mercoledì 30 ottobre 2013

Concilio Vaticano II e comunicazione con gli acattolici



di don Pierpaolo Maria Petrucci

F ra i cambiamenti dottrinali del concilio e del post concilio che toccano la fede vi è quello inerente alla partecipazione comune ai riti religiosi con gli acattolici detta  “communicatio in sacris”. Essa può riguardare la  partecipazione di un cattolico alle funzioni  religiose e pubbliche di un culto non cattolico, come quelli pagani, eretici o degli scismatici; oppure la partecipazione ai riti cattolici da parte degli acattolici. La Chiesa, per proteggere la fede dei suoi figli, ha in proposito una dottrina ben precisa, fondata sulla legge divina. Essa permette ai non cattolici di ascoltare le prediche, assistere alla Santa Messa e alle cerimonie della Chiesa, ricevere benedizioni per disporli alla fede o alla salute del corpo (CJC senior can. 1149). Essi possono anche beneficiare degli esorcismi (CJC senior can. 1152). Non è però permesso agli eretici e agli scismatici, seppure in buona fede, di ricevere i sacramenti, se non hanno prima rigettato i loro errori e si siano riconciliati con la Chiesa (Can 731,2).

Per quel che riguarda la partecipazione dei cattolici ad altri riti, occorre fare delle distinzioni importanti. Quando il cattolico ha l’intenzione di onorare Dio con il culto acattolico, una tale comunicazione, chiamata “formale”, è sempre illecita poiché implica la professione interna di una falsa religione (Prummer T I n° 523,3) Si definisce invece “materiale” l’assistenza a certi riti non cattolici, determinata da ragioni di convenienza sociale o per motivi di ufficio, senza aver veramente l’intenzione di onorare Dio con quel culto. Ma neppure questa assistenza è lecita quando è attiva, cioè quando si partecipa positivamente, compiendo qualche atto del culto non cattolico. Essa infatti è contraria al primo comandamento che ci comanda di rendere a Dio il culto che Gli è dovuto nella vera religione da Lui rivelata. Non è lecito quindi per un cattolico il prendere parte attiva ad un rito acattolico, con preghiere, canti, oppure anche suonando l’organo (S.C. de Prop. Fide d. 8 luglio 1889).

L’antico Codice di Diritto Canonico affermava con chiarezza che chi prende parte attiva ad un culto acattolico è sospetto di eresia (can. 2316). L’assistenza invece cosiddetta passiva, che si limita puramente alla presenza fisica, senza prendere la minima parte ai riti, come può essere la semplice presenza ad un funerale protestante di un parente o amico di famiglia, può essere tollerata per motivo di carità o convenienza sociale, se non vi è pericolo di perversione o di scandalo (Codice di Diritto Canonico senior can. 1258). Questa, in sintesi, la dottrina cattolica chiaramente affermata dagli autori di Teologia morale che sottolineano come il divieto di una tale partecipazione è fondato non semplicemente su una legge positiva ecclesiastica, ma sulla legge divina (Prummer, Manuale Theologiae Moralis T I n° 525; Summa theologiae moralis, Merkelbach, T I n° 753-754).
Nell’edizione del 1961 del Dizionario di Teologia morale diretto dal Card. Francesco Roberti, Padre Pietro Tocanel O.F.M. condensa egregiamente la dottrina tradizionale e, nell’articolo “Comunicazione con gli acattolici”, afferma con grande chiarezza che: “La comunicazione attiva e formale è gravemente illecita poiché sarebbe la professione di un falso culto e la negazione della fede cattolica, senza parlare dello scandalo”. Il concilio giungerà a cambiare totalmente questo insegnamento.

Lo stesso Padre Tocanel, in una edizione successiva al concilio del medesimo Dizionario di Teologia morale (Marietti 1968), riassume quella che chiama a giusto titolo la “Nuovissima disciplina”, facendo riferimento appunto all’ultimo concilio. Egli cita il decreto sulle Chiese orientali che comincia, come spesso è successo nell’assemblea conciliare, con l’affermare il principio cattolico tradizionale… per poi negarlo, dopo qualche riga, nella prassi. Si dice giustamente che: “La comunicazione in cose sacre che offende l’unità della Chiesa o include formale adesione all’errore o pericolo di errare nella fede, di scandalo e di indifferentismo, è proibita dalla legge divina” (n° 26). Ma…, c’è un “ma” che vanifica l’affermazione del principio citato, introducendo la possibilità di una comunione, appunto, nelle cose sante: “Agli orientali che in buona fede si trovano separati dalla Chiesa cattolica si possono conferire, se spontaneamente li chiedono e siano ben disposti, i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi; anzi anche ai cattolici è lecito chiedere questi sacramenti dai ministri acattolici, nella cui Chiesa si hanno validi sacramenti, ogniqualvolta la necessità o una vera spirituale utilità a ciò persuada, e l’accesso a un sacerdote cattolico riesca fisicamente o moralmente impossibile. Parimenti, posti gli stessi principi, per una giusta ragione è permessa la partecipazione in funzioni, cose e luoghi sacri, tra cattolici e fratelli separati” (n° 27).

Il nuovo codice di diritto canonico sintetizza questa nuova dottrina nel can. 844. Nel secondo paragrafo si afferma che i cattolici possono ricevere i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia da ministri non cattolici, nelle cui chiese tali sacramenti sono amministrati validamente, ogni volta che vi è una necessità e una vera utilità spirituale, nella misura in cui sia evitato il pericolo dell’errore e dell’indifferentismo e che non si può moralmente o fisicamente accedere ad un ministro cattolico.
Nel paragrafo seguente si afferma che i ministri cattolici possono amministrare i sacramenti di Penitenza, Eucaristia e Unzione degli infermi agli ortodossi e a tutti gli eretici che conservano la fede in questi sacramenti, se li chiedono spontaneamente e sono ritualmente disposti.

Nella nuova logica ecumenica, quindi, la fede in tutte le verità rivelate non è più un criterio indispensabile per ricevere questi sacramenti, nonostante la Chiesa abbia sempre insegnato che permettere a membri di religioni scismatiche ed eretiche l’avvicinarsi ai sacramenti senza l’abiura dei loro errori vada contro la legge divina. Per seguire la cosiddetta “ermeneutica della continuità” bisognerebbe affermare che i due insegnamenti non sono contraddittori ma entrambi validi, ognuno per il suo tempo. Cosa impossibile, nel caso concreto, in quanto la prassi è una conseguenza dei principi della fede. Se la Chiesa condannava la partecipazione attiva ai riti non cattolici, come abbiamo visto, è perché questa comunicazione implica la negazione della fede per la professione, almeno esterna, di una falsa religione. Ma poiché la fede non può evolvere in maniera eterogenea con il tempo, la “nuovissima disciplina” è inaccettabile.


La Tradizione Cattolica; Anno XXIII – n° 3 – 2012 pp 38-39

martedì 12 febbraio 2013

Dimissioni di Benedetto XVI



Comunicato della Casa Generalizia della Fraternità San Pio X


La Fraternità San Pio X ha appreso il subitaneo annuncio delle dimissioni di Papa Benedetto XVI che saranno effettive la sera del 28 febbraio 2013. Malgrado le divergenze dottrinali manifestate ancora in occasione dei colloqui teologici tenuti fra il 2009 e il 2011, la Fraternità San Pio X non dimentica che il Santo Padre ha avuto il coraggio di ricordare che la messa tradizionale non era mai stata abrogata, e di sopprimere gli effetti delle sanzioni canoniche portate contro i suoi vescovi, in seguito alle consacrazioni del 1988.

Essa non ignora l’opposizione che queste decisioni hanno suscitato, obbligando il Papa a giustificarsi davanti ai vescovi del mondo intero. Essa gli esprime la sua gratitudine per la forza e costanza di cui ha fatto prova nei suoi confronti in circostanze così difficili e lo assicura delle sue preghiere per il tempo che desidera ormai consacrare al raccoglimento.

Al seguito del suo fondatore, Mons. Marcel Lefebvre, la Fraternità San Pio X, riafferma il suo attaccamento alla Roma eterna, Madre e Maestra di Verità, e alla sede di Pietro. Essa ribadisce il suo desiderio di portare il proprio contributo, secondo le sue possibilità, a risolvere la grave crisi che scuote la Chiesa. Essa prega perché, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, i Cardinali del prossimo conclave eleggano il Papa che, secondo la volontà di Dio, opererà per la restaurazione di ogni cosa in Cristo (Ef. 1,10).

Menzingen, 11 febbraio 2013
festa della Madonna di Lourdes

Fonte: DICI  
Tratto da www.sanpix.it

venerdì 11 gennaio 2013

SEMPER IDEM?


 
«...Io stesso, quando ero professore, ho visto come lo stesso Vescovo che, prima del Concilio, aveva licenziato un insegnante che era realmente irreprensibile, per una certa crudezza nel discorso, non è stato in grado, dopo il Concilio, di allontanare un professore che ha negato apertamente verità della fede certe e fondamentali. Tutto questo conduce tantissima gente chiedersi se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se l’hanno cambiata con qualcos’altro senza dirlo alla gente...» 

Card. Joseph Ratzinger, 13 luglio 1988
 

Cum Petro et sub Petro ! Reali motivi che mi portano a rigettare la “tesi di cassiciacum” e la Messa “non una cum”.

 

Riportiamo per gentile concessione dell'autore le ragioni teologiche, che facciamo anche nostre, che spingono il Sig. Gaetano Accomando a ritenere inadeguata nonch'é erronea la posizione di chi afferma essere vacante la Sede Apostolica negli ultimi quarant'anni.

Scrivo per mettere fine a critiche che mi vengono mosse, per ribadire con chiarezza la mia posizione, senza avere velleità di convincere nessuno né di polemizzare, ma per far uscire dalla “mia bocca” la reale posizione che si presume nessuno possa conoscere meglio di me. Mi viene detto:” se dici che è Papa, devi obbedirgli”. A questa affermazione rispondo che per conservare il bene comune e in certi limiti è lecito disobbedire e trovo questa possibilità nelle Sacre Scritture:

“Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei? Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno". Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, forse Cristo è ministro del peccato? Impossibile! Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore. In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano. (Gal. II, 11-21al. II, 11-21)

Quindi ne deduco che mi si possa contestare, non la disobbedienza in se, ma la disobbedienza “abituale”, termine che in teologia non saprei consa significhi, non credo abbia valore alcuno. Va pure sottolineato che i “tesisti” riconosco Papa simpliciter Giovanni XXIII che ha promulgato infallibilmente il messale del 1962, ma non lo utilizzano (gallicanesimo occulto).Adesso do (per assurdo ovviamene) di trovarmi nella situazione di papato puramente materiale, anche se con l’attuale Pontefice mi risulta un po’ arduo, visto le dichiarazioni pubbliche di chi la “tesi” l’ha scritta. Infatti p. Guérard des Lauriers riteneva che chi fosse stato eletto papa, ma fosse stato consacrato vescovo col nuovo rito, lui e i suoi successori sarebbero: “pure comparse di papi” (Il problema dell’Autorità e dell’episcopato nella Chiesa, Verrua Savoia, CLS, 2005, p. 37).Va notato che una “pura comparsa” non è neppure “papa materialmente o in potenza”. Il 21 giugno 1963 Paolo VI viene eletto Papa e riconosciuto tale da tutta la Chiesa sparsa nel mondo. Questo dato è evidente e incontestabile. Quindi se la Chiesa non era quella che lo riconobbe dov’era? Qui entra in gioco il dogma d’indefettibilità della Chiesa, essa sarebbe dovuta sussistere altrove ma dove?Do per assurdo che qualche sofisma mi possa aver convinto che sussisteva altrove (dove dovrebbe secondo i tesisti sussistere ancora), ma questa Chiesa ha le caratteristiche di quella fondata da Nostro Signore Gesù Cristo? Il catechismo c’insegna che:” 184. La Chiesa docente e la Chiesa discente sono due parti distinte di una sola e medesima Chiesa come nel corpo umano il capo è distinto dalle altre membra e tuttavia forma con esse un corpo solo. 185. Di chi si compone la Chiesa docente? La Chiesa docente si compone di tutti i Vescovi con a capo il Romano Pontefice, sia che si trovino dispersi, sia che si trovino congregati in Concilio.” Dato ciò che la Chiesa m’insegna (con autorità suprema!), non posso vedere come ragionevole, la possibilità che sussista una Chiesa priva di autorità, infatti se attualmente perdurerebbe nei Vescovi “dissidenti” si troverebbe sprovvista sia della parte docente (non avendo questi giurisdizione), e sarebbe manchevole e dissimile da quella fondata da N.S. Gesù Cristo. Va notato che sarebbe impossibile trovare neppure la “Chiesa monca” fino alla nascita di correnti sedevacantiste. Non so datare quando queste sono sorte ma si conviene che il primo libro che fa questa svolta risale al 1973 (sedevacante, del gesuita messicano Sáenz y Arriaga). Dovrei credere che a differenza della promessa di N.S. Gesù Cristo: “Io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”(Matteo 16:18), , avendo Paolo VI la totale comunione dei Cattolici, che per questo lasso di tempo la Chiesa non ci fosse affatto. A differenza dei sedevacantisti totalisti, i “tesisti” constatano la vacanza della santa sede con un giudizio privato, riconoscendo che le loro dichiarazioni anche se pubbliche non hanno valore nei confronti della Chiesa, mentre i “totalsti” presumo di avere quest’autorità direttamente da Dio, l’incuniugabilità delle due correnti, esclude l’una dall’altra dal far parte della Chiesa che sussisterebbe. La discendenza apostolica dei tesisti è garantita (come anche la sopravvivenza sacramentale)dalle consacrazioni fatte dall’ arcivescovo vietnamita, Pierre Martin Ngô Đình Thục, che oltre a persone stimabili e degne di rispetto ha consacrato “vescovi” anche Clemente Domínguez y Gómez (1976), che più tardi si autoproclamò “papa” col nome di Gregorio XVII, Jean Laborie (1977) veterocattolico da sempre che fondò la Chiesa Cattolica Latina di Tolosa, Cristian Datessen (1982) anch’egli veterocattolico, capo dell’Unione delle Petites Eglises , e capostipide di una genealogia di vescovi scismatici e a volte pure gnostici. Questa presunta Chiesa come conserverebbe la sua visibilità? L’ apostolicità e la visibilità della Chiesa, sono state date da Cristo alla sua Sposa, affinché i fedeli possano facilmente seguire il suo insegnamento, riconoscerla e distinguerla senza difficoltà dalle sette’ (cfr. “D. Th. C”., col. 2143)

L’offerta pubblica del sacrificio durerà ininterrottamente fino alla fine dei tempi, essa non può venir meno neppure un giorno può essere limitata ma mai non verificarsi totalmente (conf. 1 Cor 11,26). Il mio rifiuto totale per la Messa “non una cum” si basa dalle ragioni stesse che portano i sacerdoti che seguono questa “tesi” a celebrare così, infatti p. Guérard des Lauriers in (sodalituim, n. 36,p 77)diceva ”citare Giovanni Paolo II al “Te Igitur” della santa Messa vuol dire commettere oggettivamente e ineluttabilmente il doppio delitto di sacrilegio e di scisma capitale, e ciò avvenisse indipendentemente dall’intenzione di chi celebra o di chi assiste”. (noto che sul sito dell’I.M.B.C. questo numero è mancante di questa pagina e che arriva fino a pag. 75. La mia citazione è presa letteralmente da “la Tradizione Cattolica n. 52 pag.40).Quindi seguendo letteralmente l’autore della tesi dovrei credere che una delle due celebrazioni, abbia le caratteristiche di sacrilegio e di scisma capitale, Tertium non datur! Per prendere in considerazione che l’ “ Oblazio Munda” (offerta del Sacrificio Purissimo) sia quello offerto dai sacerdoti tesisti, dovrei sapere con certezza che dal 21 giugno 1963 (data per loro incontrovertibile visto che sostengono Paolo VI Papa solo materialmente e non formalmente) questo Santo Sacrificio sia stato perpetrato. Ma da chi? Se tutta la Chiesa è restata in comunione per anni! Dovrei constatare volente o dolente (prendendo per buona questa tesi), che S. Pio da Pietralcina (morto nel 1968) avrebbe trascinato le folle a celebrazioni sacrileghe e scismatice! Non mi è dato sapere dove potesse continuare(il Sacrificio purissimo), visto che p. Guérard des Lauriers stesso rimase in comunione col Papa, per poi (15 anni) esporre la sua “tesi”. In questo frangente storico, definito da tantissimi sacerdoti fedeli alla tradizione come la passione della Chiesa bisogna mantenere umiltà, e non avere velleità di poter risolvere questioni così complesse con tesi e trattati che non trovano riscontri colla Chiesa così come fu fondata da N.S. Gesù Cristo, non adattandola ad esigenze speculativa di sussistenza per questo superdogma della “Tesi”. Non è la Verità che si deve confermare nelle nostre “esigenze” ma noi ad essa! Con la coerenza che mi contraddistingue se avessi ritenuto possibile riscontrare la Chiesa, forse avrei pensato possibile anche quest’ipotesi ma de facto non la vedo. Con la speranza di vederci un giorno tutti in paradiso, sottolineando che moltissimi “tesisti” sono persone d’indubbio valore morale e mossi da spirito di verità, concludo ringraziando il Signore per avermi salvato da questa posizione (a differenza di molti), per grátia et veritáte, Deo grátias.

Gaetano Accomando.

mercoledì 2 gennaio 2013

Lettera di Mons. Marcel Lefebvre al Card. Ottaviani






 

Lettera di S. Ecc. Mons. Marcel LefebvreFondatore della Fraternità San Pio X
al Card. Ottaviani - allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant'Uffzio) -
in risposta ad una richiesta avanzata dallo stesso Cardinale
 
Roma, 20 dicembre 1966

i neretti sono nostri

Eminenza,
La Sua lettera del 24 luglio, riguardante la messa in discussione di alcune verità, è stata comunicata, attraverso i buoni uffici della nostra segreteria, a tutti i nostri Superiori maggiori.

Ci sono pervenute poche risposte. In quelle che ci sono pervenute dall’Africa non si nega che in questo momento ci sia una grande confusione nelle menti. Anche se queste verità non sembrano essere messe in discussione, in pratica si assiste ad una diminuzione del fervore e della regolarità nella ricezione dei sacramenti, soprattutto del Sacramento della Penitenza. 
Si riscontra una notevolmente diminuzione del rispetto dovuto alla Santa Eucaristia, soprattutto da parte dei sacerdoti, e una scarsità di vocazioni sacerdotali nelle missioni di lingua francese: le vocazioni nelle missioni di lingue inglese e portoghese sono meno influenzate dal nuovo spirito, ma già le riviste e i giornali stanno diffondendo le teorie più avanzate.

Sembrerebbe che il motivo per il limitato numero di risposte ricevute, sia dovuto alla difficoltà di cogliere questi errori, che sono diffusi ovunque.La causa del male sta principalmente in una letteratura che semina la confusione nelle menti attraverso delle presentazioni che sono ambigue ed equivoche, ma dietro le quali si scopre una nuova religione.
Credo sia mio dovere sottoporLe pienamente e chiaramente ciò che si evidenzia dalle mie conversazioni con numerosi vescovi, sacerdoti e laici in Europa e in Africa, e che emerge anche da quello che ho letto nei territorii di lingua inglese e francese.

Avrei volentieri seguito l’ordine delle verità elencate nella Sua lettera, ma mi permetto di dire che il male presente sembra essere molto più grave della negazione o della messa in discussione di alcune verità della nostra fede. Oggi esso  si manifesta in un’estrema confusione di idee, in una rottura delle istituzioni della Chiesa, delle fondazioni religiose, dei seminari, delle scuole cattoliche - in breve, di ciò che è stato il sostegno permanente della Chiesa. E non è altro che la continuazione logica delle eresie e degli errori che hanno minano la Chiesa negli ultimi secoli, soprattutto del liberalismo del secolo scorso, che ha cercato a tutti i costi di riconciliare la Chiesa con le idee che hanno portato alla Rivoluzione francese.

Nella misura in cui la Chiesa si è opposta a queste idee, che vanno contro la sana filosofia e teologia, essa ha fatto dei progressi. Mentre invece, ogni compromesso con queste idee sovversive ha provocato un allineamento della Chiesa con il diritto civile, col conseguente pericolo di asservirla alla società civile.
Inoltre, ogni volta che gruppi di cattolici si sono lasciati attrarre da questi miti, i Papi li hanno coraggiosamente richiamati all’ordine, illuminanti e, se necessario, condannati. Il liberalismo cattolico è stato condannato da Papa Pio IX, il modernismo da Papa Leone XIII, il movimento del Sillon da Papa San Pio X, il comunismo da Papa Pio XI e il neo-modernismo da Papa Pio XII.
Grazie a questa ammirevole vigilanza, la Chiesa è cresciuta e si è diffusa; le conversioni dei pagani e dei protestanti sono state molto numerose; l’eresia è stata completamente allontanata; gli Stati hanno accettato una legislazione più cattolica.

Tuttavia, gruppi di religiosi intrisi di queste false idee sono riusciti ad infiltrarsi nell’Azione Cattolica e nei seminari, grazie ad una certa indulgenza da parte dei vescovi e alla tolleranza di alcune autorità romane. Ben presto fu tra questi religiosi che vennero scelti i vescovi. Questa era la situazione esistente al momento in cui il Concilio, con le commissioni preliminari, si preparava a proclamare la verità contro tali errori, al fine di bandirli dalla Chiesa per lungo tempo. Sarebbe stata la fine del protestantesimo e l’inizio di un’era nuova e feconda per la Chiesa.
Ora, questa preparazione è stata odiosamente respinta per far posto alla più grave tragedia che la Chiesa abbia mai sofferto. Abbiamo assistito al matrimonio della Chiesa cattolica con le idee liberali. Significherebbe negare l'evidenza, essere volontariamente ciechi, non affermare con coraggio che il Concilio ha permesso a coloro che professano gli errori e seguono le tendenze condannate dai Papi citati prima, di credere legittimamente che le loro dottrine fossero state  sancite e approvate.

Considerando che il Concilio si stava preparando ad essere una luce splendente nel mondo di oggi (se fossero stati accettati i documenti pre-conciliari in cui si trovava una solenne professione di dottrina certa, riguardo ai problemi odierni), ora purtroppo si può e si deve constatare che:

- In modo più o meno generale, quando il Concilio ha introdotto delle innovazioni, ha sconvolto la certezza delle verità insegnate dal Magistero autentico della Chiesa, in quanto appartenenti autenticamente al tesoro della Tradizione.
- Sulla trasmissione della giurisdizione dei vescovi, le due fonti della Rivelazione, l'ispirazione della Scrittura, la necessità della grazia per la giustificazione, la necessità del battesimo cattolico, la vita della grazia tra gli eretici, gli scismatici e i pagani, i fini del matrimonio, la libertà religiosa, i fini ultimi, ecc. … su tutti questi punti fondamentali la dottrina tradizionale era chiara ed era unanimemente insegnata nelle università cattoliche. Da ora in poi, numerosi testi del Concilio su queste verità, permetteranno di dubitare di esse.

Le conseguenze di tutto questo sono state rapidamente elaborate e applicate nella vita della Chiesa:
- dubbi sulla necessità della Chiesa e dei sacramenti, hanno portato alla scomparsa delle vocazioni sacerdotali;
- dubbi sulla necessità e la natura della “conversione” delle anime, hanno portato alla scomparsa delle vocazioni religiose, alla distruzione della spiritualità tradizionale nei noviziati e all’inutilità delle missioni;
- dubbi sulla legittimità dell’autorità e sulla necessità dell’obbedienza, hanno causato l’esaltazione della dignità umana, l’autonomia della coscienza e della libertà, che stanno sconvolgendo tutti gli ambiti fondati sulla Chiesa - congregazioni religiose, diocesi, società secolare, famiglia.

L'orgoglio ha come conseguenza normale la concupiscenza degli occhi e della carne. E forse uno dei più terrificanti segni del nostro tempo è il vedere fino a che punto è giunta la decadenza morale della maggior parte delle pubblicazioni cattoliche. Esse parlano senza alcun ritegno di sessualità, di controllo delle nascite con ogni mezzo, di legittimità del divorzio, di educazione mista, di amoreggiamenti, di danze, come mezzi necessarii all’edificazione cristiana, al celibato del clero, ecc.

I dubbi sulla necessità della grazia per essere salvati, fanno sì che il battesimo scada alla più bassa considerazione, così che in futuro esso sarà rimandato a più tardi, occasionando la negligenza del Sacramento della Penitenza, tanto più che si tratta di un atteggiamento del clero e non dei fedeli. Lo stesso dicasi per la Presenza Reale: è il clero che si comporta come se non vi credesse più, nascondendo il Santissimo Sacramento, sopprimendo tutti i segni di rispetto verso le Sacre Specie e tutte le cerimonie in suo onore.

I dubbi sulla necessità della Chiesa come unica fonte di salvezza, sulla Chiesa cattolica come l’unica vera religione, che derivano dalle dichiarazioni sull’ecumenismo e sulla libertà religiosa, stanno distruggendo l’autorità del Magistero della Chiesa. Infatti, Roma non è più l’unica e necessaria MagistraVeritatis.

Mosso quindi dai fatti, sono costretto a concludere che il Concilio ha incoraggiato in maniera inconcepibile la diffusione degli errori liberali. Fede, morale e disciplina ecclesiastica sono scosse dalle fondamenta, realizzando le previsioni di tutti i Papi.
La distruzione della Chiesa sta avanzando ad un ritmo accelerato. Dando un’autorità esagerata alle Conferenze Episcopali, il Sommo Pontefice si è reso impotente. Quante dolorose lezioni in un solo anno! Eppure è il Successore di Pietro, e solo lui, che può salvare la Chiesa.

Il Santo Padre si circondi di forti difensori della fede: li nomini nelle diocesi importanti. Proclami la verità con dei documenti dall’importanza straordinaria scartando l’errore senza il timore di contraddizioni, senza il timore di scismi, senza il timore di mettere in discussione le disposizioni pastorali del Concilio.
Che il Santo Padre si degni: 
- di incoraggiare i vescovi a correggere la fede e la morale, ciascuno nella rispettiva diocesi come si conviene ad ogni buon pastore; 
- di sostenere i vescovi coraggiosi, esortandoli a riformare i loro seminari e a ripristinare lo studio di San Tommaso; 
- di incoraggiare i Superiori Generali a mantenere nei noviziati e nelle comunità i principi fondamentali dell’ascetismo cristiano e, soprattutto, l’obbedienza; 
- di incoraggiare lo sviluppo delle scuole cattoliche, di una stampa informata dalla sana dottrina, di associazioni di famiglie cristiane;
- e, infine di redarguire gli istigatori di errori e ridurli al silenzio. 
Le allocuzioni del mercoledì non possono sostituire le encicliche, i decreti e le lettere ai vescovi.

Senza dubbio è temerario che io mi esprima in questo modo! Ma è con amore ardente che redigo queste righe, l’amore per la gloria di Dio, l’amore per Gesù, l’amore per Maria, per la Chiesa, per il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, Vicario di Gesù Cristo.

Possa lo Spirito Santo, al quale è dedicata la nostra Congregazione, degnarsi di venire in aiuto del Pastore della Chiesa universale. 

Che Vostra Eminenza si degni di accettare l’assicurazione della mia più rispettosa devozione in Nostro Signore.

Marcel Lefebvre,
Arcivescovo titolare di Synnada in Frigia,
Superiore Generale della Congregazione dello Spirito Santo.


Fonte: Una Vox

venerdì 9 novembre 2012

I pentiti del Concilio



"Tutto è diventato così avvizzito".

Il filosofo Spaemann a cinquant'annidal Concilio Vaticano II



In una recente intervista rilasciata da Robert Spaemann al giornale Die Welt (26 ottobre 2012), il filosofo tedesco spiega perché a suo giudizio non c'è motivo, a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, per una celebrazione giubilare: "tutto infatti è divenuto così avvizzito... È subentrata nella Chiesa un'epoca del tramonto. Persone che negano la risurrezione di Cristo rimangono professori di teologia e predicano come sacerdoti. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui c'è qualcosa che non va". Vediamo in dettaglio l'intervista in una nostra traduzione [Approfondimenti di "Fides Catholica"]

Die Welt: Lei era a Roma per la celebrazione del giubileo del Concilio Vaticano II. Per lei personalmente un motivo per festeggiare?

Robert Spaemann: In verità no. Si deve dire apertamente in primo luogo che si è introdotta un'epoca del tramonto. Una celebrazione giubilare non può far assolutamente niente di fronte al fatto che migliaia di sacerdoti già durante il Concilio hanno lasciato il loro ministero.

Die Welt: Quale la responsabilità del Concilio a tal proposito?

Robert Spaemann: Fu parte di un movimento, che ha avvolto l'intero mondo occidentale, parte della cultura della rivoluzione. Papa Giovanni XXIII disse allora che fine del Concilio era l'aggiornamento della Chiesa. Questo fu tradotto da molti con adattamento, adattamento al mondo. Ma questo fu un malinteso. Aggiornamento significa: opposizione della Chiesa al mondo, che sempre ha avuto e sempre deve avere, attualizzandola per il nostro tempo. Questo è il contrario di adattamento.

Die Welt: Giovanni XXIII certamente nel suo stesso discorso di apertura del Concilio ha risvegliato le attese che si trattasse di adattamento.

Robert Spaemann: Questo è vero. Giovanni XXIII era un uomo profondamente devoto. Ma era impresso di un ottimismo che presto già lo si poteva definire scellerato. Questo ottimismo non era giustificato. Nelle cose ultime la prospettiva storica cristiana suona conforme al Nuovo Testamento: alla fine ci sarà un grande apostasia, e la storia si scontrerà con l'Anticristo. Ma di questo il Concilio non fa parola. Si è eliminato tutto ciò che alludeva a lite e conflitto. Si è voluto benedire lo spirito del mondo emancipatore e culturalmente rivoluzionario.

Die Welt: Se in Germania come all'inizio dell'anno un tribunale giudica che la Chiesa cattolica può essere chiamata impunita setta di pedofili nessuno protesta. Questo ha qualcosa a che fare con lo spirito del Concilio Vaticano II?

Robert Spaemann: Sì. Il Concilio ha indebolito i cattolici. La Chiesa si è sempre trovata in un combattimento, un combattimento spirituale, non militare, ma una lotta. L'Apostolo Paolo parla delle armi della luce, l'elmo della fede ecc. Oggi la parola "nemico" è diventata indecente, il comandamento "Amate i vostri nemici" non può essere più impiegato perché non siamo più autorizzati ad avere nemici. Per i cosiddetti cattolici progressisti c'è in realtà ancora solo un nemico: i tradizionalisti. Questo è sì un'eredità del Concilio. Certamente noi cristiani per le offese della fede e della Chiesa non dovremmo usare nessuna violenza. Ma protestare dovrebbe essere possibile.

Die Welt: I testi che il Concilio dopo lunghe discussioni ha approvato sono vaghi compromessi. Chi ha vinto, riformatori o tradizionalisti?

Robert Spaemann: Nessuno dei due. Entrambi gli schieramenti hanno agito al Concilio come politici. Questo vale soprattutto per il partito dei progressisti. Quando per una decisione potevano prevedere di non ottenere la maggioranza, hanno introdotto nella decisione di compromesso alcune clausole generali, da cui sapevano, che dopo il Concilio poteva essere ammollita. Hanno spesso lavorato in modo cospirativo. E hanno fino a oggi la prerogativa dell'interpretazione sul Vaticano. Gradualmente tuttavia si instaura una nuova coscienza. Lentamente si cessa di mentire nelle proprie tasche. Tutto è diventato così avvizzito: uomini che negano la risurrezione di Cristo possono rimanere professori di teologia cattolici e predicare come sacerdoti durante le Messe. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui certo qualcosa non funziona.

Die Welt: Cosa intende quando dice che i novatori avrebbero una prerogativa di interpretazione sul Vaticano?

Robert Spaemann: Le porto tre esempi. Oggi viene detto spesso che il Concilio avrebbe eliminato il celibato. Si dovrebbe solo condurre fino in fondo gli accenni di allora. A tal proposito mai prima alcun concilio ha difeso il celibato con così tanto rilievo. Secondo esempio. I vescovi tedeschi hanno annunciato nella cosiddetta dichiarazione di Königstein che l'insegnamento della Chiesa in materia di "pillola" non è vincolante. Il Concilio aveva detto proprio il contrario, ovvero che l'insegnamento della Chiesa in questa domanda obbliga in coscienza i cattolici. O, terzo esempio: ognuno sa che il Concilio ha autorizzato la lingua del popolo nella liturgia. Solo alcuni sanno: il Concilio ha soprattuto asserito che la lingua propria della liturgia della Chiesa occidentale è e riamane il latino. E Papa Giovanni XXIII ha appositamente scritto un'enciclica sul significato del latino per la Chiesa occidentale.

Die Welt: Cosa le disturba soprattutto?

Robert Spaemann: Non penso a singole scelte. Maggiormente a ciò che veramente è stato fatto dal Concilio. Forse si deve ricominciare a leggere i testi originali. Già alla fine del Concilio si è sollevato, come scrive Joseph Ratzinger, come un certo spettro, che si chiama "spirito del Concilio" che, molto condizionato, aveva a che fare solo con decisioni fattuali. Spirito del Concilio significa: la volontà del nuovo. Fino ad oggi i cosiddetti riformatori si richiamano attraverso tutte le possibili idee di riforma allo spirito del Concilio e intendono con ciò adattamento. Oggi però abbiamo bisogno del contrario del "mondanizzarsi della Chiesa", che già Lutero deplorava. Abbiamo bisogno di ciò che il Papa chiama "fine della mondanizzazione" (Entweltlichung).

Die Welt: Lei ha scritto: "L'autentico progresso rende talvolta necessarie le correzioni di corso e in talune circostanze anche passi indietro" Come può la Chiesa invertire rotta?

Robert Spaemann: Fondamentalmente deve fare quello che sempre ha fatto: deve sempre tornare indietro. Vive dei Santi, che sono modello del tornare indietro. Non è in ordine se la Chiesa in Germania, a cui appartiene la Casa Editrice "Weltbildverlag", si sostiene per anni mediante la vendita del porno. Per dieci lunghi anni i cattolici hanno informato di questo i vescovi e non è successo niente. Ora che il tutto viene fuori il segretario della Conferenza Episcopale Tedesca ha fatto di questi fedeli con disprezzo dei fondamentalisti. Che ora viene introdotta questa prassi di vendita ha a che fare poco evidentemente con il tornare indietro.
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Fonte: Die Welt by Approfondimenti di "fides Catholica"
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Tratto da Una Fides

venerdì 2 novembre 2012

IL DOVERE DI PAGARE LE TASSE GIUSTE


 
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“Il cristiano non deve sempre tirarsi indietro, far la parte del moderato, del perennemente condannato alla perplessità, all’astensione e all’impotenza, lasciando così praticamente le fila del movimento della storia  in mano a coloro che sono meno dotati di scrupoli; il cristiano, quindi, non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando  sia necessario in modo assoluto” (R. Pizzorni).
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Introduzione/attualità

●In questi ultimi mesi si parla molto del dovere di pagare le tasse, del danno grave che arrecano alla Società gli evasori fiscali. Tuttavia si omette di ricordare che vi sono tasse giuste, che vanno pagate sotto pena di peccato mortale e di reato penale, tasse ingiuste, che si possono evadere senza peccato e senza reato e addirittura tasse intrinsecamente e direttamente perverse, ossia direttamente contrarie alla  legge divina, che debbono essere non pagate anche col rischio della propria vita. In quest’articolo cercherò di esporre un sunto della dottrina cattolica tradizionale a riguardo.

La dottrina cattolica

●Se lo Stato esige dall’individuo un sacrificio non necessario al bene comune, come quando impone ai sudditi imposte troppo onerose (se per esempio le imposte dirette superino il 20% ed arrivassero al 50% di ciò che il capofamiglia guadagna)  e che non giovano al bene pubblico, esse non obbligano in coscienza. 

●I moralisti  in genere insegnano che l’imposta giusta non deve superare circa il 10 % -20 % del salario: “Bisogna riconoscere che in pratica gli Stati abusano del loro diritto di imporre  i tributi, elevandoli a dismisura, senza un’adeguata ragione di bene comune, per cui facilmente i cittadini si convincono della poca giustizia dei tributi [...]. Per questo  oggi i teologi parlano di rieducazione dello Stato e dei cittadini alle proprie responsabilità [imporre imposte giuste, e dovere di pagare le imposte giuste, nda]...” (Enciclopedia Cattolica, vol. XII, col. 512, Città del Vaticano, 1954). 

●È chiaro che non solo i cittadini hanno l’obbligo  di pagare le tasse, ma soprattutto lo Stato  deve essere rieducato ad imporre tasse giuste quanto alla materia (non oltre il 20%) e quanto al fine (per il bene comune della Nazione); esso deve trattare i contribuenti come cittadini e non come schiavi, se non vuole diventare tirannide (cfr. S. Th., II-II, q. 64, a.1, ad 5um). Ora si costata che soprattutto oggi le tasse sono ingiuste sia quanto alla materia (esse superano di gran lunga il limite del 20%) sia quanto al fine (non mi riferisco solo agli episodi di ruberie da parte dei governanti, ma soprattutto al fatto che oggi le Patrie non esistono più e si tende alla globalizzazione e alla costruzione del Nuovo Ordine Mondiale, che è il nemico delle Patrie e del bene comune dei cittadini). Il governo di tecnici, sotto apparenza di bene, sta instaurando una cleptocrazia e uno stato di polizia ove il benessere comune della Società civile e le vere libertà della persona sono quasi totalmente inesistenti. Se già da qualche decennio la situazione degli Stati è iniziata a degenerare, oramai si può parlare di vera e propria tirannia. Cerchiamo di vedere qual è la giusta attitudine da adottare in questo stato di cose.

Resistenza alle leggi ingiuste

●Una legge può essere ingiusta in due maniere:
a) se prescrive una cosa direttamente contraria al diritto divino (es. aborto, divorzio, matrimoni omosessuali ed eutanasia …).
b) Se si oppone al diritto umano (imposte troppo onerose, che sorpassano il  10-20% di quanto guadagna il capo famiglia). Le tasse ingiuste (contrarie al diritto umano) se sono utilizzate dallo Stato anche per un fine cattivo (per la pratica degli aborti) diventano indirettamente contrarie al diritto divino.
In tutti i casi tali prescrizioni “non hanno alcuna forza di legge, perché sono in disaccordo - scrive Leone XIII - con i princìpi della retta ragione e gli interessi del bene pubblico” ([1]) e quindi non obbligano in coscienza. Per quanto riguarda le tasse ingiuste è lecito perciò praticare la ‘compensatio occulta’, ossia possono essere evase, e, se vengono impiegate direttamente per un fine contrario alla legge divina, debbono essere evase (per esempio se arrivasse al cittadino una cartella delle imposte con specificata richiesta di un importo per la pratica degli aborti, bisogna fare l’obiezione di coscienza anche a costo di grave incomodo, pure sotto pena di morte). Se invece le tasse sono impiegate soltanto indirettamente per un fine contrario alla legge naturale e divina (se arriva la richiesta delle tasse con cui lo Stato finanzia anche gli aborti, senza che ciò sia specificato e venga richiesta una somma per questo fine intrinsecamente malvagio) possono essere evase a condizione che non obblighino con grave incomodo (persecuzione, carcere, uccisione).

●Si può obiettare: chi ha il diritto di giudicare se una legge è nociva? La risposta è semplice: ogni coscienza retta è normalmente in grado di discernere;  nei casi difficili bisogna farsi illuminare da uomini prudenti e competenti, possibilmente ecclesiastici. In breve, la tradizione scolastica, quasi unanimemente, riconosce che la Nazione ha il diritto di resistenza, che può giungere, come extrema ratio, sino alla rivolta e alla deposizione del tiranno.

Liceità della resistenza alla legge ingiusta

●Il Padre gesuita Andrea Oddone  ha scritto nel 1944-45 che la resistenza passiva è sempre lecita nei riguardi di una legge ingiusta. La resistenza attiva legale, in casi in cui la religione è messa in pericolo, è lecita, anzi occorre ²deplorare  - come insegna Leone XIII nell’Enciclica Sapientiae christianae del 1890 - l’attitudine di coloro che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”. La resistenza attiva armata è legittima:
a)  se la tirannia è costante;
b)  se è manifesta o giudicata tale dalla “sanior pars” della società;
c)   se le probabilità di successo sono numerose;
d)  se la situazione successiva non si prevede peggiore dell’anteriore ([2]).

●Ai nostri giorni il Padre domenicano Reginaldo Pizzorni  insegna che l’obbligazione appartiene all’essenza della legge, perché sarebbe inconcepibile una legge non obbligante; però si pone una domanda: “Siamo sempre tenuti a ubbidire alla legge umana?; oppure: è lecita la resistenza alla legge ingiusta?, è ‘un sacro dovere’ la resistenza all’oppressione?” ([3]).

●Per i Padri e i Dottori della Chiesa la risposta è unanime. S. Agostino dice: “legge ingiusta, legge nulla” ([4]) ; essa non è più legge sed corruptio legis. Parimenti “un’autorità che non s’ispirasse alla giustizia  sarebbe tirannide e la sua legge non avrebbe più un valore intrinseco di giuridicità, ma sarebbe solo una perversione della legge, più che una legge sarebbe un’iniquità, per cui non ha più natura di legge, ma di in-giustizia. Quindi [...] non è assolutamente vincolante, perché nulla che è contro la ragione è permesso” ([5]). In questi casi non solo è lecito non ubbidire, “ma sarà moralmente legittima anche la resistenza, benché i limiti della stessa siano segnati dalla conservazione del bene comune, che deve prevalere sul bene individuale [...]. Pertanto anche delle leggi ingiuste, a meno che  non si tratti di leggi contrarie direttamente al bonum divinum, nel qual caso in nessun modo si possono osservare (S.Th., I-II, q. 96, a. 4), possono obbligare per [...] salvare l’ordine e la tranquillità dello Stato. [...]. Non bisogna tuttavia temere tra i sudditi solo lo spirito di ribellione, ma anche quello del servilismo” ([6]).

●Per quali motivi, prosegue padre Pizzorni, “la legge è propriamente ingiusta? Per due motivi:
1°) Perché in contrasto col bene umano:
a) sia per il fine, come quando chi comanda impone al suddito leggi onerose (come le tasse sproporzionate), non per il bene comune, ma piuttosto per la sua cupidigia (l’arricchimento dei politicanti);
b) sia per l’autorità, come quando uno emana una legge  superiore ai propri poteri [per esempio lo Stato che voglia legiferare in spiritualibus] ; [...]. Perciò codeste leggi non obbligano in coscienza; a meno che non si tratti di evitare scandali o turbamenti [...].
2°) Perché contrarie al bene divino: come le leggi che portano direttamente all’idolatria [...]. E tali leggi in nessun modo si possono osservare; poiché sta scritto: ‘Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini’ (Atti, V,  29)” ([7]).

●Nel resistere alla legge ingiusta occorre distinguere la resistenza passiva da quella attiva.
La resistenza passiva consiste nella non esecuzione della legge ingiusta, fino a che non vi si è costretti con la forza; ma nel caso in cui la legge ingiusta comandi qualcosa di peccaminoso, “un atto intrinsecamente cattivo in sé, la resistenza non solo è permessa, ma è sempre obbligatoria; non si possono eseguire ordini criminali” ([8]).
La resistenza attiva, a sua volta, si suddivide in :
a) Resistenza attiva non violenta: consiste in un’opposizione positiva alla legge ingiusta, compiuta sul terreno delle leggi o con mezzi legali, per es. pubbliche riunioni, proteste, petizioni, ricorso ai tribunali. “Occorre non rifugiarsi nell’indifferenza e nell’inerzia di coloro che non sanno o non vogliono organizzarsi e lottare per una causa nobile e giusta, per timore e viltà di affrontare i sacrifici e i maggiori doveri che questa lotta porta con sé [...]. ‘A chi cadrebbe in animo di tacciare i cristiani dei primi secoli di nemici dell’Impero Romano, solo perché non si curvavano dinanzi alle prescrizioni idolatriche, ma si sforzavano di ottenerne l’abolizione?’ (Leone XIII, Lettera ‘Notre Consolation’ ai cardinali francesi , 3 maggio 1892)” ([9]) . 
b) Resistenza attiva violenta o a mano armata: “Quando la legge ingiusta cerca di imporsi con la violenza e con la forza, è lecito ai cittadini organizzarsi e armarsi, opporre la forza alla forza” ([10]). Padre Pizzorni continua: “il diritto di resistenza è generalmente ammesso, e, da S. Tommaso in poi, salvo rare eccezioni, è stato ammesso anche da tutti i teologi come ultima ratio, come ultimo ed estremo rimedio, quando tutti gli altri mezzi previsti non sono possibili o si sono dimostrati insufficienti” ([11]).

●Tuttavia, occorre specificare che secondo l’Angelico le condizioni richieste per la liceità della resistenza attiva, violenta o a mano armata sono quattro:
1°) la tirannide deve essere costante e abituale, tale da rendersi intollerabile, e ciò vale sia per il tiranno di usurpazione che per quello di governo (De regimine principum I, 7).
2°) La gravità della situazione deve essere manifesta, non solo a una qualsiasi persona privata, ma alla sanior pars populi.
Qualora non vi sia un superiore del re, come l’Imperatore o il Papa che deponeva i tiranni, secondo S. Tommaso è la vox populi o la multitudo, ossia la comunità, che debbono farsi sentire, guidate dal consiglio degli homines virtuosi. Così “quelle persone non agirebbero più come persone private, ma come persone autorizzate dal popolo, la qual cosa è richiesta perché il punire è un atto di giurisdizione che richiede un superiore” ([12]).
3°) Ci deve essere una fondata speranza di riuscita: altrimenti non vi sarebbe ragion sufficiente di insorgere, per il pericolo di inasprire la tirannide. La resistenza armata deve perciò essere ben organizzata, ben concordata e ben condotta.
4°) La caduta del tiranno non deve creare una situazione peggiore di quella in cui si stava prima.

●“Il cristiano non deve sempre tirarsi indietro, far la parte del moderato, del perennemente condannato alla perplessità, all’astensione e all’impotenza, lasciando così praticamente le fila del movimento della storia  in mano a coloro che sono meno dotati di scrupoli; il cristiano, quindi, non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando  sia necessario in modo assoluto” ([13]).

La tirannide

Secondo S. Tommaso l’essenza della tirannide si esprime nei comandi rivolti dall’Autorità ai sudditi non in quanto soggetti della società bensì come schiavi (S. Th. , II-II, q. 64, a.1, ad 5um). I commentatori dell’Angelico, ad esempio il Gaetano ([14]) e Suarez ([15]), distinguono tra tiranno d’usurpazione  e  tiranno di governo.
1°) Il  Tiranno d’usurpazione è l’ingiusto aggressore di un potere legittimo. All’inizio del suo operare, egli è senza titolo legittimo, ma dopo un certo tempo può giungere ad imporsi e la Nazione può accettarlo come suo capo legittimo.
2°) Il Tiranno di governo è un sovrano legittimo, regolarmente investito del potere. Ma egli abusa dell’autorità, non governando per il bene comune dei sudditi, bensì per il proprio.

Tirannia e legittimità

Nessuna società potrebbe sussistere senza un capo che comanda e dirige i sudditi verso il bene comune. Dio ha voluto la società, avendo creato l’uomo animale sociale, e perciò necessariamente ha voluto l’autorità, che procede da Dio. L’autorità, la cui missione è la salus populi suprema lex , ha, però, dei limiti. Il ruolo del potere e la sua ragion d’essere è di spingere ognuno verso il bene comune. “Se l’autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d’essere” ([16]). 

Perdita della legittimità

 ●La Scolastica riteneva che l’abuso di potere fosse il caso principale di realizzazione di una tirannia: “Gli scolastici, da S. Tommaso a Suarez, non esitano a dire che la Nazione  ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno, poiché ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo. Ma bisogna che l’abuso sia grave, permanente e universale [...]. Secondo gli scolastici, il potere del principe decaduto ritorna al popolo o alla Nazione che glielo  aveva affidato” ([17]).


La resistenza al tiranno

Nell’XI secolo, Manegold da Lautenbach ([18]) equiparava il principe-tiranno “ad un guardiano di porci; se il pastore, invece di far pascere i porci, li ruba, li uccide o li smarrisce, è giusto rifiutargli  di pagargli il salario e scacciarlo ignominiosamente” ([19]). «In Manegoldo - scrive Padre Carlo Giacon - vi è tutta una teoria logicamente connessa [...] è legittima l’autorità che governa secondo la legge di Dio [...] e siccome il potere è nel re  perché datogli immediatamente dal popolo [e mediatamente da Dio, nda] [...] per cui il popolo è obbligato ad ubbidire e i re a ben governare [...] se il re va contro la legge naturale e divina... da sé rinuncia al diritto di governare [...] giudicato come un pubblico nemico, è legittima la resistenza e la difesa contro di lui» ([20]). S. Tommaso nel De regimine principum  insegna che, “se appartiene di diritto alla moltitudine di darsi  un capo, essa può, senza ingiustizia, condannare il principe a disparire, o può mettere freno al suo potere se ne usa tirannicamente...” ([21]). Tuttavia per l’Angelico, «anche se alcuni insegnano essere lecita l’uccisione del tiranno per mano di un qualsiasi privato [...], è pericolosissimo permettere l’uccisione privata del tiranno, perché i malvagi si riterrebbero autorizzati a uccidere i re non tiranni, severi difensori della giustizia [...] contro i tiranni eccesivi e insopportabili  si può agire solo in virtù di una pubblica autorità» ([22]). La stessa dottrina è insegnata da Bañez ([23]) Billuart ([24]) Bellarmino ([25]) Suarez ([26]). La tradizione scolastica è quasi unanime nel riconoscere il diritto di resistenza, che - in casi estremi - può giungere alla rivolta armata. Juan De Mariana opina che il tirannicidio sia lecito anche privata auctoritate, perché non è da condannarsi colui che, eseguendo la comune volontà, procura di sopprimere il tiranno ([27]). Tuttavia, per il Mariana, non significa che a ciò basti l’iniziativa semplicemente privata, occorre prima una condanna pubblica del tiranno e solo poi, come extrema ratio, l’esecuzione può essere privata, quando non si possa raggiungere l’autorità superiore; allora, fondandosi sulla condanna pubblica, senza un mandato esplicito del potere pubblico e solo con mandato interpretativo e presunto, si esegue il tirannicidio ([28]). Il cardinal Tommaso Zigliara scrive: “i soggetti possiedono il diritto di resistere passivamente, vale a dire di non obbedire alle leggi tiranniche... di resistere alla violenza del potere esecutivo, respingendo la violenza colla violenza, e questa è la resistenza difensiva” (Summa  philosophica, tomo III, Lione, 1882, pagg. 266-267) ([29]) .

Conclusione/attualità

●Come si vede questi princìpi si confanno alla situazione presente. Tasse smodate, non utilizzate per il bene comune della Nazione, ma indirettamente utilizzate per scopi contrari al diritto naturale e divino. I  cittadini, specialmente la classe medio-bassa, vengono trattati più come schiavi che come uomini (il numero elevato di suicidi di persone che non arrivano più alla fine del mese perché oberate di tasse è impressionante). Ora in questo caso secondo S. Tommaso l’essenza della tirannide si esprime esattamente nei comandi rivolti dall’Autorità ai sudditi non in quanto soggetti della società bensì come schiavi (S. Th. , II-II, q. 64, a.1, ad 5um). Quindi ci si trova in uno stato di regime tirannico. Tuttavia se la dottrina cattolica ammette la reazione anche attiva a questo stato di cose in pratica occorre tenere ben presenti le condizioni esposte dagli Scolastici per non “mettere una pezza peggiore del buco” e cadere nel caos anarchico o nella guerra civile costante, che – data l’esasperazione dei cittadini tartassati – purtroppo stanno iniziando a prevalere in questi giorni, con episodi di violenza privata e spontanea, i quali pur se comprensibili, tuttavia, impediscono la reazione ben organizzata, ben concordata e ben condotta e favoriscono l’instaurazione di uno Stato di psico-polizia tributaria.

●Di fronte ad un Leviatano così potente e quasi universale come è il potere mondialista odierno ci si sente quasi impotenti per reagire come si dovrebbe. Tuttavia ci resta un’arma che nessuno potrà mai strapparci: la preghiera che ottiene l’intervento della Onnipotenza divina infinitamente misericordiosa, ma anche infinitamente giusta e molto più esigente verso il potente che verso il debole.

d. CURZIO NITOGLIA
12 maggio 2012


[1]) Enciclica Sapientiae christianae, 10 gennaio 1890.  
[2])  A. ODDONE,  La resistenza alle leggi ingiuste secondo la dottrina cattolica” in Civiltà cattolica, n.° 95, 1944, pp. 329-336;  Ibid., n.° 96, 1945, pp. 81-89.
[3]) R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo, in S. Tommaso D’Aquino, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1999, p. 348.
[4]) De libero arbitrio, I, 5; PL, XXXII, 1227.
[5]) R. Pizzorni, op. cit., p. 352.
[6]) Ibidem, pp. 353-354.
[7]) Cfr. S. Th., I-II, q. 96, a. 4. 
[8]) R. Pizzorni, op. cit., p. 358. 
[9]) Ibidem, p. 359.
[10]) Ibidem, p. 360. 
[11]) Ibidem, p. 361.
[12]) Ibidem, p. 365. 
[13]) Ibidem, p. 369.
[14]) In Summ. Th., II-II, q. 64, a. 1, ad 3um.
[15]) De virtutibus, disput. XIII, sect. VIII, Opera omnia, éd.  Vivès, t. XII, p. 759.
[16]) D. Th. C., vol. 29, col. 1952.
[17]) D. Th. C., vol. 29, col. 1962. 
[18]) Cfr. O. Capitani, Papato e Impero nei secoli XI e XII, in «Storia delle idee politiche economico e sociali», diretto da L. Firpo,  vol. 2°, tomo II, Il Medioevo, Torino, Utet, 1983; pp. 141-165.
[19]) Liber ad Gebehardum, cap. XXX.
[20]) C. Giacon, La seconda scolastica. I problemi giuridico-politici: Suarez, Bellarmino, Mariana, Milano, Bocca, 1950, vol. 3°, pp. 89-90.
[21]) De regimine principum, Lib. I, cap. 6.
[22]) C. Giacon, ibidem, p. 98.
[23]) In IIam-IIae, q. 64, a. 3, concl. 1, Opera, Salamanca, 1584-1612.
[24]) De jure et justitia, dissert. X, a.2, ad 3um, Liège, 1746-51.
[25]) De concil. auctorit., lib. II, cap. 19, Ingolstadt, 1586-1593.
[26]) Defensio fidei, lib. VI, cap. IV, §15, Colonia, 1614.
[27]) Cfr. De rege et de regis institutione, lib. I, cap. VI, p. 76, Toledo, 1599.
[28]) Cfr. C. Giacon, op. cit., pp. 271-272.
[29]) D. Th. C., vol. 29, col. 1670.

d. CURZIO NITOGLIA
12 maggio 2012