Parliamo del cardinale Gianfranco Ravasi.
La domanda ai cattolici più acccorti è sorta spontanea spesso vedendolo discettare puntualmente in tv di vangeli come fossero una materia qualsiasi: ma crede davvero in quel che dice? E soprattutto: cosa dice? Ancora: ha mai con le sue stitiche e frigide analisi mediatiche (non diciamo convertito) reso ragione della sua fede a qualcuno, l’uomo che all’indomani del suo imporporamento concedeva interviste dove si vantava del “successo”, dell’essere “famoso ormai”, avanzando di già illusorie prenotazioni della cattedra di San Ambrogio prima e di San Pietro poi? E ancora: qual è la sua fede, se ne ha una? A giudicare da quel che afferma nelle sue “analisi” sui vangeli, di fede ne dimostra solo una, anzi due: agnostica e sulle magnifiche sorti e progressive della sua “carriera”
La domanda ai cattolici più acccorti è sorta spontanea spesso vedendolo discettare puntualmente in tv di vangeli come fossero una materia qualsiasi: ma crede davvero in quel che dice? E soprattutto: cosa dice? Ancora: ha mai con le sue stitiche e frigide analisi mediatiche (non diciamo convertito) reso ragione della sua fede a qualcuno, l’uomo che all’indomani del suo imporporamento concedeva interviste dove si vantava del “successo”, dell’essere “famoso ormai”, avanzando di già illusorie prenotazioni della cattedra di San Ambrogio prima e di San Pietro poi? E ancora: qual è la sua fede, se ne ha una? A giudicare da quel che afferma nelle sue “analisi” sui vangeli, di fede ne dimostra solo una, anzi due: agnostica e sulle magnifiche sorti e progressive della sua “carriera”
di Daniele Sottosanti
QUELLI CHE OPINANO SULLE SCRITTURE…
Mica quando qualcuno dice che è un “modernista” il neo-cardinale Ravasi vuol fare del tradizionalismo un tanto a chilo; a dirla tutta non vuol fare neppure una battuta: cerca di fare cronaca, chiamando le cose col suo nome.
Dirà a suo tempo Pio X: “Da questo voi vedete quanto siano fuor di strada quei cattolici, che, in onore alla critica storica e filosofica e allo spirito di discussione che ha tutto invaso, mettono innanzi anche la questione religiosa, insinuando l’idea, che collo studio e colla investigazione noi dobbiamo formarci una coscienza religiosa conforme ai tempi, o come dicono, moderna.” (San Pio X, Discorso agli studenti della Federazione Universitaria Cattolica, in udienza dopo il II congresso tenuto a Roma il 10 maggio 1909)
Tutti i cattolici, ma anche gli acattolici, hanno avuto modo di conoscere mons. Gianfranco Ravasi, forse leggendo qualche suo libro o articolo su alcune riviste tipo Jesus o Famiglia Cristiana, più probabilmente ascoltandolo in tv. Chiunque ha avuto modo di sentir parlare di lui, soprattutto a opera di gente che col cattolicesimo nulla c’entra e del quale nulla sa, e di sicuro avrà sentito dire che costui è un grande esegeta, un grande biblista, un corifeo dell’esegesi cattolica. Qualcosa non torna. Proviamo brevemente qui a dimostrare invece che non è nulla di tutto ciò, che semmai, a volerlo giudicare dal punto di vista dell’ortodossia cattolica, è l’esatto contrario di un grande esegeta ed apologeta “cattolico”. In questo, qualcuno dice, è compagno di merende del cardinale alla cui cattedra lo si vorrebbe far succedere, Carlo Maria Martini, le cui altezze spirituali e culturali però sono di molto superiori alle sue. Un classico “modernista”, praticamente.
Anzitutto bisogna chiarire delle cose. Il Ravasi, come tutti i novatores, per quanto riguarda l’esegesi applica ai testi biblici due metodi, i cosiddetti “storia delle forme” e “storia della redazione”. Entrambi questi metodi si originano da quel protestantesimo razionalista e filo-agnostico il cui fine era ed è tutt’ora la negazione dei dogmi cattolici quali la totale storicità dei Vangeli e non solo ciò che concerne la fede, e l’inerranza biblica; metodi già condannati dal Magistero infallibile della Chiesa, ma che entrambi sono oggi ugualmente racchiusi in quello che comunemente viene definito metodo storico-critico, peraltro già ampiamente demitizzato e messo in ridicolo dal vero lavoro apologetico ed esegetico di mons. Romeo, di mons. Spadafora e mons. Piolanti.
A fondamento della vera esegesi cattolica ci sono tre verità che a nessun cattolico è concesso negare: 1) L’ispirazione divina delle Sacre Scritture; 2) la loro inerranza assoluta; 3) la Chiesa unica depositaria e interprete delle Scritture.
Leone XIII, parlando sull’ispirazione divina delle Scritture, nella Providentissumus Deus, dice: “La chiesa li ritiene come sacri e canonici, non per il motivo che, composti dal solo ingegno umano, siano poi stati approvati dalla sua autorità, e neppure per il semplice fatto che contengono la rivelazione senza errore, ma perché, essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore. Perciò non ha qui valore il dire che lo Spirito Santo abbia preso degli uomini come strumenti per scrivere, come se qualche errore sia potuto sfuggire non certamente all’autore principale, ma agli scrittori ispirati. Infatti egli stesso così li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scrivere fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità: diversamente non sarebbe egli stesso l’autore di tutta la sacra Scrittura.”
E riferendosi proprio a queste affermazioni del predecessore, Benedetto XV aggiunge: “Ora l’opinione di alcuni moderni non si preoccupa affatto di queste prescrizioni e di questi limiti; distinguendo nella Sacra Scrittura un duplice elemento, uno principale o religioso, e uno secondario o profano, essi accettano, sì, il fatto che l’ispirazione si riveli in tutte le proposizioni ed anche in tutte le parole della Bibbia, ma ne restringono e ne limitano gli effetti, a partire dall’immunità dall’errore e dall’assoluta veracità, limitata al solo elemento principale o religioso”. Secondo loro, aggiunge Benedetto, “Dio non si preoccupa e non insegna personalmente nella Scrittura se non ciò che riguarda la religione: il resto ha rapporto con le scienze profane e non ha altra utilità, per la dottrina rivelata, che quella di servire da involucro esteriore alla verità divina. Dio permette soltanto che esso vi sia, e l’abbandona alle deboli facoltà dello scrittore. Perciò non vi è nulla di strano se la Bibbia presenta, nelle questioni fisiche, storiche e in altre di simile argomento, passaggi piuttosto frequenti che non è possibile conciliare con gli attuali progressi delle scienze”.
Papa Benedetto, nel suo documento Spiritus Paraclitus, sulla inenarranza della Scrittura, precisa: “Alcuni sostengono che queste opinioni erronee non sono affatto in contrasto con le prescrizioni del Nostro Predecessore, avendo egli dichiarato che in materia di fenomeni naturali, l’autore sacro ha parlato secondo le apparenze esteriori, suscettibili quindi d’inganno. Quanto questa affermazione sia temeraria e menzognera, lo provano manifestamente le stesse parole del Pontefice.” Conclude il Concilio Vaticano I “Deve considerarsi il vero senso della sacra scrittura, quello ritenuto e che ritiene la santa madre chiesa, cui solo appartiene giudicare quale sia il vero senso e l’interpretazione autentica delle sacre scritture, e che, perciò, non è lecito a nessuno (ivi compresi gli esegeti) interpretare la sacra scrittura contro questo senso e contro l’unanime consenso dei padri”.
…GLI STESSI CHE REPUTANO INFALLIBILI LE LORO OPINIONI
COLPA DI CRISTO NON DEGLI EBREI
A questo punto, dopo aver appreso cosa la Chiesa insegna, vediamo cosa insegna il Ravasi.
Il Ravasi su Famiglia Cristiana del 1° novembre 1989, scrisse un articolo sul processo a Gesù in cui arriva alla conclusione che gli ebrei non hanno avuto alcuna responsabilità oggettiva nella condanna a morte di Cristo: su questo punto ci concentreremo dopo. Egli inizia dicendo che “lʼunica documentazione diretta disponibile è quella dei Vangeli.” E Dice bene. Fino a quando non asserisce, continuando, che tale “documentazione che, storicamente parlando, non è ineccepibile, essendo di parte e con finalità più teologiche che rigorosamente storiografiche…”. Dunque per il Ravasi gli autori dei vangeli avrebbero scritto non di un evento storico realmente accaduto ma di una storia parziale e partigiana, di “parte”, cioè distorta, truccata, per portare acqua al proprio mulino e per inserire in codesta storia falsata elementi teologici che giustificassero la divinità di Cristo e le pretese teologiche della comunità nascente.
Cosa poi voglia dire con la menata della rigorosità storiografica è un mistero per non dire una amenità modernista, poiché qui viene escluso il fatto che stiamo parlando di scrittori del I secolo d.C. e non del XXI secolo. Gli autori dei vangeli, due dei quali testimoni oculari (Matteo e Giovanni) e due auricolari (Luca e Marco), non hanno avuto alcuna intenzione di scrivere saggi storici, essi si limitarono a raccontare ciò che avevano visto o udito da testimoni oculari: ragion percui nessun testo antico può vantare una tale attendibilità quanto i Vangeli. Al contrario della superstizione dell’ormai screditatissimo famigerato (e puntualmente poi smentito) metodo storico-critico-scientifico. E tuttavia sui testi profani non si fanno questioni sul Nuovo Testamento si!
L’algido Ravasi continua dicendo: “Bisogna tener ben distinti due ambiti: quello dei fatti storici e quello del loro significato teologico…”. Questa distinzione è arbitraria e modernistica, atta a smantellare la realtà storica dei vangeli e di ciò che in essi leggiamo. E con essa far precipitare minimo due-tre dogmi: che a non demolirne almeno uno, non sei degno di essere “famoso”, in “carriera”, “aver successo” (per usare i termini più cari al Ravasi) e soprattutto di mantenere una cattedra in qualche università cattolica.
Mica è finita. No! Qui viene il bello: “Quindi, il processo di Gesù a livello storico-giuridico non poteva essere alla divinità in sè del Cristo, quanto piuttosto, il suo arrogarsi, in parole ed atti, la divinità”. Una frase molto contorta, il processo di Gesù si svolse ed aveva come capo di imputazione proprio il fatto che Gesù manifestò più volte l’essere Dio, altro che arrogarsi in parole ed atti la divinità, Egli era la divinità e per tale ragione fu perseguitato, imprigionato e condannato a morte dal Sinedrio.
Per il Ravasi “storicamente parlando, la condanna a morte, Gesù se lʼè voluta Lui”, almeno quanto il Ravasi stesso vorrebbe da sé la cattedra di Milano e poi quella di Roma. Incredibile! Egli scagiona gli ebrei dalla responsabilità oggettiva della morte in croce di Gesù per scaricare la colpa al solo Gesù che, storicamente parlando, doveva fare come il Ravasi, cioè mentire sulla sua natura divina quando Caifa gli domandò: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”! Ma è ovvio che il Ravasi crede che tale domanda con la relativa risposta del Cristo sia una invenzione dell’evangelista che introdusse arbitrariamente nozioni teologiche per sostenere la propria tesi e condannare gli ebrei infedeli. “Si trattava di un comportamento (lʼarrogarsi la divinità) passibile di giudizio secondo il Diritto Ebraico, perché configurava il reato di bestemmia punibile con la pena di morte”, sentenzia l’avvocato…del diavolo Ravasi. Certamente: ma il problema sta nel fatto che Gesù non era un falso profeta messianico che si arrogasse una tale prerogativa: era veramente il Messia Figlio di Dio e Dio stesso, dunque gli ebrei pur avendone avuto prova della sua divinità la rigettarono e lo condannarono.
Senza dimenticare, e il Ravasi lo dimentica di proposito, che la condanna a morte di Cristo era stata già stabilita dal sinedrio ancor prima del processo: non a caso molti testimoniarono il falso pur di arrivare alla sentenza unanime della colpevolezza di Cristo, altro che ebrei innocenti. Egli dunque sentenzia che: “Resta illegittima e assurda la tesi antisemita per la quale gli Ebrei di ieri e di oggi sono in solido responsabili di quella operazione giudiziaria”. A noi, che non aspiriamo a nessuna cattedra milanese e romana, e che invece del metodo storico-critico utilizziamo il metodo della ragione e della fede, sembra assurda la sua esegesi che nega la realtà oggettiva neotestamentaria e dell’unanime consenso dei padri.
A testimonianza delle Scrittura ci limiteremo a citare solo gli Atti degli Apostoli, libro ispirato in cui più esplicitamente e pubblicamente viene presentata la morte violenta di Cristo come il più iniquo ed orrendo delitto dei capi e del popolo ebraico. Ecco, pertanto, come parla San Pietro, nel giorno della Pentecoste: «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole. Gesù di Nazaret, uomo accreditato da Dio presso di voi con opere, prodigi e potenti segni che Dio fece tra voi per suo mezzo, come voi stessi sapete, voi lo avete trafitto per mano d’empi, e ucciso, dopo che per determinata volontà e prescienza di Dio fu tradito; Dio l’ha risuscitato, avendo infranto i legami della morte, siccome era impossibile che ne fosse ritenuto» (At 2, 22-24). Ed ancora: «Sappia dunque indubitatamente tutta la famiglia d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo questo stesso Gesù che voi avete crocifisso» (At 2, 36). La stessa cosa ripete il primo Apostolo e primo Papa, dopo la guarigione dello storpio alla porta del tempio di Gerusalemme:« Israeliti, perché vi meravigliate voi di questo, e perché tenete gli occhi su noi, come se per potenza e bontà nostra avessimo fatto sì che costui cammini? Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei Padri nostri ha glorificato il suo Figlio Gesù che voi avete tradito e rinnegato davanti a Pilato, benché lui fosse risoluto di liberarlo. Ma voi rinnegaste il Santo e il Giusto e chiedeste che vi fosse graziato un assassino; e uccideste l’Autore della vita che Dio resuscitò da morte, cosa di cui noi siamo testimoni» (At 2, 12-15). «Allora Pietro, ripieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, ascoltate: giacché oggi siamo interrogati sul beneficio fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo questo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele come in nome del Signor Nostro Gesù Cristo Nazareno che voi crocifiggeste e Dio risuscitò dai morti, in virtù di questo nome costui sta sano innanzi a voi. Questa è la pietra rigettata dai voi costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo» (At 4, 8-11)
Per quanto riguarda l’unanimità dei padri ci basti citare Sant’Agostino: «I giudei volevano volgere tutta l’iniquità di quel delitto in un giudice uomo; ma potevano forse ingannare il Giudice Dio? Pilato, facendo quel che fece, fu certo partecipe del male, ma, in cofronto a loro, molto meno reo. Insistette per verità, come poté per liberare Gesù dalle loro mani, e con questo medesimo intendimento lo lasciò flagellare. Non per perseguitare il Signore lo flagellò, ma come per saturare il furore giudaico, sperando che a quella vista cedessero le ire, e non volessero più uccidere chi vedevano flagellato. Ma, perseverando coloro, egli si lavò le mani, dichiarandosi mondo della Sua morte. Nondimeno, lo condannò. Ora, se è reo colui che lo condannò invito, sono forse innocenti quelli che lo sforzarono perché lo condannasse? Nient’affatto! Ma egli proferì contro Gesù la sentenza e comandando che fosse crocifisso, quasi egli stesso lo uccise. E voi, o giudei, altresì lo uccideste. Come lo uccideste? Con la spada della lingua. Aguzzaste difatto le vostre lingue, e lo uccideste gridando: «Crocifiggilo, crocifiggilo»! (Cfr. Sant’Agostino, Enarratio in psalmum 63; cfr. P. Barbette, La Passione di N. S. Gesù Cristo secondo il chirurgo, Torino 1919, pag. 229; San Giovanni Crisostomo, Hom. 82 in Mt.)
Forse che il Ravasi vuole, secondo il titolo del suo articolo (Processo a Gesù: assurda la tesi antisemita), tacciare san Pietro, san Marco, san Luca, san Matteo e tutti i Santi Padri, Dottori e Papi della Chiesa di antisemitismo? Qua ormai non è più questione antisemitismo: è questione si s(c)emitismo!
Come abbiamo potuto vedere il Ravasi nega la storicità dei Vangeli, nega la loro inerranza assoluta che comprende anche la storia profana inclusa nei vangeli, e infine nega quanto la Chiesa e l’unanimità dei Padri hanno sempre insegnato su quei brani.
LAZZARO IL MORTO CHE NON CAMMINA. E I DUE GESU' DIMEZZATI.
Ma andiamo ad un altro articolo del Ravasi su Famiglia Cristiana del n. 30/1994: Il Ravasi tratta la resurrezione di Lazzaro ad opera di Cristo e lo fa rispondendo a due lettori scandalizzati dal gesuita Brendan Byrne, che affermava che la resurrezione di Lazzaro è una “gonfiatura” teologica della primitiva comunità cristiana (metodo della storia della redazione). Ovviamente il Ravasi da buon modernista non difende affatto la piena storicità del Vangelo di Giovanni, no, difende il modernista Byrne e ci illumina da buon pastore a non commettere due errori:
“Sono da evitare due estremi” dice, questi: 1 “credere che Gesù risuscitò Lazzaro da morte, nel modo e nei particolari descritti da Giovanni”; 2 “credere che lʼintera storia è una pura invenzione dellʼevangelista”.
Il solito linguaggio neoterico: non bisogna credere al brano ma nello stesso tempo il brano non è pura invenzione dell’evangelista, un po’ e un po’ magari. Di grazia: o il brano è autenticamente storico e dunque verace oppure l’evangelista mente, tertium non datur! Oppure come avrebbe detto il nostro Dante: “La verità è come il bianco: o è bianco in tutto il suo splendore o è solo una tonalità di grigio, che bianco non è”.
E’ evidente che al Ravasi non gli frega nulla del dogma dell’inerranza assoluta delle Scritture che vincola ogni cattolico: ed è un Cardinale! Ora se la Scrittura non contiene alcun errore, e i Papi hanno specificato che ciò riguarda anche la storia profana inclusa nei testi, ne consegue che “tutto ciò che l’agiografo asserisce, enuncia, insinua, si deve ritenere come asserito, enunciato, insinuato dallo Spirito Santo” (Pontificia Commissione Biblica, decreto del 18 giugno 1915, si badi bene a quei tempi tale Commissione era Organo del Magistero della Chiesa e i suoi decreti erano e sono tutt’ora vincolanti).
L’uomo che aspirerebbe ad essere il Vicario di Cristo, continua : «Le parole e gli atti di Gesù sono illuminati, trasfigurati, elaborati per finalità che non sono storiografiche, ma di fede». Il Ravasi dunque conferma quanto fino ad ora abbiamo detto:egli si rifà ai metodi agnostici dei protestanti liberali quali Bultmann, Dibelius che negavano ogni possibilità di miracoli nell’ordine naturale. I vangeli per costoro dovevano essere demitizzati, ma come fare tutto ciò? Semplice: dividere il Gesù storico, quello aggiornato che non compie alcun miracolo, dal Gesù della fede, quello ricostruito dalla comunità cristiana nascente che elaborò la figura di Cristo attribuendogli meriti, o come eufemisticamente li chiama il Ravasi “segni, che non sono suoi ma sono, chiamiamoli per nome, pure invenzioni atte a dimostrare che Gesù è il Verbo di Dio”: il Ravasi, alla buona, li chiama semplicemente parole illuminate o elaborate, negando così anche la storicità dei Vangeli poiché ciò che conta è la fede (come per i protestanti, insomma). Non importa, ovviamente, al Ravasi la condanna di San Pio X che annoverava fra gli errori da segnalare alla Santa Inquisizione l’asserzione che :”Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede”. (San Pio X, Lamentabili sane exitu, N.29). Dunque questa proposizione modernista è stata condannata dal Supremo Magistero della Chiesa il quale infallibilmente ci insegna che non esiste alcuna distinzione tra il Gesù storico e il Gesù della fede: il Gesù della fede è il Gesù storico, il Gesù storico è il Gesù della fede, e per chi dovesse asserire il contrario sia anatema, si sarebbe detto un tempo, quando la chiesa non era ancora un opinionificio.
Sempre l’ormai latente agnostico Ravasi: “È qui che appare la diversa concezione: per noi, il miracolo è prevalentemente un prodigio; per lʼuomo della Bibbia è un segno. Ed è proprio così che Giovanni chiama i sette miracoli di Gesù da lui selezionati nel suo Vangelo. Se sono segni, è naturale che essi rimandano ad altro, ed è questo altro ciò che interessa allʼevangelista non tanto il fatto in sè”. La protervia di Ravasi è proporzionale alla quantità di parole che usa per negare un fatto elementare testimoniato dagli apostoli. Qui prodest? I segni, che REALMENTE ha compiuto Cristo e che FEDELMENTE gli evangelisti ci hanno trasmesso mediante i Vangeli, avevano il compito di far comprendere che colui il quale portava il nome di Gesù di Nazareth era Dio, mentre per il Ravasi quegli eventi non son mai accaduti, oppure son avvenuti diversamente e poi gli evangelisti ci hanno infilato il segno che per il Ravasi è una invenzione teologica della Chiesa primitiva.
Ancora Ravasi si accanisce con furia devastante sul cadavere di Lazzaro: «Sulla base di quanto detto, ci chiediamo qual è lʼevento e quale la sua funzione di segno. Lʼevento (storico) è difficile da definire, per indicare lʼirreversibilità della sua situazione. Chiara è, invece, la finalità del segno: celebrare Cristo come efficace sorgente di risurrezione e vita, alla luce appunto della sua Pasqua». Dunque per il Ravasi l’evangelista Giovanni, che ripetiamo era testimone oculare, approfitta di una malattia del Lazzaro per inventarsi di sana pianta la morte di costui, che invece era malato, e meteforica la sua risurrezione, funzionale solo a mostrare, sempre metaforicamente, che Gesù è la risurrezione e vita. Di grazia, perché doveva inventarsi tutto ciò quando lo stesso Gesù affermò di se stesso di essere la risurrezione e la vita? E quando poi, per dimostrare tali elette virtù, Cristo stesso sarebbe risorto vincendo la morte? Magari il Ravasi ci risponderà che Gesù non l’ha mai detto ma che è una frase messa in bocca a Gesù dai primi discepoli del Risorto, ammesso che egli creda che sia Risorto!
Ecco cosa avvenne realmente per il Ravasi: “Ciò che interessa allʼevangelista è non tanto il fatto in sè” ma, nel caso di Lazzaro, la guarigione insperata, ma naturale, di un moribondo,
descritto, però, “come già morto e sepolto”. Evidentemente per il Ravasi, che dovrebbe rappresentare Cristo, è difficile credere alla potenza divina del Figlio di Dio, egli preferisce far passare per mentitore l’apostolo Giovanni, e di conseguenza lo Spirito Santo, che avrebbe inventato di sana pianta una storiella mai esistita e avrebbe messo in bocca a Gesù delle frasi false. Eppure quando gli apostoli avvertirono Cristo che l’amico Lazzaro stava per morire e dunque di affrettarsi a guarirlo, cosa rispose Gesù?: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Parole parola parole per Ravasi: anzi, non meglio identificati “segni”. Peggio: Egli evidentemente o mentiva o non disse mai tale frase, così come non disse mai che “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo”… ma che addormentato! Lazzaro era solo un po’ moribondo mica lo devi “svegliare” o in altri termini risuscitare!
descritto, però, “come già morto e sepolto”. Evidentemente per il Ravasi, che dovrebbe rappresentare Cristo, è difficile credere alla potenza divina del Figlio di Dio, egli preferisce far passare per mentitore l’apostolo Giovanni, e di conseguenza lo Spirito Santo, che avrebbe inventato di sana pianta una storiella mai esistita e avrebbe messo in bocca a Gesù delle frasi false. Eppure quando gli apostoli avvertirono Cristo che l’amico Lazzaro stava per morire e dunque di affrettarsi a guarirlo, cosa rispose Gesù?: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Parole parola parole per Ravasi: anzi, non meglio identificati “segni”. Peggio: Egli evidentemente o mentiva o non disse mai tale frase, così come non disse mai che “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo”… ma che addormentato! Lazzaro era solo un po’ moribondo mica lo devi “svegliare” o in altri termini risuscitare!
Gli dissero allora i discepoli: “Signore, se s’è addormentato, guarirà”. Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!” Ma guarda che fantasia che ebbe Giovanni a raccontare tale storia e a mettere in bocca a Gesù che Lazzaro era morto… questi grafomani spiritati! E no! Il Ravasi ci dice che non era morto ma moribondo. Non gli importa che il Lazzaro puzzasse da quattro giorni e fosse chiuso nella tomba con tanto di bende e sudario: se il Ravasi dice che era moribondo non vorrete mica dissentire dal Cardinale e Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra! Strano non gli sia venuto lo schiribizzo di accampare l’ipotesi storico-critica che Lazzaro puzzasse perchè era uno sporcaccione.
In conclusione possiamo con certezza affermare che il suddetto cardinale a differenza di quanto si dice di lui non è affatto nè un intellettuale nè tanto meno un esegeta, figuriamoci cattolico, semmai è solo un nozionista agnostico che tratta la Scrittura come un semplice romanzo da cui trarne spunti letterari. Egli applica ai testi Sacri quei metodi che furono condannati dal Magistero della Chiesa, metodi che hanno come unico scopo il negare i dogmi che riguardano le Sacre Scritture: 1) L’ispirazione divina delle Sacre Scritture; 2) la loro inerranza assoluta; 3) la Chiesa unica depositaria e interprete delle Scritture.
D.S.
L'articolo, eccetto qualche piccola modifica qui da me adoperata, lo potete leggere anche sul nuovo sito Papale Papale
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