lunedì 20 dicembre 2010

Una prima sintesi del Convegno di Roma, promosso dai Francescani dell'Immacolata sul Vaticano II

 
 
Sabato 18 dicembre scorso, all'ombra del colonnato di S. Pietro, si è concluso il Convegno di studi sul Concilio Vaticano II iniziato giovedì 16, che ha portato all'attenzione dei convegnisti e della Chiesa tutta significative e profonde analisi, sotto il profilo storico - filosofico - teologico, della dichiarata "pastoralità" conciliare.

I presenti si sono trovati immersi in uno di quei percorsi della mente e del cuore che lasciano il segno e costituiscono una tappa importante di un itinerario tutto da proseguire.

Abbiamo ascoltato voci ‘sapienti’, trattazioni magistrali, che ci hanno introdotti in modo limpido e avvincente in analisi capaci di aprire molti usci, ulteriori orizzonti di comprensione, che orientano e quindi rinsaldano la nostra identità cattolica mentre, a chi è in ricerca, forniranno chiavi di lettura di una realtà per decenni indirizzata unidirezionalmente verso una autocoscienza della Chiesa cangiante e mutevole secondo l’ermeneutica della discontinuità di conio modernista. Il rischio: staccare l’albero della Tradizione dalle radici e dall’humus vitale che la rende feconda, veramente viva e vitalizzante perché portatrice di una Presenza, che ne sancisce l’atto di nascita…

Tradizione ‘viva’, quindi, che torna sempre alle origini, mai indietro: questa è vera Tradizione, che è la forza di un organismo vivente. Non Tradizione ‘vivente’, (ricorrente ambiguità nell’uso dei termini, suscettibili di interpretazioni plurime) com’è definita dai novatores, dove vivente acquista il significato di mutevole, a seconda della moda del momento, sempre nuova in base ai criteri immanentistici antropocentrici e storicistici post illuministi che si ispirano al sentimentalismo, al romanticismo e forniscono di volta in volta unicamente risposte a domande contingenti. E pretendono di conformare il dogma e la dottrina alle molteplici variazioni del fragile pensiero umano, anziché ancorarli alla Divina Rivelazione, che è Soprannaturale e non ci chiude nell'orizzontalità antropocentrica modernista…

Il Convegno continua e completa quindi lo sdoganamento del lungo pesante silenzio imposto dall'attuale cultura egemone di stampo modernista, con la confutazione sempre più consapevole dei 'mantra' della ininterrotta celebrazione del Vaticano II, per effetto del quale si è tentato di oltrepassare la Tradizione snaturandone l’essenza.

E così esso dà inizio ad un fecondo percorso tutto da affrontare con impegno e competenza e che proseguirà, per promuoverne la soluzione, il confronto tra due visioni inconciliabili della chiesa, di fatto aperto da Benedetto XVI nel suo discorso alla curia del 2005, nel quale il Papa ha parlato della contrapposizione tra due ermeneutiche del concilio: quella della 'continuità' e quella della 'discontinuità'. Il punto di cui si parte trova le sue coordinate anche in alcuni eventi recenti:
  • è stata dissepolta da una lunga damnatio memoriae l'opera filosofica di Romano Amerio;
  • si è imposta l'opera teologica di mons. Gherardini
  • ci soccorre la recentissima opera storica del Prof. De Mattei, che mostra l'evidenza, di cui ormai molti sono consapevoli, che i problemi di stesura e di lettura dei testi conciliari nascono ben prima dell'assise vaticana e sono frutto di una teologia e di una filosofia votate alla "rottura" con il passato.
A questo riguardo, e prima di proseguire l'excursus sui lavori del convegno, vorrei evidenziare, dalla Postfazione a Iota unum di Romano Amerio (Ed. Lindau) che sintetizza la tesi del libro, che le ermeneutiche sul concilio Vaticano II oggi individuabili possono essere tre:
  1. la prima: è l’ermeneutica sofistica estrema della “scuola di Bologna” (da Dossetti ad Alberigo e poi Melloni) e in generale di tutta la “nouvelle théologie” (Congar, Daniélou, De Lubac, Ranher, Schillebeeckx, von Balthasar ecc.); è ateoretica, dunque opinativa; essa promuove e spera la discontinuità e la rottura delle essenze tra Chiesa precedente e Chiesa seguente il Vaticano II: un punto e a capo, sotto la copertura delle equivocità testuali;
  2. la seconda: è l’ermeneutica sofistica moderata dei Papi che hanno promosso, attuato e poi seguito il concilio; è anch’essa ateoretica, dunque non può rientrare (e di fatto non rientra) nel dogma: non è vincolante; al contrario però della prima, che peraltro la formò e produsse, essa studia in tutti i modi di dare continuità tra essenza pre e post conciliare, cercando di piegare al senso della Tradizione le ambiguità e le equivocità testuali messe in luce da Romano Amerio e ora da altri autorevoli teologi e storici del nostro tempo;
  3. la terza: è l’ermeneutica veritativa di Amerio e, in generale, di tutti quei cattolici sospinti (ma solo dopo l’assise del Vaticano II) nel cosiddetto “tradizionalismo” - che poi non è un ismo, ma amore per la Tradizione; l’ermeneutica veritativa di Amerio è teoretica, dunque indiscutibile e, nella misura in cui si appoggia alla Tradizione, vincolante; essa riscontra e denuncia nel Vaticano II il tentativo di rottura e di discontinuità con l’essenza: basta ricordare la libertà religiosa, l’ecumenismo ad ogni costo col rischio di omogeneizzazione e perdita dell’identità cattolica, i tagli selvaggi alla struttura millenaria del Rito Romano. Va aggiunto, peraltro, che, per fede, l’irrealizzabilità di tale tentativo è da tutti gli amanti della Tradizione assolutamente creduta e da Amerio, come sopra accennato e nella Postfazione evidenziato (§ 3 b, pp. 698 sgg), anche solidamente dimostrata, di modo che il Trono più alto e tutta la Chiesa ne possano tornare al più presto a beneficiare.
Al punto in cui siamo riesce difficile immaginare che, nello scontro dichiarato con la scuola progressista, possano rimanere in piedi quelle vie di mezzo lacerate tra la constatazione del disastro e l'ossessiva riproposizione del mantra secondo cui la ragione della crisi consisterebbe nella mancata applicazione integrale del concilio.

Tornando al Convegno: dopo la prolusione di Mons. Negri, Mons. Gherardini [approfondiremo nell'articolo che verrà dedicato ad hoc] ha affermato che il Vaticano II non fu, solo perché non doveva esserlo, un Concilio dogmatico e tutto sommato nemmeno disciplinare. Volle esser soltanto pastorale. La parola percorre tutti i documenti e gli ambiti conciliari sia come aggettivo che come aggettivo sostantivato. Eppure, nonostante i tanti interventi interni ed esterni, il genuino significato della sua dichiarata pastoralità è ancora tra le nebbie... S’impone, a questo punto, un giudizio sereno ed obiettivo sulla qualità complessiva del Vaticano II, che affrettatamente ed ingenuamente fu chiuso nell’area pastorale. Chi ha dimestichezza non con la sola Gaudium et Spes, ma con tutt’i sedici documenti conciliari, si rende ben conto che la varietà tematica e la corrispettiva metodologia collocano il Vaticano II su quattro livelli, qualitativamente distinti:
  1. quello generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico;
  2. quello specifico del taglio pastorale;
  3. quello dell’appello ad altri Concili;
  4. quello delle innovazioni.
Si è evidenziato (1) come la lettura progressista enfatizzi il concilio come "evento" fondante della "nuova Pentecoste" e, dando priorità all'evento-impulso di novità che si voleva imprimere, ha fatto e fa sì che l'evento assorba il testo e lo sposti nella sua ricezione, ma si è anche constatato con De Mattei come le pericolose spinte eversive, dentro e fuori l'aula conciliare, non abbiano dato vita ad un soggetto in qualche modo nuovo; il che ha espulso dall' orizzonte storiografico il concetto mitico di "evento conciliare", eliminando automaticamente con esso quello di "nuova chiesa".

Tuttavia, nella pastorale, e quindi nella prassi, qualcosa di significativo è accaduto e le 'novità' di fatto introdotte hanno avuto gli effetti che oggi stiamo constatando, oscurando e in molti casi silenziando (anche il silenzio comunica qualcosa) le verità di fede, che vanno riaffermate con la dovuta chiarezza e veritativa autorità. Su questo si sono trovati concordi i relatori nelle loro conclusioni.

A questo proposito, Mons. Schneider, dopo un lungo e articolato excursus di taglio teologico pastorale sulle "luci del Concilio" - che si collocano in quel livello, citato da Mons. Gherardini, nel quale il concilio riprende le verità già definite - ha affermato che la 'rottura' si manifesta nella svolta antropocentrica e nel campo Liturgico, mentre nella Sacrosantum Concilium non ce n'è traccia, ed è individuabile nel chiasso ermeneutico delle applicazioni contrastanti e nei gruppi eterodossi. In conclusione, ha invocato un "sillabo" con valore dottrinale, con completamenti e correzioni autorevoli in campo liturgico e pastorale.

Le altre relazioni hanno offerto riflessioni e puntualizzazioni basilari: sull'analisi filosofica della modernità; sui fatti e influssi al Concilio; sulla formazione permanente del Clero alla luce della P.O.; dove hanno condotto gli esperimenti pastorali; sulla distinzione tra dogmatica e pastorale nell'applicazione pratica dei principi; sulla rinnovazione all'interno della Tradizione; sulla Sacrosanctum concilium e la sua applicazione; sul diritto nell'edificazione della Chiesa.

Con questa riflessione ho voluto fare il mio personale 'punto nave' della situazione. Nei prossimi articoli conto di articolare le riflessioni a partire dalla sintesi delle più significative relazioni degli illustri relatori, la cui pubblicazione integrale, curata dai Francescani dell'Immacolata, sarà disponibile a breve termine.
(Maria Guarini)
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(1) con p. Serafino Lanzetta, la cui relazione sull'approccio teologico allo status questionis [che approfondiremo successivamente] consente una verifica delle diverse posizioni ermeneutiche attraverso alcuni autori come modelli che ritornano (Card. Parente, Rahner, Laurentin, Kung,...) e sviluppa la sua analisi attraverso tre punti salienti:
  1. il Vaticano II è instrinsecamente compromesso?
  2. nella difficoltà ermeneutica si nasconde la carenza della metafisica: problema di forma e di sostanza (la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo, ma accantonare la metafisica è significato accantonare la fede che è messa in un angolo);
  3. necessità di individuare i punti equivoci delle posizioni teologiche per il giusto orientamento ermeneutico

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