Concilio Ecumenico Vaticano II
Un Concilio pastorale analisi storico-filosofico-teologica
Il Concilio Vaticano II non è più un tabù. Questa sorprendente e provvidenziale realtà è stata sancita innanzitutto con lo storico discorso alla Curia romana di Benedetto XVI del 5 dicembre 2005, quando il Papa rimise sul tavolo delle questioni il Concilio stesso parlando di "ermeneutica della continuità", evidenziando perciò una lettura conciliare alla luce della Tradizione, elemento necessario, fondante e imprescindibile della Chiesa. Pareva che il "superdogma" conciliare fosse intoccabile e chi tentava di trattarlo, senza glorificarlo, veniva guardato con grande sospetto, come fosse un nemico, che occorreva tenere a debita distanza e del quale bisognava diffidare… A confermare ulteriormente che il Concilio non è più un tabù è stato in questi giorni il significativo e bellissimo Convegno di studi "per una giusta ermeneutica alla luce della Tradizione della Chiesa" che è stato organizzato dal Seminario teologico "Immacolata Mediatrice" dei Francescani dell’Immacolata. L’iniziativa, dal titolo "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un Concilio pastorale analisi storico-filosofico-teologica", è stata una prima seria risposta al dibattito aperto dal Sommo Pontefice: un’eccellente sintesi delle ricerche sul Concilio e sulle ermeneutiche, sul valore dei documenti conciliari, sull’esame dei punti meno chiari e più problematici.
L’importante evento, quasi apripista per altre iniziative di questo carattere, si è tenuto a Roma nei giorni 16-17-18 dicembre all’Istituto Maria SS. Bambina (via Paolo VI 21) e ha visto alternarsi sulla cattedra nomi di altissimo livello: Monsignor Luigi Negri (Vescovo di Marino-Montefeltro), Monsignor Brunero Gherardini (Pontificia Università Lateranense), Don Rosario M. Sammarco (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Don Ignacio Andereggen (Professore all’Università Pontificia Gregoriana), Professor Roberto de Mattei (Università Europea di Roma), Professor Yves Chiron (Direttore del Dictionnaire de biographie française), Don Paolo M. Siano (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Don Giuseppe Fontanella (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Monsignor Atanasio Schneider (Vescovo ausiliare di Karaganda, Kazakistan), Don Serafino M. Lanzetta (Professore al Seminario Teologico Immacolata Mediatrice), Don Florian Kolfhaus (Dottore della Segreteria di Stato del Vaticano), Monsignor Agostino Marchetto (Segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti), Don Nicola Bux (Professore all’Istituto ecumenico di Bari), Cardinale Velasio de Paolis (Presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede).
Al raduno di Roma, destinato a rimanere agli atti della storia, sia per il numero e la qualità dei relatori, sia per la materia trattata, erano presenti anche il Cardinale Walter Brandmüller e il segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Monsignor Guido Pozzo e altri membri della Curia romana.
Dopo quarantacinque anni di culto conciliare, dove la prassi ha compiuto un’opera secolarizzante a vasto raggio, svuotando seminari e chiese e demotivando la Fede stessa, è giunto il momento di fare un’accurata riflessione su ciò che è stato il Concilio, su come sono stati condotti i lavori preconciliari e quelli propriamente conciliari. Insomma, è giunto finalmente il tempo di tornare ai contenuti della Fede e di analizzare tutto alla loro luce, dopo l’euforia innovativa e gli entusiasmi di una presunta "nuova Pentecoste", che aveva la specifica tensione a rendere antropomorfe le realtà soprannaturali; euforia ed entusiasmi tipici degli anni Sessanta, carichi di rivoluzionaria voglia di novità.
Con grande onestà intellettuale, il Convegno ha offerto il suo apporto su ciò che il Concilio è stato. Esami approfonditi e sistematici sono stati presentati con grande rigore e spessore intellettuale, facendo presente anche l’ambiguità di certuni testi conciliari, un’ambiguità che, ormai, nessuno può più far finta di non vedere o trascurare, visto che dai frutti si riconosce l’albero: "Voi li riconoscerete da' frutti loro; colgonsi uve dalle spine, o fichi da' triboli?" (Mt 7,16).
Ha dichiarato Don Kolfhaus (nel suo intervento dal titolo "Annuncio di un insegnamento pastorale-motivo fondamentale del Vaticano II. Ricerche su Unitatis redintegratio, Dignitatis humanae e Nostra aetate"): "Il Concilio Vaticano II voleva essere un concilio pastorale, cioè orientato alle necessità del suo tempo, rivolto all’ordine della prassi. Il cardinal Ratzinger già nel 1988 davanti ai vescovi del Cile affermava che il Concilio stesso non ha definito alcun dogma e volle coscientemente esprimersi a un livello inferiore, come concilio puramente pastorale". Tuttavia, proprio questo "concilio pastorale" – proseguiva il cardinal Ratzinger – viene interpretato "come se fosse quasi un superdogma, che priva di significato tutti gli altri concili". Noi tutti lo constatiamo giorno per giorno: molti difendono il carattere vincolante e il significato del Vaticano II, che senza dubbio ci sono, ma solo pochi ricordano i venti concili dogmatici precedenti. In effetti, non mancano oggi forti richiami che mettono in guardia da un arretramento rispetto al Concilio e da una sua arbitraria svalutazione. Ciò è fuori discussione, non si tratta di questo. Al contrario: quello che finora è l’ultimo concilio può essere rettamente compreso solo se rimane inserito nel magistero vivo di tutti i precedenti. E d’altra parte, il Vaticano II è stato un concilio come mai ve ne erano stati prima. Questa affermazione troverà d’accordo tutti, per quanto differenti possano essere le valutazioni su di esso. Nessun nuovo dogma, nessun solenne anatema, differenti categorie di documenti rispetto ai concili precedenti; e ciononostante il Vaticano II deve essere compreso nella continuità ininterrotta del Magistero, poiché esso fu un concilio della Chiesa legittimo, ecumenico e dotato della relativa autorità".
Il problema centrale è la tensione creata dal concetto di "Concilio pastorale" o di "Magistero pastorale". Il Vaticano II ha introdotto, non sul piano concettuale, ma su quello della prassi, un nuovo tipo di Concilio. Qui non è in discussione il carattere vincolante del Magistero, che, anche quando non si tratta di dogmi, ovvero di definizioni infallibili della dottrina rivelata, si pronuncia in questioni di fede e morale con autorità, cioè esigendo consenso o obbedienza. Si tratta piuttosto della questione se il Magistero, inteso almeno come esercizio del "munus determinandi", sia affatto presente in tutti i documenti.
"Il Concilio non ha proclamato nessun nuovo dogma, ma ha forse esercitato un magistero paragonabile a quello del Papa nelle sue encicliche?" ha posto il quesito Don Kolfhaus, al quale ha così risposto: "Nei decreti e nelle dichiarazioni non si tratta dell’affermazione magisteriale di verità, bensì dell’agire pratico, cioè della pastorale come conseguenza della dottrina. Nella teologia manca un concetto per questo magistero pastorale […]. Non si può fare a meno di rimproverare a certi teologi "moderni" un atteggiamento conservatore, poiché essi non di rado guardano ai decreti e alle dichiarazioni del Vaticano II come a testi dogmatici, che definiscono "nuove" verità. Il Concilio stesso non voleva questo". Per esempio, a riguardo della dichiarazione sul dialogo interreligioso, il 18 novembre 1964, il relatore del Segretariato per l’unità dei cristiani dichiarò nell’aula conciliare: "Per quanto concerne lo scopo della dichiarazione, il Segretariato non vuole emanare alcuna dichiarazione dogmatica sulle religioni non cristiane, bensì presentare norme pratiche e pastorali" (cfr. Acta Synodalia (AS) III/8. 644). Quanti teologi, invece, richiamandosi proprio alla Nostra aetate, da questi principi miranti alla prassi del dialogo hanno elaborato una teologia delle religioni che vede nelle fedi non cristiane vie di salvezza autentiche e indipendenti da Cristo e dalla sua Chiesa? Ha ancora spiegato il rappresentante della Segreteria di Stato: "Quanto spesso si è sostenuto, citando la Unitatis Redintegratio, che il Vaticano II avrebbe rinunciato alla "pretesa di assolutezza" della Chiesa, la quale dovrebbe comprendersi finalmente come una tra molte chiese? Chi legge gli atti, resta sorpreso. Nel decreto sull’ecumenismo si dichiara espressamente che le sue asserzioni non toccano nel modo più assoluto la verità dell’assioma "Extra Ecclesiam nulla salus" (cfr. AS III/7. 32) e che non v’è alcun dubbio che solo la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo ("Clare apparet identificatio Ecclesiae Christi cum Ecclesia catholica … dicitur … una et unica Dei Ecclesia" AS II/7. 17.)".
I Padri conciliari e i loro teologi, nelle cartelle portadocumenti, avevano i libri scolastici (preconciliari, dunque) utilizzati nei loro anni di studio, perciò, ha ancora sostenuto Kolfhaus: "Chi conosce a memoria le risposte del catechismo può usare con la coscienza tranquilla immagini ed espressioni nuove, quando si tratta di utilizzare la dottrina cattolica nella pratica e in un modo conforme ai tempi. La pastorale poggia sulla dottrina, la prassi presuppone la retta dottrina. Il rovesciamento di questo ordine porta troppo facilmente a far sì che con "una nuova realtà pastorale" si sviluppi una "nuova" dottrina. Esempi di ciò ve ne sono in abbondanza nella vita quotidiana delle comunità ecclesiali. Questo vale anche per molti teologi che – sorridendo delle semplici verità del catechismo – considerano le affermazioni pastorali conciliari alla stregua di asserti dottrinali, per poi sviluppare di qui nuove posizioni (personali)". Proprio a questo riguardo si può individuare il grande problema che, prima o poi, dovrà essere preso in considerazione e risolto. Un Concilio, il XXI, non può per la sua caratterizzazione pastorale, nel deludente tentativo di confrontarsi e dialogare con il mondo, ergersi a solenne interprete dei venti concili precedenti.
È indubbio che urge mettere ordine e delineare le diverse terminologie per fare, innanzitutto, un distinguo fra "magistero dottrinale", "magistero disciplinare", "magistero pastorale" e dunque definire il "Concilio pastorale", l’unico della Storia della Chiesa.
In questa sistematizzazione trovano ampia risonanza i due volumi di immenso valore di monsignor Brunero Gherardini, illustre esponente della Scuola teologica romana: Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana Editrice 2009) e Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa (Casa Mariana Editrice 2010). Il teologo Gherardini nel suo illuminante e chiarificatore intervento ha esordito facendo riferimento ad una figura allegorica: "C’era una volta l’Araba Fenice. Tutti ne parlavano, ma nessuno l’aveva mai vista. E c’è oggi una sua versione aggiornata, di cui pure tutti parlano e nessuno sa dire di che cosa si tratti: si chiama Pastorale. […]. La pastorale come aggettivo qualificativo o come aggettivo sostantivato ricorre in effetti decine e decine di volte. Non una sola, però, per darne se non la definizione, almeno un accenno di spiegazione. Riconosco che, analizzando criticamente le varie dichiarazioni, è possibile farsene una vaga idea; essa, però, non sarebbe espressione diretta dell’insegnamento conciliare. L’esempio più probante è dato da Gaudium et spes, qualificata addirittura come "Costituzione pastorale", tutta essendo un fermento ideale e propositivo a favore dell’uomo, della sua libertà e dignità, della sua presenza nella famiglia, nella società, nella cultura e nel mondo, allo scopo di conferire alla vita privata e pubblica un respiro ed una dimensione a misura umana. L’abbinamento dei due lemmi – Costituzione pastorale - è la novità più novità di tutto il Vaticano II […]. È forse dipeso da questa irrisolta aporia la problematicità che accompagna tuttora, dopo circa mezzo secolo di postconcilio, ogni discorso sulla pastorale. In pratica, essa serve per legittimar un po’ tutto ed il suo stesso contrario. Le due ermeneutiche conciliari, alle quali s’è spesso riferita l’analisi del Santo Padre, quella che fa del Vaticano II l’inizio d’un nuovo modo d’esser Chiesa e quella che lo collega invece alla vivente Tradizione ecclesiale, son ambedue legittimate dall’irrisolta aporia".
Chi ha dimestichezza non solo con la Gaudium et spes, ma con tutti i sedici documenti conciliari, ha proseguito monsignor Gherardini, si rende conto che la varietà tematica e la corrispettiva metodologia collocano il Vaticano II su quattro livelli, qualitativamente distinti (è possibile ascoltare l’intera conferenza di Monsignor Gherardini su http://catholicafides.blogspot.com/ connettendosi sulla TV dei Francescani dell'Immacolata):
1. Generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico;
2. Specifico del taglio pastorale;
3. Dell’appello ad altri Concili;
4. Delle innovazioni.
Da ciò si deduce che molti teologi e interpreti del post-Concilio dogmatizzarono un Concilio che si volle pastorale, facendone altro rispetto a ciò che si prefisse chi lo convocò.
Altra rilevante relazione è stata quella del professor Roberto de Mattei, autore del recente e importante volume Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau 2010), giunto in pochi giorni alla seconda edizione: un testo fondamentale per chi vuole comprendere veramente la storia di questo snodo della vita della Chiesa e non continuare, pervicacemente, a coprirsi gli occhi. Il professore ha evidenziato come il Concilio Vaticano II non può essere presentato come un evento che nasce e muore nello spazio di tre anni, trascurando le profonde radici e le profonde conseguenze che ebbe nella Chiesa. Fu, per il professor de Mattei, una vera e propria Rivoluzione in seno alla Chiesa; inoltre non è sostenibile la tesi di poter separare il Concilio dal post-Concilio, come non lo è quella di separare i testi conciliari dal contesto pastorale in cui furono prodotti. "Ancora oggi viviamo le conseguenze della "Rivoluzione conciliare" che anticipò e accompagnò quella del Sessantotto. Perché nasconderlo? La Chiesa, come affermò Leone XIII, aprendo agli studiosi l’Archivio Segreto Vaticano, "non deve temere la verità"".
Il Vescovo ausiliare di Karaganda, monsignor Atanasio Schneider, si è soffermato sul concetto di interpretazione del Concilio e dei suoi documenti e per fare ciò non si può fare certo riferimento ad una scuola particolare, come per esempio quella celebre, ma faziosa di Bologna, ma ci si deve riferire alle commissioni post-conciliari e agli episcopati per avere giudizi oggettivi e avulsi da posizioni sia minimaliste che massimaliste. Proprio per tale ragione monsignor Schneider ha coraggiosamente evocato la necessità di un nuovo Sillabo per evidenziare gli errori sorti nella interpretazione del Concilio e se un giorno tale documento pontificio dovesse essere pubblicato, ha affermato, sarà un grande beneficio per tutta la Chiesa.
Il 14 dicembre 2010, sul sito web Zenit padre Serafino Lanzetta aveva scritto che il Convegno si sarebbe tenuto "in un clima abbastanza rovente e in un crescente dibattito, segno che qui si nasconde un problema unito ad una speranza. Si desidera lumeggiare la vera natura del Concilio […]. Fino a poco tempo fa, il solo pensare di potersi porre in modo critico dinanzi al Vaticano II, appariva come una cripto-eresia per la coltre di silenzio che necessariamente doveva regnare, ammantandolo sol di lodi e di encomi. Eppure, dopo quarant’anni e più, siamo dinanzi ad un dato innegabile: la rottura e lo spirito del Concilio, ovvero quel modo di decontestualizzarlo dalla Tradizione bimillenaria, hanno prevalso e la Chiesa si è lentamente e progressivamente secolarizzata. Il mondo, in un certo senso, ha vinto sulla Chiesa; quel mondo che la Chiesa voleva raggiungere in ogni modo. Il Vaticano II è un problema? Sì, nel senso che le radici dell’estro post-conciliare non sono solo nel post-concilio. Il post-concilio non dà ragione di sé. Dunque, bisogna prendersi la briga, per amore della Chiesa e per il futuro della fede nel mondo, di andare ad esaminare la radice del problema".
La tre giorni si è chiusa con un nuovo intervento di monsignor Brunero Gherardini, il quale ha ribadito come il Concilio Vaticano II fu, appunto, un Concilio pastorale e su tale piano va collocato e giudicato, senza forzature ermeneutiche, cioè interpretative che ne "impongono la dogmatizzazione". La strada ormai è aperta e tracciata, sta agli uomini di buona volontà, coloro che desiderano servire il Regno di Dio e non il mondo, intraprenderla per amore di Cristo e della Sua Chiesa.
Cristina Siccardi
Roma 16-17-18 dicembre 2010
Fonte: Messainlatino
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