
DICI: È preoccupato per il ritardo della risposta di
Roma, che potrebbe permettere a coloro che sono contro un riconoscimento
canonico, di allontanare dei sacerdoti e dei fedeli dalla Fraternità San Pio X?
Mons. Fellay: Tutto è nelle mani del Buon Dio. Io ho fiducia
nel Buon Dio e nella sua Divina Provvidenza, Egli sa come condurre ogni cosa,
anche i ritardi, per il bene di quelli che Lo amano.
DICI: La decisione del Papa è rimandata come dicono
certi giornali? La Santa Sede le ha fatto sapere di prevedere del ritardo?
Mons. Fellay: No, non ho saputo di un qualche calendario. Vi
è anche chi dice che il Papa si occuperà di questo dossier a Castel
Gandolfo, nel mese di luglio.
Una soluzione canonica prima di una soluzione dottrinale?
DICI: La maggior parte di coloro che sono contrari
all’accettazione da parte della Fraternità di un eventuale riconoscimento
canonico, avanzano la considerazione che i colloqui dottrinali avrebbero potuto
portare a tale accettazione solo se avessero condotto prima ad una soluzione
dottrinale, cioè ad una «conversione» di Roma. La sua posizione è cambiata su
questo punto?
Mons. Fellay: Bisogna riconoscere che questi colloqui hanno
permesso di esporre chiaramente i diversi problemi che noi riscontriamo a
proposito del Vaticano II. Ciò che è cambiato è che Roma non fa più
dell’accettazione totale del Vaticano II una condizione per la soluzione
canonica. Oggi, a Roma, certuni ritengono che una diversa comprensione del
Concilio non è determinante per l’avvenire della Chiesa, poiché la Chiesa è più
del Concilio. Infatti la Chiesa non si riduce al Concilio, essa è molto più
grande. Occorre dunque dedicarsi a risolvere i problemi più vasti. Questa presa
di coscienza può aiutarci a comprendere ciò che accade realmente: noi siamo
chiamati ad aiutare a portare agli altri il tesoro della Tradizione che abbiamo
potuto conservare.
Sta di fatto che è l’atteggiamento della Chiesa ufficiale
che è cambiato, non noi. Non siamo noi ad aver chiesto un accordo, è il Papa
che ci vuole riconoscere. Ci si può chiedere il perché di questo cambiamento.
Noi continuiamo a non essere d’accordo dottrinalmente, eppure il Papa ci vuole
riconoscere! Perché? La risposta è: oggi vi sono dei problemi terribilmente
importanti nella Chiesa. Occorre trattare questi problemi. Bisogna lasciare da
parte i problemi secondari e occuparsi dei problemi più grandi. Ecco la
risposta dell’uno o dell’altro prelato romano che non verrà mai espressa
apertamente; occorre leggere tra le righe per comprendere.
Le autorità ufficiali non vogliono riconoscere gli errori
del Concilio. Esse non lo diranno mai esplicitamente. Tuttavia, se si legge tra
le righe si può vedere che desiderano rimediare ad alcuni di questi errori.
Ecco un esempio interessante a proposito del sacerdozio. Si sa che a partire
dal Concilio si è avuta una nuova concezione del sacerdozio, che ha demolito la
figura del sacerdote. Oggi si vede molto chiaramente che le autorità romane
cercano di ristabilire la vera concezione del sacerdote. Lo si è già constatato
nell’Anno sacerdotale del 2010-2011. Adesso, la festa del Sacro Cuore diventa
il giorno dedicato alla santificazione dei sacerdoti. In questa occasione è
stata pubblicata una lettera ed è stato redatto un esame di coscienza per i sacerdoti.
Si direbbe che si sia andati a cercare a Ecône tale esame di coscienza,
talmente esso si colloca nella linea della spiritualità pre-conciliare. Questo
esame offre l’immagine tradizionale del sacerdote ed anche del suo ruolo nella
Chiesa. È questo ruolo che Mons. Lefebvre afferma quando descrive la missione
della Fraternità: restaurare la Chiesa per mezzo della restaurazione del
sacerdote.
Nella lettera si dice: «La Chiesa e il mondo possono essere
santificati solo dalla santificazione del sacerdote». Si mette veramente il
sacerdote al centro. L’esame di coscienza comincia con questa domanda: «Mi
propongo seriamente la santità nel mio Sacerdozio?». Seconda domanda: «Il Santo
Sacrificio della Messa - è questa l’espressione utilizzata, non l’eucarestia,
la sinassi o che so io - è il centro della vita mia [del sacerdote] vita
interiore?». In seguito si ricordano i fini della Messa: la lode di Dio, la
preghiera, la riparazione per i peccati… tutto è detto. Il sacerdote deve
immolarsi – non è usato il termine “immolare”, ma “darsi”, sacrificarsi per
salvare le anime. Lo si dice. Poi viene il richiamo ai fini ultimi: « Sono
sollecito nell’assistere ed amministrare i sacramenti ai moribondi? Considero
nella mia meditazione personale, nella catechesi e nella ordinaria predicazione
la dottrina della Chiesa sui Novissimi? Chiedo la grazia della perseveranza
finale ed invito i fedeli a fare altrettanto?». Si può vedere come, abilmente,
questo documento romano richiami chiaramente l’idea tradizionale del sacerdote.
Certo, questo non annulla tutti i problemi, vi sono ancora
della gravi difficoltà nella Chiesa: l’ecumenismo, Assisi, la libertà
religiosa… ma il contesto sta cambiando e non solo il contesto, la situazione
stessa… Io distinguerei tra le relazioni esterne e la situazione interna. Le
relazioni con l’esterno non sono ancora cambiate, ma per ciò che accade nella
Chiesa le autorità romane cercano di cambiarlo un po’ la volta. Evidentemente,
oggi permane ancora un gran disastro, bisogna esserne coscienti, e noi non
diciamo il contrario, ma bisogna anche vedere ciò che si sta facendo. Questo
esame di coscienza per i sacerdoti ne è un esempio significativo.
Quale atteggiamento di fronte ai problemi dottrinali?
DICI: Lei riconosce che permangono delle serie difficoltà
con l’ecumenismo, la libertà religiosa… Se sopraggiungesse un riconoscimento
canonico, quale sarebbe il suo atteggiamento di fronte a queste difficoltà? Non
si sentirebbe tenuto ad una certa riserva?
Mons. Fellay: Permettetemi di rispondere a questa domanda
con tre interrogativi: Le novità che sono state introdotte col Concilio sono
state all’origine di un accresciuto sviluppo della Chiesa, delle vocazioni e
della pratica religiosa? Non constatiamo invece una forma di «apostasia
silenziosa» in tutti i paesi cristiani? Possiamo tacere di fronte a questi
problemi?
Se vogliamo far fruttare il tesoro della Tradizione per il
bene delle anime, dobbiamo parlare e agire. Noi abbiamo bisogno di questa
doppia libertà di parola e di azione. Ma io diffiderei di una denuncia
puramente verbale degli errori dottrinali – denuncia tanto più polemica in
quanto solo verbale.
Con il realismo che lo caratterizzava, Mons. Lefebvre
riconosceva che le autorità romane e diocesane saranno più sensibili alle cifre
e ai fatti presentati dalla Fraternità San Pio X, che agli argomenti teologici.
Così io non esito a dire che, se intervenisse un riconoscimento canonico, le
difficoltà dottrinali verrebbero sempre sottolineate da noi, ma col concorso di
una lezione data con i fatti stessi, segni tangibili della vitalità della
Tradizione. E per questo, come già dicevo nel 2006 a proposito delle tappe del
nostro dialogo con Roma, dobbiamo avere «fede nella Messa tradizionale, questa
Messa che reclama da se stessa l’integrità della dottrina e dei sacramenti,
pegno di ogni fecondità spirituale per le anime».
DICI: Il 2012 non è il 1988, l’anno della sua
consacrazione episcopale. Nel 2009 sono state ritirate le scomuniche, nel 2007
è stato riconosciuto ufficialmente che la Messa tridentina non era «mai stata
abrogata», ma adesso certuni nella Fraternità deplorano che la Chiesa non si
sia ancora convertita. Il loro rifiuto a priori di un riconoscimento canonico è
dovuto a 40 anni di situazione eccezionale che hanno comportato una certa
incomprensione della sottomissione all’autorità?
Mons. Fellay: Ciò che accade adesso mostra chiaramente
alcune delle nostre debolezze di fronte ai pericoli creati dalla situazione in
cui ci troviamo. Uno dei pericoli maggiori è di finire con l’inventarsi un’idea
di Chiesa che parrebbe ideale, ma che in effetti non trova riscontro nella
storia reale della Chiesa. Certuni pretendono che per lavorare «in sicurezza»
nella Chiesa occorra che essa sia preliminarmente ripulita da ogni errore. È
questo che si dice quando si afferma che prima di ogni accordo Roma deve
convertirsi, o che perché si possa lavorare gli errori devono prima essere
stati eliminati. Ma questa non è la realtà. Basta guardare al passato della
Chiesa, spesso e perfino quasi sempre, si vede che nella Chiesa sono
disseminati degli errori. Ora, i santi riformatori, per combattere questi
errori, non l’hanno lasciata. Nostro Signore ci ha insegnato che ci sarà sempre
della mala erba fino alla fine di tempi. Non solo la buona erba, non solo del
grano.
Al tempo degli Ariani, i Vescovi hanno operato in mezzo agli
errori per convincere della verità coloro che si sbagliavano. Non dicevano di
voler rimanere fuori, come dicono oggi certuni. Certo, bisogna sempre fare
molta attenzione a queste parole ‘fuori’, dentro’, perché noi siamo della
Chiesa, noi siamo cattolici. Ma possiamo per questo rifiutarci di convincere
quelli che sono nella Chiesa, col pretesto che sono pieni di errori? Guardiamo
ciò che hanno fatto i santi! Se il Buon Dio ci permette di trovarci in una
situazione nuova, in una battaglia ravvicinata al servizio della verità… Ecco
la realtà che ci presenta la storia della Chiesa. Il Vangelo paragona il
cristiano al lievito, e noi vorremmo che la pasta lievitasse senza trovarci
all’interno della pasta?
In questa situazione, attualmente presentata da certuni come
una situazione impossibile, ci si chiede di venire a lavorare come hanno fatto
tutti i santi riformatori di tutti i tempi. Certamente, questo non elimina il
pericolo. Ma se noi abbiamo sufficiente libertà per agire, per vivere e per
svilupparci, questo si deve fare. Penso davvero che questo si debba fare, a
condizione che noi si abbia la protezione sufficiente.
DICI: Crede che vi siano dei membri della Fraternità che, coscienti o no, sposino le tesi sedevacantiste? Ha paura della loro influenza?
Mons. Fellay: Alcuni possono certo essere influenzati da
tali idee, non è una novità. Io non penso che siano tanto numerosi, ma essi
possono fare del male, specialmente diffondendo delle false dicerie. Ma penso
realmente che la preoccupazione principale tra noi sia piuttosto quella della
fiducia nelle autorità romane, col timore che quello che potrebbe succedere sia
una trappola. Personalmente sono convinto che non sia così.
Da noi non ci si fida di Roma, perché si sono subiti troppi
rovesci, è per questo che si pensa che si possa trattare di una trappola. Vero
è che i nostri nemici possono pensare di utilizzare questa offerta come una
trappola, ma il Papa, che vuole veramente questo riconoscimento canonico, non
ce lo propone come una trappola.
Valutare cosa permetterà la proposta romana in linea di
diritto e di fatto
DICI: Lei ha ripetuto più volte che il Papa vuole
personalmente il riconoscimento canonico della Fraternità. Ha avuto
l’assicurazione personale e recente dal Papa stesso, che si tratta veramente
della sua volontà?
Mons. Fellay: Si, è il Papa che lo vuole e l’ho detto a più
riprese. Sono in possesso di sufficienti elementi precisi per affermare che ciò
che dico è vero, benché io non abbia avuto delle relazioni dirette col Papa, ma
con i suoi stretti collaboratori.
DICI: La lettera del 14 aprile, firmata dagli altri tre
Vescovi della Fraternità, è stata sfortunatamente diffusa su internet,
l’analisi che essa presenta corrisponde alla situazione della Chiesa?
Mons. Fellay: Circa la loro posizione, io non escludo la
possibilità di un’evoluzione. La prima questione, per noi che siamo stati
consacrati da Mons. Lefebvre, era quella della sopravvivenza della Tradizione.
Io penso che se i miei confratelli vedono e comprendono che in linea di diritto
e di fatto nella proposta romana vi è una vera possibilità per la Fraternità di
«restaurare tutto in Cristo», malgrado tutti i problemi che sussistono oggi
nella Chiesa, allora potranno correggere il loro giudizio, - allora, significa
con lo statuto canonico in mano e i fatti sotto gli occhi. Sì, io lo penso. Lo
spero. E noi dobbiamo pregare con questa intenzione.
DICI: Alcuni nel mondo, compresi dei membri della
Fraternità, hanno utilizzato dei passi di un’intervista che lei ha concessa a Catholic
News Services; questi passi sembrano indicare che ai suoi occhi Dignitatis
Humanae non fa più difficoltà. È il modo con cui è stata realizzata questa
intervista che ha modificato il senso di ciò che voleva dire? Qual è la sua
posizione su questo argomento rispetto a ciò che insegnava Mons. Lefebvre?
Mons. Fellay: La mia posizione è quella della Fraternità e
di Mons. Lefebvre. Come sempre, in una materia così delicata dobbiamo stabilire
delle distinzioni, e una parte di queste distinzioni è sparita nell’intervista
televisiva che è stata ridotta a meno di 6 minuti. Ma la relazione scritta che
CNS ha fatto delle mie dichiarazioni ristabilisce ciò che ho detto e che non è
stato compreso nella versione diffusa: «Benché Mons. Fellay rifiuti di avallare
l’interpretazione (della libertà religiosa) di Benedetto XVI, secondo la quale
essa sarebbe in continuità con la Tradizione della Chiesa – una posizione che
molti nella Chiesa hanno discusso con vigore – Mons. Fellay ha parlato
dell’idea in termini sorprendentemente comprensivi». In effetti, io ho solo
ricordato che vi è già una soluzione tradizionale del problema che pone la
libertà religiosa, e si chiama tolleranza. A proposito del Concilio, quando mi
è stata posta la domanda: «Il Vaticano II appartiene alla Tradizione?», io ho
risposto: «Mi piacerebbe sperare che fosse così» (cosa che una scorretta
traduzione francese ha trasformato in «Spero di sì»). Questo si colloca
esattamente in linea con le distinzioni operate da Mons. Lefebvre per leggere
il Concilio alla luce della Tradizione: ciò che è in accordo con la Tradizione,
noi l’accettiamo; ciò che è dubbio, lo comprendiamo come l’ha sempre insegnato
la Tradizione; ciò che è opposto noi lo rifiutiamo.
I rapporti della Fraternità San Pio X con i Vescovi
diocesani
DICI: Una prelatura personale è la struttura canonica
che lei ha indicato in recenti dichiarazioni. Ora, nel Codice, il Canone 297
chiede, non solo d’informare, ma di ottenere l’autorizzazione dei Vescovi
diocesani per fondare un’opera sul loro territorio. Se è chiaro che ogni
riconoscimento canonico preserverà il nostro apostolato nel suo stato attuale,
è disposto ad accettare che le opere future siano possibili solo con il
permesso del Vescovo nelle diocesi in cui la Fraternità non è attualmente
presente?
Mons. Fellay: Vi è molta confusione su questa
questione, ed è causata principalmente da una cattiva interpretazione della
natura della prelatura personale, come dalla non conoscenza della normale
relazione tra l’ordinario del luogo e la prelatura. A questo si aggiunga il
fatto che l’unico riferimento oggi disponibile per una prelatura personale è
quello dell’Opus Dei. Tuttavia, diciamolo chiaramente, se ci venisse accordata
una prelatura personale, la nostra situazione non sarebbe la stessa. Per meglio
comprendere ciò che accadrebbe, bisogna pensare che il nostro statuto sarebbe
molto più simile a quello dell’ordinariato militare, perché avremmo una
giurisdizione ordinaria sui fedeli. Saremmo così una sorta di diocesi la cui
giurisdizione si estende a tutti i suoi fedeli indipendentemente dal loro
collocamento territoriale.
Tutte le cappelle, chiese, priorati, scuole, opere della
Fraternità e delle Congregazioni religiose amiche sarebbero riconosciute con
una reale autonomia per il loro ministero.
Resta vero – secondo il diritto della Chiesa – che per
aprire una nuova cappella o fondare un’opera, sarà necessario avere il permesso
dell’ordinario del luogo. Evidentemente, noi abbiamo rappresentato a Roma
quanto sia difficile la nostra attuale situazione nelle diocesi, e Roma ci sta
ancora lavorando. Qui o là, questa difficoltà sarà reale, ma quando mai la vita
è senza difficoltà? Molto probabilmente avremo anche il problema contrario, che
cioè non saremo in grado di rispondere alle richieste che ci verranno dai
Vescovi amici. Penso a quel tal Vescovo che ci potrebbe chiedere di farci
carico della formazione dei futuri sacerdoti nella sua diocesi.
In nessun modo le nostre relazioni saranno quelle di una
congregazione religiosa con un Vescovo, ma quelle di un Vescovo con un altro
Vescovo, esattamente come avviene con gli Ucraini, gli Armeni nella diaspora. E
quindi se una difficoltà non sarà risolta si andrà a Roma, e vi sarà allora un
intervento romano per dirimere la questione.
Detto per inciso, ciò che è stato riportato su internet
sulle mie dichiarazioni in Austria sull’argomento, il mese scorso, è
interamente falso.
DICI: Se vi è riconoscimento canonico, cosa accadrà
alle cappelle amiche della Fraternità e indipendenti dalla diocesi? I Vescovi
della Fraternità continueranno ad amministrare la cresima, a fornire gli Olii
Santi?
Mons. Fellay: Se esse operano con noi, non vi saranno
problemi: sarà esattamente come adesso. Se no, tutto dipenderà da ciò che
queste cappelle intendono per indipendenza.
DICI: Vi sarà una differenza nelle sue relazioni con le
comunità Ecclesia Dei?
Mons. Fellay: La prima differenza sarà che saranno obbligate
a smetterla di trattarci da scismatici. Per lo sviluppo futuro, è chiaro che
alcune si avvicineranno a noi, poiché ci approvano già con discrezione; altre
no. È il tempo che ci dirà come si svilupperà la Tradizione in questa nuova
situazione. Noi abbiamo delle grandi attese per l’apostolato tradizionale, al
pari di certe importanti personalità a Roma e allo stesso Santo Padre. Nutriamo
grande speranza che col nostro arrivo la Tradizione si svilupperà.
DICI: Sempre se vi sarà un riconoscimento canonico,
darà la possibilità a dei Cardinali di Curia o a dei Vescovi, di visitare le
nostre cappelle, di celebrare la Messa, di amministrare le cresime, forse anche
di conferire le ordinazioni nei nostri seminari?
Mons. Fellay: I Vescovi favorevoli alla Tradizione, i
Cardinali conservatori si avvicineranno. È da prevedere tutto uno sviluppo,
senza che se ne conoscano i dettagli. Certo vi saranno anche delle difficoltà,
cosa che è del tutto normale. Non v’è dubbio che si verrà a visitarci, ma per
una collaborazione più precisa, come la celebrazione della Messa o le
ordinazioni, questo dipenderà dalle circostanze. Come ci auguriamo che la
Tradizione si svilupperà, così speriamo di vedere la Tradizione svilupparsi nei
Vescovi e nei Cardinali. Un giorno tutto sarà armoniosamente tradizionale, ma
quanto tempo ci vorrà solo Dio lo sa.
DICI: Nell’attesa della decisione romana, quali sono le sue disposizioni interiori’ Quali sono quelle che si augura per i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione?
Mons. Fellay: Quando nel 1988 Mons. Lefebvre annunciò che
avrebbe consacrato quattro Vescovi, alcuni lo incoraggiarono a farlo e altri
tentarono di dissuaderlo. Ma il nostro Fondatore conservava la pace, poiché
aveva in vista solo la volontà di Dio e il bene della Chiesa. Oggi, bisogna
avere le stesse disposizioni interiori. Come il suo santo Patrono, la
Fraternità San Pio X ha la volontà di «restaurare tutto in Cristo», certuni
dicono che non è il momento, altri al contrario che è il momento opportuno. Da
parte mia so solo una cosa: è sempre il momento di fare la volontà di Dio ed
Egli ce la fa conoscere al tempo opportuno, a condizione che noi ci dimostriamo
ricettivi alle sue ispirazioni. Per questo ho chiesto ai sacerdoti di rinnovare
la consacrazione della Fraternità San Pio X al Sacro Cuore di Gesù, per la sua
festa, il prossimo 15 giugno, e di prepararvisi con una novena nel corso della
quale saranno recitate le litanie del Sacro Cuore in tutte le nostre case.
Tutti vi si possono associare chiedendo la grazia di diventare docili strumenti
della restaurazione di tutte le cose in Gesù Cristo.
Fonte: DICI n°256 del 08/06/12
Ed ecco l'Esame di Coscienza per Sacerdoti cui fa riferimento
Mons. Fellay nella sua intervista
ESAME DI COSCIENZA PER I SACERDOTI
1. «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi
consacrati nella verità» (Gv 17,
19)
Mi propongo seriamente la santità ne l mio sacerdozio? Sono
convinto che la fecondità del mio ministero sacerdotale viene da Dio e
che, con la grazia dello Spirito Santo, devo identificarmi con Cristo e dare la mia vita per la salvezza
del mondo?
2. «Questo è il mio corpo» (Mt 26,26)
Il Santo Sacrificio della Messa è il centro della mia vita
interiore? Mi preparo bene, celebro devotamente e dopo, mi raccolgo in ringraziamento?
La Messa costituisce il punto di riferimento abituale nella mia giornata per lodare
Dio, ringraziarlo dei suoi benefici, ricorrere alla sua benevolenza e riparare per i
miei peccati e per quelli di tutti gli uomini?
3. «Lo zelo per la tua casa mi divora» (Gv 2, 17)
Celebro la Messa secondo i riti e le norme stabilite, con
autentica motivazione, con i libri liturgici approvati? Sono attento alle sacre specie
conservate nel tabernacolo, rinnovandole periodicamente? Conservo con cura i vasi sacri?
Porto con dignità tutte le vesti sacre prescritte dalla Chiesa, tenendo presente che
agisco in persona Christi Capitis?
4. «Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9)
Mi procura gioia rimanere davanti a Gesù Cristo presente nel
Santissimo Sacramento, nella mia meditazione e silenziosa adorazione? Sono fedele
alla visita quotidiana al Santissimo Sacramento? Il mio tesoro è nel tabernacolo?
5. «Spiegaci la parabola» (Mt 13, 36)
Faccio ogni giorno la mia meditazione con attenzione,
cercando di superare qualsiasi tipo di distrazione che mi separi da Dio, cercando la luce
del Signore che servo? Medito assiduamente la Sacra Scrittura? Recito con attenzione le
mie preghiere abituali?
6. È necessario «pregare sempre, senza stancarsi» (Lc 18,
1)
Celebro quotidianamente la Liturgia delle Ore integralmente,
degnamente, attentamente e devotamente? Sono fedele al mio impegno con Cristo in
questa dimensione importante del mio ministero, pregando a nome di tutta la
Chiesa?
7. «Vieni e seguimi» (Mt 19, 21)
È, nostro Signore Gesù Cristo, il vero amore della mia vita?
Osservo con gioia l’impegno del mio amore verso Dio nella continenza
celibataria? Mi sono soffermato coscientemente su pensieri, desideri o atti impuri; ho
tenuto conversazioni sconvenienti?
Mi sono messo nell’occasione prossima di peccare contro la
castità? Ho custodito il mio sguardo? Sono stato prudente nel trattare con le varie
categorie di persone? La mia vita rappresenta, per i fedeli, una testimonianza del fatto che
la purezza è qualcosa di possibile, di fecondo e di lieto?
8. «Chi sei Tu?» (Gv 1, 20)
Nella mia condotta abituale, trovo elementi di debolezza, di
pigrizia, di fiacchezza? Le mie conversazioni sono conformi al senso umano e
soprannaturale che un sacerdote deve avere? Sono attento a far sì che nella mia vita non si
introducano particolari superficiali o frivoli? In tutte le mie azioni sono coerente
con la mia condizione di sacerdote?
9. «Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,
20)
Amo la povertà cristiana? Ripongo il mio cuore in Dio e sono
distaccato, interiormente, da tutto il resto? Sono disposto a rinunciare, per servire
meglio Dio, alle mie comodità attuali, ai miei progetti personali, ai miei legittimi
affetti? Possiedo cose superflue, ho fatto spese non necessarie o mi lascio prendere dall’ansia
del consumismo? Faccio il possibile per vivere i momenti di riposo e di vacanza alla
presenza di Dio, ricordando che sono sempre e in ogni luogo sacerdote, anche in quei
momenti?
10. «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli
intelligenti e le hai rivelate ai piccoli»
(Mt 11, 25)
Ci sono nella mia vita peccati di superbia: difficoltà
interiori, suscettibilità, irritazione, resistenza a perdonare, tendenza allo scoraggiamento, ecc.?
Chiedo a Dio la virtù dell’umiltà?
11. «E subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19, 34)
Ho la convinzione che, nell’agire «nella persona di Cristo»,
sono direttamente coinvolto nel medesimo Corpo di Cristo, la Chiesa? Posso dire
sinceramente che amo la Chiesa e che servo con gioia la sua crescita, le sue cause, ciascuno
dei suoi membri, tutta l’umanità?
12. «Tu sei Pietro» (Mt 16, 18)
Nihil sine Episcopo – niente senza il Vescovo – diceva
Sant’Ignazio di Antiochia: queste parole sono alla base del mio ministero sacerdotale?
Ho ricevuto docilmente comandi, consigli o correzioni dal mio Ordinario? Prego
specialmente per il Santo Padre, in piena unione con i suoi insegnamenti e intenzioni?
13. «Che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34)
Ho vissuto con diligenza la carità nel trattar e con i miei
fratelli sacerdoti o, al contrario, mi sono disinteressato di loro per egoismo, apatia o
noncuranza? Ho criticato i miei fratelli nel sacerdozio? Sono stato accanto a quanti
soffrono per la malattia fisica o il dolore morale? Vivo la fraternità affinché nessuno sia solo?
Tratto tutti i miei fratelli sacerdoti e anche i fedeli laici con la stessa carità e
pazienza di Cristo?
14. «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6)
Conosco in profondità gli insegnamenti della Chiesa? Li
assimilo e li trasmetto fedelmente? Sono consapevole del fatto che insegnare ciò che
non corrisponde al Magistero, sia solenne che ordinario, costituisce un grave
abuso, che reca danno alle anime?
15. «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11)
L’annuncio della Parola di Dio porta i fedeli ai sacramenti.
Mi confesso con regolarità e con frequenza, conformemente al mio stato e alle cose sante
che tratto? Celebro con generosità il sacramento della riconciliazione? Sono
ampiamente disponibile alla direzione spirituale dei fedeli dedicandovi un tempo
specifico? Preparo con cura la predicazione e la catechesi? Predico con zelo e con amore di
Dio?
16. «Chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da
lui» (Mc 3, 13)
Sono attento a scorgere i germi di vocazione al sacerdozio e
alla vita consacrata? Mi preoccupo di diffondere tra tutti i fedeli una maggiore
coscienza della chiamata universale alla santità? Chiedo ai fedeli di pregare per le
vocazioni e per la santificazione del clero?
17. «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma
per servire» (Mt 20, 28)
Ho cercato di donarmi agli altri nel quotidiano, servendo
evangelicamente? Manifesto la carità del Signore anche attraverso le opere? Vedo nella
Croce la presenza di Gesù Cristo e il trionfo dell’amore? Impronto la mia quotidianità
allo spirito di servizio? Considero anche l’esercizio dell’autorità legata all’ufficio
una forma imprescindibile di servizio?
18. «Ho sete» (Gv 19, 28)
Ho pregato e mi sono sacrificato veramente e con generosità
per le anime che Dio mi ha affidato? Compio i miei doveri pastorali? Ho sollecitudine
anche per le anime dei fedeli defunti?
19. «Ecco il tuo figlio! Ecco la tua madre!» (Gv 19,
26-27)
Ricorro pieno di speranza alla Santa Vergine, Madre dei
sacerdoti, per amare e far amare di più suo Figlio Gesù? Coltivo la pietà mariana?
Riservo uno spazio in ogni giornata per il Santo Rosario? Ricorro alla Sua materna
intercessione nella lotta contro il demonio, la concupiscenza e la mondanità?
20. «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,
44)
Sono sollecito nell’assistere ed amministrare i sacramenti
ai moribondi? Considero nella mia meditazione personale, nella catechesi e nella ordinaria
predicazione la dottrina della Chiesa sui Novissimi? Chiedo la grazia della
perseveranza finale ed invito i fedeli a fare altrettanto? Offro frequentemente e con devozione i
suffragi per le anime dei defunti?
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