«Il Vaticano II insegna veramente e soltanto ciò che fu
rivelato e trasmesso?» E «il senso oggettivo delle parole usate dal Vaticano II
corrisponde a quello del precedente Magistero ed in ultima analisi a quello
della divina Rivelazione?» Due domande, “a bruciapelo”, che vengono rivolte da
Monsignor Brunero Gherardini a tutti coloro che avranno la fortuna di leggere
il suo ultimo libro, che brilla per chiarezza linguistica e teologica, dal
titolo Il Vaticano II alle radici d’un equivoco (Lindau, pp. 410, €
26.00).
Sono trascorsi cinquant’anni (1962-2012) dall’apertura di un Concilio che sempre più diventa protagonista di un vero e proprio processo. Finalmente il tribunale si è aperto, grazie, in particolare, allo stesso teologo Gherardini (con il suo ormai celebre Concilio Vaticano II un discorso da fare) e allo storico Roberto de Mattei (con il suo Concilio Vaticano II, una storia mai scritta) per far entrare l’imputato, il Concilio Vaticano II.
Pur essendo i contenuti di questo scrupoloso volume assai profondi e complessi, il suo autore, com’è nel suo “gherardiniano” stile, rende la disamina fresca, vivace e vincente. Quest’opera nasce da un’ispirazione polemica, ovvero per rispondere alla malafede di alcuni studiosi e giornalisti nei confronti degli approfondimenti che il teologo da alcuni anni realizza con rigore. Alcune pennellate qua e là ironiche ricordano l’humor graffiante utilizzato dal beato John Henri Newman nel suo capolavoro Apologia pro vita sua, dove, anch’egli, come Gherardini, rispondeva a coloro che lo accusavano, con il coraggio proprio di chi sa, come direbbe san Tommaso d’Aquino, di essere posseduto dalla verità.
Gherardini non si è accodato alla vulgata, ovvero a tutti coloro che continuano ad osannare il Vaticano II in senso aprioristico e senza accettare un’analisi nel merito, ma è andato a fondo del problema, osservando da vicino il radicale cambiamento di rotta della Chiesa postconciliare ed individuando la causa di quel cambiamento negli atti dell’Assise. Ed ecco il grande “equivoco”, «dai più quasi mai preso in esame», matrice dei tanti equivoci e dei tanti errori che sono emersi a cascata: l’antropocentrismo. «L’uomo moderno, verso il quale si protende l’antropocentrismo conciliare, ne assorbe le idee che sovvertono i rapporti naturali e rivelati fra la creatura e il Creatore, diventa di codest’idee il portabandiera e l’araldo, e dalle medesime vien per così dir inchiodato in uno stato d’inconciliabilità con le verità della dottrina e della Tradizione». Ed ecco le derive della Nouvelle Théologie e della Teologia della liberazione.
L’equivoco antropocentrico trova per Gherardini le sue radici nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), nella dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate) e nel decreto sul dialogo ecumenico (Unitatis redintegratio). L’antropocentrismo ha contaminato tutta la cultura moderna e il pensiero maggioritario conciliare, e nulla «nel modernismo e nella sua assatanata reviviscenza neomodernista è risparmiato del tesoro di verità ricevute e trasmesse», ovvero la Sacra Scrittura, i dogmi, la Liturgia, la morale. Oggi quel tarlo modernista che erodeva dal di dentro è emerso con spavalderia, ma l’aula conciliare ne fu già testimone quando si trattarono tematiche nodali, che si distanziavano, nella loro elaborazione, dalla Tradizione.
Gherardini, dato il suo porsi in maniera critica di fronte al Concilio, è stato accusato di essere un “lefebvriano”, dando al termine, come sempre, un’accezione meramente negativa. Egli, a questo riguardo, afferma che pur non appartenendo alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, ne condivide le linee di costruttiva critica al Vaticano II.
L’autore, inoltre, punta la sua attenzione sul linguaggio conciliare e postconciliare, del tutto diverso dalla patristica e dalla Tradizione in genere; fa, inoltre, nome e cognome dei protagonisti delle moderne filosofie e teologie e non li interpreta, ma ne fa la radiografia delle idee; idee che hanno avvelenato lo spirito dell’Assise e «se la sacra gerarchia non blocca questa deriva antropocentrica, il domani della Chiesa non sarà più quello della Chiesa una santa cattolica apostolica nella sua gloriosa ed universalistica configurazione romana».
Sono trascorsi cinquant’anni (1962-2012) dall’apertura di un Concilio che sempre più diventa protagonista di un vero e proprio processo. Finalmente il tribunale si è aperto, grazie, in particolare, allo stesso teologo Gherardini (con il suo ormai celebre Concilio Vaticano II un discorso da fare) e allo storico Roberto de Mattei (con il suo Concilio Vaticano II, una storia mai scritta) per far entrare l’imputato, il Concilio Vaticano II.
Pur essendo i contenuti di questo scrupoloso volume assai profondi e complessi, il suo autore, com’è nel suo “gherardiniano” stile, rende la disamina fresca, vivace e vincente. Quest’opera nasce da un’ispirazione polemica, ovvero per rispondere alla malafede di alcuni studiosi e giornalisti nei confronti degli approfondimenti che il teologo da alcuni anni realizza con rigore. Alcune pennellate qua e là ironiche ricordano l’humor graffiante utilizzato dal beato John Henri Newman nel suo capolavoro Apologia pro vita sua, dove, anch’egli, come Gherardini, rispondeva a coloro che lo accusavano, con il coraggio proprio di chi sa, come direbbe san Tommaso d’Aquino, di essere posseduto dalla verità.
Gherardini non si è accodato alla vulgata, ovvero a tutti coloro che continuano ad osannare il Vaticano II in senso aprioristico e senza accettare un’analisi nel merito, ma è andato a fondo del problema, osservando da vicino il radicale cambiamento di rotta della Chiesa postconciliare ed individuando la causa di quel cambiamento negli atti dell’Assise. Ed ecco il grande “equivoco”, «dai più quasi mai preso in esame», matrice dei tanti equivoci e dei tanti errori che sono emersi a cascata: l’antropocentrismo. «L’uomo moderno, verso il quale si protende l’antropocentrismo conciliare, ne assorbe le idee che sovvertono i rapporti naturali e rivelati fra la creatura e il Creatore, diventa di codest’idee il portabandiera e l’araldo, e dalle medesime vien per così dir inchiodato in uno stato d’inconciliabilità con le verità della dottrina e della Tradizione». Ed ecco le derive della Nouvelle Théologie e della Teologia della liberazione.
L’equivoco antropocentrico trova per Gherardini le sue radici nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), nella dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate) e nel decreto sul dialogo ecumenico (Unitatis redintegratio). L’antropocentrismo ha contaminato tutta la cultura moderna e il pensiero maggioritario conciliare, e nulla «nel modernismo e nella sua assatanata reviviscenza neomodernista è risparmiato del tesoro di verità ricevute e trasmesse», ovvero la Sacra Scrittura, i dogmi, la Liturgia, la morale. Oggi quel tarlo modernista che erodeva dal di dentro è emerso con spavalderia, ma l’aula conciliare ne fu già testimone quando si trattarono tematiche nodali, che si distanziavano, nella loro elaborazione, dalla Tradizione.
Gherardini, dato il suo porsi in maniera critica di fronte al Concilio, è stato accusato di essere un “lefebvriano”, dando al termine, come sempre, un’accezione meramente negativa. Egli, a questo riguardo, afferma che pur non appartenendo alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, ne condivide le linee di costruttiva critica al Vaticano II.
L’autore, inoltre, punta la sua attenzione sul linguaggio conciliare e postconciliare, del tutto diverso dalla patristica e dalla Tradizione in genere; fa, inoltre, nome e cognome dei protagonisti delle moderne filosofie e teologie e non li interpreta, ma ne fa la radiografia delle idee; idee che hanno avvelenato lo spirito dell’Assise e «se la sacra gerarchia non blocca questa deriva antropocentrica, il domani della Chiesa non sarà più quello della Chiesa una santa cattolica apostolica nella sua gloriosa ed universalistica configurazione romana».
Cristina Siccardi
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