Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.
CAP. X SOMATOLATRIA E PENITENZA
1.1 La somatolatria moderna e la Chiesa –
Del
culto del corpo la civiltà contemporanea ne ha fatto un tratto saliente.
Certamente il culto del vigore e della bellezza vi fu anche nel mondo antico.
Tuttavia ciò rappresentava solo una frazione dei valori che per esempio
venivano celebrati nei ludi olimpici e venivano disistimati se presi
isolatamente dal contesto in cui erano integrati.
1.2 Lo sport come perfezione della persona –
Il
principale battesimo dato dalla Chiesa al culto sono due: la prestanza corporea
che si persegue negli esercizi sportivi è una condizione dell’equilibrio e
della perfezione della persona. Secondo: le gare sportive richiamando
moltitudini diverse per lingua, modi di vivere, costituzione politica
conferiscono alla formazione di uno spirito fraterno mondiale. Come si vede in
Gaudium et spes,61:”Le manifestazioni sportive giovano all’equilibrio
dell’animo, nonché a stabilire relazioni fraterne tra uomini di tutte le
condizioni, di tutte le nazioni anche di stirpe diversa”.
Questi due presupposti furono esposti, rifiutato o corretti
da Pio XII (8 novembre 1952) il quale ricordò che le attività dell’uomo sono
qualificate dal loro fine prossimo: lo sport non sta nella sfera del religioso,
anche se il fine prossimo dell’esercitazione corporale è la conservazione e lo
sviluppo del vigore fisico questo fine prossimo è ultimamente ordinato al fine
ultimo, che è la perfezione della persona in Dio.
Lo sport è soggetto alla legge ascetica che vuole ordinato
dalla ragione il tutto dell’uomo e l’uso intensivo del vigore fisico non può essere
il fine dello sport: se si emancipa dall’austerità, cioè dal dominio dello
spirito sulle membra. Lo sport disfrena agli istinti, sia con la forza
violenta, sia con le seduzioni della sessualità.
L’esaltazione dello sport si inquadra nell’ERESIA PER IL
DINAMISMO MODERNO PER IL QUALE L’AZIONE VALE DI PER SE’ STESSA
INDIPENDENTEMENTE DALL’OGGETTO E DAL FINE.
1.3 Sport come incentivo di fraternità –
Quanto
lo sport si incentivo di fraternità basta ricordare la politicizzazione nei
giochi olimpici o i tragici fatti di Monaco ’72, le frodi e la violenza. Eppure
lo stesso Osservatore Romano iperbolicamente arrivò ad esprimersi così: ”lo
sport beneficia del mistero pasquale e diventa strumento di elevazione”.
Siccome non c’è nella Rivelazione nessunissimo possibile riferimento a una
attività sportiva di Cristo, si tenta almeno, con un’operazione
confusionale e circiterizzante, di tirare lo sport nel mistero pasquale.
1.4 Spirito penitenziale e mondo moderno.
Riduzione di astinenze e digiuni –
Avanzando la somatolatria conseguentemente
arretra il principio penitenziale e l’esigenza ascetica propri della religione
cattolica.
La disciplina penitenziale fu ritoccata del 1966 riducendo
l’astinenza dalle carni al solo venerdì ai soli venerdì di quaresima e nel 1973
il digiuno eucaristico per successive diminuzioni scemò almeno per gli infermi
almeno fino a un quarto d’ora prima di ricevere il sacramento. Oggi anche
l’astinenza del venerdì è praticamente abolita mentre un tempo il digiuno era
universalmente praticato e persino fissato nelle leggi civili, oggetto di
negoziazione tra governi e Santa Sede.
Questo rilassamento produsse più effetti. Uno di ordine
linguistico e lessicale. Fu mutato il significato al vocabolo digiuno che
dall’indicare privazione di cibo per un considerevole lasso di tempo significò
non mangiare sia pure per soli pochi minuti. Così nella nuova condizione si può
essere digiuni e satolli.
Il secondo effetti fu di falsificare la liturgia, cioè di
togliere verità alle formule del rito. Il motivo dominante del tempo di
Quaresima era il digiuno corporale e nel prefatio si invocava:”Deus qui
corporali ieiunio vitia comprimis, mentem elevas, virtutem largiris et praemia”
(O Dio, che mediante il corporale digiuno reprimi i vizi, elevi al mente, doni
la virtù e i premi). Mentre il prefazio del Novus ordo in luogo del corporale
digiuno conosce soltanto il digiuno quaresimale.
Il digiuno ha nella religione cattolica un fondamento
prettamente dogmatico: è una applicazione speciale del dovere di della mortificazione.
E questo a sua volta discende dal dogma del peccato originale. Soltanto se la
natura non è guasta e concupiscente i sui impulsi si sono assecondabili.
Ma tutti i teologi hanno sempre assegnato al digiuno questo
motivo: l’uomo corrotto deve essere mortificato affinché possa essere
vivificato come una nuova creatura. A differenza dei filosofi d’oriente che si
mortificano perché il corpo non sia d’impaccio alla mente, nel cattolicesimo le
opere penitenziali esprimono principalmente il dolore per la colpa. La
penitenza esteriore è necessaria alla penitenza interiore.
Quando Cristo discute sul “facere iustitiam” esemplifica le
opere di giustizia in tre sole: elemosina, orazione e digiuno cioè, come spiega
s. Agostino la benevolenza e la beneficienza universale, l’aspirazione a Dio in
universale e la repressione della concupiscenza in universale.
Il digiuno non è solo un perfezionamento della virtù
naturale di sobrietà, conosciuta anche dai pagani, ma è un fatto proprio della
religione cristiana, al quale, avendo reso l’uomo consapevole dei suoi mali
profondi ha pure proporzionato ad essi i rimedi.
1.5 La nuova disciplina penitenziale –
La
riforma della disciplina penitenziale sembra mutare l’essenza della restrizione
togliendole il carattere di afflizione della carne per lasciarle un carattere
di regolarità morale. La penitenza è invece non un astenersi dal vitto, ma
tagliare nel regime ordinario della sobrietà in vista di un duplice scopo: rafforzare
le deficienze morali della mente che deve sostenere il combattimento contro la
legge delle membra ed espiare per le proprie colpe. Si può aggiungere anche che
le opere penitenziali del cristiano sono un’imitazione e una partecipazione
all’opera penitenziale sostenuta da Cristo innocente per il genere umano
peccatore.
Tale riforma della prassi penitenziale non andò disgiunta
dall’opera di denigrazione della Chiesa storica.
Le pratiche cattoliche dell’astinenza, celebrate da tutti i
Padri della Chiesa con opere speciali, seguite con unanime ossequio per secoli
furono nei tempi moderni argomento di derisione da parte di scrittori
superficiali e irreligiosi incapaci di staccare il principio dalla contingenza
o dalle contraffazioni umane. Il ridicolo che si mosse contro il precetto della
Chiesa circa i cibi ha la sua causa nella GENERALE AVVERSIONE DEL MONDO ALLA
MORTIFICAZIONE DEL SENSO e trova poi un pretesto nel modo in cui possono
essere state eseguite queste prescrizioni.
Ma il fatto notabile del presente stato della Chiesa è che
tale spirito di superficialità, che disistima la mortificazione del senso e la
ridicolizza, si è comunicato anche al clero che del precetto ha perduto il
sapore e la sapienza.
1.6 Eziologia della riforma penitenziale –
La
riforma ebbe due motivi: uno antropologico e pseduospiritualistico e l’altro
libertario.
Il motivo antropologico è una viziosa concezione della
reciprocità di anima e corpo. Si misconosce il sìnolo dei due elementi
metafisici che integrano l’uomo credendosi che i fatti del corpo non esprimano
i fatti dell’anima. Si ignora che questi ultimi non sono autentici e se
rimangono inespressi e senza riverbero nell’esperienza sensibile.
Certo, è possibile obbedire adempiere una norma che mira
alla mortificazione della volontà, inclinata al senso, senza mortificare la volontà
inclinata al senso, cioè obbedire materialmente al precetto senza
adottarne il fine. E’ ovvio che le opere di giustizia si possono fare senza
avere la virtù della giustizia, le opere di castità senza avere la castità e le
opere dell’amore senza avere l’amore. Tutto si può fare sul teatro della virtù
con la maschera della virtù.
Eppure l’adempimento morale della Legge, per quel principio
antropologico della solidarietà di tutte le parti del composto umano produce un
qualche effetto preterintenzionale: nel corpo macerato gli impulsi restano
fiacchi e la loro opposizione alla legge dello spirito appare meno violenta.
Dunque la tendenza dei neoterici è erronea, certo il digiuno
del corpo deve essere accompagnato dalla compunzione del cuore ed è fatto
essenzialmente per provocarla, ma anche disgiunto da essa riesce a produrre un
effetto non disprezzabile.
Dai documenti in materia dei novatori sembra addirittura che
l’osservanza del digiuno corporale implicasse la disistima del corpo e quasi
impedisse l’esercizio di una vera penitenza.
La sola penitenza spirituale , oltre che a dimidiare l’uomo,
è anche impossibile perché non si possono amputare i desideri della superbia
senza umiliarsi esteriormente, né i desideri del senso senza reprimere gli atti
eliciti (atto volontario prodotto quasi in modo incontrollabile) ed esteriori
del senso. Cristo stesso che condannò il digiunare in facie (cioè ostentativo,
ipocrita) non lo condannò come esteriorità della mortificazione ma come
ostensione superba e come rispetto umano.
Ed è tanto lontano dal condannare anche l’osservanza dei
minimi precetti quando si esprime con: “haec oportuit facere et illa non
omittere” (Mt. 23,23) pareggiando l’esteriore all’interiore. Questo
pareggiamento non è fondato sull’uguaglianza tra interiore ed esteriore tra
astinenza dai cibi e astinenza dal peccato, ma è mezzo la prima alla seconda.
E’ fondata sul principio dell’obbedienza che la riforma della disciplina
penitenziale ha snervato sostituendo ai lunghi periodi digiunali con due soli giorni
e abbandonando il dovere morale e religioso della mortificazione alla
libertà dei fedeli, supposta illuminata e matura.
Quando Paolo VI indisse nell’ottobre del ’71 una domenica di
preghiera e di digiuno molti vescovi celebrandola non parlarono del digiuno,
essendo tutto rimesso all’interiorità.
Su “Amica” il teologo Pisoni interrogato sul precetto
ecclesiastico dell’astinenza rispondeva (1964):”Si tratta semplicemente di un
precetto che trae la sua giustificazione e il suo valore morale dalla libera
volontà di chi vuole osservarlo nello spirito, perché nella lettera è tanto
facile eluderlo”. Mentre l’atto dell’uomo ha valore in base alla conformità al
precetto, qui un sacerdote al contrario fa derivare il valore del precetto
dall’atto libero dell’uomo che sceglie di adempierlo. E’ un duplice sofisma:
primo che la volontà rifiuti ogni eteronomia; secondo che il fedele, che è membro
del corpo collettivo e mistico del Cristo si dissoci e si smembri per erigersi
a individuo che è legge a se stesso.
1.7 Penitenza e obbedienza –
Il rilassamento
della pratica ascetica è avvenuto sul supposto di una più matura coscienza
ascetica dei fedeli e con l’intento di spiritualizzare ed affinare la
mortificazione. Così la chiesa minorando le privazioni corporali a vantaggio
delle umiliazioni interiori ha fatto sì che si sia dileguato ogni digiuno
ordinario dalla vita del popolo cristiano.
E nello scemamento del precetto fu trascurato il valore
dell’obbedienza. Il Bollettino della Diocesi di Milano nel 1967 commentava: “La
penitenza è stata resa libera e quindi più meritoria”. In questa nuova dottrina
vanno perduti tre valori: primo, quello del fare obbedienza alla Chiesa nel
modo da esso prescritta; secondo quello che viene dal fare l’atto penitenziale
non solo individualmente ma anche ecclesialmente; terzo, il merito che viene
dall’abdicare alla volontà circa il modo della penitenza.
La convertibilità dell’astinenza in opere di misericordia
con pregiudizio del concetto di penitenza quaresimale è stato fissato in
istituzioni come quella del Sacrificio quaresimale che è un oblazione in denaro
fatta equipollente alla corporale mortificazione. Ma in una società cristiana
in gran parte ricca tale rinunzia è di scarso valore senza dire che è sempre
più penoso tagliare nel corpo che non nei beni.
La confusione di penitenziale e non penitenziale è
professata esplicitamente nel documento del 1966:” Può essere pena penitenziale
l’astenersi da cibi particolarmente desiderati; un atto di carità spirituale o
corporale; la lettura di un brano di Sacra Scrittura; rinuncia a uno spettacolo
o divertimento e altri atti di mortificazione”. La lettura non è un atto di
mortificazione e le opere di carità nemmeno. Perduto il concetto di penitenza
tutto diventa penitenza.
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