venerdì 14 settembre 2012

Dichiarazione di Dom Tomás de Aquino


Dopo la visita di Mons. Williamson in Brasile su invito di Dom Tomás de Aquino, Priore del monastero benedettino della Santa Croce, a Nova Friburgo,  lo stesso Priore scrisse un articolo per ringraziare Mons. Williamson, al quale fece seguito un comunicato di Don Christian Bouchacourt, Superiore del Distretto dell'America del Sud della Fraternità San Pio X. 
La presente dichiarazione, dell'8 settembre 2012, è una risposta al detto comunicato,
ed è stata pubblicata sul 
sito del monastero



Mons. Richard Williamson in visita in Brasile nel 2012

Di fronte al comunicato del R. P. Bouchacourt, il monastero della Santa Croce dichiara che si è rivolto a S. Ecc. Rev.ma Mons. Richard Williamson perché lo considera un degno difensore della fede cattolica, in grado di confermare nella fede, non solo i monaci del monastero della Santa Croce, ma anche le comunità religiose e i fedeli che guardano con grande preoccupazione alla nefasta politica degli accordi pratici con Roma, prima che questa rinunci ai suoi errori liberali e modernisti.

Perché i cappuccini, i domenicani e anche i benedettini di Bellaigue hanno visto i loro candidati o scartati o minacciati di essere scartati dalla ricezione dell’Ordine sacerdotale, se non per la loro opposizione alla politica degli accordi? E questo perfino quando Roma non voleva l’accordo, almeno per ora.

Tacere le vere ragioni di ciò che stiamo vivendo, significa nascondere la verità.
Perché si è chiesto a Mons. Williamson di cessare la pubblicazione dei suoi “Commenti Eleison”, se non a causa della dottrina esposta in essi?
Perché Mons. Tissier de Mallerais ha dovuto interrompere le sue prediche, se non perché esse contrastano quella stessa politica?
Perché il Padre Koller è stato minacciato di sanzioni, se non perché ha predicato contro questa stessa politica?
Perché i Padri Cardozo, Chazal, Pfeiffer e altri sono stati sanzionati o espulsi, se non a causa della loro opposizione a questa stessa politica?

Preoccupato, Mons. de Galarreta aveva messo sull’avviso già alcuni mesi fa:
«Per il bene della Fraternità e della Tradizione, bisogna richiudere al più presto il “vaso di Pandora”, per evitare il discredito e la demolizione dell’autorità, per evitare le contestazioni, le discordie e le divisioni, forse senza ritorno.»

E Mons. de Galarreta si chiedeva quali fossero le condizioni richieste per una proposta totalmente accettabile, ossia per una vittoria che può essere solo dottrinale perché in questa battaglia tutto è basato sulla fede; e rispondeva rimettendosi ai testi di Mons. Lefebvre, che citava nella sua esposizione.

Vediamo uno di questi testi:
«Non abbiamo lo stesso modo di concepire la riconciliazione. Il Card. Ratzinger la vede nel senso di ridurci, di condurci al Vaticano II. Noi la vediamo come un ritorno di Roma alla Tradizione. Non ci capiamo. È un dialogo fra sordi. Io non posso parlare tanto di avvenire, poiché il mio è alle mie spalle. Ma se vivrò ancora un po’ e supponendo che da qui a qualche tempo Roma faccia un appello, che voglia rivederci, riprendere a parlare, in quel momento sarò io a porre le condizioni. Non accetterò più di trovarmi nella situazione in cui ci siamo trovati al momento dei colloqui. È finita. Io porrò la questione sul piano dottrinale: «Siete d’accordo con le grandi encicliche di tutti i papi che vi hanno preceduto? Siete d’accordo con la Quanta Cura di Pio IX, con le Immortali Dei e Libertas di Leone XIII, con la Pascendi di San Pio X, con la Quas Primas di Pio XI, con l’Humani Generis di Pio XII? Siete in piena comunione con questi papi e con le loro affermazioni? Accettate ancora il giuramento antimodernista? Siete per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo?Se non accettate la dottrina dei vostri predecessori è inutile parlare. Fintanto che non accetterete di riformare il Concilio considerando la dottrina di questi papi che vi hanno preceduto, non vi è dialogo possibile. È inutile.» (Fideliter n° 66-1988, pp. 12-14).

In conclusione: il vaso di Pandora non è stato realmente richiuso, visto che non si sta seguendo la strada tracciata da Mons. Lefebvre.

Ma probabilmente il P. Bouchacourt dirà che non è vero, che al Capitolo Generale è stato risolto tutto. Che tutto è in perfetto ordine. Sfortunatamente non è questa la verità. Il Capitolo Generale ha mantenuto l’obiettivo degli accordi su una base diversa da quella esposta a suo tempo da Mons. Lefebvre. Si leggano iCommenti Eleison di Mons. Williamson sulle sei condizioni e si vedrà che le risoluzioni del Capitolo Generale sono insufficienti e diverse da quelle di Mons. Lefebvre.

Altri diranno: Lei cosa c’entra con questo? C’entro, perché la fede è un bene comune della Chiesa ed io appartengo alla Chiesa, e per di più ho delle responsabilità nei confronti dei monaci della Santa Croce e dei fedeli che ci esprimono la loro fiducia.
E tuttavia, altri diranno: l’obbedienza trasferisce le responsabilità ai superiori e obbedendo non si inganna nessuno. Sfortunatamente le cose non sono così semplici.
Fu così che la maggioranza dei vescovi accettò il Concilio Vaticano II.

Mi si dirà anche: Lei sta contribuendo alla divisione della Tradizione.
E io rispondo che l’unione deve stabilirsi intorno alla verità, cioè intorno alla fede cattolica. E le parole e i comportamenti di Mons. Fellay, sfortunatamente, non sono quelli di un discepolo di Mons. Lefebvre, il quale difese la verità senza concessioni.
Perché zittire Mons. Williamson e Mons. Tissier de Mallerais?
Si veda la lettera dei tre vescovi a Mons. Fellay e ai suoi Assistenti e si leggeranno le ragioni della battaglia della Tradizione e quelle della nostra attitudine.

Corção ripeteva costantemente che una falsa nozione della carità e dell’unione produce profonde devastazioni nella resistenza cattolica. Quando si separa la carità dalla verità, la carità smette di essere carità. Molti, anche tra i suoi amici, lo accusarono di venir meno alla carità con i suoi articoli. Ma la prima carità è dire la verità. Era Corção ad aver ragione, come dimostrano i fatti. La stessa accusa fu rivolta a Mons. Lefebvre.
Sull’unione, Corção diceva scherzando che l’esperienza gli aveva insegnato che, contrariamente al detto popolare “l’unione fa la forza”, egli aveva constatato che spesso l’unione fa la debolezza. E perché?  Perché un’unione al di fuori della verità, un’unione fatta di concessioni, un’unione che sacrifica la fede, è una debolezza che “rende deboli i forti”. Non fu proprio questo che accadde nel Concilio Vaticano II? Per il bene dell’unione con Paolo VI, molti vescovi finirono col firmare documenti inaccettabili. L’unione non fa la forza, al contrario.

Oggi, in seno alla Tradizione ci si chiede di unirci ad ogni costo a coloro che credono che gli errori del Concilio non sarebbero così gravi, a quelli che credono che il 95% del Concilio sarebbe accettabile, che la libertà religiosa dellaDignitatis Humanae sarebbe molto contenuta, che degli errori del Concilio non si debbono fare delle super-eresie. Ma questa non è la verità.
Il Concilio è stato il più grande disastro della storia della Chiesa fin dalla sua fondazione, come diceva Mons. Lefebvre nel suo libro Dal Liberalismo all’Apostasia.
Se si tratta di unirci su questa base, preferisco astenermi e lavorare per la restaurazione integrale della fede cattolica, come ci ha sempre insegnato ed esortato Mons. Marcel Lefebvre, sperando che la Fraternità recuperi nuovamente la fede, come spero che farà, perché ha i mezzi per farlo e può contare su eccellenti vescovi e sacerdoti.

Quanto all’accusa che si ingannerebbero i fedeli, dando la falsa impressione che Mons. Williamson fosse stato invitato con tutti i permessi di Mons. Fellay, posso affermare che non ho mai nascosto a nessuno, già da molto tempo, la nostra opposizione politica nei confronti di Mons. Fellay, e quantunque il popolo brasiliano sia un po’ ingenuo, non credo che lo sia così tanto come pensa Padre Bouchacourt. È il contrario che è certo.
Chi è che non sa che Mons. Williamson è malvisto a Menzingen?
Qui invece è benvisto, perché l’obbedienza è una virtù se è sottomessa alle virtù maggiori e soprattutto alla fede, alla speranza e alla carità.
Fare dell’obbedienza un’arma per paralizzare la Tradizione, significa rinnovare il “colpo da maestro di Satana”, come diceva Mons. Lefebvre, che in nome dell’obbedienza ha indotto tutta la Chiesa alla disobbedienza nei confronti della sua stessa Tradizione.
Noi non lo faremo: dicano ciò che vogliono.
Vi è un problema, e questo problema è di fede ed è grave.
Per quanto ci riguarda, la nostra posizione è definita: appoggiarci ai difensori della fede, come sono stati Mons. Lefebvre, Mons. Antonio de Castro Mayer e San Pio X, e appoggiarci a tutta la Tradizione della Chiesa. Se a causa di questo dovremo soffrire, soffriremo, come ci ha avvisato Nostro Signore: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Tim. 3, 12).

Per quanto riguarda la Fraternità, noi la consideriamo un’opera provvidenziale fondata da un Vescovo che praticò al grado più alto l’eroismo e le virtù più difficili: quelle per le quali Dio ha creato i doni della saggezza, intelligenza, consiglio, fortezza, scienza e timore di Dio.
Noi consideriamo Mons. Lefebvre come una luce che ha brillato nelle tenebre del mondo moderno e la Fraternità è la sua opera e la sua eredità, a condizione però che rimanga fedele alla grazia ricevuta. Noi preghiamo per essa, e se ci opponiamo alla politica di Mons. Fellay non è per un qualche senso di ostilità nei confronti della Fraternità, ma per amore di essa e dello stesso Mons. Fellay, così come amiamo la Santa Chiesa e per amore di essa combattiamo il liberalismo e il modernismo dei suoi nemici che si sono installati nel suo seno.

Che Dio benedica e conservi la Fraternità San Pio X, alla quale dobbiamo tutto il meglio che abbiamo ricevuto, riguardo sia alla fede sia al sacerdozio, che abbiamo ricevuto per mano di Sua Eccellenza Mons. Marcel Lefebvre.

Dom. Tomás de Aquino


8 settembre 2012
, Natività della Santa Vergine Maria

Fonte: Una Vox

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