giovedì 31 maggio 2012

Lupus mutat pilum, non mentem

Rorate Caeli ha pubblicato poco fa, per notizia, quanto ripreso da Queen of Martyrs Press, che sintetizzo nei seguenti termini:

[...] Queen of Martyrs Press ha ricevuto copia della risposta, datata 28 marzo 2012, della Pontificia Commissione Ecclesia Dei  ad una richiesta rivolta da un fedele il precedente 19 febbraio... La risposta è un'apparente un'inversione di 180° dalle precedenti risposte rese pubbliche dalle autorità romane, tra cui quella della Pontificia Commissione Ecclesia Dei (link ai precedenti [1] e [2]), per quanto riguarda l'adempimento del precetto di assistere alla Santa Messa in cappelle affiliate alla Fraternità San Pio X. Ciò che è interessante in ordine alla data della risposta è che essa è stata scritta 12 giorni dopo la scadenza richiesta a Mons. Fellay di chiarire la sua posizione sul preambolo dottrinale.

(Q-of-M.  precisa che la notizia viene data unicamente a scopo informativo e non si pronuncia sulla posizione della Commissione Pontificia)

Inserisco l'immagine della Lettera. Segue commento.









Ai tempi in cui presiedeva la Commissione ED il cardinale Dario Castrillon Hoyos, erano state formulate tre domande, alle quali mons. Camille Perl dette risposta chiara ed esplicita :

Posso adempiere il precetto domenicale, frequentando una Messa San Pio X ?
Risposta di Mons. Perl (18 gennaio 2003):

In senso stretto lei può adempiere al suo obbligo domenicale assistendo ad una messa celebrata da un sacerdote della Società San Pio X

È un peccato per me partecipare a una Messa Pio X ?
Risposta di Mons. Perl:

Abbiamo già detto che non possiamo raccomandare la vostra partecipazione a tale messa spiegando il motivo. Se il motivo principale per la partecipazione è quello di manifestare il suo desiderio di separarsi dalla comunione con il Romano Pontefice e di coloro che sono in comunione con lui, sarebbe un peccato. Se la sua intenzione è semplicemente quella di partecipare ad una Messa secondo il Messale del 1962 per motivi di devozione, questo non è un peccato.

È un peccato per me contribuire alla raccolta durante la Messa domenicale presso la San Pio X ?
Risposta di Mons. Perl:

Un modesto contributo alla raccolta durante la Messa sembra possa essere giustificato

Non possiamo fare a meno di chiederci: a che gioco stanno giocando, all'Ecclesia Dei? Non lo dico solo nei confronti della Fraternità, ma di tutta la Tradizione.

mercoledì 30 maggio 2012

Aggiornamento sulle dichiarazioni di Mons. Fellay a Pentecoste

 Processione

Aggiornamento da DICI:   [Il resto è leggibile qui]

Intervista : “ Ci sono dei rumori che circolano ma la cosa ufficiale è che i cardinali ed i vescovi della Congregazione della Fede hanno esaminato il testo proposto da me. È tutto, non so altro. Hanno detto che lo avevano consegnato al Santo Padre, che il Santo Padre avrebbe preso una decisione. Nel medesimo documento si dice anche che ne avrebbero riparlato con me, che ci sono delle precisazioni, delle domande da fare. È tutto quello che so, come voi, dalla stampa. Non so niente di più, né riguardo ai tempi né riguardo alla sostanza. Si può dire che è tutto ancora aperto. Evidentemente mi pare proprio che da qualche mese ci sia una linea, di cui si parla, che il Papa voglia darci una normalizzazione, un riconoscimento canonico ma accompagnato da quali condizioni? Mi pare che da qualche mese tutti gli interrogativi riguardino questo problema. Infine, se stimiamo che le condizioni siano sufficienti perché possiamo vivere, continuare a vivere, ebbene diremo di sì; se non ci permettono di vivere, o se esigessero che perdiamo la nostra identità o tutto ciò che ha costituito la nostra forza e tutto ciò per cui possiamo apportare qualcosa alla Chiesa, oggi, vale a dire la Tradizione, allora non ne vale la pena. Tutto si riduce a questo interrogativo, che è ancora aperto. Aspettiamo la risposta da Roma. Non so quando. Alcuni dicono presto. Padre Lombardi sembra dire che sarà differita senza sapere però fino a quando. Dunque resto in attesa.”

lunedì 28 maggio 2012

Roma - FSSPX. Mons. Fellay parla il giorno di Pentecoste

 

Importante: riprendo da Rorate Caeli di oggi. Il testo conserva lo stile del linguaggio parlato, dato che è stato tradotto dalla trascrizione dell'audio nell'originale francese ascoltabile qui. Non faccio commenti. Le incognite della situazione restano immutate, immutati gli spiragli positivi, immutata la fortissima opposizione. La soluzione appare nella volontà e nelle mani del Santo Padre. L'attesa è sofferta e vissuta nella preghiera.
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Nel corso di un lungo sermone pronunciato ieri, Domenica di Pentecoste a Villepreux, Francia, durante il pellegrinaggio dei sacerdoti e fedeli a Orléans (quest'anno non Parigi, in occasione del 600° anniversario della nascita di S. Giovanna d'Arco), il Superiore Generale della Fraternità San Pio X, il Vescovo Bernard Fellay, ha detto alcune parole su temi di attualità con Roma. Il contesto generale del discorso è la nascita della Chiesa nella Pentecoste e la fiducia nella Divina Provvidenza, quando tutto sembra perduto, come appariva in Francia a Giovanna, anche se (e soprattutto perché) il futuro è ignoto.

Rorate riporta la propria traduzione della parte del sermone che riguarda questi temi, che ha cercato di mantenere la maggior fedeltà possibile al tono generale orale e al senso delle parole, che riprendo di seguito:
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« Un'altra cosa molto simile è la deplorevole, quasi disperata, situazione, non di un paese, ma della Chiesa. La Chiesa, la Sposa di Cristo in una situazione del genere! Chi poteva immaginarlo? La demolizione, i colpi subiti, dal Concilio, durante e dopo, sono lì, proprio davanti a noi. Triste. Deplorevole. Abbiamo il coraggio di pensare: "come potrà la Chiesa risorgere?" E, osiamo dire, umanamente, è finita. Ma non abbiamo il diritto di dire "umanamente" quando si parla di Chiesa, perché la Chiesa resta, rimane, la Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo. E, anche se la vediamo in questo stato deplorevole, non abbiamo il diritto di associare questo deplorevole stato con la Chiesa e poi dire, "la Chiesa non è più". No! La Chiesa rimane, ma come sfigurata, come se avesse un cancro generalizzato, e non abbiamo questa certezza che risorgerà....

Quando diciamo che Roma vorrebbe darci un riconoscimento canonico, siamo pieni di diffidenza. Vedendo il modo con cui le autorità hanno trattato la Tradizione e tutto ciò che ha un po' di sentire tradizionale, o tendenze tradizionali, quando vediamo come sono stati trattati, siamo pieni di diffidenza. E anche con la paura. La paura del futuro, e diciamo: "ma come sarà possibile che ciò accada?" Ma abbiamo il diritto di sentirci in questo modo? Non sono reale, molto vero, i sentimenti, e troppo umano? ...

Certo, è necessario agire con tutta la prudenza, certamente, analizzando i pericoli, per vedere se è possibile o no, ma fino ad ora, miei cari fratelli, possiamo dire che una certa direzione sembra apparire, che potrebbe dire che potrebbe forse essere possibile che ci venga riconosciuto, che si continui, ma, fino a questo momento, io stesso non ho tutti gli elementi, cioè gli elementi finali, che possono permettere di dire, "sì o no". E così fino ad oggi, e siamo a questo punto... Questo è tutto. Se abbiamo elementi sufficienti per decidere che, sì, è possibile, bene, allora, possiamo giungere alla conclusione. E se si giunge alla conclusione che, no, non è possibile, è troppo pericoloso, allora, no, è impossibile, non si può andare avanti. E diremo "no". Tutto qui. Non siamo noi che cercheremo di imporre al Buon Dio la nostra decisione, la nostra volontà. Al contrario, tentiamo di cercarla, attraverso gli eventi, le cose che procedono, qual è la Sua volontà, che cosa vuole, il Buon Dio? E' così sorprendente che siamo arrivati ​​a questo punto. Non siamo stati a cercar questo. Oggi, almeno io ho conseguito la certezza, che colui che vuole riconoscere la Società è, in fin dei conti [ bel et bien ], il Papa. Vedo che, a Roma, tutti non sono della stessa idea. A Roma e altrove. Ma il Papa, sì. E allora si va fino alla fine? Riuscirà a cedere di fronte alla pressione, all'opposizione? ... Preghiamo, continuiamo a pregare, chiediamo questa luce per tutti. Che si possa rimanere molto uniti. Perché è vero che una tale decisione, ed è anche uno dei motivi di questa paura, implica un cambiamento di prospettiva.... Da alcune parti si sente: "è possibile?". Con tutti gli elementi che ho nelle mie mani, io dico, "sì, sembra possibile per me", ma, ancora una volta, a condizione che ci si lasci liberi di agire. Sembra chiaro che, se ci vogliono, se si reintroduce la Tradizione nella Chiesa, si può parlare in questo modo. Quindi non per noi soltanto, ma anche per tutta la Chiesa, in modo che tutta la Chiesa può ottenere da essa, da questa cosa magnifica, la vita cristiana.

Ci sono certamente molte domande che restano aperte. Questa questione di una non-intesa su alcuni punti del Concilio, non siamo d'accordo. E' proprio questo che è sorprendente: perché, allora, perché allora ci offrono questo percorso, ci deve essere un motivo. ... il motivo è questo stato della Chiesa. »

Tratto da Chiesa e post concilio

Francia - Rapida scomparsa della Chiesa Cattolica


Mons. Roland
 Mons. Roland

La situazione della Chiesa in Francia è disastrosa. Un esempio tra tanti altri: la diocesi di Moulins.

Un’inchiesta ufficiale fatta il 1° e 2 ottobre 2011 nella diocesi di Moulins ha rivelato le cifre seguenti:

-          Si prevede un deficit di 500 000 euro per il 2015.

-          Calo tra il 40 al 50% dei fedeli nei prossimi 15 anni.

-          Il 60 % dei fedeli ha più di 60 anni.

-          Solo il 2,2% della popolazione frequenta la Chiesa.

-          Peggio di tutto, l’impressionante calo delle vocazioni sacerdotali. Fra poco il numero dei sacerdoti nelle parrocchie sarà… 15.

È Mons. Pascal Roland, Vescovo di Moulins, che ha fatto fare quest’inchiesta per conoscere la situazione reale della sua diocesi. Ha previsto di organizzare una commissione a luglio per trovare delle soluzioni alla crisi.

Speriamo che qualcuno gli suggeriscea, dopo tanti esperimenti infruttuosi, di provare l’esperimento della Tradizione!

Fonte: Riposte Catholique

I segni dei tempi

                                                         Card. Dolan di New York


Brutta notizia: Quest'anno, nella diocesi di New York, negli Stati Uniti, è stato ordinato solo un sacerdote.

Buona notizia: Questo sacerdote ha detto la sua prima Messa secondo il rito di San Pio V.

NB: La diocesi di New York conta oggi 500 parrocchie per 2,5 milioni di anime. Negli anni 1950, il suo problema era il fatto di avere troppi seminaristi...

Fonte: FSSPX Germania

Circa il falso ecumenismo

 

[…] la differenza tra cattolici ed acattolici, per quanto si vogliano fratelli, sta sul piano della fede. Bisogna avere il coraggio di dirlo e di dirlo sempre. Usare tattiche scivolose quanto cortesi, sfumare tutti i contorni in un incerto crepuscolo che abolisca gli aspetti imbarazzanti, non è fare dell'ecumenismo. Esso è tale quando, coll'esercizio di ogni virtù, con tutti i sacrifici personali, con tutta la consistente pazienza, con la più affettuosa delle carità, mette dei termini chiari. Forse che sarebbe un ritorno alla unità piena tra i credenti, quello in cui il cammino venisse percorso lastricato di equivoci e di mezze verità? Ora è chiaro che si deve passare questo ponte - primato romano - e che, se non lo si passa coscientemente, non si raggiunge lo scopo unico e vero dell'ecumenismo. E si delinea il vero pericolo in tale entusiasmante materia. Ecco da chi è rappresentato il pericolo di fare dell'ecumenismo una accozzaglia di dottrine troncate. Ci sono scrittori che, abusando del nome di teologi o della dignità della ricerca, sgranano ad una ad una le verità della fede cattolica, sfaldano, ignorandolo, il Magistero. Essi fanno dubitare di sapere che la verità di Dio è una e perfetta, che negata in un punto - tale è la sua interna logica ed armonia - è giocoforza negare tutto. Non comprendono che Dio ha affidato tutto ad un Magistero, il quale è tanto sicuro e divinamente garantito che si può affermare «quod Ecclesia semel docuit, semper docuit». Forse hanno anche dimenticato che la visibilità della Chiesa e la sua realtà umana non la compromettono affatto, dimostrando la mano di Dio in quello che, affidato a mani umane, non reggerebbe oggi e sarebbe morto da tempo immemorabile. I nostri fratelli ci attendono, ma ci attendono nella luce del giorno, non tra le incerte ombre della notte!

Cardinale Giuseppe Siri

(Pensiero tratto dalla rivistada «Renovatio», XII (1977), fasc. 1, pp. 3-6)

domenica 27 maggio 2012

Il libro di don Curzio Nitoglia: “Sovversione & Restaurazione”

 

Il libro di don CURZIO NITOGLIA “Sovversione & Restaurazione”, edito dal Centro Studi Jeanne D’Arc di Milano (73 pagine, 9 euro), può essere richiesto a  redazione@ordinefuturo.info

Esso vuol essere un manuale di base per la formazione del militante [la Chiesa Militante è ognuno di noi, insieme a quella Trionfante e Purgante], che oggi si trova a dover combattere contro la Sovversione e per la Restaurazione. La ‘Sovversione’ è il disordine che l’uomo sperimenta in sé dopo il peccato originale, dietro la spinta delle tre Concupiscenze (orgoglio, avarizia e lussuria); la ‘Restaurazione’ è il cercare di ritornare all’ordine turbato dalle tre Concupiscenze nell’individuo, nella famiglia e nella Società civile.

Più precisamente la ‘Sovversione’ è il ribaltamento, il rovesciamento e lo sconvolgimento dell’ordine individuale, familiare e sociale. La ‘Restaurazione’ è il riportare l’ordine perduto e quindi in breve consiste nel ripristinare l’ordine individuale, familiare e sociale.

Per poter restaurare l’ordine nella Società civile occorre prima averlo in sé (“nemo dat quod non habet”, nessuno dà quel che non ha), poi nella  famiglia e infine lo si può portare nello Stato, che è un insieme di famiglie unite al fine di conseguire il benessere comune temporale subordinatamente a quello spirituale. L’ordine è la sottomissione dell’anima a Dio e la padronanza dell’anima sul corpo e i suoi istinti. La ‘Sovversione’ è lo scardinamento di quest’ordine. La vita spirituale consiste nel ristabilire quest’ordine nell’animo del singolo uomo; la vita politica consiste nel riportarlo nella Società civile.

Infatti la Politica o azione sociale è la Virtù di Prudenza (che ci fa scegliere i mezzi migliori per conseguire un fine) applicata alla Società, mentre l’Economia si occupa del focolare domestico e la Monastica del singolo individuo. Invece per Machiavelli la “politica” è un “vizio”, ossia è l’arte della furbizia e dell’inganno per ottenere il proprio fine (“il fine giustifica i mezzi”).

L’uomo per natura è socievole; quindi lo  Stato o la Società civile per natura deve conoscere, amare e servire Dio così come lo deve l’insieme di uomini da cui è formata.

La ‘Sovversione’ è nata col peccato di Adamo, ma, a partire dalla  Cristianità, ossia dall’epoca in cui  lo spirito del Vangelo informava le leggi della Società, essa ha conosciuto varie tappe: l’Umanesimo e il Rinascimento (1400-1500), che hanno cercato di rimpiazzare il Vangelo con la Cabala o l’esoterismo ebraico a livello delle élite intellettuali o Accademie culturali; poi è venuto il Protestantesimo (1517), che ha  immesso il soggettivismo e il relativismo nella Religione rendendola una  pura esperienza soggettiva e sentimentale, essenzialmente antigerarchica e sovvertitrice dell’ordine voluto da Gesù quando ha fondato la Sua Chiesa su una persona che è il Papa, il quale è il Re del Corpo Mistico; infine è venuta la Rivoluzione francese (1789), che ha portato il disordine nella Società, nella scienza e nell’azione Politica. Il Comunismo (1917) ha peggiorato il disordine della Rivoluzione francese – cercando di distruggere la proprietà privata, la famiglia e la religione – ed ha conosciuto il suo vertice con il 1968 sposando il freudismo, che ha portato il disordine in interiore homine eccitando al parossismo le tre Concupiscenze e rendendo l’uomo un animale selvaggio ed impulsivo. Oggi ci troviamo nell’ultima fase della  Sovversione, il Mondialismo, che a partire dall’11 settembre del 2011 cerca di impadronirsi del mondo intero e di edificare un unico Tempio e una sola Repubblica universale per rendere schiava la quasi totalità dell’umanità sotto il giogo di Israele e dell’America, i due Stati dominati dai principali agenti della Sovversione: il giudaismo e la massoneria.

La Restaurazione comporta la Gerarchia. Non bisogna cadere nel vizio del fariseismo calvinista e  liberista, il quale scambia gerarchia per prepotenza, sfruttamento ed oppressione del debole. Gerarchia significa che vi è una differenza accidentale tra gli uomini  (chi è più buono chi meno, chi più intelligente chi meno, chi più lavoratore chi meno), la quale fa sì che il migliore sia più in alto e comandi, senza disprezzare e maltrattare chi si trova più in basso ed obbedisce.

L’apologo di Menenio Agrippa ci fa capire con un semplice esempio cosa sia la vera gerarchia: “Una volta le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso, ruppero gli accordi con lui e cospirarono dicendo che le mani non avrebbero portato cibo alla bocca, né la bocca lo avrebbe accettato, né che i denti masticato a dovere. Ma mentre, cercavano di domare lo stomaco, s’indebolirono anche loro, e il corpo intero deperì. Di qui si vide come il compito dello stomaco non era quello di un pigro, ma che esso distribuiva il cibo a tutti gli altri organi. Fu così che le varie membra del corpo tornarono in amicizia tra loro e con lo stomaco. Così Senato e Popolo, come se fossero un unico corpo, deperiscono con la discordia, mentre con la concordia restano in buona salute” (Tito Livio, Ab Urbe condita, II, 32).    

 San Paolo a sua  volta insegna:   «Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Né l’occhio può dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi […]. Anzi quelle membra che sembrano più umili sono le più necessarie. […]. Dio ha composto il corpo affinché non vi fosse disunione in esso, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro sta bene, tutte le altre gioiscono con lui» (1 Cor., XII, 4-20).

Le ineguaglianze e la gerarchia tra i membri del corpo fisico e di quello civile, convergendo verso un fine comune (il benessere del tutto), formano l’unità e l’armonia dell’organismo. Così è nella Chiesa: laici, chierici, parroci (Chiesa discente), Vescovi e Papa (Chiesa docente). Così pure in Paradiso: Angeli, Arcangeli, Potestà, Troni, Dominazioni, Cherubini e Serafini.

Senza diversità e gerarchia tutto è piatto, brutto, immobile e morto. Se le cinque dita della mano umana fossero tutte eguali, la mano sarebbe informe e anche mostruosa; i palazzoni delle periferie urbane sono tutti eguali e perciò sono deformi, brutti e alienanti, mentre le casette medievali, costruite pietra su pietra dai loro proprietari, sono piccoli gioielli e una è diversa dall’altra.

L’unica disuguaglianza sostanziale infinita esiste tra Creatore e creature; disuguaglianza finita, ma sostanziale esiste tra specie diverse (angelo, uomo, animale, vegetale, minerale) mentre nella stessa specie (umana) vi è un’eguaglianza sostanziale (tutti gli uomini sono animali razionali, composti di anima immortale e corpo) con delle differenze accidentali, sulle quali si fonda la gerarchia umana, che non è schiavismo disumano. Ora il liberismo di derivazione calvinista pretende che tra gli uomini vi siano disuguaglianze sostanziali (il ricco è benedetto e predestinato, il povero è maledetto e dannato); mentre il comunismo inculca al povero l’odio verso il ricco come se la ricchezza in sé fosse intrinsecamente cattiva.

È importante che il militante antisovversivo si abitui a vivere bene, rispettando la Legge divina, poiché “bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finisce per pensare male se si vive male”. Non si può restaurare la Società se abbiamo il disordine o la Sovversione in noi  (“agere sequitur esse, modus agendi sequitur modum existendi”: si agisce come si è, il modo di agire segue il modo di essere).

I consigli pratici per restaurare se stessi, la famiglia e la Società civile sono i seguenti:

1°) riforma te stesso, poi la tua famiglia e quindi la Società; 2°) ritorna al buon senso, al realismo che conforma il pensare alla realtà e possibilmente studia la filosofia perenne di S. Tommaso che ha elevato a scienza il senso comune e la retta ragione che ogni uomo normale possiede; 3°) vinci l’ozio, che è il “padre dei vizi” e incoraggia lo sforzo fisico, intellettuale e morale; 4°) ricorri a Dio onnipotente, che solo può debellare il Leviatano mondialista che attualmente schiaccia gli uomini come schiavi.

Spero che questo libretto sia studiato e commentato assieme e settimanalmente dai giovani militanti per potere ritrovare l’ordine in sé e riportarlo nelle famiglie e nella Società. In questo tempo in cui la Sovversione è penetrata anche in ambiente cattolico e persino “tradizionalista” è più che mai  necessario che i giovani abbiano idee chiare sulla dottrina cattolica sia a livello spirituale (teologia ascetica e mistica) che sociale (dottrina sociale). Solo la preghiera unita all’azione e allo studio della filosofia politica, la pratica dei Sacramenti, la frequenza degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, daranno al giovane militante le forze necessarie per combattere la buona battaglia che non è solo contro le forze di questo mondo, ma contro il Principe di esso, che è il diavolo e Satana.

 Don Curzio Nitoglia

 20 maggio 2012

sabato 26 maggio 2012

Non tutto il Vaticano II è vincolante. Distinguere per capire meglio

 

Il Card. W. Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Consiglio di Scienze Storiche, ha contribuito con Sua Ecc.za Mons. Agostino Marchetto e Mons. Nicola Bux ad un libro in uscita per Cantagalli sulle chiavi di Benedetto XVI per leggere il Concilio Vaticano II.

In una recente intervista ha parlato della giusta ermeneutica da applicare ai documenti del Concilio: altro è una costituzione dogmatica altro una semplice dichiarazione. [È la tesi di Gherardini, Lanzetta ed altri.]

Per quanto riguarda i documenti conciliari sul dialogo interreligioso e la libertà religiosa, le rispettive dichiarazioni del Concilio non contengono un “contenuto dogmatico vincolante”, dice. I documenti Nostra Aetate e Dignitatis Humanae sono dichiarazioni. Queste si dovrebbero “prendere seriamente” come espressione del Magistero vivo senza “voler vincolare l’intera Chiesa, perché accetti questa forma”.
Si può discutere su questi documenti.

Questo è il punto di partenza per un “fruttuoso dialogo” con la Fraternità S. Pio X, poiché ogni concilio deve essere visto nel contesto storico, dice Brandmüller.

Deve essere messo in conto il diverso carattere giuridico dei documenti del Concilio Vaticano II. Si tratta di considerare la grande differenza tra il documento conciliare sulla Chiesa, il quale ha la forma di una “Costituzione” e la semplice Dichiarazione sui mass-media.

Brandmüller ha stima per il canonista di Monaco Klaus Mörsdorf (1909-1989). Il Cardinale spera così anche in una felice conclusione dello sforzo vaticano per l’unità con la FSSPX.
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[Fonte: Approfondimenti di "Fides Catholica" - by Kath.net]

Traduzione di Fides Catholica

giovedì 24 maggio 2012

La peste del «sociologismo».




Tutti quelli che amano essere chiamati progressisti fanno l’occhiolino al sociologismo anche se non sanno che cosa sia. Esso consiste nel trasferire il fine della vita, il Paradiso, al quale tendere, la molla direttiva delle azioni, dal Cielo alla Terra. Pertanto non è il caso di occuparsi della salute eterna, bensì del benessere terreno, concentrare tutto nel dare tale benessere e godimento egualmente a tutti in questo mondo. La manifestazione esterna di questo sociologismo è fare l’agitatore, il demagogo, il rivendicatore di beni fuggevoli, il consenziente a tutte le manifestazioni che esprimano la foga di questa tendenza. Questo costituisce la più comune ed espressiva nota del progressismo. Sia ben chiaro che noi dobbiamo essere con la giustizia e che l’ordine della carità ci impone di avere come primi nell’oggetto dell’amore i bisognosi. Ma si tratta di altra cosa, perché il sociologismo non si cura della salvezza eterna dei poveri ed usa tutti i metodi, anche immorali, che giudica bene o male favorevoli al benessere terreno, cercando di fatto di mandarli all’inferno. Siamo anche qui ben lontani dal credere che tutto quello che si tinge di sociale o di rosso sia sociologismo e che i moltissimi attori di questa scena siano sociologisti coscienti della apostasia insita nel sociologismo. Diciamo solo che in realtà accettano le conseguenze di una concezione materialistica del mondo. Forse non lo sanno, forse sono semplicemente degli imitatori, forse seguono il vento credendo che esso spiri da quella parte; forse credono di far la parte degli stupidi, forse temono soltanto di essere etichettati per conservatori. Viviamo in un’epoca in cui si ha paura persino delle parole! Forse si tratta di un modo per ingraziarsi qualche potente, per fare strada e, quel che è più ovvio, per fare soldi: se ne predica il dovere verso gli altri e intanto si intascano. Gli esempi abbondano! La sociologia pratica è diventata certamente una industria ed anche qui gli esempi non mancano. Le massime del sociologismo avendo qualche — solo qualche — contatto con la dottrina cristiana della giustizia e della carità, pur involvendo altri ideali che tutte le verità cristiane acerbamente smentiscono, sono piuttosto semplici, sbrigative, atte al comizio, al facile consenso, al certo applauso, quasi visive, traducibili in termini di spesa quotidiana e pertanto rappresentano una via brevissima per stare al passo coi tempi! Ma si sa dove vanno i tempi? Questa terribile domanda, con quello che coinvolge, non se la rivolgono. Le esperienze dove sono arrivate, dove si sono fermate? E proprio necessario rinnegare il Cielo, la carità verso tutti, per portare benessere ai nostri simili? E proprio necessario essere rivoltosi, travolgere dighe, distruggere sacre tradizioni per rendersi utili ai nostri simili? Ma, infine, nel Santuario, al quale siamo legati da sacre promesse, tutto questo è progresso, o non piuttosto congiura per strappare agli uomini l’ultimo lembo dell’umana dignità e della speranza eterna?

Cardinale Giuseppe Siri

[Pensiero tratto dalla "Rivista Diocesana Genovese" del gennaio 1975]

martedì 22 maggio 2012

Lettera aperta di un fedele ai Vescovi della Fraternità di San Pio X




La lettera è stata pubblicata sul sito della rivista tradizionalista americana
The Remnant Resistance

Lettera aperta ai Vescovi 

Fellay, de Galarreta, Tissier de Mallerais e Williamson

Roma, Italia, 15 maggio 2012

Eccellenze,

come cattolico laico, Vi scrivo umilmente in questo criticissimo momento della storia della nostra Chiesa, che con uno sguardo retrospettivo appare come una delle più gradi sfide all’opera del grande Arcivescovo Lefebvre. Il benessere spirituale della mia famiglia è nelle mani dei sacerdoti della vostra Fraternità, così mi rivolgo a Voi come un figlio ad un padre, con devozione e impellente supplica.

Fino ad oggi non ho scritto pubblicamente sui negoziati in corso tra la Fraternità San Pio X e il Vaticano. Credo sia prudente attenersi al principio di dire molto poco sulle questioni di cui si sa ancora meno. Anche se le Vostre Eccellenze hanno fatto conoscere in termini generali l’essenziale di questi due anni di colloqui dottrinali e delle proposte pratiche avanzate dalla Santa Sede negli ultimi otto mesi, i particolari rimangono ancora riservati. Ciò che è stato reso pubblico in questi giorni, ahimé, è la seria divisione tra di Voi in merito alla risposta ufficiale della Fraternità alle proposte presentate dalle autorità romane nel settembre 2011. Scrivo perciò queste righe per implorare ognuno di Voi ad usare i vostri doni naturali e soprannaturali per evitare che ogni dissenso personale si trasformi in una pubblica spaccatura della Fraternità San Pio X.

La Fraternità e i suoi fedeli, in questi ultimi 40 anni, hanno sofferto molte ingiuste persecuzioni e tradimenti interni e ciò nonostante essa ha sempre prodotto dei buoni frutti, rimanendo la prima e più importante vigna delle anime. Quando Iddio mi ha posto nelle circostanze che hanno richiesto una ferma e pubblica decisione da parte mia riguardo alle relazioni tra la Fraternità e il Vaticano, nonostante tutte le argomentazioni canoniche, teologiche e filosofiche, mi sono attenuto al monito datoci da Nostro Signore stesso: dai loro frutti li riconoscerete. Da oltre 40 anni i frutti sono stati buoni. Per la mia famiglia i frutti sono stati sovrabbondanti.

L’unità della Fraternità fondata da Mons. Marcel Lefebvre è stata affidata, non solo ad una struttura di governo simile a quella di altre congregazioni religiose, ma, da dopo il 1988, anche a Voi quattro come Vescovi della Chiesa. Permettere che questa unità si infranga in questa critica congiuntura storica, significherebbe produrre un danno inimmaginabile per la fiducia dei fedeli e per l’elemento umano della Santa Madre Chiesa in generale, che oggi soffre al suo interno e in ogni parte del mondo per una disunione scandalosa e senza precedenti.

Ad un attento esame, si rende evidente che la strategia dei nemici della Fraternità (incluso l’Avversario) sia stata sempre quella di incidere sottilmente sulla sua fraterna unità, divisione dopo divisione, a cominciare dalla Fraternità San Pietro per giungere ai sacerdoti di Campos, ai Redentoristi, all’Istituto del Buon Pastore, ecc. Eppure, la perdita di questi manipoli di sacerdoti, seppure dolorosa, sarebbe niente a paragone di una divisione tra di Voi. Una guerra fratricida all’interno della Fraternità costituirebbe un danno incalcolabile per le anime e un favore a coloro che vogliono il totale annientamento della Fraternità.

Senz’altro, la divergenza nella vostra corrispondenza personale rappresenta un mero scambio di franche opinioni sulla decisione da prendere, come quello prodottosi nella riunione convocata dallo stesso Arcivescovo prima delle consacrazioni episcopali del 1988. Ma sfortunatamente, il risultato della diffusione di queste lettere è che alcuni laici e perfino alcuni sacerdoti della Fraternità hanno finito con l’utilizzarle per proclamare la necessità per tutti di “prendere partito”.

Quindi, per il bene della Fraternità e dei fedeli legati ad essa, io vi imploro di incontrarVi faccia a faccia, da Vescovo a Vescovo, e di impiegare la vostra forza per trovare una via per rimanere insieme. Se si costatasse che le vostre differenze inciderebbero sulle scelte prudenziali su azioni contingenti, io Vi prego di cogliere quei principi cattolici con i quali giungere ad un consenso. Ovviamente, io non sono in grado di aiutarVi in questo senso, se non con le mie ferventi preghiere, dal momento che non conosco i particolari della decisione che dovete affrontare. Ma un pubblico annuncio sul vostro effettivo incontro come Vescovi confratelli – comprendente la pressante richiesta ai fedeli e ai sacerdoti di pregare e porre fine ad ogni ulteriore agitazione – avrà indubbiamente un enorme effetto mitigante sui fedeli che guardano a Voi come alle loro guide e che si aggrappano a Voi per ogni speranza e perseveranza in questi giorni di grande apostasia.

Vi chiedo scusa per l’audacia di averVi indirizzata la presente, ma Vi chiedo di accogliere le mie parole come il grido accorato del bambino verso i suoi genitori, quali Voi siete. I fedeli proseguiranno sulla via della Verità, ma se anche i pastori tradizionali sono colpiti, la conseguente confusione assalirà anche le pecore, temo, lasciandole ancora più indifese di fronte ai lupi.

In ginocchio, Vi prego di riappacificarVi. Il bene della Fraternità, delle anime e della stessa Chiesa non può chiedere niente di meno.
Che Iddio sia con Voi e che Maria guidi la Vostra decisione.

In Christo per Mariam
Prof. Brian M. McCall
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[Fonte: Remnant by Una Vox]

Santa Sede - FSSPX. Parla Mons. Fellay




Aggiornamento: 22 maggio, sempre da Rorate Caeli. Monsignor Fellay, a Vienna, conferma che la situazione canonica proposta è appropriata ma ammette che c'è il timore che possa essere modificata nel futuro; dice che questa è veramente la volontà del Papa, ma che è molto combattuta nella Chiesa. Aggiunge che ci sono punti ancora non chiariti e che può succedere nei prossimi giorni o settimane che il Papa decida o che rinvii il caso alla Dottrina della Fede. La pressione dei nemici a Roma è fortissima. Ed è per questo che al momento non si può dire di più. Ecco che resta sempre le preghiera...

Riprendo da Rorate Caeli. Il testo è ferraginoso perché è la versione inglese dell'originale tedesco; ma il senso è chiaro: si è scatenato l'inferno e tutto è in alto mare. Ma non bisogna perdere la fiducia!
Il Superiore Generale della Fraternità San Pio X, il Vescovo Bernard Fellay, era giovedì a Salisburgo (Austria), al fine di conferire la cresima a fedeli locali in occasione della festa dell'Ascensione del Signore. Alla fine del sermone, ha detto qualche parola su temi di attualità:

"Certo, miei cari fedeli, vorrete sapere qualcosa su ciò che sta accadendo a Roma. È una questione delicata. Sappiamo che la questione riguarda il nostro futuro. Pertanto, non è una cosa facile. Che cosa accadrà? Saremo accolti? Oppure non ci vogliono?

"So che ci sono molte paure. Siamo stati testimoni di tante cose! Temiamo, appunto, che le cose possano andar male. In gran parte, questi timori sono comprensibili. Non faremo certo un passo ad occhi chiusi. Questo è molto, molto chiaro. Ma in questo momento, non posso neanche dire se accadrà, o no! Perché, non è ancora chiaro. Abbiamo bisogno di garanzie che possiamo continuare a fare quello che abbiamo fatto finora. E in questo senso, alcune cose non sono ancora chiare. Semplicemente non sono chiare.

"E io posso dire: si è scatenato l'inferno! [ Der Teufel ist los - anche : loose rotto tutti i dell'inferno ] E, beh, veramente ovunque. Quindi per noi, una cosa è chiara: pregare! Dobbiamo pregare come mai prima. Tutta la nostra storia è stata consacrata alla Madre di Dio, lei sicuramente non ci abbandonerà, soprattutto se noi preghiamo tanto per questo, e se vogliamo solo la volontà di Dio. Pertanto, continueremo a pregare, con fiducia, con fiducia in Dio. Questo è tutto. Cerchiamo di non essere turbati dalle nostre passioni, dai timori ingiustificati.

"Io vi dico, davvero il diavolo è in libertà e, beh, ovunque nella stessa Fraternità! Dappertutto nella Chiesa. In realtà ci sono persone che non ci vogliono Questi sono i moderni, i progressisti. E fanno molte pressioni per bloccare ciò che deve esser portato rettamente a compimento, la cosa giusta, cioè: giustizia. Che siamo ufficialmente riconosciuti come cattolici; il che, naturalmente, non significa che si dovrà tutto ad un tratto accettare ciò che ha causato tanti danni alla Chiesa. Lo si deve comprendere correttamente. Questo non è neppure tutto. Ciò che è a portata di mano è la possibilità di essere riconosciuti come siamo. Che possiamo continuare la Tradizione, che possiamo non solo mostrare la Tradizione agli altri, ma anche dargliela.

"Al momento non ho altro che questo. Quindi, continuiamo a pregare, affidiamo queste grandi, grandi intenzioni al buon Dio. Egli non ci abbandonerà! Dobbiamo avere questa speranza! Chiunque chieda dal nostro Signore il Suo aiuto, non sarà da Lui abbandonato! Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen ".
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[Fonte: Distretto tedesco della FSSPX]

lunedì 21 maggio 2012

Socci, fuga di notizie. Un grande Papa tradito




Un prete infedele che trafuga documenti esplosivi dal Vaticano per consegnarli ad estranei, oltre le mura leonine. Essendo questo l’incipit del mio romanzo “I giorni della tempesta” mi sono sentito chiedere in questi giorni se ho preso spunto dalla cronaca. In realtà ho scritto la storia l’estate scorsa, quindi ben prima che – in autunno – iniziasse la valanga dei cosiddetti Vatileaks.

Non sono un indovino. L’idea mi era venuta semplicemente percependo certi scricchiolii nei sacri palazzi e un grave sfilacciamento generale della macchina di governo vaticana che faceva presagire esplosioni di guerre intestine.

Non potevo però immaginare che il crollo e l’inondazione sarebbero state di queste dimensioni. Infatti i documenti pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi, “Sua Santità” sono un fatto inedito. Se perfino le carte private di papa Benedetto XVI hanno potuto essere prelevate, fotocopiate, portate fuori dai sacri palazzi e passate per la pubblicazione a un giornalista, significa che nemmeno più la riservatezza del Santo Padre è protetta, che il Vaticano ormai sembra una macchina fuori controllo e che è scoppiata una guerra aperta senza precedenti, la quale finisce per colpire la Chiesa stessa.

Ieri il Vaticano ha reagito con estrema durezza alla pubblicazione del libro di Nuzzi. Il comunicato della Sala Stampa parla addirittura di “atto criminoso”, afferma che stavolta sono stati “violati” i “diritti personali di riservatezza e di libertà di corrispondenza” del Papa e di altre persone. Infine preannuncia denunce.

Mentre in qualche precedente “fuga” di carte il Vaticano ostentò noncuranza, subito rilanciata da qualche vaticanista ingenuo (o rosicone per gli scoop altrui), in questo caso l’allarme scoppiato oltretevere emerge esplicitamente, in tutta la sua drammaticità.

 Il comunicato ufficiale infatti parla di “atti di violazione della privacy e della dignità del Santo Padre – come persona e come suprema Autorità della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano” e minaccia durissime azioni legali. Voglio dire subito che lo stato d’animo delle autorità vaticane è del tutto comprensibile. Hanno il diritto e il dovere di individuare e punire i dipendenti infedeli che – per qualche oscuro motivo – sottraggono documenti riservati e perpetrano questo gioco al massacro, sleale e devastante.

 Invece temo che sia controproducente lo scagliarsi contro il giornalista che sinceramente, nelle sue pagine, non manifesta alcuna acrimonia laicista, personale o ideologica, e che si limita a fare uno scoop giornalistico. Ritengo che per quella via la Chiesa rischi di attirare contro di sé una battaglia anticlericale sulla libertà di stampa e il diritto di cronaca che sarebbe disastrosa, perché farebbero passare la vittima – la Chiesa stessa – come un potere intollerante, oscurantista e liberticida.

 Resto anche sorpreso dall’inedita durezza del comunicato della Sala Stampa vaticana perché non mi pare che vengano usati toni simili, denunciando gli “atti criminosi” e minacciando durissime azioni legali, “se necessario” con “la collaborazione internazionale”, quando vengono arrestati, detenuti e torturati dei cristiani, a causa della loro fede, in tanti paesi del mondo. Cosa purtroppo frequente e tragica. Eppure la vita e la dignità di una madre cristiana come Asia Bibi (ma ce ne sono molti altri, sottoposti a mille vessazioni e violenze) sono importanti almeno quanto i documenti che imbarazzano la Curia.

Ma nei casi di persecuzione dei cristiani sembra che la Segreteria di stato vaticana faccia di tutto per non irritare quei regimi tirannici.

 Ribadito comunque che anche il Vaticano, come tutti, ha il diritto di avvalersi delle vie legali per tutelare i suoi interessi (specie nei casi di vilipendio o oltraggio nei confronti del Papa o quando si infanga la fede dei semplici), io che da cattolico cerco di impegnare tutta la mia vita di giornalista e intellettuale in difesa della Chiesa, ritengo che sarebbe desolante se essa demandasse alla magistratura la tutela della propria dignità.

 Forse si dovrebbero rileggere le “apologie” scritte dai cristiani come san Giustino o Tertulliano, quando – nei primi secoli – si doveva difendere la comunità cristiana da calunnie infamanti e da persecutori feroci. La Chiesa in fin dei conti ha sempre affidato a Dio la difesa della sua dignità. Anzitutto rimettendola nelle mani di Colui che si fece accusare, infamare, condannare e massacrare senza profferire parola, come un agnello portato al macello. In secondo luogo con la santità della vita e la testimonianza di una bellezza e di un amore offerti a tutti. In questa direzione va tutto l’insegnamento di Benedetto XVI.

In caso contrario, se il Vaticano cioè si scatenasse in una risposta tutta e solo giudiziaria, peraltro senza smentire l’autenticità dei documenti, rischierebbe di fare un grosso autogol. Perché parrebbe a tutti un modo per eludere il vero, enorme problema che la Santa Sede si trova a dover guardare in faccia: il fatto cioè che – nei meccanismi di governo della Chiesa – qualcosa di fondamentale si è completamente inceppato.

Niente è più al sicuro. Con conseguenze gravi anche a livello di rapporti con gli stati. Se si considera che fino a pochi anni fa la diplomazia vaticana aveva fama di essere la migliore del mondo e la macchina di governo della Chiesa la più seria e affidabile, si può facilmente misurare la dimensione della crisi e del crollo di credibilità. Perché è accaduto? Com’è possibile che in uffici così delicati e dov’è richiesta una fedeltà più che giuridica, un’adesione al fine soprannaturale della Chiesa, finiscano persone così pronte a tradire come mai era prima si era verificato? E cosa scatena in loro un comportamento così grave? Infine quante persone hanno accesso a documenti così riservati? E’ così difficile controllare tali accessi? Perché fino ad ora nulla si è scoperto?

I fatti sembrano denotare una débacle della Segreteria di Stato vaticana che è il centro di governo della Santa Sede e della Chiesa.

 Del resto i contenuti stessi del libro – al di là della legittimità della pubblicazione dei documenti – fanno riflettere proprio sul funzionamento della macchina vaticana. Che talora, invece di aiutare il Santo Padre, rischia di costituire una zavorra pesantissima. Penalizzando per esempio un papato che sarebbe meraviglioso come quello di Benedetto XVI.

Del resto c’è qualcuno che sul ceto ecclesiastico nel suo insieme ha tuonato con parole ben più pesanti di quelle di Nuzzi (che, per la verità, fa il giornalista ed evita di dare giudizi). E’ proprio Joseph Ratzinger che da papa, più volte, duramente ha deplorato “carrierismo” e smania clericale per il potere. Ma non solo: ha richiamato tutta la Chiesa alla conversione.

Alla vigilia della sua elezione al pontificato, nella via crucis del 25 marzo 2005, davanti a Giovanni Paolo II, in mondovisione, il cardinale Ratzinger pronunciò parole pesantissime, invitando a riflettere su “quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa”.

Invitò a meditare su “quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore”.

 Del resto Nuzzi nel suo libro cita una frase del cardinale Ratzinger addirittura del 1977, nella quale si metteva in guardia il mondo ecclesiastico. Poco propenso, già allora, a fare i mea culpa.

 Antonio Socci

 Da “Libero”, 20 maggio 2012

Supplica di intellettuali polacchi, al Sommo Pontefice Benedetto XVI


Supplica di intellettuali polacchi,
al Sommo Pontefice
Benedetto XVI
per chiedere un studio approfondito
del Concilio Vaticano II

5 aprile 2012


La supplica, tradotta dal polacco,
è stata pubblicata su DICI


Santissimo Padre,

Il prossimo 50° anniversario della convocazione del Concilio Vaticano II e la dichiarazione del 2012 come “Anno della fede”, proclamato da Vostra Santità con la Lettera Apostolica Porta Fidei dell’11 ottobre 2011, sono delle buone occasioni per occuparsi in modo più approfondito degli insegnamenti contenuti nei documenti del Concilio (1). Il compito principale del Concilio sembrava essere in conformità con l’appello lanciato da uno dei Vostri predecessori, Paolo VI, che dichiarava: «la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a lei nota e già in questo ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale» (2). In effetti, numerosi osservatori constatano che il Vaticano II, che ha seguito fedelmente le indicazioni di Paolo VI, ha dotato la Chiesa di un più alto grado di coscienza di sé (Ecclesia ad intra) e delle sue relazioni col mondo contemporaneo (Ecclesia ad extra) (3).

Con il vantaggio di uno sguardo retrospettivo su mezzo secolo, sembra appropriato valutar la risposta data dal concilio pastorale Vaticano II a questa domanda spesso avanzata: Chiesa, cosa dici di te stessa (Ecclesia, quid dicis de teipsa)?

Bisogna notare, tuttavia, che il centro della riflessione non verte né su «gli aspetti pratici della ricezione e dell’applicazione [dei documenti conciliari] insieme positivi e negativi», né su «la natura dell’assenso intellettuale che è dovuto agli insegnamenti del Concilio» (4). Ciò che si vuole intendere è piuttosto una profonda comprensione dottrinale e pastorale del contenuto dei documenti del Concilio, al fine di determinare se – e se sì, in quali aspetti – gli insegnamenti del concilio Vaticano II hanno effettivamente risposto all’aspirazione della Chiesa di «approfondire la coscienza ch’essa deve avere di sé, del tesoro di verità di cui è erede e custode e della missione ch'essa deve esercitare nel mondo» (5).

In questo spirito, è stata recentemente presentata a Vostra Santità un’umile supplica, da parte di importanti rappresentanti cattolici italiani del mondo della scienza e dell’informazione (6). I colloqui dottrinali recentemente conclusisi con dei membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X, sostenuti dall’autorità del successore di San Pietro, sembrano essere un’altra espressione di questa riflessione. A nostra volta, anche noi, rappresentanti cattolici del mondo della scienza e della cultura, osservatori appassionati e partecipanti alla vita pubblica della Polonia, rispettosamente e umilmente chiediamo a Vostra Santità di riconsiderare alcuni insegnamenti dell’ultimo Concilio alla luce del Magistero infallibile della Chiesa cattolica.
In quanto cattolici impegnati in diversi ambiti, nella scienza, nell’educazione, nella comunicazione sociale o nella vita politica, desideriamo approfittare di questo anniversario per attirare l’attenzione di Vostra Santità sulle conseguenze di certe dottrine del Vaticano II, nei confronti sia della vita interna della Chiesa, sia della sua influenza nel dominio pubblico.

In prima istanza, desideriamo affrontare la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae), in rapporto all’insegnamento tradizionale della Chiesa sullo Stato cattolico, chiaramente esposto dai predecessori di Vostra Santità, i Papi Gregorio XVI (Mirari vos), Pio IX (Quanta cura), Leone XIII (Libertas e Immortale Dei) e Pio XI (Quas primas).
Tenendo conto principalmente della dichiarazione presente nell’introduzione della Dignitatis humanae, secondo la quale la dottrina della libertà religiosa «lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo» (7), desideriamo sottoporre al giudizio di Vostra Santità la questione di sapere se – e se sì in che misura – la Dichiarazione sviluppa, chiarisce o illustra in dettaglio gli insegnamenti costanti dei Papi precedenti sullo Stato cristiano e sul regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Il contenuto della Dichiarazione Dignitatis humanae, sostiene il carattere cattolico dello Stato, posto che, secondo l’insegnamento di Leone XIII, «le società non possono, senza sacrilegio, condursi come se Dio non esistesse, o ignorare la religione come fosse una pratica estranea e di nessuna utilità, o accoglierne indifferentemente una a piacere tra le molte; ma al contrario devono, nell’onorare Dio, adottare quella forma e quei riti coi quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato»? (8).
Come può conciliarsi il diritto di limitare il culto pubblico delle altre confessioni religiose, che i predecessori di Vostra Santità hanno accordato ai dirigenti degli Stati cattolici per preservare la vera religione (9), con la libertà di non coercizione esterna nel culto pubblico per ogni religione, diritto che dalla Dignitatis humanae è stato elevato al rango di legge naturale, dichiarando che esso avrebbe il suo fondamento nella dignità della persona umana (10)?
La dignità della persona umana, correttamente compresa, non è quella che si manifesta quando questa adora Dio nella vera religione?
Qual è l’interpretazione suggerita dall’affermazione, contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo la quale il diritto alla libertà religiosa è garantito nei «giusti limiti», cioè «non può essere di per sé né illimitato, né limitato semplicemente da un “ordine pubblico”concepito secondo un criterio positivista o naturalista»?
L’espressione «giusti limiti» (11) rinvia in qualche modo alla verità oggettiva o alla falsità di una data religione (12)?

Quale che sia la risposta data a queste domande, è innegabile che Dignitatis humanae non contiene alcun riferimento all’obbligo delle pubbliche autorità di riconoscere e proteggere la vera religione, cioè la religione cattolica, obbligo imposto ai capi di Stato dal Magistero dei Papi precedenti.

Inoltre, il documento non arriva a porre la questione della tolleranza religiosa, che è stata stabilita esplicitamente e senza ambiguità da uno dei predecessori di Vostro Santità, il Papa Pio XII: «Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azione. Esso deve essere subordinato a più alte e più generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire [cioè tollerare] l'errore, per promuovere un bene maggiore. […] Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all'esistenza, né alla propaganda, né all'azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell'interesse di un bene superiore e più vasto» (13).

Un’analisi della Dichiarazione sulla libertà religiosa nella sua interezza crea l’irresistibile impressione che questo documento rifletta un concetto liberale piuttosto che cattolico dello Stato. In questo senso, essa sostiene quella separazione fra la Chiesa e lo Stato che è stata condannata da San Pio X nella sua enciclica Vehementer nos, e sembra anche ignorare la necessità di sottomettere lo Stato al primato di Cristo. Questa necessità, con i suoi vantaggi, è stata messa chiaramente in evidenza dal papa Pio XI: «Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all'impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l'incolumità del loro potere, l'incremento e il progresso della patria» (14).

Qui è interessante notare come i tentativi di risolvere l’inevitabile tensione tra l’insegnamento che emerge dal concilio Vaticano II sulla libertà religiosa e il magistero dei Papi di prima del Concilio vanno in una stessa direzione. Questi tentativi sfociano essenzialmente nella relativizzazione degli insegnamenti proposti dai predecessori di Vostra Santità sul carattere cristiano dello Stato e sul primato sociale di Gesù Cristo. Le costanti linee direttrici date dal Magistero della Chiesa sono sottoposte alla critica, secondo le regole dello «storicismo» (15), come se fossero dei documenti dal valore puramente storico, suscettibili di valutazione da parte della ragione naturale dell’uomo. Nel migliore dei casi, la critica dà luogo al tentativo di «purificare» gli insegnamenti pontifici dalle loro supposte «aggiunte dell’era post-costantiniana» che si riflettono in insegnamenti obsoleti e/o irrealizzabili nello Stato cristiano, non validi nel mondo contemporaneo.
Noi lasciamo a Vostra Santità il giudizio se sia legittimo questo «metodo di studio» applicato agli atti del Magistero. Tuttavia, in quanto cattolici impegnati attivamente nella vita pubblica della Polonia, non possiamo evitare di notare che il concetto di Stato liberale, essenzialmente neutro in materia di religione, soffoca efficacemente le legittime aspirazioni dei Polacchi, come contraddice i valori più profondamente radicati nella storia della nazione polacca.

In seconda istanza, noi desideriamo di attirare l’attenzione di Vostra Santità sul decreto conciliareUnitatis redintegratio sull’ecumenismo e, in particolare, sulle dichiarazioni equivoche contenute nell’articolo 3: «Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza. Perciò queste Chiese e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica».
Numerosi elementi di «santificazione» di «verità» presenti al di fuori dei limiti della Chiesa sono anche richiamati nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, al paragrafo 8.

In quale altro modo potrebbe essere intesa l’espressione «atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza», se non come l’assicurazione che le persone sono in grado di raggiungere la salvezza al di fuori della Chiesa cattolica, grazie ai rituali e alle pratiche di altre confessioni cristiane?

Tuttavia la domanda che si pone è sapere come questa interpretazione possa conciliarsi con la dottrina tradizionale dell’Extra Ecclesiam nulla salus, che afferma che la fede cattolica è una condizione preliminare per la salvezza (16), o in particolare con l’insegnamento stabilito sull’unità della Chiesa da Leone XIII: «E per meglio rappresentare la Chiesa una, [San Paolo] la paragona al corpo animato, le cui membra non possono vivere altrimenti che congiunte col capo, da cui derivano la loro virtù vitale; separate che siano, necessariamente muoiono. […] È dunque la chiesa di Cristo unica e perpetua. Chiunque se ne separa, devia dalla volontà e dal precetto di Cristo nostro Signore, e, abbandonata la via della salute, corre alla rovina» (17).
Qual è la relazione di queste dichiarazioni di Unitatis redintegratio con le proposizioni 16 e 17 condannate dal Syllabus di Pio IX(18)?

Indipendentemente dai problemi dottrinali sopra esposti, si constata in tutta evidenza che la pratica pastorale dell’ecumenismo si è allontanata dalla comprensione tradizionale dell’apostolato a favore dell’unità dei cristiani, che, secondo Pio XI: «non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono» (19).
Essenzialmente, come notava il Prof. Romano Amerio nel suo monumentale studio, Iota Unum, il termine «ritorno» (reditus) non si trova per niente in tutto il testo del decreto del Concilio sull’ecumenismo. L’idea del ritorno dei cristiani separati alla «sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti» (20), è stata rimpiazzata dal concetto della conversione di tutti i cristiani a Gesù Cristo: «Ci rallegriamo tuttavia vedendo i fratelli separati tendere a Cristo come a fonte e centro della comunione ecclesiale. Presi dal desiderio dell'unione con Cristo, essi sono spinti a cercare sempre di più l'unità ed anche a rendere dovunque testimonianza della loro fede presso le genti» (21). Per i cattolici, dunque, la conversione deve operarsi nel senso della riforma in corso nella Chiesa (22).

Se l’impegno per l’unità di tutti i cristiani viene collocato in questo quadro, non si finirà col compromettere, se non col cancellare completamente, lo spirito apostolico e missionario a tutti i livelli nella vita della Chiesa?
Negando ogni sforzo volto a ricondurre gli eretici e gli scismatici alla Chiesa cattolica, non si rischia che ogni allusione, sia pure la più velata, sul ritorno dei non cattolici all’ovile di Roma venga percepito in ambito pubblico come un segno di intolleranza o un «discorso odioso»?

Il problema non è relativo solo all’ecumenismo in senso stretto, ma anche, e forse soprattutto, al dialogo interreligioso contemporaneo promosso dalla Dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.
Come ha affermato il Prof. Romano Amerio, da lungo tempo il dialogo ha perduto la sua dimensione strettamente religiosa e si è trasformato in un impegno puramente naturalista mirante alla costruzione «di un mondo più degno dell’uomo»: «Il nuovo ecumenismo tende dunque a spostarsi dalla sfera religiosa, il cui fondamento è il soprannaturale, alla sfera civile, assimilando sempre più l’ecumene religiosa all’etnarchia umanitaria propugnata dall’ONU» (23).
A questo punto sorge una domanda: sapere se questo programma illustra la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. La virtù teologale della speranza non si trasforma in una speranza puramente naturale per la costruzione di una «civiltà dell’amore» terreno?
Questo nuovo approccio per le relazioni fra la Chiesa e i cristiani non cattolici e i non cristiani, non equivale ad una violazione del comando di amare il prossimo, che deve esprimersi con degli sforzi per ottenere la sua salvezza eterna («Ammonire i peccatori»), e al tempo stesso una tale nuova concezione non mira a stabilire un nuovo ordine alquanto curioso, che tenderebbe «a costruire un mondo migliore con i membri di altre religioni»?

In terza istanza, ci prendiamo la libertà di chiedere a Vostra Santità di riconsiderare la dottrina del Concilio sulla collegialità, descritta al paragrafo 22 della Costituzione Lumen gentium e all’articolo 4 del Decreto Christus Dominus, relativo alla Missione Pastorale dei vescovi nella Chiesa.

Per un verso, la dottrina espressa sembra lasciare intatto l’insegnamento infallibile della Chiesa sul primato di Roma: «Infatti il romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di Vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente» (24).
Per altro verso, tuttavia, Lumen Gentium introduce il Collegio dei vescovi come un nuovo organo giuridico che detiene la più grande autorità nella Chiesa in comunione col Papa: «D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa» (25).
Malgrado i chiarimenti apportati dalla Nota esplicativa previa che indica che il Collegio – che non sempre è in pieno esercizio – «non agisce con atto strettamente collegiale se non ad intervalli e col consenso del capo», resta il problema allorché si vuole conciliare la dichiarazione del Concilio sulla collegialità con l’affermazione secondo la quale non v’è che un solo detentore del potere supremo nella Chiesa; affermazione espressa esplicitamente nella Costituzione dogmatica Pastor Aeternus del Vaticano I.
Si pone dunque il problema di sapere se una definizione dogmatica solenne possa, il linea di principio, richiedere un «chiarimento» supplementare o un «supplemento di informazione».

Spingendosi più avanti sull’argomento, si dovrebbe ugualmente considerare se il principio generale della collegialità, così com’è attuato nelle attività delle Conferenze Episcopali, non arrechi danno – o scalzi – il potere diretto dei vescovi nelle Chiese particolari. Elemento importante da considerare è che Il Decreto del Concilio Vaticano II Christus Dominus sembra esprimere dei dubbi sulla possibilità stessa dell’esercizio effettivo del potere episcopale ordinario: «In specie ai nostri tempi, i vescovi spesso sono difficilmente in grado di svolgere in modo adeguato e con frutto il loro ministero, se non realizzano una cooperazione sempre più stretta e concorde con gli altri vescovi» (26).

Santissimo Padre, i problemi sopra richiamati inducono ad una riflessione più generale su una certa specifica qualità del Magistero nei tempi del Concilio e del post-concilio. Secondo le espressioni frequentemente impiegate da Vostra Santità, la corretta interpretazione e l’applicazione dell’ultimo Concilio sono possibili solo alla luce di una corretta ermeneutica della riforma (27). E recentemente vi sono state molte discussioni sulla corretta interpretazione del Concilio Vaticano II e sulla eliminazione degli errori di interpretazione.

Il fatto che dopo 50 anni della convocazione del Vaticano II gli insegnamenti del Concilio continuino ad essere oggetto di controversie, che necessitino di un chiarimento costante, fatto di aggiunte e di rettifiche, non significa che a causa del Concilio il Magistero contemporaneo è costantemente preoccupato per se stesso, invece di preoccuparsi di esplorare il deposito della fede?
Dimostra, questo stato di cose, che il Concilio ha veramente trasmesso «integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica» (28) come auspicava il beato Papa Giovanni XXIII?
Tenuto conto dei dubbi sopra espressi, si può legittimamente affermare che «Non soltanto il Vaticano II va interpretato alla luce di precedenti documenti magisteriali, ma anche alcuni di questi vengono meglio capiti alla luce del Vaticano II» (29)?

Noi crediamo che le domande che in questa lettera sottoponiamo al giudizio di Vostra Santità siano ben riassunte nelle parole del Vostro predecessore Pio XII: «Se poi la Chiesa esercita questo suo officio (come nel corso dei secoli è spesso avvenuto) con l'esercizio sia ordinario che straordinario di questo medesimo officio, è evidente che è del tutto falso il metodo con cui si vorrebbe spiegare le cose chiare con quelle oscure; anzi è necessario che tutti seguano l'ordine inverso» (30).

Beneamato Padre, ci rivolgiamo a Lei con l’umile richiesta di voler esaminare le questioni sopra esposte, che già sono state portate all’attenzione di Vostra Santità diverse volte. Siamo profondamente convinti che questa riflessione attuata nel corso dell’Anno della Fede, susciterà, secondo le parole stesse di Vostra Santità, «in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza» (31).

Con le nostre preghiere più sincere per Vostra Santità, teniamo ad esprimerLe la nostra profonda devozione filiale.


NOTE
1 – Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della fede.
2 – Paolo VI, Enciclica Ecclesiam suam, 10.
3 - Cfr. Cardinale Karol Wojtyla, Instructions Générales, [in] Sobor Watykanski II. Konstitytucje, Dekrety, Deklaracje [Concile Vatican II. Constitutions, Décrets, Déclarations], Pallotinum 1967, pp. 12-14.
4 – Cfr. Mons. Fernando Ocáriz, Sull’adesione al concilio Vaticano II, L’Osservatore Romano, 2 dicembre 2011
5 - Paolo VI, Enciclica Ecclesiam suam, 19.
6 - Supplica al Santo Padre Benedetto XVI, Sommo Pontefice, felicemente regnante, affinché voglia promuovere un approfondito esame del pastorale Concilio Ecumenico Vaticano II.
7 – Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2105.
8 – Leone XIII, Enciclica Immortale Dei.
9 - Gregorio XVI, Enciclica Mirari vos; Pio IX, Enciclica Quanta cura.
10 – Dignitatis humanae, 2, 9.
11 – Catechismo della Chiesa Cattolica, 2109.
12 – Ibid, 2110.
13 – Pio XII, Ci riesce, Discorso ai giuristi cattolici italiani, 6 dicembre 1953.
14 – Pio XI, Enciclica Quas primas.
15 – Condannato dal Papa Pie XII nella sua Enciclica Humani generis.
16 - Cfr. Simbolo di Sant’Atanasio: «Chiunque voglia salvarsi, deve anzitutto possedere la fede cattolica: colui che non la conserva integra ed inviolata 
perirà senza dubbio in eterno».
17 - Leone XIII, Enciclica Satis cognitum.
18 – Rispettivamente: «Gli uomini nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l’eterna salvezza» e «Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo».
19 - Pio XI, Enciclica Mortalium animos.
20 – Ibid.
21 – Unitatis redintegratio, 20.
22 – Ibid, 6
23 - Romano Amerio, Iota Unum, Kansas City, 1996, p. 568. (In italiano: Cap. XXXV, L’ecumenismo, n° 255).
24 - Lumen Gentium, 22.
25 – Ibid.
26 – Christus Dominus, 37
27 - Cfr. Benedetto XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei, 5.
28 – Giovanni XXIII, Discorso di apertura del concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962.
29 – Mons. Fernando Ocáriz, op. cit.
30 - Pio XII, Enciclica Humani generis, 21.
31 – Benedetto XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei, 9.


Firmatari:
  1. - Maciej Andrzejczak, tłumacz, przedsiębiorca;
  2. - dr hab. Jacek Bartyzel, prof. UMK nauczyciel akademicki, Rada Centrum Kultury i Tradycji;
  3. - Grzegorz Braun, reżyser;
  4. - dr Zbigniew Czapla, nauczyciel akademicki;
  5. - Marcin Dybowski, wydawca;
  6. - dr Mariola Fortuna, teolog;
  7. - Artur Górski, poseł na Sejm RP V, VI i VII kadencji;
  8. - prof. dr hab. Grzegorz Grzybowski, pracownik Polskiej Akademii Nauk;
  9. - prof. dr hab. Tomasz Grzybowski nauczyciel akademicki;
  10. - Piotr Kamiński, nauczyciel akademicki;
  11. - Sławomir Hazak, Szamotulskie Środowisko Tradycji;
  12. - dr Krzysztof Kawęcki, nauczyciel akademicki;
  13. - dr Marcin Masny, publicysta, tłumacz;
  14. - dr Adam Matyszewski, teolog, członek Komisji ds. Muzyki Kościelnej Diecezji Płockiej;
  15. - Piotr Mazur, Rada Centrum Kultury i Tradycji, członek Zarządu Towarzystw - Gimnastycznych Sokół w Polsce;
  16. - Stanisław Michalkiewicz, publicysta;
  17. - Artur Paczyna, prezes Rady Głównej Śląskiego Środowiska Wiernych Tradycji;
  18. - Stanisław Pięta, poseł na Sejm VI i VII kadencji;
  19. - dr Justyn Piskorski, prawnik, UAM;
  20. - Paweł Pomianek, teolog;
  21. - Arkadiusz Robaczewski, prezes Centrum Kultury i Tradycji;
  22. - dr Piotr Szczudłowski, pedagog;
  23. - dr Teresa Świrydowicz;
  24. - dr hab. Kazimierz Świrydowicz, profesor UAM;
  25. - Joanna M. Tryjanowska, prawnik;
  26. - prof. Dr hab. Piotr Tryjanowski, nauczyciel akademicki;
  27. - dr hab. Piotr Tylus nauczyciel akademicki;
  28. - Maciej Walaszczyk, dziennikarz;
  29. - Piotr Walerych, poseł na Sejm RP I kadencji, członek Rady Programowej Telewizji Polskiej w latach 1995-2002;
  30. - Robert Winnicki, Prezes Rady Naczelnej Związku Młodzieży Wszechpolskiej;
  31. - dr Marcin Woźniak, nauczyciel akademicki;
  32. - Krzysztof Wyszkowski, założyciel Wolnych Związków Zawodowych Wybrzeża;
  33. - Dariusz Zalewski, publicysta, popularyzator tomistycznej etyki wychowawczej;
  34. - Zbigniew Zarywski, przedsiębiorca, kolekcjoner;
  35. - Artur Zawisza, poseł na sejm V i VI kadencji, przedsiębiorca;
  36. - Michał Zieliński, ekonomista, Korporacja Akademicka Legia.