lunedì 6 dicembre 2010

Mons. Bernard Fellay : «A un punto cardine»...



Intervista con Mons. Bernard Fellay – Nouvelles de Chrétienté, settembre-ottobre 2010.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X celebra i suoi 40 anni. È la fine della traversata nel deserto, come per gli Ebrei al tempo di Mosè?

Mi sembra che ciò che viviamo somigli piuttosto ad una di quelle escursioni degli esploratori che intravedevano la terra promessa senza che le circostanze ne permettessero l’entrata. Tuttavia, al fine di evitare qualche falsa interpretazione dell’immagine utilizzata, tengo a precisare che noi affermiamo sempre con grande forza che siamo cattolici e che, a Dio piacendo, vogliamo restarlo. Nondimeno, è per l’intera Chiesa che questa crisi somiglia proprio ad una traversata nel deserto, con la differenza che è molto difficile trovare la manna. Vi sono dei segni incoraggianti, soprattutto da parte di Roma, ma sfortunatamente essi sono mescolati ad altri fatti molto spiacevoli. Alcuni fili d’erba nel deserto…

Malgrado tutto, come si sviluppa la Fraternità Sacerdotale San Pio X attraverso il mondo?

Effettivamente, la Fraternità si sviluppa un po’ dappertutto. Certe regioni conoscono uno slancio più marcato di altre, penso agli Stati Uniti, per esempio, ma il grande impedimento che riscontriamo è la mancanza di sacerdoti. Ci mancano fortemente dei sacerdoti per poter rispondere come si dovrebbe agli appelli di aiuto che ci giungono da tutte le parti. Ad ogni nomina facciamo una scelta che finisce col frustrare uno o più gruppi di fedeli. Per un verso si tratta di un buon segno, poiché questo dimostra un sicuro sviluppo della nostra opera, ma che è anche molto doloroso. Pensi ai paesi di missione, in particolare all’Africa o al Brasile. Se potessimo inviarvi una cinquantina di sacerdoti sarebbe una grande consolazione. Anche l’immensa Asia aspetta…


Mons. Lefebvre diceva che per le autorità romane le cifre di questa crescita erano più eloquenti degli argomenti teologici. È sempre vero?

Non so se bisogna parlare di «cifre» o di «fatti». In ogni caso le due cose sono sullo stesso piano. Secondo un buon vecchio adagio, contra factum, non fit argumentum, contro i fatti, non ci sono discussioni; questo conserva tutta la sua forza. E l’affermazione di Mons. Lefebvre è proprio vera. Notiamo che non è tanto il numero che impressiona Roma, perché noi costituiamo una quantità trascurabile nell’insieme del Corpo mistico, ma è ciò che rappresentiamo, e in maniera molto vivente, una tradizione vivente, è questo che si impone. Questi magnifici frutti che sono certamente opera dello Spirito Santo, come confessato da uno stesso alto prelato romano, ecco ciò che stimola le autorità romane a gettare uno sguardo dalla nostra parte. Tanto più che si tratta di frutti molto freschi che sorgono in mezzo al deserto.


In questo mese di settembre, dovranno essere inviati alla Santa Sede i rapporti sull’applicazione del Motu Proprio relativo alla Messa tradizionale. Sono rari i vescovi che hanno applicato generosamente le direttive romane. Come spiega questa reticenza, cioè questa resistenza?

Come la nuova Messa esprime un certo spirito nuovo che è quello del Vaticano II, così la Messa tradizionale esprime lo spirito cattolico. Coloro che tengono mordicus al Vaticano II perché vi vedono un nuovo corso della Chiesa, o coloro che ritengono che col Vaticano II sia stata chiusa definitivamente una pagina della storia della Chiesa, costoro non possono accettare semplicemente la coesistenza di una Messa che ricorda esattamente tutto ciò che pensano di aver abbandonato per sempre. Nelle due Messe si incarnano due spiriti. È un fatto! E i due non vanno d’accordo! Si constata, presso i cattolici moderni, un odio simile per il Rosario, per esempio. E tutto si tiene. In questa questione della Messa noi vediamo una chiarissima illustrazione della complessità della crisi che scuote la Chiesa.


Vuol dire che nella Chiesa odierna, dietro una facciata univoca, si nasconderebbero delle fratture, non solo tra gli episcopati e la Santa Sede, ma tra opposte tendenze diverse nella stessa Roma? Conosce dei fatti?

Oh! Sì, ci troviamo proprio nei tempi in cui si vedrà cardinale contro cardinale, vescovo contro vescovo. Questo tipo di disputa è generalmente molto discreta e sfugge all’attenzione dei fedeli. Ma ultimamente, in diverse occasioni, la cosa è divenuta aperta e pubblica, come nell’attacco gratuito del cardinale Schönborn contro il cardinale Sodano. Cosa che somiglia molto ad un regolamento di conti. Che delle opposte tendenze si scontrano nella stessa Roma, non è un segreto. Conosciamo diversi fatti, ma non credo che rientri nell’utilità dei fedeli che queste cose siano rivelate.


Una recente conferenza di Mons. Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei, tenuta nel seminario della Fraternità San Pietro (1), si sforza di fornire una prova della continuità dottrinale tra il Vaticano II e la Tradizione. Egli cita a proposito la questione del subsistit in e quella dell’ecumenismo. Questi esempi Le sembrano convincenti?

Io non dico convincenti, ma sorprendenti. Questa conferenza è l’applicazione molto logica dei principi enunciati nel dicembre del 2005 da Benedetto XVI. Essa ci fornisce una presentazione dell’ecumenismo passabilmente differente da quella che abbiamo ascoltata per quarant’anni… una presentazione mescolata ai principi eterni sull’unicità della Chiesa e sulla sua perfezione unica, sull’esclusività della salvezza. In questo si vede bene un tentativo di salvare l’insegnamento di sempre e contemporaneamente un Concilio rivisitato alla luce tradizionale. Il miscuglio, quantunque interessante, lascia ancora aperte delle questioni di logica sul ruolo che giuocano le altre confessioni cristiane… chiamate, fino a Pio XII incluso, «false religioni». Si oserà usare finalmente questi termini di nuovo?


Mons. Pozzo, nella sua lunga conclusione, propone un Concilio Vaticano II rivisto – se non corretto – che denuncia il relativismo, un certo «pastoralismo», una forma di «dialoghite» acuta… Pensa che questa presentazione sia suscettibile di mettere tutti d’accordo a Roma e nelle diocesi? Come giudica questa versione rivista del Concilio?

È interessante, nel senso che ci si presenta un nuovo Vaticano II, un Concilio che in effetti non abbiamo mai conosciuto e che si distingue da quello che è stato presentato negli ultimi quarant’anni. Una sorta di nuova pelle! È interessante soprattutto per il fatto che vi si trova condannata con molta forza la tendenza ultra-moderna. Ci si presenta una sorta di Concilio moderato o temperato. Rimane la questione della ricezione di questa nuova formula, certo giudicata troppo tradizionale dai moderni e assai poco tradizionale da noi. Diciamo che una buona parte dei nostri attacchi si vede giustificata, una buona parte di ciò che noi condanniamo viene condannata. Ma se la cosa è condannata, resta la grande divergenza sulle cause. Poiché in definitiva se a proposito del Concilio è stato possibile un tale disorientamento degli spiriti, e a un tale livello, e di una tale ampiezza… ci sarà bene una causa proporzionata! Se a proposito dei testi del Concilio si constata una tale divergenza d’interpretazione, bisognerà bene un giorno convenire che le deficienze di questi testi vi svolgono una parte non da poco.


Certuni in ambito tradizionale pensano che la crisi della Chiesa dovrebbe risolversi istantaneamente, col passaggio subitaneo dalla crisi alla soluzione. Secondo Lei si tratta di un segno di fiducia soprannaturale o di impazienza troppo umana? In una soluzione graduale della crisi, quali sono le tappe positive già registrate? Quali sono quelle che Lei si augura di vedere in avvenire?

La soluzione istantanea della crisi, come l’immaginano certuni, non può avvenire che per un miracolo o una grande violenza. Se non accade così, rimane allora la soluzione graduale. Pur se in assoluto non si può escludere che Dio possa fare un tale miracolo, resta il fatto che in maniera abituale Dio governa in un altro modo la sua Chiesa, con una cooperazione più normale delle sue creature e dei suoi santi. In genere il riassorbimento di una crisi dura un tempo non inferiore a quello della sua messa in atto, e anche di più. Il cammino della ricostruzione è lungo, il lavoro immenso. Ma sarà determinante innanzi tutto la scelta degli uomini. Se la politica delle nomine dei vescovi alla fine cambierà, si potrà sperare. Nella stessa ottica, occorrerà una profonda riforma dell’insegnamento nelle università pontificie, della formazione dei sacerdoti nei seminari. Sono lavori a lungo respiro che per il momento sono ancora dei sogni, ma che nel giro di dieci anni potrebbero prendere forma seriamente. Tutto dipende innanzi tutto dal Papa. Per adesso la cosa positiva è soprattutto il riconoscimento che molte cose vanno male… Si accetta di dire che vi è una malattia, una grave crisi nella Chiesa. Si andrà molto più lontano? Lo vedremo.


Concretamente, cos’è che la Fraternità Sacerdotale San Pio X può apportare per la soluzione di questa crisi senza precedenti? Quale ruolo possono svolgere i fedeli legati alla Tradizione in quest’opera di restaurazione? Che si aspetta dalla nuova generazione che oggi ha 20 anni e ne avrà 60… tra 40 anni?

Il richiamo che la Chiesa ha un passato che ancora oggi resta del tutto valido. Questa visione, non polverosa, ma limpida sulla Tradizione della Chiesa è un apporto decisivo nella soluzione della crisi. A questo bisogna aggiungere il richiamo alla potenza della Messa tradizionale, alla missione e del ruolo del sacerdote, così come lo vuole Nostro Signore, a sua immagine e secondo il suo spirito. Quando chiediamo ai sacerdoti che si avvicinano alla Fraternità, che cos’è che si aspettano da noi, ci rispondono subito che si aspettano la dottrina. E questo anche prima della Messa. Questo è sorprendente, ma al tempo stesso è un gran buon segno. I fedeli hanno il ruolo importante della testimonianza, dimostrare che la vita cristiana come tale è sempre possibile nel mondo moderno. È la vita cristiana messa in pratica l’esempio concreto di cui ha bisogno l’uomo della strada. Per la generazione di coloro che hanno vent’anni, io vedo che è in attesa, pronta per l’avventura della Tradizione, poiché sentono proprio che ciò che viene loro offerto al di fuori è solo senza valore. Ci troviamo ad un punto cardine per la ricostruzione futura, e benché questo non appaia ancora nettamente, io credo che tutto è possibile.

(19 – Conferenza tenuta da Mons. Guido Pozzo, il 2 luglio 2010, al seminario di Wigratzbad, dal titolo “Aspetti dell’ecclesiologia cattolica nella ricezione del Vaticano II». Si veda il nostro commento in DICI n° 220 del 7 agosto 2010, «Vaticano II, un dibattito tra Romano Amerio, Mons. Gherardini e Mons. Pozzo».

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