Recensione di Cristina Riccardi sul saggio di Roberto De Mattei: Il Concilio Vaticano II una storia mai scritta.
I tempi stanno mutando, è evidente. I cattolici possono pensare, parlare, scrivere, studiare, esaminare, approfondire pubblicamente, senza ipocrisie e doppiezze, senza la paura di essere considerati dei cristiani "trapassati" e "oscurantisti", gente appestata da cui stare ben distanti: la plumbea cappa, come la definisce Alessandro Gnocchi, caduta sulle loro teste per alcuni lustri va piano piano sgretolandosi e, negli ultimi tempi, non così piano… è sufficiente fare un salto in libreria, quella reale o quella on-line, per accorgersi che la rosa dei venti non è più rivolta soltanto da un lato. La riedizione di Iota Unum di Romano Amerio per Fede & Cultura e per Lindau, i preziosi testi del teologo Brunero Gherardini, i saggi di Gnocchi-Palmaro, i libri di Francesco Agnoli… sono soltanto alcuni esempi illuminanti per comprendere che la Tradizione sta compiendo la sua opera di "restaurazione" dopo l’ubriacatura rivoluzionaria operata dentro e fuori la Chiesa.
Il Pontificato di Benedetto XVI con i suoi atti e le sue parole offre ampie speranze a chi è rimasto cattolico di Santa Romana Chiesa, Una Santa Cattolica Apostolica, "unico ovile". Ed ecco che, in questo panorama costituito da teologi, storici, filosofi, liturgisti, giornalisti, apologeti, si inserisce la nuova pubblicazione del professor Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, un poderoso lavoro composto da 632 pagine e pubblicato da Lindau (€ 38,00).
Si tratta di una monografia unica nel suo genere, soprattutto per due ragioni: in primo luogo l’utente ha la possibilità di accedere ad uno strumento organico che riordina, mattone per mattone, tutto ciò che è accaduto prima, durante e nell’immediato dopo Concilio Ecumenico Vaticano II, il ventunesimo della Storia della Chiesa; un Concilio davvero problematico, complesso e intricato visto che continua ad essere, a distanza di quasi cinquant’anni, ancora sul tappeto di discussioni accese e controverse.
La seconda ragione della novità e originalità del testo è che esso è il risultato di una meticolosa e scrupolosa ricerca storiografica e archivistica, la quale permette l’accesso a documentazione finora non pubblicata e che aiuta a comprendere, con carte e prove alla mano, ciò che realmente accadde durante le quattro sessioni del Concilio (aperto da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 e chiuso da Paolo VI l’8 dicembre 1965) e le linee progressiste che in esso emersero ed ebbero spesso la meglio. Si trattò, comunque, di un Concilio anomalo rispetto a tutti gli altri precedenti, infatti, come afferma de Mattei: "Il Concilio Vaticano II non ha emanato leggi e neppure ha deliberato in modo definitivo su questioni di fede e di morale. La mancanza di definizioni dogmatiche ha inevitabilmente aperto la discussione sulla natura dei documenti e sul modo della loro applicazione nel periodo del cosiddetto "postconcilio". Il problema del rapporto tra Concilio e "postconcilio" sta perciò al cuore del dibattito ermeneutico in corso" (p. 6).
La pastoralità del Concilio, afferma de Mattei, non deve comunque ingannare poiché, pur non essendoci stati pronunciamenti dogmatici, le "nuove idee avevano pesanti ricadute sul piano della spiritualità, della pastorale e della stessa ecclesiologia. I riformatori tendevano a cancellare la sostanziale differenza tra il sacerdozio sacramentale dei presbiteri e il sacerdozio comune dei laici, in modo da attribuire alla comunità dei fedeli una vera e propria natura sacerdotale; insinuavano l’idea di una "concelebrazione" del sacerdote con il popolo; sostenevano che si doveva "partecipare" attivamente alla Messa dialogando con il sacerdote, con l’esclusione di ogni altra forma di legittima assistenza al Sacrificio, come la meditazione, il Rosario o altre orazioni private; propugnavano la riduzione dell’altare a mensa; consideravano la comunione "extra Missam", le visite al SS.mo Sacramento, l’adorazione perpetua, come forme extra-liturgiche di pietà; manifestavano scarsa considerazione per le devozioni al Sacro Cuore, alla Madonna, ai Santi e, più in generale, per la spiritualità e per la morale tradizionale. Si trattava, in una parola, di una "reinterpretazione" della dottrina e della struttura della Chiesa al fine di adattarle allo spirito moderno" (pp. 58-59).
Nell’organico e strutturato saggio di de Mattei emerge chiaramente il disegno modernista sopravvissuto alla condanna di san Pio X nella Pascendi Dominici Gregis (1907), che, non più manifesto e aggressivo come ai tempi di Papa Sarto, ma, più suadente e invasivo, si propagò nella Chiesa attraverso il "movimento biblico", il "movimento liturgico", il "movimento filosofico-teologico", di cui la nouvelle théologie fu brulicante espressione, e, infine, il "movimento ecumenico".
L’autore, per stilare il suo volume, si è avvalso di documenti ufficiali e di documenti privati, come diari e lettere dei protagonisti di quegli anni. Pensiamo, per esempio, ai diari, editi, del cardinale Siri e dei teologi Chenu, Congar, de Lubac; così come ai diari, ancora inediti, di monsignor Clifford Fenton, oppure ai documenti del Seminario internazionale di Ecône (Svizzera), fondato da monsignor Marcel Lefebvre, e ancora alla corrispondenza dei vescovi Giacomo Lercaro e Helder Câmara, alle carte dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira di San Paolo del Brasile. Inoltre non "vanno trascurate naturalmente le biografie dei protagonisti, ricordando che la storia non è mossa solo da interessi economici e politici, ma in primo luogo dalle idee e dalle tendenze profonde dell’animo umano, che ispirano i sistemi ideologici e le azioni ad esso conseguenti" (p. 27). Proprio a questo proposito, ci sia consentito dire che papa Montini è visto principalmente da un’angolatura politica, tralasciando aspetti di carattere spirituale di un uomo molto complesso (filosofo-letterato e non teologo), dall’animo votato al monastero (come dimostrano i contatti, lungo tutto l’arco della sua esistenza, con i benedettini, in particolare del convento di Engelberg, in Svizzera); non fu uomo di governo ed il pontificato gli pesò come un’immensa croce, come scrisse a caldo appena salito al soglio pontificio su di un taccuino: "Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio, non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva": da queste parole emerge in tutta la sua evidenza come la libertà, di cui godette, sotto il suo pontificato, quello che Benedetto XVI definisce lo "spirito del Concilio", fu più una conseguenza dei suoi limiti nell’arte del comando che l’adempimento di un suo disegno.
Roberto de Mattei, con molta chiarezza, spiega che i venti novatori affondavano le loro radici nella filosofia, da Cartesio a Kant, per giungere alle correnti idealistiche, storicistiche, scientiste, evoluzioniste, che si affacciarono agli albori del Novecento. "Il nucleo della filosofia moderna, come aveva ben visto Pio X, era nell’immanentismo, ovvero nel principio secondo cui la fonte e la misura dell’essere scaturiscono dalla coscienza dell’uomo" (p. 63), con la conseguente archiviazione della filosofia e della teologia di san Tommaso d’Aquino. Il modernismo, spiega lo storico, circolava non solo nei libri, ma in tutto il corpo sociale, "avvelenandone ogni aspetto. Ciò permise alla "nouvelle théologie" che nasceva di presentarsi come una teologia e filosofia "viva", legata alla storia, in opposizione all’astrattezza libresca della scolastica" (p. 65).
Le discussioni furono tante, tantissime, si scontravano posizioni differenti, contrastanti, gli animi erano accesi, le aspettative di rinnovamento, in nome di una nuova "Pentecoste" della Chiesa, erano incalzanti. Fra i molteplici schemi preparati per le discussioni da tenersi nell’Assise nessuno ebbe tante modifiche e revisioni come quello sulla libertà religiosa e il cardinale Ottaviani chiese che essa "non venisse sollecitata con tanta energia" (p. 393), ricordando le parole ammonitrici di S. Paolo a Timoteo: "Rimprovera, esorta, reprimi con tutta la pazienza e l’insegnamento, perché verrà un tempo in cui essi non sopporteranno la vera dottrina" (2 Tim 4, 2-3)".
Teilhard de Cardin, de Lubac, Congar, Chenu, Rhaner, Küng … con il loro pensiero e/o la loro presenza aleggiarono abbondantemente sull’Assise ed i media erano molto attenti nei loro confronti, venendo a creare un "magistero parallelo" (p. 227), espresso attraverso articoli, libri, conferenze, riunioni di teologi, dando loro importanza e valore, offrendo così garanzia, nell’opinione pubblica, della potenza e veridicità delle loro asserzioni.
Il sedicesimo ed ultimo documento promulgato dal Concilio fu la Gaudium et Spes, un testo sul quale il Cardinale König ebbe a dire: "segna una svolta nella concezione della Chiesa, verso la Storia che chiude l’era del Sillabo e della Pascendi" (p. 513). Scriverà, molti anni dopo, monsignor Brunero Gherardini nel suo Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (2009): "Capovolgendo il pensiero dell’Aquinate [san Tommaso, ndr], secondo il quale Dio non può creare per fini estranei alla propria realtà, il Vaticano II fece dell’uomo, "l’unica creatura voluta da Dio per se stessa" (GS, n. 24) (…) Orami i confini estremi dell’antropocentrismo idolatrico erano stati raggiunti. Non era in questione se l’uomo credesse o no, bastava che fosse "il centro e il vertice" (GS, n. 12) di tutti i valori creaturali, voluti e ordinati da Dio al suo servizio, "subordinati allo sviluppo integrale della sua persona" (GS, n. 59)" (p. 513).
Intanto nei corridoi vaticani alcuni Cardinali cominciavano a girare in clergyman e, fra i primi, Suenens e Léger. Il sentimento antiromano arrivò nel Concilio, un Concilio voluto e indetto da Giovanni XXIII, nel quale si verificarono spesso gli auspici di Ernesto Buonaiuti. Le sue parole, riportate da de Mattei, fanno rabbrividire:
"Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo". D’altro canto il modernista antiromano George Tyrell aveva sentenziato: "Roma non può essere distrutta in un giorno, ma bisogna farla cadere in polvere e in cenere in modo graduale e inoffensivo; allora noi avremo una nuova religione e un nuovo decalogo" (p. 80).
De Mattei sottolinea come molti fossero i "preoccupati", ma pochi coloro che resistettero veramente, fra cui monsignor Lefebvre, monsignor de Castro Mayer, monsignor de Proença Sigaud (che fecero parte del Coetus Internationalis Patrum) e il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira. Significativa la lettera di san Giovanni Calabria al beato cardinal Schuster: "Da anni con crescente insistenza sento ripercuotersi, in fondo al mio cuore, il lamento di Gesù: la mia Chiesa!" (p. 101). Il santo era convinto che: "Noi Sacerdoti, o siamo santi e possiamo salvare il mondo intero; o siamo cattivi e possiamo rovinarlo per secoli e secoli. Chi ha donato il Cristianesimo alla Terra? L’eroismo dei Pontefici, dei Vescovi, dei Sacerdoti santi. Chi ha lacerato le vesti della Chiesa? Ario, Fozio, Lutero. "La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me" (Gv 18,35), diceva Pilato a Gesù in catene. È una frase che fa tremare.
Si legge che nel 1790 si contavano nel mondo cristiano più di settemila conventi di soli Francescani, con centoventimila Religiosi, donne escluse. Aggiungete i Religiosi di tutti gli altri Ordini e Congregazioni; metteteci accanto i Sacerdoti del clero secolare allora numerosissimo. Come si spiega, con un numero tale di difensori, la bufera della Rivoluzione Francese che si scatena anche contro la Chiesa? Eppure con soli dodici uomini Gesù è andato alla conquista del mondo. Ma erano santi!" (pp. 101-102).
Giacobini, girondini, conservatori e tradizionalisti sono gli attori di questo monumentale dramma, dai risvolti a volte shakespeariani, che ha anche il pregio di rivolgere un ringraziamento a Sua Santità Benedetto XVI: "per aver aperto le porte a un serio dibattito sul Concilio Vatiacano II" e per tale ragione l’autore si unisce "alle suppliche di quei teologi che chiedono rispettosamente e filialmente al Vicario di Cristo in terra di promuovere un approfondito esame del Concilio Vaticano II, in tutta la sua complessità ed estensione, per verificare la sua continuità con i venti Concilii precedenti e per dissipare le ombre e i dubbi che da quasi mezzo secolo rendono sofferente la Chiesa, pur nella certezza che mai le porte degli Inferi prevarranno su di Essa (Mt 16,18)".
Cristina Siccardi
Fonte: Messainlatino
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