla propaganda ateistica. La riportiamo in nota[10].

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La verità di Dio si è rivelata a noi per mezzo di Gesù Cristo. Egli è il Verbo di Dio, l’espressione del suo pensiero: Egli è il Figlio di Dio. Si fece carne e abitò fra noi per comunicarci la verità del Padre suo, per rendere testimonianza alla verità. Gesù Cristo è la luce delle nostre intelligenze, il Maestro sommo ed unico dell’umanità. L’odio quindi dei nemici di Dio si rivolge anche contro Gesù Cristo e la sua dottrina. L’afferma Egli stesso: «Odiano me e il Padre mio»[11].
I malvagi odiano Gesù Cristo, perché egli è la luce di Dio. Ora chi fa il male odia la luce e alla luce non si accosta, perché non vuole siano svelate le sue opere nefande[12]. Odiarono Gesù i suoi contemporanei. Egli durante la sua vita quaggiù, fu vindice inesorabile dei diritti violati e delle virtù conculcate; fu flagello terribile dei farisei; ne censurò fortemente la condotta, ne umiliò la superbia, ne scoprì l’ipocrisia, ne condannò gli scandali; fu come una fiaccola, che mise dinanzi agli occhi di ciascun malvagio tutta l’onta della sua vita. «Il mondo, disse Egli stesso, mi odia perché faccio vedere che le sue opere sono cattive»[13].
I farisei odiarono Gesù. E perché l’odiarono ne respinsero la regale sovranità: «Non vogliamo che costui regni sopra di noi»[14]. E perché l’odiarono, perché odiarono le leggi immutabili della sua eterna giustizia, lo vollero uccidere: «Mi volete uccidere, perché la mia parola non vi piace»[15]. E Gesù salì il Calvario e morì sulla croce per aver predicato ininterrottamente la verità.
Coloro che lungo i secoli si levano contro di Lui, sono sempre gli odiatori, i nemici della sua santa parola, della sua eterna verità. Si ripetono sempre contro di Lui i tentativi per crocifiggerlo nuovamente, per distruggere in Lui l’idea dell’uomo Dio. A che cosa mirano infatti le principali eresie, che si alternarono nei secoli cristiani e ricompaiono ai nostri giorni? A scoronare Gesù Cristo dell’aureola della sua divinità, a deturparne e travisarne la stessa umanità, a distruggere in Lui, nella sua persona, il Dio e l'Uomo.
Ma Dio non muore. Nel famoso discorso di S. Marino il Carducci affermava: «Nulla sequestrerà Dio dalla storia: Dio, la più alta visione a cui si levino i popoli nella forza di loro gioventù; Dio, sole delle menti sublimi e dei cuori ardenti... Guido Cavalcanti va cercando se Dio non sia, ma tra le arche dei morti; mentre Dante Alighieri ai morti e ai viventi e ai non nati annunzia che Dio è e trionfa, lo annunzia con il più alto dei canti umani, che solca con un fiume di luce la barbarie e la rompe... Ove e quando ferma e serena rifulge l’idea divina, ivi e allora le città sorgono e fioriscono. Ove e quando ella vacilla e si oscura, ivi e allora le città scadono e si guastano»[16]
Ma come Dio non muore, così Cristo non si uccide. Egli così ieri, come oggi, come domani, resta e resterà sempre ritto in piedi, sempre vittorioso, mentre i suoi nemici cadranno ignominiosamente e semineranno dei loro cadaveri il cammino della storia.
L’ateo quindi lancerà sempre invano il suo dardo contro Dio e il suo Cristo. Il colpo non raggiungerà mai il bersaglio e l’arco si spezzerà, non solo la sua impresa finirà sempre inevitabilmente in una clamorosa sconfitta, ma l’arma adoperata dall’ateo contro Dio si rivolgerà contro di lui, gli colpirà il suo proprio cuore, gli ucciderà moralmente Dio nella sua stessa anima.
L’ateismo è una morte, un decesso dello spirito, della vita divina. L’ateo è fisicamente vivo, ma spiritualmente morto. Ha tentato follemente di uccidere Dio; ha invece ucciso se stesso.

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Un secondo attentato contro la verità può essere compiuto dall’uomo in quanto essa risiede nella sua coscienza.
Dio ha impresso nell’anima dell’uomo la legge naturale, che è come norma e guida delle sue operazioni. A questa legge egli ha aggiunto, per il cristiano, la legge positiva del Vangelo. Il cristiano quindi porta in se stesso una doppia legge: la legge dell’equità naturale e la legge della grazia. La prima gli è data con la ragione, la seconda con la fede. Queste due leggi sono come una partecipazione fedele della verità eterna, che si trova in Dio, e perciò noi possiamo dire che la verità di Dio è «dentro di noi e dimora in noi».
L’uomo, come abbiamo visto, muove audacemente guerra alla verità nel seno stesso di Dio e cerca di distruggerla, vuole ucciderla nel suo stesso originale, nella sua stessa sorgente. Non dobbiamo quindi meravigliarci che la combatta anche in quanto la trova in se stesso, nella sua coscienza, che procuri e si sforzi di alterarla, come osserva il Bossuet, anche «nelle copie dell’originale e nei ruscelli della sorgente». Ma, se nel primo caso la verità primitiva e originale resta qual’è in se stessa, sempre intera e inviolata, nel secondo invece può purtroppo essere oscurata, falsificata, corrotta e, per qualche tempo almeno, spenta del tutto.
Nella nostra coscienza, che è la cosa più intima e più delicata che ci appartenga, risiede pertanto quella verità di cui Dio ci ha fatto partecipi. La coscienza è come uno specchio che la riflette, come un istrumento che la riecheggia e la rimanda, come un araldo che ce la proclama. L’alterazione e la falsificazione della verità nella coscienza succede, quando la coscienza viene offesa e quando si opera contro i suoi dettami. Allora le sue nobili funzioni di norma, di testimonio e di giudice dell’attività umana, che Dio le ha provvidenzialmente assegnate, subiscono facilmente sconcerti e turbamenti, restano deformate e paralizzate nel loro esercizio. Lo specchio più non serve allo scopo per cui è fatto, se noi chiudiamo gli occhi per non vedere l’immagine in esso riflessa, se il suo cristallo è offuscato o infranto; l’istrumento musicale risuona male o non risuona affatto, quando ha le corde o arrugginite o allentate o spezzate; l’araldo se viene in qualche modo corrotto o reso infedele al suo re, ne falsificherà facilmente gli ordini. Lo stesso accade per la coscienza.
Spesso l’uomo, incantato e sedotto dal piacere, distratto e assorbito dagli affari, non si dà cura di riflettere su se stesso, non ascolta la voce del dovere, che la coscienza gli prescrive. Per non vedere la luce della verità, che irradia dalla sua coscienza, per evitarne anche i semplici riflessi, l’uomo, come l’uccello che fugge davanti al sole, si nasconde in una caverna oscura e tetra e le volta irragionevolmente la schiena. La luce della coscienza sarà sempre incomoda e insopportabile per una condotta sregolata; la sua voce sarà sempre una severa condanna per ogni mancanza e per ogni disordine morale.
Si comprende allora come l’uomo malvagio compia ogni sforzo per offuscare questa luce della coscienza, per affievolire o tacitare del tutto questa voce, per rendere insensibile e muto l’organo che la produce. Noi compiangiamo, e con ragione, i popoli infedeli che, non conoscendo la verità della fede, camminano nell’oscurità. Ma non sono in migliore condizione di quei cristiani, che impediscono il diffondersi della verità proclamata dalla loro coscienza, che ne intercettano volontariamente gli influssi benefici nella propria vita. Non basta infatti possedere e conoscere la verità, se essa non influisce sullo spirito e non guida le nostre azioni. In tal caso si dimora ugualmente nelle tenebre, si cammina ugualmente nell’oscurità.
La lotta contro la coscienza va spesso più oltre. Una coscienza addormentata e incatenata potrebbe sempre svegliarsi e spezzare le catene che la opprimono e far echeggiare nuovamente e forse con più forza la sua voce, i suoi ammonimenti e le sue condanne. L’uomo malvagio quindi non si accontenterà di addormentarla, ma cercherà anche di falsificarla, di corromperla, di far insomma che essa parli come egli desidera, come vogliono le sue passioni e i suoi interessi.
Le passioni e gli interessi creano facilmente nella coscienza un’altra legge, che è in contrasto con la legge di Dio; stabiliscono altri criteri di moralità che non sono quelli di Gesù Cristo. In tal modo rimane svisata e deformata nell’uomo la norma e la regola della verità. Chi si lascia guidare da questa falsa legge e da questi falsi criteri, è, secondo S. Agostino, come «colui che soffia sulla polvere, la solleva e procura di farsi entrar da se stesso la terra negli occhi» [17]. L’uomo quando è guidato dalla limpida luce della coscienza, cammina tranquillo e sereno nel largo sentiero della virtù, nella luminosa via della giustizia. Ma le vane e perniciose discussioni e distinzioni sulla legge morale, gli indecorosi e disdicevoli compromessi con i suoi doveri, l’ambiente, le relazioni, le compagnie mondane e irreligiose, le letture leggere, frivole e contrarie allo spirito cristiano ed altre cause, gli producono a poco a poco nuvoli densi di polvere negli occhi. La sua vista ne rimane offuscata, il suo giudizio si corrompe, i suoi apprezzamenti sulle virtù e sui vizi fatalmente si deformano. Chi si trova in tale stato, chi ha una coscienza così falsificata, non disapprova più certe azioni che in altro tempo apertamente ed energicamente detestava; trova leggero, sotto l’aspetto morale, quell’atto che prima riteneva grave e sconveniente e indegno di un uomo onesto e soprattutto di un cristiano; considera scusabile ciò che prima gli era del tutto intollerabile; sostituisce facilmente principi naturalistici e norme mondane alle dottrine soprannaturali ed evangeliche.
Tutto ciò naturalmente produrrà un capovolgimento morale, nei pensieri e nelle azioni; si avrà inesorabilmente a poco a poco un mutamento sostanziale nella vita, che da onesta e cristiana diverrà del tutto pagana.

* * *
Notiamo tuttavia che per quanto siano insistenti gli assalti, che dai malvagi si muovono contro la coscienza, per quanto sia profondo il lavorio della disgregazione delle norme e dei principii di moralità, il decadimento dell’uomo non sarà mai totale, permanente e assolutamente irreparabile. Il senso morale può ancora riprendersi e risvegliarsi anche nell’uomo caduto nell’abisso dell’iniquità; la fiaccola, che ci fu data per illuminare il nostro cammino, non si spegne mai del tutto; l’occhio di Dio segue continuamente il colpevole, come seguiva, secondo la tragica descrizione di Victor Hugo, Caino nella sua fuga[18].
Sarà quindi sempre possibile riabilitare una coscienza depravata, compierne la ricostruzione, far risplendere di nuovo in lei la luce della verità. Quest’ufficio spetta in primo luogo ai sacerdoti, che furono da Cristo eletti depositari della verità evangelica. Essi questa verità la devono fedelmente conservare ed esporre, la devono anche arditamente difendere e proteggere contro gli assalti ininterrotti dei suoi numerosi nemici, contro il torrente impetuoso di tante forze sovversive dell’ordine morale.
Tra i doveri del ministero sacerdotale quello di difendere la verità e di custodirla nella sua integrità, è certamente uno dei più importanti, dei più delicati e difficili. Per adempierlo fruttuosamente e convenientemente, si richiede coraggio e forza, spirito di sacrificio, dolcezza insieme e vigore. Il sacerdote deve smascherare l’errore, riprendere le ingiustizie e i disordini, correggere gli abusi e le deviazioni, sostenere i diritti e condannarne le violazioni da qualsiasi parte esse provengano. Tutto ciò suscita naturalmente odi e avversioni, crea nemici e provoca persecuzioni. «Sono divenuto vostro nemico, dice S. Paolo, perché vi ho detto la verità»[19]. Il che fu vero in ogni tempo. I sacerdoti, come attesta la storia dell’apostolato cristiano, soffersero molto nel passato per la loro opposizione all’errore, e versarono spesso il loro sangue per essere stati vindici inesorabili e sentinelle attente della cittadella della verità.
Anche oggi il sacerdote è spesso odiato e perseguitato per causa della verità. Nella barbarie intellettuale dei nostri giorni, nel conflitto odierno di errori, di filosofie, di sistemi, di scetticismo, di negazioni delle più sante e rispettabili verità, egli leva coraggiosamente la sua voce, che rischiara, ammonisce e condanna. Contro il rigurgito di ignominiose passioni, che sconvolgono ed abbrutiscono il cuore dell’uomo e minacciano la sicurezza dell’ordine sociale, egli oppone lo scudo della fede e della morale cristiana, che argina la corruttela e purifica gli animi. Anche di fronte ai potenti, che sciaguratamente si armano contro la verità e tentano di renderla schiava, il sacerdote offre oggi al cielo e alla terra, agli angeli e agli uomini, agli amici e ai nemici della verità, lo spettacolo sublime di un coraggio indomito e di una resistenza incrollabile, che non conoscono ripiegamenti, che non ammettono rese codarde e vili. E per questo anche oggi, come per il passato, il sacerdote è spesso oggetto di odio. Per questo viene calunniato, insultato, vilipeso in mille modi, ora apertamente o in modo subdolo, ora violentemente o sotto la maschera di perfide blandizie e lusinghe. Soprattutto la verità, dal prete oggi non si vuole! Non la volle Erodiade rimproverata per le oscenità della sua vita, e Giovanni fu decapitato. Non la volle il preside Felice, che a S. Paolo che disputava «della giustizia, della castità e del giudizio futuro», comandò atterrito: Vattene![20]

* * *
Ma di fronte agli odiatori della verità, il sacerdote non indietreggia, non se ne va. Ai suoi nemici egli ripete con Gesù Cristo: «La mia missione è quella di rendere testimonianza alla verità»[21]. Dirà perciò sempre la verità, a tutti, in ogni circostanza, ma la dirà in quella carità la quale mira a distruggere con metodo soave, secondo il pensiero di S. Agostino, prima gli idoli del cuore umano che non violentemente gli idoli esteriori[22]. E all’odio contro di lui, il sacerdote risponderà con l’amore; agli insulti contro la sua persona, opporrà le opere della sua beneficenza. Sarà odiato e amerà; sarà vilipeso e beneficherà.
Ci piace chiudere queste nostre osservazioni con una bella e geniale pagina che il Cardinal Maffi scrisse a commento della scritta Abbasso i preti!, che si trova qualche volta sui muri delle case o per le strade. «Questa parola, dice egli, pronunziata a insulto, noi nella carità di Cristo, la dobbiamo intendere come preghiera e gemito di miseri che ci chiedono pietà. Oh sacerdoti, ascoltatelo questo grido e vi commuova. Quei miseri lo sentono che sono abbasso; abbasso nell’odio, nella corruzione, nella ignoranza; lo sentono e v’invocano. Abbasso, o sacerdoti, discendete e salvate! Abbasso ai poveri bambini e istruiteli nei catechismi e nelle dottrine; abbasso ai giovani, perché non cadano a corruzioni; abbasso ai poveri, agli ammalati, ai miseri, a quanti soffrono (e tanti e tutti soffron sulla terra!), abbasso nei fondi sociali, nelle iniquità, nelle perversità non per contaminarvene, ma per far riparo. Oh sacerdoti, l’ascoltate la parola che empi consiglieri suggerirono a bestemmia: Dio la usa, come usò il grido della folla a Gerusalemme, per chiamarvi a redenzione e a intenerirvi a pietà... Oh grande, oh santo, oh benedetto quel giorno nel quale un fratello che ci temé nemici, non isdegnerà l’amplesso nostro e ci stringerà sul cuore e sentirà il nostro amore, e reclinando il capo sulla nostra spalla ci consentirà di dirgli, come all’Innominato il Cardinale Federico: “Fratello, non più l’inferno nel cuore: Dio ti è vicino e ti ha fatto suo. Ti amo, amami; la pace è con te!”»[23]



[1] Tract. In Ioan., XXVI, 5: Migne, P. L., XXXV, 1609.
[2] T. Jouffroy, Oeuvres completès, Du scepticisme actuel, Course de droit, leçon dixième.
[3] Cfr. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, vol.I, ragionamento VII, Brescia 1931.
[4] «Anche i demoni credono e tremano» (Giac. II, 19).
[5] Serm. II per la Domenica di Passione, Oeuvres completès: Migne, VI, 668.
[6] Summa Theol., I-II, q. XXIX, a. 5.
[7] I Giov. III, 15.
[8] Salmo LII, 1.
[9] I. Giordani, L’Ateismo, p. 77, Roma 1949.
[10] «Le vecchiette, scrive il poeta, ancora pregano curve sotto il giogo della pietà, ma la marcia trionfale della gioventù comunista fa già risonare la fede novella. — Non più il loro dio traccia il corso del nostro destino; è l’uomo che adesso, al canto dei motori elettrici, governerà il mondo lui stesso. — Ormai le streghe ed i demoni non più condurranno la danza al di là dell’umano giudizio; ma le domate folgori ormai saranno a servizio dell’industria pesante. — Non più dio farà girare la palla fiammante del sole; saremo noi, o signori, a portare il sole e la luna al Sindacato dei Minatori. — Né più, per l’umana vergogna, dipenderemo dal cielo e dai suoi segni funesti, ma sospenderemo lampade elettriche alle volte celesti. — Non masticheremo più le sacre scritture sotto la mazza del prete, ma illumineremo la terra con la cosmografia e il teorema di Talete. — Strappa le redini a dio! Troppo è durato l’inganno dei suoi falsi miracoli. — Creeremo da noi sulla terra le leggi degli uomini, fuori dai suoi tabernacoli. — Sono finite le feste nelle piccole chiese malsane! — Con una marcia potente celebreremo noi le nostre feste più umane. — Sono finite le tavole sante, le farse dei riti e delle messe nelle domeniche tristi! — È il 25 ottobre, la domenica dei comunisti. — Quel giorno tra il panico folle, i borghesi volsero la schiena; l’operaio schiavo d’un tratto si sciolse dalle sue catene. — Egli è risuscitato: diritto sui propri piedi, rimase un istante immobile, guardò: si mise in marcia, spezzando i nodi di tutte le fedi. — Un drappo rosso gli sventola sul capo e si accende di sole. — La fiaccola della scienza risplende nel suo pugno forte. — Lasciamo alle vecchie beghine le chiese, la croce, il vangelo! — Avanti, avanti, o gioventù comunista! — E al suono della marcia tremi di paura il cielo». Questa poesia fu pubblicata dall’Avanti! (9 novembre 1947) sotto il titolo Domenica nostra. Cfr. Osservatore Romano, 10-11 novembre 1947.
[11] Giov. XV, 3.
[12] Id. III, 20.
[13] Id. VII, 7.
[14] Luca XIX, 14.
[15] Giov. VIII, 37-40.
[16] Poesie di G. Carducci, Bologna 1905, p. 1214. Certamente il Carducci parla a modo suo, ma vi sono nel suo discorso delle frasi che possono essere adatte al nostro caso.
[17] S. Agostino, Confessioni, lib. XII, capo 16.
[18] La Coscience nella Légende des Siècles. Il poeta descrive Caino che fugge davanti all’occhio di Dio che terribilmente lo guarda. Quest’occhio di Dio lampeggia nel cielo durante la notte; tra le fronde della foresta dove Caino corre a rifugiarsi; nel fondo dell’antro in cui va a nascondersi; nell’abisso delle acque in cui si getta; nella fossa che si scava e nella quale si seppellisce: «l’occhio era nella tomba e guardava Caino».
[19] Gal. IV, 16.
[20] Atti XXIV, 25.
[21] Giov. XVIII, 37.
[22] «Prima d’ogni altra cosa, dice S. Agostino, è da procurare che gli idoli si spezzino nei cuori dei pagani, né vogliamo si distruggano violentemente gli oggetti del loro culto. Una volta che gl’idolatri siano guadagnati a sentimenti cristiani, essi stessi ci inviteranno a disfarli e lo faranno da per se. Preghiamo per loro e non ci adiriamo contro di essi. Chi ha voglia di corrucciarsi, non gli mancherà, ove sfogare il suo sdegno. Vedete sorta di cristiani, che sono ancora mezzo pagani, che solo col corpo e non con lo spirito ci stanno uniti!». (Serm. 62, n.17: Migne, P. L., XXXVIII, 423). Cfr. H. Grisar, Roma alla fine del mondo antico, p.33, Roma 1930.
[23] Pastorale del 1910: Chi sono. Chi siamo.

(La Civiltà cattolica 1951)

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