martedì 31 maggio 2011

VERO E FALSO CRISTIANESIMO - di Don Curzio Nitoglia...


● La vera vita non consiste solo e unicamente nel mangiare e bere, nel divertirsi e provare emozioni e piaceri. Tutto ciò da solo non ha sbocco, non ha fine né ideale: porta alla morte senza speranza di resurrezione. È una vita puramente animale alla quale manca l’essenziale di ciò che ci rende uomini: il “razionale”, ossia conoscere la Verità e amare il Bene con una prospettiva soprannaturale ed eterna. L’uomo, infatti, è un “animale razionale” (Aristotele). Il cristiano oltre che uomo ha in sé l’ordine soprannaturale, Dio, presente nella sua anima, tramite la Grazia santificante, ma in maniera limitata e finita.

● Il cristianesimo integrale è una cosa seria, non conosce le mezze misure, i compromessi, gli accomodamenti, le mescolanze dei princìpi. Da princìpi assolutamente certi (Fede e Morale) tira conclusioni logiche, che portano ad una vita fatta di Conoscenza della Verità (Fede) ed amore del Bene (Carità). Ma non si può conoscere il Vero senza combattere il falso e l’errore; non si può amare il Bene senza odiare o separarsi dal male. “Militia est vita hominis super terram” (Giobbe). Occorre essere assolutamente integri e intransigenti nei princìpi, anche se “elastici”, misericordiosi e comprensivi della umana fragilità e limitatezza nelle questione di mezzi e di pratiche.

● “La Grazia non distrugge la natura, la presuppone e la perfeziona” (San Tommaso D’Aquino). Perciò dobbiamo prima essere veri uomini e poi buoni cristiani. Infatti La vita naturale è l’unione dell’anima col corpo, la vita soprannaturale o cristiana è l’unione dell’anima con Dio. La morte è la separazione dell’anima dal corpo, la dannazione è la separazione dell’anima da Dio a causa del peccato.

● Essere vero e integrale cristiano significa camminare verso una meta che è Dio, senza deviare a destra o a sinistra, per quanto umana limitatezza possa permetterlo. Una delle raccomandazioni principali che dobbiamo farci sempre è quella di non mentire mai a noi stessi e a Dio che vede ogni cosa anche i pensieri più reconditi. Bisogna aderire alla Verità anche se non ci piace e se ci ripugna.

● Il vero cristianesimo è il contrario del modernismo (“la cloaca in cui confluiscono tutte le eresie”, San Pio X) per il quale non esiste una Verità assoluta, oggettiva, stabile, ma tutto è prodotto dalle esigenze o dal capriccio umano. Dio è il prodotto dell’uomo! Che assurdità, depravazione, degenerazione! Il modernismo è una religione rovesciata, infera, degenerata e invertita. Invece il vero cristianesimo integrale ha un unico Fine, oggettivo, per cogliere il quale bisogna essere disposti a tutto anche a rinnegare o dire no a noi stessi, ai nostri capricci, interessi, gusti e piaceri, in breve all’io corrotto dal peccato originale che invece è idolatrato dal modernismo soggettivistico. Ecco la contrapposizione irreconciliabile tra cristianesimo e modernismo, tra Cristo e Satana, tra luce e tenebre, tra “io” falso e ferito e Dio.

● Questa è la nostra Fede, ma “la Fede senza le opere è morta” (Giac. II, 20). Quindi bisogna tirarne delle conclusioni e applicarle alla vita pratica e quotidiana. Sapere e volere debbono camminare assieme, la sola conoscenza “gonfia”, la sola volontà è cieca. Noi siamo fatti per “conoscere, amare e servire Dio e mediante questo salvare la nostra anima” (Catechismo di San Pio X).

● Il buon uso delle creature è indispensabile per la vera e buona vita cristiana. Le creature (noi compresi) sono mezzi e strumenti atti a farci cogliere il Fine ultimo che è uno solo: Dio. Quindi non dobbiamo servirle ma servircene (nel senso buono e non utilitaristico del termine). Ossia, le si impiega “tanto quanto ci aiutano a cogliere il Fine, né più né meno” (S. Ignazio da Loyola). Anche noi siamo creature e mezzi per gli altri. Non dobbiamo scambiarci per il Fine. Questo è narcisismo disordinato non cristianesimo. L’ordine è il mezzo ordinato al Fine.

● Il disordine è quando l’uomo si mette al posto di Dio. Tutti i mali derivano da questo disordine, che è il ribaltamento dell’ordine divino. Il Modernismo è essenzialmente questa rivoluzione antropocentrica. Non è un peccato di debolezza o fragilità, ma dello spirito e di fermo proposito, scientificamente studiato e fermamente voluto. Dio non è il primo o il Fine né nell’intelletto, né nella volontà e neppure nella sensibilità dell’uomo, ma l’Uomo è “Fine” a se stesso (Gaudium et spes, 24) e Dio una sua produzione!

● “Et ab occultis meis munda me”, infatti ognuno di noi anche se non è modernista può, per debolezza, mettere Dio al secondo posto, anche non esplicitamente o non pienamente cosciente ma praticamente nel bene che fa o crede di fare. Queste sono le imperfezioni che non vediamo pienamente o non vogliamo vedere, cercando di occultarle ai nostri occhi. Ma non possiamo nasconderle agli “occhi” di Dio. Facciamo il bene per “glorificare” il nostro amor proprio più che per dar gloria a Dio solo. È mancanza di purezza d’intenzione. Occorre fare attenzione, poiché “l’uomo guarda all’azione, ma Dio all’intenzione” (Imitazione di Cristo) e il giorno del Giudizio ci troveremo a mani vuote di fronte Dio, avendo fatto il bene per noi stessi e per la nostra “gloria” tramite una segreta e impercettibile compiacenza nelle nostre capacità e azioni. Dobbiamo far caso solo allo sguardo di Dio e al suo Giudizio. Se ci lasciamo influenzare dall’occhio e dal “giudizio” dell’uomo significa che Dio non ha praticamente e realmente il primo posto in noi. Dobbiamo solo pensare a ciò che avviene in noi di bene per ringraziare Dio o di male per correggercene e non a ciò che avviene attorno a noi: sarebbe rispetto umano. Quando ci mettiamo al primo posto, in pratica anche se non a parole, viviamo nella menzogna. “Tutti i mali della nostra vita derivano dall’eccessivo timore di dispiacere agli altri o dal desiderio disordinato di essere apprezzati da loro” (Imitazione di Cristo). Dobbiamo chiedere a Dio la luce e la forza per raddrizzare questa stortura, che sussiste nel profondo della nostra anima. Solo quando Dio sarà il primo nella nostra vita, non solo a parole ma anche nei fatti, allora saremo veramente cristiani.

● Orgoglio e Umiltà. La vera umiltà di cuore e non di sole parole consiste nella verità. La nostra vita è creata
e ci è data da Dio per Dio. La falsità è pensare che la nostra vita è diretta da noi e per noi.

● Dolcezza e Fortezza sono le due virtù che occorrono al vero cristiano per sopportare, accettare e per agire. Docilità nell’accettazione e virilità nell’azione. Senza docilità la fortezza si tramuterebbe in crudeltà e senza fortezza la dolcezza in codardia. Dobbiamo unire queste due virtù, come l’intelletto e la volontà. Per fare un esempio: abbiamo amici, ma anche nemici. È facile vivere con gli amici (anche se uno solo è il vero amico che non tradisce mai: Gesù Cristo). “Il nemico di oggi forse sarà l’amico di domani e l’amico di oggi sarà il nemico di domani” (Imitazione di Cristo). È difficile umanamente parlando vivere con i nemici. Allora bisogna saper far tesoro, soprannaturalmente, delle gioie degli uni e delle pene degli altri per esercitare la virtù di pazienza e di fortezza. Pene e gioie sono mezzi che debbono aiutarci a raggiungere il Fine che è Dio. Tutto deve servire al nostro sviluppo: lodi e affronti. Se viviamo solo per il nostro piacere non mettiamo Dio al primo posto. Invece se Dio è realmente il Fine ultimo della nostra vita allora le gioie degli amici e le pene dei nemici ci aiuteranno come strumenti per unirci a Dio. Chiediamogli la grazia di “saper sopportare chi ci avversa e di evitare chi ci adula e lusinga” (Imitazione di Cristo).

● Accettare e Fare. Questa è la vita cristiana. Accettare tutto quel che Dio permette, anche ciò che ci ripugna, per fare la Volontà di Dio, anche se è crocifiggente. Croce deriva dal latino cruciari ossia essere tormentato. Chi rifiuta di essere tormentato rifiuta la Croce e Gesù e quindi si preclude il Paradiso. La vera unione con Dio è l’unione morale o della Volontà, è l’uniformità alla Volontà di Dio. Sono realmente in comunione o in unione di vita comune con Dio se accetto la Sua Volontà in tutto ciò che mi accade e faccio il mio dovere anche se mi pesa e non mi piace.

● Ancora una volta ci si trova di fronte alla opposizione per diametrum tra Cristianesimo e Modernismo. Il primo accetta dalle mani di Dio tutto, gioie e dolori: “Dio ha dato, Dio ha tolto, sia benedetto il Nome del Signore!” (Giobbe). Il secondo ci dice che “Dio” è un prodotto dei bisogni del subconscio umano, per rendere l’uomo felice e soddisfatto di sé nell’esperienza o nel sentimentalismo religioso. Dio è un’escrescenza dell’egoismo umano per saziarsi maggiormente di sé, è qualcosa che l’uomo si dà per essere ancora più realizzato come Uomo. Che stravolgimento totale del cristianesimo!

● Apparenza e Realtà. Scorza e sostanza. Tutto ciò che l’egoismo chiama avversità o felicità è l’apparenza, la superficie, sotto la quale si cela la sostanza: la Volontà di Dio, come Gesù è realmente presente sotto le apparenze o specie dell’ostia di pane. Ebbene se vogliamo fare la Volontà di Dio dobbiamo accettare dalle sue mani tutto: le gioie e i dolori. La Volontà di Dio è dappertutto e noi dobbiamo essere felici in ogni occasione, anche nelle apparenze dell’avversità, vedendo la sostanza della divina Volontà, che sola può darci la vera pace dell’anima. Certamente questa pace, imperturbabilità del cuore, che nulla altera nel fondo dell’anima, anche se la sensibilità ne risente, non è frutto dei nostri sforzi, ma della Grazia di Dio. Chiediamola a Dio: è il dono più prezioso che possiamo ottenere: calmi e composti nella gioia, calmi e sereni nel dolore.

● La Vera Pace Sociale. “Non esistono mestieri bassi, esistono solo uomini bassi”. Qualsiasi mestiere, qualsiasi condizione sociale è voluta da Dio. Come nel corpo umano vi sono i piedi, le gambe, il cuore e la testa, così è nel corpo sociale. E come i piedi non possono fare a meno della testa, così la testa non può disprezzare i piedi, perché sono “bassi” (Apologo di Menenio Agrippa).

● la Meditazione non serve a piegare Dio a fare la nostra volontà, ma ad ottenerci la forza per fare la Sua volontà. Pregare soprattutto mentalmente significa avvicinarsi a Dio, entrare in comunione di pensiero e di volontà con Lui. Se tutti i nostri pensieri e le nostre riflessioni diventano orazione allora troveremo la vera unione con Dio e la vera pace dell’anima.

Conclusione.

● Tutto ciò sembra esagerato e impossibile. Dal punto di vista puramente naturale lo è ma: “tutto posso in Colui che mi fortifica” (San Paolo). Tuttavia l’egoismo, il proprio comodo, il capriccio sono quasi onnipresenti nelle nostre opere e nella nostra natura ferita dal peccato originale. Occorre sempre rifarci a princìpi del cristianesimo, decisi a seguirli sin nelle loro ultime conclusioni, senza accomodarli ai nostri capricci. I princìpi non conoscono accomodamenti: 2 + 2 = 4, sempre 4 non quasi 4 o 4 e qualcosa. Invece quando si tratta di metodo, di come adoperare i mezzi possiamo essere elastici e concreti. Fermezza nei princìpi perché si crede, dolcezza nei mezzi perché si ama. Se ci lasciamo sopraffare dai capricci nel campo di princìpi siamo “canne agitate dal vento”. I capricci per definizione mutano continuamente e senza un perché. Se mancano i princìpi o si annacquano, vengono meno i veri cristiani per dar luogo ai mezzi-cristiani. Il cristiano deve sforzarsi di essere un alter Christus.
Ora,

1°) Cristo è Dio e come Dio non muta, così il cristiano deve cercare di non cambiare continuamente i princìpi del suo agire.

2°) Cristo è vero uomo, quindi non dobbiamo distruggere la natura umana in noi, ma educarla ed elevarla soprannaturalmente.

3°) In Cristo la natura umana e quella divina sono unite nella Persona del Verbo, ma non sono mescolate, confuse, sono mantenute nella loro integrità dalla Persona divina. Così il cristiano deve cercare di subordinare e unire la natura alla Grazia, ricorrendo al Verbo divino.

4°) Cristo non ha persona umana, vi è una sola Persona divina che fa sussistere in Sé la natura divina e quella umana. Così il cristiano dovrebbe cercare di perdere la sua falsa personalità umana ferita dal peccato originale, per far vivere in sé la Persona di Cristo. “Vivo, iam non plus ego, sed Christus vivit in me”; “Mihi vivere Christus est et mori lucrum” (San Paolo). Solo i santi, che hanno fatto vivere perfettamente Cristo in sé ed hanno perso la loro vecchia personalità ferita e disordinata, sono uomini normali e cristiani perfetti e integrali, poiché hanno annientato l’indipendenza del falso “io” di fronte all’Io di Cristo.

Perciò,

1°) dobbiamo lavorare al perfezionamento dell’elemento divino in noi, mediante la Grazia santificante;

2°) dell’umano mediante l’educazione e la sottomissione della sensibilità all’intelletto e alla volontà;

3°) dobbiamo poi unire la nostra persona umana a quella divina, allontanando ogni ostacolo tra Lui e noi;

4°) ed infine perdere o uniformare totalmente la nostra volontà o personalità alla Volontà divina, facendoci condurre da Lui.

● San Paolo ci invita “Siamo forti nel Signore, affidiamoci alla sua potenza. Rivestiamoci dell’armatura di Dio per resistere agli assalti del diavolo. Poiché la lotta che dobbiamo sostenere non è contro gli esseri fatti di carne e sangue, ma contro i prìncipi delle tenebre, contro gli spiriti maligni. Ai reni la cintura della verità; al petto la corazza della giustizia; ai piedi la calzatura del Vangelo; al braccio lo scudo della fede; al capo l’elmo della speranza; alla mano la spada dello spirito” (Efes., IV, 10-17).

● Non possiamo restare indifferenti agli assalti contro ciò che per noi vi è di più prezioso: la nostra Fede, la nostra Religione, il nostro Dio e la Sua Chiesa. Se riusciremo ad essere fedeli alla severità dei princìpi e della disciplina tracciata, nulla potrà atterrirci e la vittoria finale sarà nostra e soprattutto di Dio con noi. Se abbiamo idee vere e non annacquate in testa, amore soprannaturale nel cuore e nella volontà, sangue rigenerato dal Sacrificio di Cristo nelle vene, potremo fare qualcosa di piccolo anche nel mondo presente. Infatti vi è una potenza, che non è nostra ma alla quale possiamo partecipare, in questo mondo che trionfa su tutto e questa è la nostra Fede (I Gv., V, 4).

14 maggio 2011

venerdì 27 maggio 2011

La CEI difensor fidei islamica!



Gli attuali esponenti della Chiesa Cattolica, quando si tratta di tutelare le altre religioni, non risparmiano le loro forze. Le dichiarazioni dei soliti vescovi bontemponi, sull’onda della scristianizzazione dell’occidente avviata dopo il concilio Vaticano II, si inseriscono nell’acceso dibattito elettorale che coinvolge diverse città italiane, in primis Milano.
In una conferenza stampa dell’assemblea dei Vescovi che si svolge in Vaticano, mons. Crociata, segretario generale della CEI, afferma che la Chiesa sostiene

l’indicazione del diritto fondamentale della libertà religiosa e quindi a esprimere la propria fede avendo anche la possibilità di disporre di luoghi di culto e di strumenti e mezzi adeguati all’espressione di questo diritto fondamentale. […] La moschea non è un semplice luogo di culto, è qualcosa di più, nel senso che è un luogo sociale, un luogo culturale, un luogo di incontro, e in questo senso è giusto tenere conto di queste caratteristiche e delle esigenze che questo luogo di aggregazione dei musulmani risponda nel principio dell’attuazione, nell’utilizzo pratico, alle esigenze della vita sociale della nostra nazione, della nostra comunità civile italiana, secondo la costituzione e leggi che regolano questa nostra convivenza. (clicca qui)

A quest’elogio della libertà religiosa e dei luoghi di culto islamici fa eco Mons. Mogavero, vescovo di Mazzara del Vallo e presidente del consiglio CEI per gli affari giuridici, che, interpellato dall'ANSA a margine di un convegno alla Grande moschea di Roma, dichiara che

noi non abbiamo nessuna riserva nei confronti dei luoghi di culto, lamentiamo che non sempre ci vengano riconosciuti i diritti di avere anche noi dei luoghi di culto dove li chiediamo, ma non per questo possiamo ripetere qui quell'errore di principio e di carattere umanitario. Chiunque ha la libertà di professare la propria fede e ha il diritto di professarla nei luoghi che gli sono consoni (clicca qui)

Ovviamente questi sono solo gli ultimi dei numerosi proclami liberali che i più importanti esponenti della gerarchia Cattolica dispensano a destra e manca, i quali, in nome della libertà religiosa e dei diritti dell’uomo, piuttosto che pensare alle anime dei propri fedeli cristiani, ficcano il naso negli affari interni delle altre religioni incoraggiandone la crescita e la posperità. Già, i diritti dell’uomo…ma che fine hanno fatto i diritti di Dio?
Il Catechismo di San Pio X (qui) alla domanda “Perché Gesù Cristo istituì la Chiesa?” risponde che “Gesù Cristo istituì la Chiesa, perché gli uomini trovassero in essa la guida sicura e i mezzi  di santità e di salute eterna” infatti “Esser fuori della Chiesa è danno gravissimo, perché fuori non si hanno nè i mezzi stabiliti nè la guida sicura alla salute eterna, la quale per l'uomo è l'unica cosa veramente necessaria”.
Ora, qualcuno mi può spiegare perché i rappresentanti di una Chiesa istituita per diffondere il messaggio della salvezza derivante dalla morte e resurrezione di Gesù Cristo, si diano tanto da fare per promuovere il culto di false religioni? Non c’è una contraddizione imbarazzante in tutto ciò? Questi sacerdoti non provano alcun timore nei confronti di Dio per avere incitato i non cristiani alla costruzione di luoghi di culto per l'adorazione delle loro false divinità, rinunciando in tal modo a convertirli all'unica vera fede? E come si pongono nei confronti di questi significativi passi della Sacra Scrittura?

“Gesú gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6)

“E in nessun altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (At 4:12)

“Questa infatti è la volontà di colui che mi ha mandato: che chiunque viene alla conoscenza del Figlio e crede in lui, abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6:40)

“E Gesú di nuovo parlò loro, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita»” (Gv 8:12)

“Chiunque perciò mi riconoscerà, davanti agli uomini, io pure lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, io pure lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10:32-33)

La missione divina affidata alla Chiesa, ovvero la salvezza delle anime nel nome di Gesù Cristo, è stata calpestata in nome di quella rivoluzione liberale che ha investito la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Eppure il magistero del passato ci aveva più volte chiaramente avvertito della pericolosità di quelle affermazioni di cui il teatrino “mons. Crociata&Co.” si fa promotore:

notiamo nelle singole persone un atteggiamento che è profondamente contrario alla virtù religiosa, ossia la cosiddetta libertà di culto. Questa libertà si fonda sul principio che è facoltà di ognuno professare la religione che gli piace, oppure di non professarne alcuna. Eppure, fra tutti i doveri umani, senza dubbio il più nobile e il più santo consiste nell’obbligo di onorare Dio con profonda devozione. Tale obbligo deriva dal fatto che noi siamo sempre in potere di Dio, siamo governati dalla volontà e dalla provvidenza di Dio e, da Lui partiti, a Lui dobbiamo ritornare. Si aggiunga che senza religione non può esservi virtù nel vero senso della parola; infatti è virtù morale quella che ha per dovere di condurre a Dio, ultimo e sommo bene per l’uomo; perciò la religione, che determina le azioni che direttamente e immediatamente hanno il fine di onorare Dio , è sovrana e moderatrice di tutte le virtù. E a chi si chiede quale unica religione sia doveroso seguire, tra le molte esistenti e tra loro discordi, la ragione e la natura rispondono: certamente quella che Dio ha prescritto e che gli uomini possono facilmente riconoscere da certi aspetti esteriori con cui la divina provvidenza volle distinguerla, poiché in una questione di tanta importanza ogni errore produrrebbe immense rovine. Perciò, una volta concessa quella libertà di cui stiamo parlando, si attribuisce all’uomo la facoltà di pervertire o abbandonare impunemente un sacrosanto dovere, e conseguentemente di volgersi al male rinunciando a un bene immutabile; questa non è libertà, come dicemmo, ma licenza e schiavitù di un’anima avvilita nel peccato.
(Leone XIII, Lettera Enciclica, Libertas, 1888)

La libertà di culto genera l’indifferentismo religioso. Gregorio XVI non usa mezzi termini per condannare una tale assurdità:

veniamo ora ad un'altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l'indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l'eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell'onesto.
(GREGORIO XVI, Lettera Enciclica, Mirari Vos, 1832)

Tutto ciò a lungo andare conduce all’ateismo. Leone XIII chiama l’indifferentismo l’ateismo meno il nome, infatti

in materia di religione, poi reputare che non vi sia sostanziale differenza tra eterogenee e contrarie forme di confessioni, conduce chiaramente a non volerne accettare né praticare alcuna. E questo atteggiamento, anche se gli si dà un nome diverso, in sostanza non è nient’altro che ateismo. Chi infatti è convinto dell’esistenza di Dio, se vuole essere logico e non affermare assurdità, capisce necessariamente che le forme di culto esistenti, così diverse e contrastanti tra loro anche su questioni della massima importanza, non possono essere tutte ugualmente credibili, ugualmente vere, ugualmente accette a Dio.
(Leone XIII, Lettera Enciclica, Immortale Dei, 1885)

Questi sono solo alcuni dei pronunciamenti del magistero tradizionale, volto a separare la verità dall'errore, che condannano la libertà religiosa. Alla luce di tutto ciò, sarebbe auspicabile che gli alti esponenti della Chiesa Cattolica, più che improvvisarsi ambasciatori dei diritti umani (i quali si oppongono esplicitamente ai diritti di Dio!) ritornino sui loro passi dimostrando fedeltà alla Sacra Scrittura, ovvero alle parole del nostro unico Salvatore, nonché al magistero della tradizione. Non per nostalgia o per altri fini, ma per la salvezza delle anime.
Ma si sà, il modernismo ha trasformato la Chiesa Cattolica in una religione di regime…il regime dell’ONU, che nasce e si fonda sul culto dell’uomo!


La "meditation room" del palazzo di vetro della Nazioni Unite a New York


Questa camera di meditazione è il prototipo delle “chiese” del futuro dedicate al culto dell’uomo, ovvero uno spazio dove pregare o stare in silenzio con sé stessi, privo di simboli religiosi. Il Papa Paolo VI, nelle sue visite all’ONU, ha pregato davanti a questo altare di un Dio che non ha nome, ma al quale ciascuno, entrando, può dare il nome che vuole. 
 

IL GOLPE TACIUTO

 
Il “golpe” che ha cambiato il volto della Chiesa Cattolica mediante il concilio Vaticano II, non è stato il frutto di un’improvvisazione, ma l’esecuzione di un progetto elaborato nei secoli passati da determinate società segrete. L’attentato supremo contro la Chiesa ordito dalle sette occulte-liberali, non è una “teoria della cospirazione” o una leggenda, poiché la sua esistenza è autenticata dal papato stesso alla fine del XIX secolo. Le carte segrete dell’Alta vendita dei Carbonari (una branca della massoneria), che coprono un periodo che va dal 1820 al 1846, attestano l’esistenza di un complotto. Esse caddero nelle mani di papa Gregorio XVI  e furono pubblicate, su richiesta di papa Pio IX, da Crétineau-Joly nella sua opera “L’Eglise romaine et la revolution” nel 1859. E con il breve di approvazione del 25 febbraio 1861 che indirizzò all’autore, Pio IX consacrò l’autenticità di questi documenti, ma non permise che venissero divulgati i nomi dei membri dell’Alta Vendita implicati nel carteggio. Se i papi hanno permesso che i documenti fossero pubblicati è perché i fedeli fossero messi al corrente della congiura ordita contro la Chiesa dalle società segrete, perché ne conoscessero il piano e fossero premuniti contro la sua eventuale realizzazione. Leggendo queste carte si rimane stupefatti nel constatare che, non solo questi piani sono stati realizzati, ma la realtà attuale li supera in senso negativo. Si riportano quelle parti più significative dei documenti in questione (per la versione integrale ciccare qui):

Il Papa, chiunque sia, non verrà mai alle Società segrete; tocca alle Società segrete di fare il primo passo verso la Chiesa e verso il Papa, collo scopo di vincerli tutti e due. Il lavoro al quale noi ci accingiamo non è l'opera d'un giorno, né di un mese, né di un anno. Può durare molti anni, forse un secolo: ma nelle nostre file il soldato muore e la guerra continua. Noi non intendiamo già di guadagnare il Papa alla nostra causa, né di farne un neofita dei nostri principii, od un propagatore delle nostre idee. Sarebbe questo un sogno ridicolo; ed in qualunque modo siano per volgere gli avvenimenti, se anche accadesse che qualche Cardinale o qualche Prelato, di piena sua buona voglia o per insidia, entrasse a parte dei nostri segreti, non sarebbe questa una ragione per desiderare la sua elevazione alla Sede di Pietro. Questa elevazione sarebbe anzi la nostra ruina. Giacché, siccome egli sarebbe stato condotto all'apostasia per sola ambizione, così il bisogno del potere lo condurrebbe necessariamente a sacrificarci. Quello che noi dobbiamo cercare ed aspettare, come gli ebrei aspettano il Messia, si è un Papa secondo i nostri bisogni. […] Con questo solo noi andremo più sicuramente all'assalto della Chiesa, che non cogli opuscoletti dei nostri fratelli di Francia e coll'oro stesso dell'Inghilterra. E volete sapere il perché? Perché, con questo solo, per istritolare lo scoglio sopra cui Dio ha fabbricato la sua Chiesa, noi non abbiamo più bisogno dell'aceto di Annibale, né della polvere da cannone e nemmeno delle nostre braccia. Noi abbiamo il dito mignolo del successore di Pietro ingaggiato nel complotto, e questo dito mignolo val per questa crociata tutti gli Urbani II e tutti i S. Bernardi della Cristianità. Noi non dubitiamo punto di arrivare a questo termine supremo dei nostri sforzi. Ma quando? e come? L'incognita non si vede ancora. Ciò nonostante, siccome nulla ci dee smuovere dal piano tracciato, che anzi al contrario tutto vi deve concorrere, come se il successo dovesse coronare domani l'opera appena abbozzata, noi vogliamo, in questa istruzione, che dovrà tenersi celata ai semplici iniziati, dare ai preposti della Vendita suprema alcuni consigli ch'essi dovranno inculcare a tutti i fratelli sotto forma d'insegnamento o di memorandum. […] Or dunque, per assicurarci un Papa secondo il nostro cuore, si tratta prima di tutto, di formare, a questo Papa, una generazione degna del regno che noi desideriamo. Lasciate in disparte i vecchi e gli uomini maturi; andate, invece, diritto alla gioventù, e, se è possibile, anche all'infanzia […] vi farete, con poca spesa, una riputazione di buon cattolico e di buon patriota. Questa riputazione di buon cattolico e di buon patriota, aprirà alle nostre dottrine il cuore del giovine clero e degli stessi conventi. Tra qualche anno questo giovane clero avrà, per la forza delle cose, invasi tutti gli uffici. Egli governerà, amministrerà, giudicherà, formerà il consiglio del sovrano, e sarà chiamato ad eleggere il Papa futuro. Questo Papa, come la più parte dei suoi contemporanei, sarà necessariamente più o meno imbevuto, anche lui, dei principii italiani ed umanitarii che noi cominciamo ora a mettere in circolazione. È un piccolo grano di senapa che noi confidiamo alla terra, ma il sole di giustizia lo svilupperà fino alla più alta potenza; e voi vedrete un giorno qual ricca messe produrrà questo piccolo seme. Nella via che noi tracciamo ai nostri fratelli, vi sono grandi ostacoli da vincere e difficoltà di più sorta da sormontare. Se ne trionferà coll'esperienza e colla sagacia. La mèta è sì bella che merita la pena di spiegar tutte le vele al vento per arrivarvi. Volete voi rivoluzionare l'Italia? Cercate il Papa di cui noi vi abbiamo fatto il ritratto. Volete stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia? Fate che il Clero cammini sotto la vostra bandiera, credendo di camminare sotto la bandiera delle Chiavi apostoliche. Volete far sparire l'ultimo vestigio dei tiranni e degli oppressori? Tendete le vostre reti come Simone Barjona: tendetele al fondo delle sacrestie, dei seminari e dei conventi, anziché al fondo del mare; e se voi non precipiterete nulla, noi vi promettiamo una pesca più miracolosa della sua. Il pescatore di pesci diventò pescatore d'uomini: voi pescherete degli amici e li condurrete ai piedi della Cattedra Apostolica. Voi avrete così pescato una rivoluzione in tiara e piviale, preceduta dalla croce e dal gonfalone; una rivoluzione che non avrà bisogno che di ben piccolo aiuto per appiccare il fuoco ai quattro angoli del mondo.

Ecco ancora un estratto di una lettera del nome in codice Nubius, capo dell’Alta Vendita, a Volpe, datata 3 aprile 1824:

mi hanno caricate le spalle d'un pesante fardello. Devo fare l'educazione immorale della Chiesa, e giungere con piccoli mezzi ben graduati, benché mal definiti, al trionfo dell'idea rivoluzionaria per mezzo del Papa. In questo progetto che mi è sempre sembrato stupendamente calcolato, noi camminiamo ancora barcollando

Questo piano, che mira alla perversione della gerarchia ecclesiastica, è davvero d’ispirazione diabolica e di realizzazione diabolica. Ma non sono soltanto i nemici della Chiesa ad averlo rivelato, anche i Papi lo hanno più volte denunciato e svelato esplicitamente. Un primo esempio è il piccolo esorcismo composto da Leone XIII, nella sua versione integrale contenuta nel motu proprio del 25 settembre del 1888, il quale a distanza di oltre un secolo ci svela una bruciante verità:

Ecco che astutissimi nemici hanno colmato d’amarezza la Chiesa sposa dell’Agnello immacolato, l’hanno abbeverata d’assenzio, hanno gettato empie mani su tutto quel che in essa è desiderabile. Là dove il Soglio del beato Pietro e la Cattedra della verità accertata furono come una luce per le nazioni, là essi hanno posto il trono dell’abominio della loro empietà; affinché, una volta colpito il pastore, potessero disperdere il gregge.  

San Pio X, nella sua prima enciclica E supremi apostolatus, del 4 ottobre 1903, esprime il timore che l’epoca di apostasia in cui la Chiesa entrava fosse il tempo dell’Anticristo:

ci atterriscono, sopra ogni altra cosa, le funestissime condizioni, in cui ora versa l'umano consorzio. Giacché chi non scorge che la società umana, più che nelle passate età, trovasi ora in preda ad un malessere gravissimo e profondo, che, crescendo ogni dì più e corrodendola insino all'intimo, la trae alla rovina? Voi comprendete, o Venerabili Fratelli, quale sia questo morbo: l'apostasia nei confronti di Dio, e senza dubbio non c’è nulla che conduca più sicuramente alla rovina, stante la parola del profeta: «Ecco che coloro i quali da te si dilungano, periranno» (Psal. LXXII, 26). […] Del che se dubitassimo, dovremmo, ingiustamente, ritenervi o inconsci o noncuranti di quella guerra sacrilega che ora, può darsi in ogni luogo, si muove e si mantiene contro Dio. Giacché veramente contro il proprio Creatore «fremettero le genti e i popoli meditarono cose vane» (Psal. II, 1), talché è comune il grido dei nemici di Dio: «Allontanati da noi» (Iob. XXI, 14). E conforme a ciò, vediamo nei più degli uomini estinto ogni rispetto verso Iddio Eterno, senza più riguardo al suo supremo volere nelle manifestazioni della vita privata e pubblica; che anzi, con ogni sforzo, con ogni artifizio si cerca che fin la memoria di Dio e la Sua conoscenza sia del tutto distrutta. Chi tutto questo considera, bene ha ragione di temere che siffatta perversità di menti sia quasi un saggio e forse il cominciamento dei mali, che agli estremi tempi son riservati; che già sia nel mondo il figlio di perdizione, di cui parla l'Apostolo (II Thess. II, 5). Tanta infatti è l'audacia e l'ira con cui si perseguita dappertutto la religione, si combattono i dogmi della fede e si adopera sfrontatamente a sterpare, ad annientare ogni rapporto dell'uomo colla Divinità! In quella vece, ciò che appunto, secondo il dire del medesimo Apostolo (Sap. XI, 24), è il carattere proprio dell'Anticristo, l'uomo stesso, con infinita temerità si e posto in luogo di Dio, sollevandosi soprattutto contro ciò che chiamasi Iddio; per modo che, quantunque non possa spegnere interamente in se stesso ogni notizia di Dio, pure, manomessa la maestà di Lui, ha fatto dell'universo quasi un tempio a sé medesimo per esservi adorato: «Si asside nel tempio di Dio mostrandosi quasi fosse Dio» (II Thess. II, 2).
(PIO X, Lettera Enciclica, E supremi apostolatus, 1903)


Ancora san Pio X, nell’enciclica Pascendi dell’8 settembre 1907, tratta della setta modernista, che è alleata alla setta liberale, e della sua infiltrazione nella Chiesa al fine di sovvertire, confondere e plagiare il clero:

ed a rompere senza più gl'indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto vi è di più santo nell'opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. [….] Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond'è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l'albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. […] Inoltre, nell'adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un'assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. […] Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, mala rialzarono subito con maggiore alterigia. […] E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l'una dall'altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni. […] E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un'incredibile audacia col velo di un'apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l'autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si dànno interpreti della medesima.
(PIO X, Lettera enciclica, Pascendi dominaci gregis, 1907)

Pervertendo dal basso verso l’alto l’intera gerarchia cattolica, il modernismo ha diffuso il liberalismo nella Chiesa. Questo piano sovversivo ha richiesto molto tempo prima di giungere ad una completa maturazione, da un lato per la complessità dell’operazione che si estendeva su una realtà molto vasta quale l’intero corpo ecclesiale, dall’altro perché fino a Pio XII i papi continuarono a mantenere intatta la verità della dottrina condannando ogni deviazione. Tuttavia la maturazione avvenne, ed il golpe liberale quale fu quello del 1789 in Francia, si concretizzò in un concilio ecumenico, anch’esso pianificato e predetto dalle società segrete. 


In tal senso ha un ruolo di primaria importanza l’abate Paul Roca (1830-1893), condannato e interdetto dal Sant’Uffizio nel 1888. Sacerdote nel 1858 e canonico onorario nel 1869, oltre ad essere modernista, fu anche socialista e massone, con frequentazioni nel mondo dell’occultismo. Mons. Rudolf Graber, nel suo libro Athanase (Cfr. GRABER, Rudolf, Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo, Edizioni Civiltà, Brescia, 1974), cita alcune opere di Roca in cui parla spesso di una “Chiesa novellamente illuminata” dal socialismo di Gesù e dei suoi apostoli. Afferma che «la nuova Chiesa che probabilmente non potrà conservare più nulla dell’insegnamento e della forma primitiva dell’antica Chiesa, riceverà tuttavia la benedizione e la giurisdizione canonica di Roma». Dice inoltre che «il culto divino, cioè la liturgia, il cerimoniale, il rituale, quali sono stati regolati dalle prescrizioni della Chiesa romana, subiranno una trasformazione in seguito a un concilio ecumenico […] che renderà loro la semplicità esemplare dell’età d’oro apostolica, in armonia con la nuova condizione della coscienza e della civiltà moderna». Roca precisa i frutti di questo concilio: «ne verrà fuori una cosa che lascerà il mondo stupefatto, e che getterà il mondo in ginocchio davanti al suo redentore. Questa cosa sarà la civiltà moderna e l’idealità del Cristo e del suo Vangelo. Sarà la consacrazione del Nuovo Ordine Mondiale e il battesimo solenne della civiltà moderna». Aggiunge inoltre che: «un sacrificio si prepara, che offrirà una penitenza solenne […]. Il papato cadrà, morrà sotto il sacro coltello che i Padri dell’ultimo concilio forgeranno. Il Cesare pontificale sarà l’ostia consumata per il sacrificio». Roca è sicuro che tutte queste cose accadranno, a meno che il Signore non lo impedisca. Prevede inoltre che si sarebbe giunti ad una religiosità e ad una «universalità di un cristianesimo col quale si metteranno in armonia tutti i centri religiosi della terra», annuncia inoltre una serie di innovazioni come una nuova religione dell’uomo, annunciata da nuovi preti progressisti, non più celibi, senza abito talare, ecc.
Il modello di Chiesa profetizzato da Roca, oggi è una realtà! Ma il fatto rilevante è che, in anticipo di un secolo, abbia individuato in un concilio ecumenico la definitiva consacrazione del cambiamento della Chiesa. Ciò che è accaduto negli anni sessanta del secolo scorso, quindi, è stato un vero e proprio golpe, ossia un cambio di regime, che ha portato ai vertici della Chiesa i modernisti e i liberali. I piani meditati nelle società segrete, si sono realizzati…c’è dell’altro? 

"Santità, ci nomini vescovi migliori"

S. Em. Rev.ma card. Karl Lehman, arcivescovo di Magonza


Ventuno sacerdoti francesi hanno scritto una lettera al cardinale Ouellet per esprimere rispettosamente il loro grido di dolore a fronte di nomine episcopali che si pongono nella più incomprensibile continuità con il campionario vescovile che negli ultimi decenni ha trascinato il cattolicesimo francese, ancora saldamente radicato e vivo fino a tutti gli anni '50, nell'attuale stato di fallimento e decozione. L'ultimo vescovo nominato, Fonlupt, è non soltanto un adepto di matrimoni tra divorziati, assoluzioni collettive e pastorale da kolkhoz, ma pure autore di scritti antieucaristici, come abbiamo documentato.

L'originale della lettera è sottoscritto ma le firme vengono qui omesse. Per ovvia prudenza: l'establishment 'liberale' nelle conferenze episcopali è ferocemente illiberale e intollerante verso chiunque non la pensi allo stesso modo. E si è preferito non far firmare per nulla i seminaristi, memori del fatto che l'appello dei seminaristi ambrosiani al Papa, per l'estensione del motu proprio nella diocesi di Milano, aveva comportato la convocazione di tutti 'in sala mensa', l'annuncio di atroci rappresaglie indiscriminate (alla Kappler) se i responsabili non si fossero autodenunciati e una severa reprimenda sul sito ufficiale dell'arcidiocesi.

In effetti, lo stato estremamente deludente del ceto episcopale non è, purtroppo, una prerogativa solo francese e buona parte del mondo ne soffre (mia diocesi compresa), anche se a partire da Giovanni Paolo II, ma con alterno impegno, si è cercato di raddrizzare la situazione; con discreti o buoni risultati in alcuni paesi (ad es. negli Stati Uniti e in Australia; o anche in Olanda, dove peraltro ci sono i religiosi - che dal vescovo non dipendono - a far danni: vedi i salesiani e i domenicani); altrove nulla o ben poco è avvenuto. E' notizia di questi giorni che il cardinale di Magonza Lehmann (nella foto), per lunghi anni presidente della Conf. episcopale tedesca, ha definito una "scemenza" conferire la Cresima in rito antico. La media dei vescovi di Germania, Austria, Svizzera, Francia, è da asilo per lunatici; in Italia e Spagna, dove non siamo caduti così in basso, la media è comunque mediocre e di desolante immobilismo.

La prima preoccupazione di questo sito è sempre stata per la scelta di buoni vescovi e per questo abbiamo cercato di seguirne le nomine, prima ancora che parlare di liturgia. Perché è dalle risorse umane che dipendono le sorti di un'azienda; e certo, se la Chiesa fosse un'azienda, sarebbe già fallita da molto tempo. Il fatto che la barca vada avanti nonostante certi rematori, è la prova storica dell'assistenza divina. Nondimeno, cerchi un po' la Congregazione per i vescovi di facilitare il compito alla Provvidenza.

Enrico


A sua eminenza il Cardinal Ouellet,
Prefetto della Congregazione per i vescovi

Eminenza,

Vorremmo informarla che gran parte dei sacerdoti e dei cattolici in Francia non comprendono le nomine episcopali correnti.

Nel nostro paese, da tre o quattro decenni, il cattolicesimo si è ridotto e continua a ridursi drasticamente (crollo costante della pratica domenicale, del numero di sacerdoti, dei religiosi e dei catechizzati, delle vocazioni, ecc.) Non è impossibile che la Santa Sede sia presto costretta a trasformare alcune diocesi francesi in amministrazioni apostoliche, dato il numero irrisorio dei loro sacerdoti in attività.

Eppure questo cattolicesimo malato non è morto. Trasformato dalla terribile prova della secolarizzazione, c’è ancora - per quanto tempo? - la capacità di rivitalizzarsi nel suo stato di minoranza: scoutismo, scuole davvero cattoliche, movimenti, pellegrinaggi, molteplici nuove comunità, comunità tradizionali giovani e vive, nuove generazioni di sacerdoti veramente missionari, seminaristi diocesani e molte vocazioni potenziali del tipo "generazione Benedetto XVI", possibilità liturgiche e vocazionali offerte dal Motu Proprio Summorum Pontificum, giovani famiglie cristiane numerose, gruppi molto attivi di sostegno alla vita. Questo cattolicesimo vuole chiudere un capitolo mortifero: abusi liturgici, predicazione disastrosa circa la morale matrimoniale, complesso anti-romano latente, pratiche sacramentali devianti (benedizioni di nuovi "matrimoni" di risposati divorziati, assoluzioni collettive), catechesi di dubbia cattolicità sull'Eucaristia, ecc.

In questo contesto, le nomine episcopali sono incomprensibili. Molti vescovi di Francia sono in crescente disconnessione rispetto a questo nuovo cattolicesimo. Ed è una delusione enorme vedere che una parte di quelli nominati oggi, sotto Papa Benedetto XVI, è come se si riproducessero per cooptazione e hanno ancora uno spirito da "generazione del ‘68", più o meno ricentrata, mentre la restante parte è scelta, per necessità di trovare un impossibile consenso, tra uomini di un'estrema timidezza riformatrice.

I preti, i religiosi, i chierici che rappresentiamo desiderano che ciò sia fatto ad una società sempre più indifferente un chiaro annuncio del Vangelo. Essi sono anche animati da un reale desiderio di riconciliazione e pace tra tutti i cattolici di Francia, che sanno ormai di essere una piccola minoranza. Ma per implementare una nuova pastorale, occorre scegliere nuovi pastori. Succede che i sacerdoti di 50-60 anni, che hanno un profilo pastorale, psicologico e intellettuale solido, che risponde perfettamente alle esigenze vitali del nuovo cattolicesimo francese, sono ormai numerosi.

Eminenza, la salvezza del cattolicesimo francese dipende dalla nomina di vescovi che rispondano alle sue reali esigenze e vere aspettative.

Esprimiamo il nostro profondo e religioso rispetto all’Eminenza Votra, e La preghiamo di trasmettere al nostro Santo Padre il Papa l'espressione dell’affezione devota e rispettosa dei suoi figli fedeli, sacerdoti di Gesù Cristo.


Evidentemente questi cari sacerdoti francesi non hanno ben capito che questa è l'ermeneutica della continuità, da quarant'anni infatti si continua a smantellare de facto la Chiesa con buona pace dei continuisti!

giovedì 26 maggio 2011

Commento sull’Istruzione Universae Ecclesiae




Pubblicato il 19 maggio su DICI, organo ufficiale della Fraternità San Pio X


Annunciata il 30 dicembre 2007 dal cardinale Tarcisio Bertone, l’Istruzione Universae Ecclesiae sull’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007) è stata pubblicata il 13 maggio 2011 dalla Pontifica Commissione Ecclesia Dei.
Firmata dal cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e da Mons. Guido Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei, questo documento romano appare dopo che i vescovi del mondo intero hanno inviato a Roma il bilancio dei tre anni trascorsi dalla pubblicazione del Motu Proprio, conformemente alla richiesta fatta da Benedetto XVI nella sua Lettera di accompagnamento del 7 luglio 2007.
Questo grosso ritardo indica come l’applicazione del Summorum Pontificum abbia incontrato delle difficoltà presso certi vescovi. Così che Universae Ecclesiae ha ufficialmente lo scopo di «garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum» (n° 12), ma anche e soprattutto di facilitare un’applicazione alla quale gli Ordinari acconsentono solo con parsimonia. Il prevedibile sfasamento tra il diritto della Messa tradizionale, riconosciuto dal Motu Proprio, e il fatto di questo riconoscimento da parte dei vescovi, era stato segnalato da Mons. Fellay nella sua Lettera ai fedeli della Fraternità San Pio X del 7 luglio 2007.

Questa situazione di fatto ha obbligato il documento romano a ricordare certi punti:
- Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. (n° 2).
- Il Santo Padre, […] riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”. (n° 3).
- Il Motu Proprio […] si propone l’obiettivo di:
a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;
b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;
c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa. (n° 8).

Parimenti, in ragione delle diatribe sorte per la poca buona volontà dei vescovi nell’applicazione del Motu Proprio, l’Istruzione assegna alla Commissione Ecclesia Dei maggiori poteri:
- La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio. (n° 10 § 1).
- In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei. (n°13).

In vista di possibili ricorsi:
- I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (n° 10 § 2).

Nei mesi a venire, occorrerà dunque osservare con cura se queste disposizioni si riveleranno efficaci e se il fatto dei vescovi si allineerà realmente al diritto che la Commissione Ecclesia Dei è incaricata di far rispettare.

*****

Molto attento alle opposizioni e preoccupato di gestire punti di vista divergenti, questo documento romano ha un carattere diplomatico facilmente percepibile. È così che si possono constatare diversi paradossi che, malgrado il dichiarato desiderio di unità, tradiscono i dissensi di cui si è dovuto tenere conto:
- Curiosamente, sono proprio i vescovi che tengono all’applicazione generosa del Motu Proprio che rischiano di non poter ordinare col rito tradizionale i seminaristi delle loro diocesi. Infatti, il n° 31 stabilisce che: «Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori».
A questo proposito, il testo ricorda la legislazione post-conciliare che ha soppresso gli ordini minori e il suddiaconato. I candidati al sacerdozio sono incardinati solo al momento del diaconato, ma nondimeno col rito antico si potranno conferire la tonsura, gli ordini minori e il suddiaconato, senza tuttavia riconoscere loro il minimo valore canonico. Questo punto si oppone chiaramente al principio ricordato al n° 3 sull’adesione «agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica».

- Paradossalmente, sono esclusi dalle disposizioni del documento romano i sacerdoti più legati alla Messa tradizionale in quanto «tesoro prezioso da conservare» (n° 8) e che per ciò stesso non sono bi- ritualisti. Infatti, il n° 19 afferma: « I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale».
Si noterà una certa differenza: l’Istruzione parla di «validità» o di «legittimità» laddove la Lettera ai vescovi di Benedetto XVI del 7 luglio 2007 parlava di «riconoscimento del valore e della santità» del Novus Ordo Missae e della non esclusività della celebrazione tradizionale. Resta il fatto che questo n° 19 rischia fortemente di fornire ai vescovi la possibilità di neutralizzare efficacemente l’Istruzione, paralizzando il suo desiderio di una larga applicazione del Motu Proprio «per il bene dei fedeli» (n° 8).

Certi commenti frettolosi hanno fatto credere che la Fraternità San Pio X fosse anche esclusa in ragione della sua opposizione al Romano Pontefice, cosa che non è esatta, poiché la remissione delle “scomuniche” dei suoi vescovi è stata fatta perché Roma ha ritenuto proprio che essi non si oppongono al primato del Papa. Il decreto del 21 gennaio 2009, infatti, riprendeva i termini di una lettera del 15 dicembre 2008 indirizzata da Mons. Fellay al cardinale Castrillón Hoyos: «credendo fermamente nel primato di Pietro e nelle sue prerogative».

*****

I paradossi di questa Istruzione tradiscono i compromessi diplomatici attuati per facilitare l’applicazione, fino ad oggi laboriosa, del Motu Proprio Summorum Pontificum, ma essi si basano essenzialmente sulla reiterata affermazione di una continuità dottrinale tra la Messa tridentina e il Novus Ordo Missae; « I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa» (n° 6).

Ora, su questo punto si può solo constatare una opposizione tra due Prefetti della Congregazione per la Dottrina della Fede: il cardinale Alfredo Ottaviani, col suo Breve esame critico del Novus Ordo Missae, e il cardinale William Levada, firmatario della presente Istruzione.
Nel suo studio, consegnato a Paolo VI il 3 settembre del 1969, il cardinale Ottaviani scriveva; «il Novus Ordo Missae, […] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino».
E il cardinale Alfonso Maria Stickler, Bibliotecario di Santa Romana Chiesa e archivista degli Archivi Segreti del Vaticano, in occasione della riedizione del Breve esame critico dei cardinali Ottaviani e Bacci, il 27 novembre 2004, scriveva: «L’analisi del Novus Ordo fatta da questi due cardinali non ha perduto affatto il suo valore, né, sfortunatamente, la sua attualità… oggi i risultati della riforma sono giudicati devastanti da molti. Il merito dei cardinali Ottaviani e Bacci fu di scoprire molto presto che le modifiche dei riti portavano ad un cambiamento fondamentale della dottrina».

È proprio in ragione delle gravi carenze del Novus Ordo Missae e delle riforme introdotte da Paolo VI che la Fraternità Sacerdotale San Pio X si interroga seriamente se non sulla validità di principio almeno sulla «legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria» (n° 19), tanto è difficile considerare la Messa di San Pio V e quella di Paolo VI come appartenenti ad una stessa «ininterrotta tradizione apostolica» (n° 3), esattamente come aveva notato nel 1969 il cardinale Ottaviani.

Nessun dubbio che l’Istruzione Universae Ecclesiae, che si inscrive nella linea del Motu Proprio Summorum Pontificum, costituisca una tappa importante nel riconoscimento dei diritti della Messa tradizionale, ma le difficoltà di applicazione che l’Istruzione si sforza di eliminare, non lo saranno completamente se non con lo studio di questa profonda divergenza, non tanto tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede, quanto fra la Messa tradizionale e il Novus Ordo Missae. Divergenze che non possono essere oggetto di un dibattito sulla forma («extraordinaria» o «ordinaria»), ma sul fondamento dottrinale.


Fonte: Una Vox

lunedì 23 maggio 2011

IL VATICANO II E GLI ERRORI LIBERALI






Il problema della libertà religiosa
[Traduzione dell'articolo Vaticano II et les erreures liberales, di Michel Martin, 
pubblicato nel Courrier de Rome, Parigi, 15.5.76, anno X, n° 157, pp. 3-20. 
Comparso in italiano in Cristianità, Organo ufficiale di Alleanza Cattolica
anno IV, n° 19-20, settembre-dicembre 1976, pp. 13-18. ]








Alcuni testi del Concilio Vaticano II sono, piú o meno, contaminati dagli errori liberali? È quanto affermò durante il Concilio stesso il Cetus Internationalis Patrum, che raggruppava i vescovi tradizionalisti. 
Successivamente l'accusa non ha mai cessato di essere formulata da alcuni teologi isolati, ma, eccetto che presso una esigua minoranza di "integristi", come si dice, essa fu sempre accolta con indifferenza fino al momento, recentissimo, in cui il penoso affaire di Ecône non la mise in primo piano nell'attualità cattolica. 
A coloro che s'indignassero per il fatto che si possa supporre che un testo conciliare sia discutibile, ricorderò, come peraltro ha detto il Santo Padre stesso, che nessun testo del Vaticano II ha il carattere di definizione o di decisione infallibile (1). Con tutto il rispetto dovuto alla Chiesa docente, i teologi sono dunque liberi di discutere la questione che è l'oggetto del presente articolo. 
Notiamo tuttavia che solo il Papa mediante definizioni ex cathedra potrebbe dare una soluzione completa e definitiva ai gravi interrogativi sollevati dalle accuse di cui sono oggetto alcuni testi del Vaticano II (2)
 
I - La Contraddizione 
Ma supponiamo ora che una affermazione sia in contraddizione evidente, chiara, manifesta, con una dottrina che la Chiesa ha infallibilmente definito. Abbiamo bisogno in tal caso di un giudizio della Chiesa docente per rifiutarla? Immaginiamo per esempio che una setta sostenga che in Dio vi sono solo due persone: il Padre e il Figlio. Abbiamo bisogno di un giudizio della Chiesa docente per dire che questa affermazione deve essere respinta, perché in contraddizione con il dogma trinitario infallibilmente definito? 
Certo, una contraddizione tra due dottrine non è sempre manifesta e in questo caso è richiesto il giudizio della Chiesa docente. 
Quando però si tratta di due dottrine chiaramente formulate e di cui l'una è manifestamente la negazione dell'altra, abbiamo bisogno di un giudizio della Chiesa docente per convincerci che vi è contraddizione? Constatando una contraddizione evidente, non esprimiamo alcun giudizio dottrinale, ma solo un giudizio di fatto. Non siamo piú nel campo della teologia, ma in quello della logica. 
La dichiarazione sulla libertà religiosa.
Con i vescovi del Cetus Internationalis Patrum affermo da dieci anni, senza che alcuno mi abbia mai dato risposta, se non per mezzo di scappatoie, che vi è una contraddizione evidente, chiara, manifesta, tra certe affermazioni del Vaticano II e la dottrina tradizionale a proposito della libertà religiosa in foro esterno.
Inoltre, queste affermazioni del Vaticano II sono la riproduzione quasi parola per parola delle proposizioni condannate da Pio IX in forma infallibile. 
Ora, poiché queste affermazioni conciliari non sono state definite infallibilmente, non dobbiamo forse noi rifiutarle? 
Ma, non volendo accettare questa conclusione, i difensori del Concilio si sono trovati nella necessità di sostenere che non vi è contraddizione, poiché la dottrina conciliare è solo, secondo loro, lo sviluppo della tradizione
Confronteremo piú avanti i testi, ma ci si rende conto che dichiarando compatibili due dottrine che almeno nove persone su dieci stimerebbero contraddittorie, si compromette la credibilità di tutto quanto insegna la Chiesa? 
 
II - Il Liberalismo - Il Cattolico Liberale
Nella sua essenza il liberalismo è il rifiuto di accettare una verità o una legge imposta all'uomo dall'esterno (3)L'uomo dev'essere libero di giudicare lui stesso la verità. 
A ciascuno la sua verità. 
Secondo la dottrina cattolica, al contrario, l'uomo ha il dovere di credere alle verità che Dio ha rivelato e che sono insegnate infallibilmente dalla Chiesa. 
I due punti di vista sono inconciliabili e i massoni, per i quali il liberalismo è un dogma, su questo punto non si sono ingannati. Ascoltiamo uno di loro: «Maestra di verità! Mai, senza dubbio, la Chiesa aveva manifestato la sua imperiosa volontà di imporre il suo dogma e sottolineato che questo dogma era l'unica verità, in termini cosí categorici, cosí definitivi nella loro brutalità, mai con una formula che tanto colpisce. Bisogna allora onestamente porsi il problema di sapere dove possa sboccare un dialogo con un interlocutore che dichiara, all'esordio di questo dialogo, che lui è padrone della verità per volontà di Dio» (4)
A rigore, infatti, cattolico e liberale sono due termini che si escludono. 
Nella loro grande maggioranza i cattolici attuali sono, tuttavia, piú o meno liberali
Ciò non significa che questi cattolici abbiano personalmente passato l'insegnamento della Chiesa al vaglio della loro ragione, per ritenere soltanto quanto personalmente hanno giudicato vero, un tale cattolico rappresenta in verità l'eccezione. Ma i cattolici sono oggi immersi in un mondo il cui pensiero si allontana sempre piú dalla dottrina tradizionale della Chiesa. Sollecitato e diviso tra questa dottrina e il "pensiero moderno", il cattolico liberale di oggi e colui che cerca o adotta compromessi tra questi due sistemi di pensiero
Questa sete di compromesso ha invaso la Chiesa stessa; un teologo "moderno" non cerca piú tanto di approfondire la dottrina e di opporla agli errori attuali; cerca soprattutto di distorcerla (nel modo meno visibile) in modo da evitare il piú possibile gli attriti con il pensiero moderno (5)
Non è possibile, in un semplice articolo, enumerare tutti questi compromessi. Mi limiterò all'esame della tesi che figura nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa e che è relativa ai rapporti tra il potere civile e il potere spirituale
 
III - La Dottrina della Chiesa sul Potere Civile 
Non spetta alla Chiesa dare costituzioni agli Stati, ma solo enunciare i grandi principi di ordine morale cui queste costituzioni devono ottemperare. 
Questa dottrina della Chiesa sul potere civile è immutabile; essa è infatti fondata nella Scrittura e nella Tradizione ed è stata costantemente insegnata dalla Chiesa a partire dai Padri fino a Pio XII compreso. Essa è dunque garantita dal Magistero ordinario infallibile della Chiesa.
Inoltre, come vedremo piú in dettaglio, alcuni punti di questa dottrina sono stati oggetto di definizioni ex cathedra e sono dunque garantiti dalla infallibilità del Magistero straordinario della Chiesa
La dottrina.
Essendo stato creato da Dio, avendo ricevuto tutto da Dio, l'uomo deve rendere omaggio al suo Creatore e soprattutto a Gesú Cristo, il Verbo di Dio che è stato costituito dal Padre suo Re dell'Universo. 
Consideriamo bene quanto - richiamato da Pio XII - ha insegnato Leone XIII: «L'impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di  diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni ve li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi della fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesú Cristo» (6)
Pio XI osserva poi: «Non v'è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli» (7)
Lo Stato non ha dunque il diritto di essere "laico"; deve, in quanto Stato, riconoscere la regalità di Gesú Cristo e rendergli omaggio. E, beninteso, fare in modo che non vi sia alcuna contraddizione tra le leggi civili che promulga e le leggi di Dio. 
Lo Stato ha il dovere di assicurare il bene comune della città e deve in particolare proteggere i cittadini. Tutti trovano naturale che si opponga al libero commercio della droga, che devasta i corpi, e che quindi nessuno sia obbligato ad acquistarla. La Chiesa aggiunge che lo Stato ha anche il dovere di proteggere i cittadini contro le idee false che devastano le anime. 
«Ma qual può darsi morte peggiore dell'anima che la libertà dell'errore?», dichiarava sant' Agostino. 
La Chiesa non ammette dunque la libertà di dire e di scrivere qualunque cosa; in opposizione completa al pensiero moderno ritiene infatti che solo la verità abbia dei diritti. L'errore non ne ha alcuno e può tutt'al piú essere tollerato
Derivando l'una e l'altro il loro potere da Dio ed esercitandosi la loro giurisdizione sugli stessi soggetti, la Chiesa e lo Stato non possono ignorarsi, benché costituiscano due poteri distinti: «Ma poiché uno e medesimo è il soggetto di ambedue le potestà, e potendo una medesima cosa, quantunque sotto ragione e aspetto differente, appartenere alla giurisdizione dell'uno o dell'altra […]. Devono dunque essere tra loro debitamente ordinate le due potestà» (8)
In altri termini la Chiesa condanna la separazione tra Stato e Chiesa. 
Anche se spiace alla mentalità moderna, la dottrina cattolica sullo Stato, come fu esposta dai Padri fino a Pio XII compreso, è non poco intollerante. Essa afferma che, poiché Cristo ha fondato una sola religione, si deve, nella misura del possibile, cercare di instaurare lo Stato cattolico. E poiché il culto cattolico è il solo pienamente gradito a Dio, nessun altro culto pubblico dovrebbe di principio essere tollerato. 
La Chiesa non impone alcuna forma di governo. Essa ammette sia la repubblica che la monarchia, purché siano rispettati i principi che ho riassunti. 
Le realizzazioni. 
Dal 313, Costantino e i suoi successori si sforzano di realizzare questo ideale (9)Dapprima religione ammessa, la religione cattolica fu presto proclamata religione dello Stato. Dopo la caduta dell'impero, Clodoveo è consacrato 
re e monarchie cattoliche vengono instaurate pressocché in tutta Europa. Fino all'inizio del secolo XX lo Stato cattolico (o almeno confessionale) è la regola generale. In realtà sono sempre esistiti Stati cattolici e il 27 agosto 1953 - data relativamente recente - è stato firmato un concordato tra la Santa Sede e la Spagna di cui ecco l'art. 1: «La religione cattolica, apostolica, romana continua a essere la sola religione della nazione spagnola […]» (10)Il concordato del 1953 non annullava la Carta degli Spagnoli del 13 luglio 1945 che dichiarava: «[…] nessuno sarà molestato per le sue convinzioni religiose né per l'esercizio privato del suo culto. Non si autorizzeranno altre cerimonie né altre manifestazioni esterne se non quelle della religione cattolica» (11)
La tolleranza. La tesi e l'ipotesi.
Ma la Chiesa cattolica non ignora che, in campo politico, l'ideale non sempre è realizzabile. Essa ammette dunque che nei paesi divisi da diverse fedi e per evitare un male peggiore, lo Stato cattolico tolleri l'esercizio di altri culti. È per questo che Enrico IV, per evitare la guerra civile, concesse ai protestanti con l'editto di Nantes, il diritto (limitato) di esercitare pubblicamente il loro culto (12)
Da cui la classica distinzione fra la tesi e l'ipotesi. La tesi è la dottrina cattolica in tutta la sua purezza; l'ipotesi è ciò che è possibile realizzare, tenuto conto delle circostanze. Ma la Chiesa chiede che non si perda mai di vista la tesi e che si faccia tutto ciò che è possibile per realizzarne il massimo. Di fatto, nell'editto di Nantes, il protestantesimo è sempre chiamato «la religione che si pretende riformata», cosa che mostra con chiarezza che gli estensori dell'editto avevano tenuto a sottolineare in questo modo come la religione cattolica sia la sola vera e sola abbia dei diritti. 
Ma la giusta distinzione tra la tesi e l'ipotesi servirà di pretesto ai cattolici liberali per rinnegare la dottrina tradizionale, che essi dichiarano non piú confacente al nostro tempo. 
Come vedremo piú in dettaglio, il Concilio Vaticano II andrà piú lontano ancora, senza piú occuparsi della tesi, che non richiamerà neppure, dichiarerà che la libertà religiosa in foro esterno è un diritto per gli adepti di qualsiasi religione e che questo diritto scaturisce dalla dignità della persona umana. 
Cedendo allora alle reiterate pressioni della Santa Sede, il generale Franco accordò agli Spagnoli, il 28.6.1967, la piena libertà per tutti i culti. 
 
IV - Il Liberalismo Cattolico e le sue condanne
Con liberalismo cattolico e l'espressione equivalente cattolicesimo liberale, si indica soprattutto un insieme di teorie sostenute nel secolo XIX che minimizzano la dottrina tradizionale sullo Stato, che ho appena riassunto. Queste teorie furono condannate da tutti i Papi che si sono succeduti da Gregorio XVI a Pio XII. Inoltre Pio IX, come vedremo piú particolarmente, per condannarle impegnò nella Quanta cura l'infallibilità pontificia. 
Gregorio XVI e l'enciclica Mirari vos. 
Nel 1830 l'abbé Lamennais sosteneva che ogni uomo ha il diritto di manifestare pubblicamente le sue opinioni e che di conseguenza lo Stato deve ammettere il libero esercizio di tutti i culti. 
Egli faceva notare che nel sistema dello Stato cattolico, che ha regnato per piú di quindici secoli, il potere spirituale e temporale non hanno mai cessato di contendere (san Luigi stesso ebbe difficoltà con la Santa Sede). Separando completamente i poteri, la Chiesa godrà di una piena libertà, che dovrebbe, secondo lui, accrescere la sua influenza (13)
Tutte queste idee furono sostenute con talento nel giornale L'Avenir di cui Lamennais era l'ispiratore. 
Ma Roma, dal 1832, le condanna. Nell'enciclica Mirari vos, Gregorio XVI denuncia anzitutto l'indifferentismo, che sostiene che tutte le religioni salvano, e poi scrive queste righe, le ultime delle quali - che sottolineo - predicono i frutti amari del liberalismo, come li possiamo constatare oggi: «Da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo scaturisce quell'assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza(14):errore velenosissimo a cui appiana il sentiero quella assoluta e smodata libertà d'opinare che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata, provenire da siffatta licenza alcun comodo alla Religione. “Ma qual può darsi morte peggiore dell'anima che la libertà dell'errore?” diceva sant'Agostino. Tolto infatti ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell'abisso […]. Di là infatti proviene l'instabilità degli spiriti, di là la depravazione della gioventú, di là il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi piú sante, di là in una parola la peste della società piú di ogni altra funesta […] » (15)
Non è precisamente quanto accade nella nostra società liberale avanzata? I cattolici liberali si sottomisero e L'Avenir chiuse i battenti. Ma Lamennais finí per abbandonare la Chiesa. 
Pio IX, il Sillabo e l'enciclica Quanta cura. 
La seduzione delle idee liberali era tale che il liberalismo cattolico riapparve venti o trent'anni dopo. Montalembert, che si era sottomesso nel 1832, ne fu uno dei piú ardenti difensori. Egli sostenne con talento che bisogna riconciliare il cattolicesimo e la democrazia, la quale esige prima di tutto la libertà religiosa. Egli affermò che la libertà è piú utile alla Chiesa che non la protezione dei re. I discorsi di Montalembert ebbero una grande eco. Ma l'8 dicembre 1864 il successore di Gregorio XVI, Pio IX, condanna di nuovo il liberalismo cattolico nel Sillabo e nell' enciclica Quanta cura
Ecco qui, per esempio, due articoli del Sillabo
Sono condannate le seguenti proposizioni: «55. Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa. - 77. Ai giorni nostri non giova piú tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto» (16)
Ma ecco un fatto nuovo. Nell'enciclica Quanta cura, Pio IX, come vedremo, impegna l'infallibilità pontificia. Perciò dedicherò piú avanti tutto un paragrafo alle condanne formulate in questa enciclica (17)
Mons. Dupanloup. 
Scoraggiati da questa nuova condanna, Montalembert e i suoi amici erano del parere di rinunciare alla lotta. Ma questa fu ripresa con un opuscolo che mons. Dupanloup, vescovo di Orleans, inviò a tutti i vescovi e anche al Papa. Mons. Dupanloup sosteneva che si fossero letti male la Quanta cura e il Sillabo. Egli faceva numerose osservazioni esatte (come la distinzione logica tra contrario e contraddittorio), ma per il resto si teneva costantemente al limite del sofisma. Riprendeva la distinzione tra la tesi e l'ipotesi, ma lasciando intendere che le tesi di Pio IX erano ormai irrealizzabili. 
Poiché nell'opuscolo non vi era niente di positivamente falso, Pio IX ringraziò mons. Dupanloup dell'invio, ma con una riserva che mostra come avesse ben compreso quanto stava per succedere. Infatti i cattolici liberali restarono sulle loro posizioni: continuarono soprattutto a chiedere la separazione di Chiesa e Stato (che non si era ancora realizzata a quel tempo) e rimasero cosí fedeli a una tattica che in seguito non hanno mai abbandonata: invece di lottare contro i nemici della Chiesa si esige insieme a loro quanto si pensa che inevitabilmente un giorno sarà ottenuto
Leone XIII.
Leone XIII succede a Pio IX. Nelle encicliche Immortale Dei, sulla costituzione cristiana degli Stati (1885), e Libertas, sulla libertà (1888), riprende tutte le tesi tradizionali sullo Stato cattolico. 
Nella Libertas fa suo quanto vi è di esatto nella distinzione tra la tesi e l'ipotesi, ma riprende anche, senza una sola eccezione, tutte le condanne formulate da Gregorio XVl e Pio IX, e cita esplicitamente l'enciclica Mirari vos e il Sillabo
Una volta ancora il liberalismo cattolico è condannato. 
San Pio X.
San Pio X succede a Leone XIII ed è sotto il suo pontificato che la Repubblica francese denuncia, nel 1905, il concordato, proclamando che lo Stato da ora sarà laico e non riconoscerà piú alcun culto. 
San Pio X protesta con l'enciclica Vehementer, dell'11 febbraio 1906, e lo fa con termini che costituiscono una nuova condanna del liberalismo cattolico: «[…] in virtú dell'autorità assoluta che Iddio Ci ha conferito, Noi […] riproviamo e condanniamo la legge votata in Francia sulla separazione della Chiesa e dello Stato come profondamente ingiuriosa rispetto a Dio che essa rinnega ufficialmente, ponendo il principio che la Repubblica non riconosce nessun culto» (18)
Era la rinnovata affermazione, una volta ancora, che, contrariamente alla tesi liberale, lo Stato deve rendere omaggio a Dio e obbedire anch'esso a Gesú Cristo, solo e vero Re delle Nazioni, e che in ogni caso lo Stato non può lasciare che si propaghi liberamente l'errore come se avesse lo stesso titolo della verità. E se lo Stato lo fa, la Chiesa non può in nessun modo approvarlo. 
Pio XI e la festa di Cristo Re. 
Non appena elevato al sommo pontificato, nel 1922, Pio XI condanna esplicitamente il liberalismo cattolico nella sua enciclica Ubi arcano Dei
Ma egli comprende presto che, essendo rimaste inoperanti le condanne dei suoi predecessori, sarebbe accaduto lo stesso delle sue. Utilizza allora un altro metodo, che avrebbe probabilmente avuto successo, se, senza volerlo, non l'avesse vanificato con le sue stesse mani. 
Poiché il popolo non legge le encicliche, Pio XI pensa che il miglior modo per istruirlo sia quello di utilizzare la liturgia. 
Nell'enciclica Quas primas, dell'11 dicembre 1925, egli espone anzitutto in termini luminosi una teologia esauriente della regalità di Cristo e dimostra che essa implica necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto è in loro potere per tendere verso l'ideale dello Stato cattolico.
«Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll'azione e coll'opera loro, sarebbe dovere dei cattolici […] » (19)
Dichiara poi di istituire la festa di Cristo Re spiegando la sua intenzione di opporre cosí «un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il cosí detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi» (20)
Disgraziatamente, male informato sulla situazione religiosa e politica che regna in Francia in quel momento, Pio XI renderà inoperante la festa di Cristo Re, colpendo, meno di un anno dopo, i cattolici antiliberali piú attivi, mentre per contro, né lui, né i vescovi danno disturbo ai cattolici liberali. 
In realtà i cattolici antiliberali, in quel tempo, facevano capo a due movimenti: l'Action Française, guidata da un ateo, Charles Maurras, e la Federation Nationale Catholique del generale de Castelnau. 
La condanna dei cattolici dell'Action Française (che Pio XII tolse non appena elevato al sommo pontificato) fu interpretata (a torto) come quella dell'anti-liberalismo. Dopo questo periodo i cattolici antiliberali in Francia sono solo una minoranza di isolati. Hanno perduto ogni influenza e, nel timore di essere trattati da fascisti, rari sono coloro che osano manifestare le loro opinioni. 
La vittoria dei cattolici liberali era dunque totale. La separazione di Chiesa e Stato, la completa libertà di stampa, si erano realizzate ed erano considerate normali dalla stragrande maggioranza dei francesi. L'esistenza di un partito cattolico-liberale era divenuta inutile, e l'espressione liberalismo cattolico cadde in dimenticanza. 
Ma ora in Francia progrediscono le idee politiche di sinistra e con esse i cattolici liberali cercheranno compromessi. Mounier con la rivista Esprit, i domenicani con la rivista Sept amoreggiano con il socialismo e il marxismo. I cattolici liberali virano a sinistra e andranno sempre piú avanti su questa via. 
Dopo la liberazione essi si organizzano in un potente movimento politico, il MRP (Mouvement des Republicains Populaires) di cui Marc Sangnier fu, fino alla morte avvenuta nel 1950, il presidente onorario (21)
Vedremo come nel 1946 il MRP doveva tradire vergognosamente la causa di Cristo Re.
E l'enciclica? Docilmente la Chiesa celebra ogni anno, dal 1925, la festa di Cristo Re, ma vescovi, sacerdoti e fedeli non ne comprendono piú il significato (22)
Il MRP e la festa di Cristo Re. 
Nel 1946 fu necessario dare alla Francia una nuova costituzione. I comunisti presentarono una proposta in parlamento chiedendo che la laicità dello Stato fosse esplicitamente menzionata, cosa a cui gli autori del progetto costituzionale non avevano pensato. 
Il MRP era allora un partito potente e i suoi deputati costituivano un terzo del parlamento. Ma, per le ragioni dette, questo partito cattolico era liberale e non poco orientato a sinistra. 
Il progetto costituzionale era sostenuto dai socialisti e dai comunisti, che occupavano un terzo dei seggi, e combattuto invece dai deputati che sedevano alla destra del MRP, che costituivano il rimanente terzo, e pertanto il MRP era arbitro della situazione. 
Dimenticando completamente che Pio XI aveva istituito la festa di Cristo Re per ricordare ai cattolici il loro dovere di lottare contro il laicismo, frutto del liberalismo condannato dai Papi, il MRP, che poteva far respingere l'emendamento sulla laicità, si guardò bene dal farlo. Non ricordo piœ ora se votò a favore o si astenne, ma rimane sempre il fatto che fu grazie a un partito cattolico che la laicità dello Stato fu promossa per la prima volta al rango di legge costituzionale.
E per una sorprendente coincidenza, nella quale vedo, per conto mio, uno scherzo del demonio, questa costituzione laica fu promulgata sulla gazzetta ufficiale con la data del 27 ottobre 1946, giorno della festa di Cristo Re! 
De Gaulle e la costituzione del 1958.
Dodici anni dopo questa repubblica laica crolla senza gloria, e un generale cattolico è incaricato di proporre una nuova costituzione. 
Ma anch'egli è un cattolico liberale e inscrive anche la laicità dello Stato nella costituzione, che sottopone all'approvazione dei francesi mediante referendum. 
Un gruppo assai esiguo di cattolici anti-liberali fece una campagna contro questa costituzione empia, ma fu sconfessato dalla quasi totalità dei vescovi; bisognava salvare l' Algeria e l'impero. Il seguito lo si conosce. 
Pio XII. 
Pio XII è un Papa moderno che si preoccupa già dell'organizzazione di comunità di Stati.
In un discorso del 6 dicembre 1953, dedicato a questo problema, egli ricorda, una volta ancora, i principi tradizionali: «[…] nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale» (23)
Come Leone XIII, egli riconosce che l'ideale non è sempre realizzabile; è dunque spesso necessario usare tolleranza; ma, nella determinazione di ciò che occorre fare in pratica, lo statista cattolico «[…] nella sua decisione si lascerà guidare dalle conseguenze dannose, che sorgono dalla tolleranza, paragonate con quelle che mediante l'accettazione della formula di tolleranza verranno risparmiate alla Comunità degli Stati» (24)
Le tesi sullo Stato, proprie del cattolicesimo liberale, erano una volta ancora condannate. 
Senza esito migliore. 
Da Pio XII ai nostri giorni. 
Le idee sovvertitrici dello stesso ordine naturale, segnatamente il marxismo, guadagnano tutti i giorni terreno. 
Ma la Chiesa, come in preda allo scoraggiamento, ha praticamente rinunciato a opporre loro la barriera invalicabile della sua dottrina. Pur affermando la sua volontà di non rinunciare a nulla, essa cerca compromessi con questo mondo, che non vuol piú intendere ragione. Ed è con questo stato d'animo che si apre il Vaticano II. 
Conclusione
In questo anno 1976, i francesi, costernati, si preoccupano dell'anarchia che regna dovunque, e specialmente del disorientamento della gioventú: anarchia nell'insegnamento, cinema pornografico, incitamento dei minori alla corruzione attraverso la libera vendita dei contraccettivi, aborto libero, ecc. 
 
V - La dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa 
Essa segnerà un mutamento di rotta senza precedenti nella storia della Chiesa. 
Foro interno e foro esterno.
Non si possono cogliere le contraddizioni tra la dottrina tradizionale e la dichiarazione del Vaticano II se non si distingue bene tra la libertà religiosa in foro interno e la libertà religiosa in foro esterno, distinzione che la dichiarazione ignora. 
Circa la libertà religiosa in foro interno, non si coglie nessuna contraddizione tra la dottrina tradizionale e quella esposta dal Concilio. Certamente, davanti a Dio, la libertà religiosa non è un diritto, poiché ogni uomo è tenuto a cercare la verità e ad aderirvi (come ricorda d'altra parte la dichiarazione conciliare). Ma se la posizione che l'uomo assume resta puramente interiore, questo è affare da regolarsi tra lui e Dio solo, e di cui i pubblici poteri non sono tenuti a occuparsi. In particolare, nessuna autorità umana ha il diritto di esercitare pressioni su qualcuno per forzarlo a credere (25)
Ma, come ha sempre insegnato la Chiesa, la libertà religiosa in foro interno non implica affatto la libertà religiosa in foro esterno, vale a dire il diritto di praticare pubblicamente qualsiasi culto, di insegnare qualsiasi errore. La libertà di ognuno in questo campo è limitata infatti dal diritto degli altri a essere protetti contro le idee false, che possono essere tanto pericolose per le anime (e anche per l'uomo nella sua completezza) quanto la droga per i corpi. 
La dichiarazione del Vaticano II.
Ecco qui il passo essenziale relativo all'argomento di cui trattiamo: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Questa libertà consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli individui, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale, che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformità ad essa privatamente e pubblicamente, da solo o associato ad altri. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata sia tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa dev'essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società» (26)
Notiamo anzitutto che non viene fatta alcuna distinzione tra foro interno e foro esterno, a proposito dei quali la dottrina tradizionale non ha la stessa posizione. Privatamente è il foro interno, pubblicamente è il foro esterno. Notiamo poi che la dichiarazione non fa alcuna differenza tra forzare ad agire e impedire ad agire. Secondo la dottrina tradizionale, lo Stato non può forzare qualcuno ad agire contro la sua coscienza, ma ha il diritto, per contro, in casi determinati, di impedirgli di agire secondo la sua coscienza (27)
Il Concilio pone tuttavia una restrizione: «Entro debiti limiti», dice. Questa nozione assai vaga sarà precisata piú avanti. Lo Stato non ha il diritto d'intervenire se non quando l'ordine pubblico è minacciato: «Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli uomini, se si nega all'uomo il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico giusto» (28)
Il Concilio non ha voluto parlare solo della religione cattolica, ma di qualunque religione. Infatti, dopo avere spiegato che l'uomo è tenuto per obbligo morale a ricercare la verità e ad aderirvi, il Concilio dichiara: «Per cui il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa» (29)
Il Concilio non condanna totalmente lo Stato cattolico; lo accetta volentieri, ma alla condizione che sia accordata agli adepti delle altre religioni la stessa libertà di culto e di propaganda che ai cattolici: «Se, considerate le circostanze particolari dei popoli, nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuito ad una determinata comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutte le comunità religiose venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa» (30)
E piú avanti: «Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini, godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e quella libertà religiosa che dev'essere riconosciuta come un diritto a tutti gli uomini e a tutte le comunità e che dev'essere sancita nell'ordinamento giuridico» (31)
Tutto questo era la condanna del concordato con la Spagna, stipulato esattamente dodici anni prima, che Pio XII aveva dichiarato essere uno dei migliori! 
Poiché molti Padri avevano fatto notare che non si faceva alcun cenno della differenza tra la verità e l'errore, tra la religione vera e le altre, si aggiunse un preambolo che ricordava come l'unica e vera religione fosse la religione cattolica. Ma questa aggiunta non infirma per nulla la tesi sulla libertà religiosa in foro esterno, sostenuta nella dichiarazione. 
La libertà religiosa e la Rivelazione. La dignità dell'uomo.
Rifiutando sempre ogni distinzione tra foro interno e foro esterno, il Concilio afferma che: «una tale dottrina sulla libertà ha le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto piú dai cristiani va rispettata con sacro impegno» (32). Come vedremo nel paragrafo seguente, Pio IX, nella Quanta cura, affermava il contrario. Egli diceva, infatti, che la libertà religiosa in foro esterno è «contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri» (33).
I passi della Scrittura che condannano la libertà religiosa in foro esterno sono infatti innumerevoli. Per esempio, non è Dio stesso che ha ordinato a Gedeone di andare a rovesciare l'altare di Baal, che apparteneva allo stesso padre suo? (34)
Il Concilio riconosce tuttavia come «la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa» (35)
Ma allora, in che modo la dottrina conciliare ha la sua fonte nella Rivelazione? Nella maniera seguente (secondo il Concilio): è perché la Rivelazione «fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà dell'uomo nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione» (36)
Mi sembra chiaro come questo si applichi alla libertà religiosa in foro interno, ma non vedo il rapporto con la libertà religiosa in foro esterno. 
Comunque, la dichiarazione afferma a piú riprese che le sue tesi sono fondate sulla nozione della dignità dell'uomo. Siccome gli estensori della dichiarazione traggono conclusioni contrarie a proposizioni infallibilmente definite, bisogna concludere che nel loro ragionamento vi è qualche cosa che non va. 
Dov'è l'errore? Alla Chiesa docente tocca dirlo. Con tutto il rispetto dovuto a questa Chiesa docente, e lasciando impregiudicato il suo giudizio, si può pensare che non si sia tenuto sufficientemente conto non solo dei diritti del prossimo, ma anche della dignità di Dio, la quale, in caso di conflitto, ha la meglio sulla dignità dell'uomo. 
Conclusione
Questi sono i testi, ed è sufficiente leggerli per constatare che le tesi del Concilio sulla libertà religiosa in foro esterno sono in contraddizione con la dottrina tradizionale. La dichiarazione ci dice che «questo Concilio Vaticano scruta la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi sempre in armonia con quelli già posseduti» (37)
Di fatto la dichiarazione si riferisce diciotto volte a testi pontifici. Perché non si fa alcuna menzione delle encicliche Mirari vos, Quanta cura e del Sillabo
Guardiamo dunque piú da vicino ciò che diceva Pio IX nella Quanta cura
 
VI - La dichiarazione del Vaticano II di fronte alle condanne infallibili della Quanta cura
La Quanta cura è una delle rarissime encicliche che sia un documento ex cathedra. Poiché i redattori della dichiarazione non ne hanno tenuto alcun conto, credo anzitutto necessario ricordare le condizioni della infallibilità, che ogni teologo e ogni cattolico colto dovrebbe peraltro conoscere! 
Le condizioni dell'infallibilità pontificia.
Andiamo direttamente alla fonte: la costituzione sulla Chiesa del Vaticano I (1870): «Quindi Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della religione cattolica e della salute dei popoli cristiani, approvante il sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quando, adempiendo l'ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, in virtú della sua suprema Autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi da tutta la Chiesa: in virtú della divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, è dotato di quella infallibilità, della quale il divino Redentore volle che fosse fornita la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede  o ai costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice per sé stesse, e non già mediante il consenso della Chiesa, sono irreformabili. Se poi qualcuno oserà, che Dio non lo permetta!, di contraddire a questa Nostra definizione: sia anàtema» (38)
Di qui le quattro ben note condizioni della infallibilità pontificia: 
 1. Il Papa deve parlare come pastore e dottore di tutti i cristiani. 
 2. Si deve trattare di fede o di costumi. 
 3. Il Papa deve definire, vale a dire ben precisare le tesi in questione e dire chiaramente da che parte sta la verità. 
 4. Il Papa deve, almeno implicitamente, obbligare i fedeli ad accettare la sua definizione. 
È importante notare che l'infallibilità pontificia non data dal 1870. Come ricorda Pio IX nella sua definizione, si tratta di una «tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana». Pio IX, nel 1870, non ha fatto che mettere fine a una controversia. Non si deve dunque pretendere che i documenti pontifici anteriori al 1870, e che soddisfano le quattro condizioni precisate da Pio IX, non siano coperti d'infallibilità. 
L'infallibilità delle condanne della Quanta Cura
Ecco ciò che si può leggere in questa enciclica: 
«In tanta igitur depravatarum opinionum perversitate, Nos Apostolici Nostri Officii memores, ac de sanctissima nostra religione, de sana doctrina, et animarum salute Nobis divinitus commissa, ac de ipsius humanæ societatis bono maxime solleciti, Apostolicam Nostram vocem iterum extollere exstimavimus. Itaque omnes et singulas pravas opiniones ac doctrinas singillatim hisce Litteris commemoratas auctoritate Nostra Apostolica reprobamus, proscribimus atque damnamus, easque ab omnibus catholicæ Ecclesiæ filiis, veluti reprobatas, proscriptas atque damnatas omnino habere volumus et mandamus». 
[«In tanta perversità di errate opinioni, Noi dunque, giustamente memori del Nostro Apostolico Ufficio, e paternamente solleciti della Nostra santa religione, della sana dottrina e della salute delle anime, a Noi commesse da Dio, e del bene della stessa umana società, abbiamo stimato bene innalzare di nuovo la Nostra Apostolica voce. Pertanto, con la Nostra Autorità Apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera e vogliamo e comandiamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le ritengano come riprovate, proscritte e condannate» (39).] 
È evidente che le quattro condizioni della infallibilità sono qui riunite: 
1. Il Papa precisa di agire in virtú della sua carica e della sua autorità apostolica. 
2. Si tratta di costumi. Il Papa si propone di giudicare la moralità delle leggi sulla tolleranza o l'intolleranza promulgate dagli 
     Stati. 
3. Come si vedrà, le proposizioni condannate sono enunciate in termini chiari e precisi. 
4. Il Papa indica esplicitamente che i fedeli devono accettare le condanne da lui comminate. 
Notiamo bene che l'infallibilità non verte su tutto ciò che dice Pio IX nell'enciclica, ma unicamente su «tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera». Queste opinioni sono infallibilmente condannate da quando il Papa le ha chiaramente definite. Tutto ciò appare chiaro a un semplice laico quale sono. Fino a tempi assai recenti, tutti i teologi erano d'accordo nel riconoscere il carattere di infallibilità delle condanne sancite da Pio IX nella Quanta cura (8.12.1864). Contestandolo, oggi, i difensori della dichiarazione sulla libertà religiosa si rendono conto di mettere in causa tutta la dottrina della infallibilità pontificia, come è stata infallibilmente definita da Pio IX nel 1870?
Tre proposizioni condannate.
Le proposizioni condannate dall'enciclica Quanta cura sono numerose. Ne esaminerò solo tre. Si trovano nel passo seguente, dove le ho messe in evidenza chiamandole A, B, C. 
«E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri non dubitano di asserire: 
     «[A] La migliore condizione della società è quella in cui non si riconosce nello Stato il dovere di
   reprimere con pene stabilite i violatori della religione cattolica, se non in quanto ciò richiede la 
      pubblica quiete
     «Da questa idea di governo dello Stato, che è del tutto falsa, non temono di dedurre quell'altra 
    opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime, chiamata deliramento 
    dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di r. m. e cioé:
     «[B] La libertà di coscienza e dei culti è diritto proprio di ciascun uomo,
     «[C] che si deve proclamare con legge in ogni società costituita […]» (40)
Perché non vi sia alcun dubbio possibile sul senso delle proposizioni A, B, C, eccone il testo latino: 
     «[A] Optimam esse conditionem societatis, in qua imperio non agnoscitur officium coercendi sancitis 
            pœnisviolatores catholicæ religionis, nisi quatenus pax publica postulet
     «[B] Libertatem conscientiæ et cultum esse proprium cuiuscumque hominis jus
     «[C] quod lege proclamari, et asseri debet in omni recte constituta societate […]». 
Ora, come risulta dalla prima citazione fatta, il Vaticano II afferma lecito esattamente tutto ciò che condanna Pio IX: 
     1. Il Vaticano II non riconosce al potere pubblico il dovere di reprimere le violazioni della legge cattolica poiché: 
         «In materia religiosa nessuno […] sia impedito […] ad agire in conformità ad essa [la sua 
         coscienza] […] pubblicamente [foro esterno], da solo o associato ad altri». 
     2. Per il Vaticano II, la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. 
     3. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa, nell'ordine giuridico della società deve essere 
         riconosciuto in modo tale che costituisca un diritto civile. 
Vi è dunque opposizione tra le condanne pronunciate in forma infallibile da Pio IX e la dichiarazione del Vaticano II, che, dato il suo «carattere pastorale», «ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità» (41)come lo stesso Santo Padre ha confermato. 
 
VII - Conclusioni 
Lascio al lettore la cura di trarre le conclusioni. Ma insieme a migliaia di cattolici costernati, àuspico soprattutto che siano tirate dalla nostra santa Madre Chiesa, alla quale intendiamo restare fedeli. 
 
NOTE
1 - Cfr. MICHEL MARTIN, Vous vous faites Athanase, in Courrier de Rome, Parigi, gennaio 1976, anno X, n. 153. (su!)
2 - È assolutamente evidente che una semplice dichiarazione del Santo Padre comunicante a mons. Lefèbvre che le 
     decisioni sulla Fraternità Sacerdotale San Pio X sono giustificate dalla «sua opposizione pubblica e persistente al 
     Concilio Vaticano II», non basterebbe a scagionare questo Concilio dalle accuse di cui è fatto oggetto. (su!)
3 - Precisiamo bene, per evitare ogni malinteso, che in questo articolo non si tratterà mai del liberalismo economico. 
     Questa è una teoria alla quale la nostra epoca sa ormai opporre soltanto il socialismo, che è un rimedio peggiore del 
     male. (su!)
4 - JACQUES MITTERAND, La politique des Francs-Maçons, Roblot, Parigi. 1973. (su!)
5 - Eccone un esempio. La dottrina cattolica afferma che l'uomo è stato creato direttamente da Dio. L'evoluzione (che 
     non ha nessun fondamento scientifico serio e che è anche contraddetta dalle ultime scoperte della biologia) afferma 
     al contrario che l'uomo discende dall'animale. Il compromesso proposto da numerosi teologi sta, in proposito, nel dire 
     che certamente l'uomo discende dall'animale ma che Dio è intervenuto direttamente, non solo per la creazione di 
     un'anima immortale, ma anche per il perfezionamento del suo corpo. (su!)
6 - LEONE XIII. Enciclica Annum Sacrum. del 25.5.1899, cit. in Pio XI, Enciclica Quas primas
      dell'11.12.1925, in La  paceinterna delle nazioni. Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 
      Edizioni Paoline,  2a ed., Roma 1962, p. 339. Con questa enciclica Pio XI istituisce la festa di Cristo Re. (su!)
7 - PIO XI, doc. cit., ibid., p. 340. (su!)
8 - LEONE XIII. Enciclica Immortale Dei, dell'1.11.1885, ibid., pp. 118 e 119. (su!)
9 - Con eccessi di zelo certo condannabili, ma molto meno offensivi nei riguardi di Dio della laicità dello Stato. Non 
     avendo ben compresa la distinzione dei poteri spirituale e temporale, Costantino, per esempio, convocò lui stesso il 
     Concilio di Nicea e ne fissò il programma. Questo sconfinamento nelle prerogative del Papa non impedirà a Nicea di 
     essere il concilio ecumenico piú importante. (su!)
10 - La Documentation Catholique, del 20.9.1953. La sottolineatura è nostra. (su!)
11 - Ibid., del 30.9.1946. Le sottolineature sono nostre. (su!)
12 - La revoca dell'editto di Nantes da parte di Luigi XIV segnò, certo, un ritorno ai principi della Chiesa cattolica, ma le 
     persecuzioni contro i protestanti, che precedettero e seguirono questa revoca (soprattutto le cosiddette 
     dragonnates), sono contrarie alla dottrina della Chiesa, che non ha mai cessato di insegnare che nessuno può 
     essere forzato a credere. Queste persecuzioni gettano un'ombra sul regno di Luigi XIV e hanno contribuito alla 
     comparsa, centocinquant'anni dopo, del cattolicesimo liberale. (su!)
13 - Il diritto di intervento dello Stato nella nomina dei vescovi ha sempre irritato i cattolici liberali, che rifiutano di 
     capire che, poiché la Chiesa e lo Stato hanno giurisdizione sugli stessi soggetti, devono collaborare. Questi cattolici 
     liberali si fanno delle illusioni sulla libertà assicurata alla Chiesa dalla separazione di Chiesa e Stato. Lo Stato 
     conosce troppo bene l'influenza dei vescovi per rinunciare ad avere diritto di intervento nella loro nomina. Nei paesi 
     come la Francia, in cui la Chiesa è separata dallo Stato, il controllo di quest'ultimo non si esercita in misura minore, 
     anche se in modo non ufficiale, e lo Stato dispone di tutti i mezzi di pressione per far rispettare i suoi veti. (su!)
14 - La Chiesa condanna la libertà di coscienza, ma si può evitare una interpretazione erronea di questa condanna 
     soltanto se si distingue bene tra il foro interno e il foro esterno. (su!)
15 - GREGORIO XVI, Enciclica Mirari vos, del 15.8.1832, in La pace interna delle nazioni, cit., p. 37. Le 
     sottolineature sono nostre. (su!)
16 - PIO IX, Sillabo, Edizioni Paoline, Roma 1961, 2a ed., pp. 26 e 30. La sottolineatura è nostra. (su!)
17 - L'infallibilità del Sillabo è stata contestata. Infatti non è manifesta la realizzazione della quarta condizione 
     dell'infallibilità. Vedi parte VI. (su!)
18 - SAN PIO X, Enciclica Vehementer, dell'l 1.2.1906, in Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, raccolte e 
     annotate da Eucardio Momigliano, Dall'Oglio Editore, 4a ed., Milano 1959, p. 564.  (su!)
19 - PIO XI, Enciclica Quas primas, cit., in La pace interna delle nazioni, cit., p. 344.  (su!)
20 - Ibid., p. 343. Le sottolineature sono nostre. Si distingue talora tra la laicità dello Stato, che è una situazione 
     giuridica, e il laicismo, che sarebbe soltanto una concezione della vita, e si afferma che Pio XI avrebbe avuto in vista 
     solamente il laicismo. Basta leggere correttamente l'enciclica per constatare che Pio XI ha condannato nello stesso 
     tempo il laicismo e la laicità. Ricordiamo che nella prospettiva della laicità lo Stato non tollera l'insegnamento 
     dell'errore, gli dà gli stessi diritti dell'insegnamento della verità. Non mette in guardia contro l'errore. Lascia che si 
     propaghi, qualunque ne siano le conseguenze per la rovina della società. Il laicismo è quindi l'espressione del 
     liberalismo. (su!)
21 - Il Sillon di Marc Sangnier fu condannato nel 1910 da san PioX. Marc Sangnier si sottomise senza riserva, ma non 
     si coglie bene la differenza tra le idee da lui sostenute prima e dopo la condanna. (su!)
22 - Tutti gli anni, alla fine della messa di Cristo Re, avvicino il predicatore e gli chiedo se sa perché Pio XI ha istituito 
     questa festa. Non lo sa. E quando gli dico che lo ha fatto per lottare contro questa peste che infetta la società umana 
     e che è il laicismo, mi guarda con gli occhi spalancali: non capisce. Le mie parole fanno su di lui lo stesso effetto che 
     gli farebbero se gli dicessi che Pio XI ha voluto lottare contro questa peste della società moderna che è il telefono o 
     l'automobile. (su!)
23 - PIO XII, Discorso ai partecipanti al V Congresso Nazionale della Unione Giuristi Cattolici Italiani, del 6.12.53, in 
     Discorsi e Radiomessaggi, vol. XV, p. 487. (su!)
24 - Ibid., p. 489. (su!)
25 - Certamente questo principio, in passato, è stato spesso trasgredito da re cattolici e anche da esponenti del clero. 
     Ma si tratta di deplorevoli abusi che la Chiesa ha sempre condannato. (su!)
26 - Concilio Ecumenico Vaticano II. Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanæ, n. 2. La traduzione è 
     quella del Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II, Unedi-Unione Editoriale, Roma 1969. In tutte le citazioni
     di testi conciliari le sottolineature sono nostre. (su!)
27 - Per esempio: la diffusione di teorie sovversive. ecc. (su!)
28 - Concilio Ecumenico Vaticano II, doc. cit., n. 3. (su!)
29 - Ibid., n. 2. (su!)
30 - Ibid., n. 6. (su!)
31 - Ibid., n. 13. (su!)
32 - Ibid., n. 9. (su!)
33 - PIO IX. Enciclica Quanta cura, dell'8.12.1864, Edizioni Paoline, 2a ed., Roma 1961, p.4. (su!)
34 - Cfr. Giudici, 6, 25. (su!)
35 - Concilio Ecumenico Vaticano II, doc. cit., n. 9. (su!)
36 - Ibidem. (su!)
37 - Ibid., n. 1. (su!)
38 - Concilio Vaticano I, Costituzione apostolica Pastor Æternus, del 18.7.1870, in La Chiesa. Insegnamenti 
     pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1967, vol. I, pp. 291-292. Le sottolineature 
     sono nostre. (su!)
39 - PIO IX, Enciclica Quanta cura, cit., pp. 8-9. Le sottolineature sono nostre. (su!)
40 - Ibid., p. 4. (su!)
41 - PAOLO VI, Allocuzione dell'udienza generale del 12.1.1966, in Insegnamenti, vol. IV, p. 700. (su!)
 



[sul problema della "libertà religiosa" vedi anche altro articolo]

Fonte: Una Vox