don Pierpaolo Maria Petrucci
Recentemente personaggi ecclesiastici di spicco hanno scritto messaggi augurali a rappresentanti di religioni non cristiane in occasione delle loro feste religiose. Prima di tutto il Cardinal Angelo Scola, arcivescovo di Milano, per la festa islamica alla fine del Ramadam[1]. Nella stessa occasione, qualche giorno dopo, anche il vescovo di Pavia, inviava un messaggio di auguri alla Guida della comunità mussulmana della città[2]. Il 20 settembre scorso era lo stesso BenedettoXVI che faceva giungere un telegramma al Rabbino Capo di Roma, Dott. Riccardo Di Segni per le ricorrenze di Rosh Ha-Shanah 5773 e Yom Kippur e Sukkot” [3].
Questa attitudine attuale di membri
della gerarchia ecclesiastica ci spinge a ricordare alcuni punti fermi
da sempre insegnati dalla Chiesa, in particolare quanto alla virtù di
fede.La fede è credere tutto quanto Dio ci ha rivela e la S. Chiesa ci
propone a credere ed è talmente importante che senza di essa, come ci
ricorda S. Paolo “non si può piacere a Dio”.[4]
La dottrina cattolica ci insegna che
l’infedeltà positiva[5], cioè il non voler sottomettere la propria
intelligenza alle verità da Dio rivelate, è un peccato gravissimo poiché
così si rigetta la fede che è il mezzo necessario alla salvezza. Il
Signore infatti ci ammonisce nel Vangelo che: “Chi non crederà sarà
condannato” (Mc 16,16)
San Tommaso spiega che: “Consistendo il
peccato di incredulità nell‘opporsi alla fede, esso può verificarsi in
due maniere. O perché ci si oppone alla fede non ancora abbracciata, e
allora abbiamo l‘incredulità dei pagani, o gentili, oppure perché ci si
oppone alla fede cristiana già abbracciata. Se poi questa era stata
abbracciata in modo figurale, avremo l’incredulità dei Giudei; se invece
era stata abbracciata nella piena manifestazione della verità, avremo
l’incredulità degli eretici. Perciò possiamo attribuire all‘incredulità
in generale le tre specie suddette”.[6] Le principali specie di
infedeltà quindi sono il paganesimo (che comprende quindi l’islam), il
giudaismo e l’eresia.
La superstizione invece si definisce
come un vizio contrario alla virtù di religione per eccesso, e consiste
nel tributare a Dio un culto sconveniente oppure nel rendere un culto
divino a falsi dei.[7] Essa si oppone quindi non soltanto alla virtù di
fede ma anche alla virtù di religione.
Ora siccome la religione è una
manifestazione della fede mediante segni esterni, così la superstizione è
una manifestazione dell’incredulità con atti esterni di culto. Tale
manifestazione viene indicata col termine di idolatria.[8] Questo
termine non va inteso nel senso puramente etimologico ma nel suo
significato più profondo. Colui infatti che rigetta volontariamente
anche una sola verità rivelata, rigetta Dio che la garantisce con la sua
autorità e quindi non crede più in lui ma ad un essere di ragione
(quindi a una creatura) che si è costruito nella mente.
Da ciò si deduce che il culto islamico e
quello giudaico in tutte le loro forme, malgrado la buona fede
possibile di alcuni di coloro che li praticano, sono in sé culti
superstiziosi e quindi violano il 1° comandamento che ci ordina di
adorare il solo vero Dio Uno e Trino, rendendogli il culto che gli è
dovuto, nella maniera in cui ce lo ha rivelato e come ce lo insegna la
Chiesa.[9]
Questa è la dottrina cattolica che si
trova in qualunque manuale di teologia morale scritto prima del
concilio, ma anche semplicemente nel catechismo di S. Pio X.[10]
Ora il Signore ci ha insegnato che la
virtù più grande è la carità. Amare significa volere il bene più grande
per il nostro prossimo e questo bene è la salvezza eterna. Ma essa si
può conseguire solo tramite la fede e l’appartenenza alla Chiesa
cattolica.
Il concilio di Firenze (dogmatico e non
pastorale) lo ha affermato chiaramente: “La Santa Chiesa crede
fermamente, professa e predica che nessuno di quelli che si trovano al
di fuori della Chiesa cattolica, siano essi pagani, Ebrei, eretici o
scismatici, può ottenere la vita eterna. Costoro sono destinati al fuoco
eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli, a meno che non
entrino nella Chiesa cattolica prima della fine della loro vita”.[11]
Per questo la missione essenziale della Chiesa è predicare la verità per la salvezza delle anime.
Date queste premesse ci si chiede:
perché allora in nessuno dei messaggi augurali di cui sopra, vi è la
minima allusione alla necessità per coloro che seguono false religioni
di lasciare i loro errori ed entrare nella Chiesa ma, al contrario, si
afferma chiaramente o si sottintende la bontà dei loro culti?
Come può un Cardinale Arcivescovo
benedire una festa religiosa islamica che è una pratica superstiziosa
ispirata dall’infedeltà e contraria direttamente al primo comandamento
di Dio?
Come può un Vescovo identificare il
Corano come “la Parola di Dio” ed affermare di sentirsi “in comunione di
preghiera e di fede” con la comunità musulmana?
Purtroppo anche il Papa, nel suo
messaggio alla comunità ebraica di Roma, fa allusione all’adorazione del
Dio unico, lasciando credere che adoriamo lo stesso Dio, senza
ricordare che Egli è uno e Trino e che il Figlio di Dio si è fatto uomo
per la nostra salvezza e quindi, come lo ricordava S. Pietro al Sinedrio
“In nessun altro è salvezza, poiché non c’è sotto il cielo alcun altro
nome dato agli uomini,dl quale possiamo aspettarci di essere salvati”
Atti 4,12
Il ricordare queste verità fondamentali
dovrebbe essere la prima carità, fondata sul desiderio sincero della
salvezza delle anime e sulla speranza che Dio possa utilizzare la
predicazione franca del Vangelo, per toccare i cuori ben disposti e
ricondurli a lui.
La Chiesa nel passato ha sempre agito
così nei confronti degli adepti di false religioni, come per esempio Pio
IX in occasione della convocazione del Concilio Vaticano I.
È commovente rileggere le sue parole che
manifestano un grande zelo paterno per la salvezza delle anime:
“Inviamo questa Nostra Lettera a tutti i cristiani da Noi separati, con
la quale li esortiamo caldamente e li scongiuriamo con insistenza ad
affrettarsi a ritornare nell’unico ovile di Cristo; desideriamo infatti
dal più profondo del cuore la loro salvezza in Cristo Gesù, e temiamo di
doverne rendere conto un giorno a Lui, Nostro Giudice, se, per quanto
Ci è possibile, non avremo loro additato e preparato la via per
raggiungere l’eterna salvezza”.[12]
Ma questo linguaggio non è più di moda. Cosa è cambiato?
È arrivato il Concilio Vaticano II che,
nella sua dichiarazione Nostra Aetate, ha rivalutato le religioni non
cristiane, non più considerate come ostacolo alla salvezza, ma dotate
addirittura di precetti e dottrine divine: “La Chiesa cattolica nulla
rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con
sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle
dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa
stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di
quella verità che illumina tutti gli uomini.”[13]
Ci troviamo di fronte a due concezioni
diametralmente opposte del ruolo della Chiesa e della sua missione
essenziale. Si può cercare di giustificare la concezione moderna,
affermando che i tempi sono cambiati…, che il “vissuto” della comunità
cristiana oggi applica in un altro modo la dottrina di Cristo, sempre
perenne in tutte le sue manifestazioni poiché malgrado l’esperienza
vitale cambi col tempo il soggetto chiesa permane ed è questa la
“tradizione”… Ma per dire che vi è continuità dottrinale fra gli
insegnamenti del magistero perenne e quelli attuali…. ci vuole un bel
coraggio!
Per chi vuol conservare la fede in
quest’epoca di smarrimento, un solo criterio oggettivo può servire da
bussola: ciò che la Chiesa ha insegnato infallibilmente nel suo
magistero di sempre, che nessuno potrà mai cambiare.
[1] Ai responsabili delle comunità Musulmane di Milano e Lombardia
“Per la prima volta dalla città di sant' Ambrogio ho il gradito compito di trasmettervi il messaggio augurale del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso (PCDI) in occasione della "rottura" del digiuno del mese di Ramadan. Durante il mio mandato come Patriarca di Venezia, porta d'Europa verso l'Oriente e luogo storicamente contrassegnato da intensi scambi tra popolazioni cristiane e musulmane, ho espresso più volte l'importanza di una frequentazione tesa alla conoscenza reciproca di persone e tradizioni.
L'esperienza di quegli anni si è consolidata attraverso varie pubblicazioni e, soprattutto, attraverso la creazione della Fondazione Internazionale Oasis, che pubblica, tra l'altro, una rivista specializzata in varie lingue. A sua volta, la Diocesi Ambrosiana, sollecitata dall'intenso fenomeno migratorio dai paesi dell'Africa del Nord, si è dedicata da tempo con impegno a conoscere il mondo religioso musulmano e a far conoscere la natura dell'esperienza cristiana, come ben documenta il discorso alla città dei Vespri di sant'Ambrogio del 1990, dal titolo Noi e l'Islam del Cardinale Carlo Maria Martini.
Cari fedeli musulmani, voi state concludendo il tempo santo del digiuno che tempra lo spirito e il corpo (ancor più affaticato in questo periodo estivo) per sottometterli alla divina volontà.
“Per la prima volta dalla città di sant' Ambrogio ho il gradito compito di trasmettervi il messaggio augurale del Pontificio Consiglio del Dialogo Interreligioso (PCDI) in occasione della "rottura" del digiuno del mese di Ramadan. Durante il mio mandato come Patriarca di Venezia, porta d'Europa verso l'Oriente e luogo storicamente contrassegnato da intensi scambi tra popolazioni cristiane e musulmane, ho espresso più volte l'importanza di una frequentazione tesa alla conoscenza reciproca di persone e tradizioni.
L'esperienza di quegli anni si è consolidata attraverso varie pubblicazioni e, soprattutto, attraverso la creazione della Fondazione Internazionale Oasis, che pubblica, tra l'altro, una rivista specializzata in varie lingue. A sua volta, la Diocesi Ambrosiana, sollecitata dall'intenso fenomeno migratorio dai paesi dell'Africa del Nord, si è dedicata da tempo con impegno a conoscere il mondo religioso musulmano e a far conoscere la natura dell'esperienza cristiana, come ben documenta il discorso alla città dei Vespri di sant'Ambrogio del 1990, dal titolo Noi e l'Islam del Cardinale Carlo Maria Martini.
Cari fedeli musulmani, voi state concludendo il tempo santo del digiuno che tempra lo spirito e il corpo (ancor più affaticato in questo periodo estivo) per sottometterli alla divina volontà.
Desideriamo che sentiate la
vicinanza della nostra preghiera e attenzione. In questo anno essa si
rivolge in particolare alle nuove generazioni. Il tema educativo è
infatti il fulcro del testo augurale del Pontificio Consiglio del
Dialogo Interreligioso. Cristiani e musulmani sentono oggi la comune
responsabilità di fronteggiare una mentalità diffusa che intende
svuotare la vita dai contenuti religiosi. Invece giustizia e pace non
crescono se non si concepiscono come la risposta ad una chiamata divina.
Insieme dobbiamo cercare di smentire chi accusa la religione di
fomentare disordini, guerre, razzismo e inciviltà. Per questo occorre
smascherare chi, strumentalizzando la fede, spinge i giovani all'odio e
alla violenza verbale, morale e fisica. Sia carica di bene e di
benedizione la vostra imminente festa. Ve lo auguriamo di tutto cuore!”
Venerdì, 17 agosto 2012
Angelo Scola, arcivescovo di Milano
http://affaritaliani.libero.it/milano/ramadan-il-messaggio-dell-arcivescovo-angelo-scola170812.html
Venerdì, 17 agosto 2012
Angelo Scola, arcivescovo di Milano
http://affaritaliani.libero.it/milano/ramadan-il-messaggio-dell-arcivescovo-angelo-scola170812.html
[2] «Come Vescovo di questa comunità
ecclesiale pavese, voglio esprimere a nome mio e della comunità
sentimenti di vicinanza e di presenza alla Comunità musulmana pavese, in
occasione della chiusura del mese sacro del Ramadan 2012. Sappiamo che
avete celebrato la discesa celeste del Libro sacro del Corano,
applicandovi a una lettura più intensa e pia della Parola di Dio e che
avete offerto a Dio il sacrificio del vostro digiuno quotidiano. Grati
della Vostra testimonianza, ci sentiamo in comunione di preghiera e di
fede.
Con stima, Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=729:il-vescovo-di-pavia-e-in-comunione-di-fede-con-i-musulmani&catid=53:attualita&Itemid=50
[3] “In occasione delle festose
ricorrenze di Rosh Ha-Shanah 5773 e Yom Kippur e Sukkot”, rivolgo un
sentito auguro di pace e di bene a Lei e all'intera Comunità ebraica di
Roma, invocando dall'Altissimo copiose benedizioni per il nuovo anno e
auspicando che ebrei e cristiani, crescendo nella stima e nell'amicizia
reciproca, possano testimoniare nel mondo i valori che scaturiscono
dall'adorazione del Dio unico.
BENEDICTUS PP. XVI
http://www.zenit.org/article-32697?l=italian
BENEDICTUS PP. XVI
http://www.zenit.org/article-32697?l=italian
[4] Hebr. 11,6
[5] L’infedeltà formale o positiva è la
carenza colpevole della fede in colui che non vuol dare il suo assenso
alla fede o la disprezza. Prummer T I n°509
[6] Somma Theologica II II Q 10 a 5
[7] Dizionario di Teologia Morale, Ed. Studium 1968, Voce superstizione
[8] S.T. II II Q 94 a 1 ad 1
[9] L’islam comporta il rigetto della
fede nella Divinità di Gesù Cristo e pretende riferirsi ad una
rivelazione che deforma alcuni attributi divini, quali si possono
conoscere anche tramite la ragione Per questo il “dio” che si adora in
tale religione non può essere identificato in alcun modo con Colui che
la ragiona naturale ci svela.
[10] 170. Che ci proibisce il primo comandamento?
Il primo comandamento ci proibisce l'empietà, la superstizione, l'irreligiosità; inoltre l'apostasia, l'eresia, il dubbio volontario e l'ignoranza colpevole delle verità della Fede.
Il primo comandamento ci proibisce l'empietà, la superstizione, l'irreligiosità; inoltre l'apostasia, l'eresia, il dubbio volontario e l'ignoranza colpevole delle verità della Fede.
172. Che cos'è superstizione?
Superstizione è il culto divino o di latria reso a chi non è Dio, o anche a Dio ma in modo non conveniente: perciò l'idolatria o il culto di false divinità e di creature; il ricorso al demonio, agli spiriti e ad ogni mezzo sospetto per ottener cose umanamente impossibili; l'uso di riti sconvenienti, vani o proibiti dalla Chiesa.
Superstizione è il culto divino o di latria reso a chi non è Dio, o anche a Dio ma in modo non conveniente: perciò l'idolatria o il culto di false divinità e di creature; il ricorso al demonio, agli spiriti e ad ogni mezzo sospetto per ottener cose umanamente impossibili; l'uso di riti sconvenienti, vani o proibiti dalla Chiesa.
[11] Decreto pro Jacobitis DZ 714
[12] Iam vos omnes, 13 settembre 1868
[13] Nostra Aetate n° 2
Fonte: www.sanpiox.it
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