CAP. XI MOTI RELIGIOSI E SOCIALI
1.1 Desistenza dall’azione politica e sociale –
La società contemporanea essendo dominata dall’idea del possesso del mondo, il
quale si ottiene con la tecnica cioè con l’applicazione della scienza della
natura al dominio della natura, tutta la vita politica ha assunto un nuovo
carattere. Il soggetto sociale è ormai la massa degli individui uniti nella
ricerca dell’utilità e il fine sociale è divenuto al produzione del maximum di
utilità. La variazione avvenuta rappresenta la desistenza della religione ad
affermarsi nell’azione politica e sociale.
Tutto il secolo del liberalismo fu caratterizzato dalla
dualità: un partito caldeggiava la separazione della vita civile dalle cose
religiose, rimesse alla coscienza individuale e non riguardanti la pubblica
prosperità; l’altro resisteva considerando la religione come parte della vita
storica nazionale, ma anche sovrapoliticamente e sovrastoricamente, come una
necessità morale come una necessità morale della vita consociata.
La contesa tra Chiesa e Stato moderno che venne a
costituirsi in valore autonomo spiega come le lotte politiche
implicassero i valori religiosi e si presentassero come un impegno a mantenerli
nel corpo sociale o circoscriverli alla sfera dell’individuale.
I Pontefici avevano promosso un’apia espansione
dell’attività politica e pubblica dei cattolici, sia con la creazione di
partiti politici autonomi che si denominavano cattolici e informavano alla
dottrina della Chiesa sia con associazioni differenziate in vari ambiti.
Ma l’indirizzo avviato dopo il Vaticano II segnò la
decolorizzazione e la dissalazione dei partiti e delle organizzazioni sociali
cattolici. Si sa bene che tale decolorizzazione è parte di un processo generale
per cui ciascun partito, perduta la peculiarità onde si opponeva agli altri,
rimane con quella parte generica di finalità politica che aveva comune cogli
altri. Così i partiti cattolici, cessato il motivo di difesa della libertà
della Chiesa concepita secondo un sistema che li opponeva agli altri, hanno
adottato il motivo della libertà simpliciter nel quale è incluso il motivo
antico ma sottomesso al motivo anteriore e superiore della libertà simpliciter.
1.2 Scomparsa o trasformazione dei partiti
politici –
I partiti cattolici hanno subito una decolarazione dei contenuti o
sono scomparsi dalla vita nazionale. In Francia è scomparso il Mouvement
républicain popoulaire.
Il Svizzere il Partito conservatore cattolico adesso si
chiama Partito democratico cristiano che si ispira a una generica
idealità cristiana. Nel Ticino il Partito popolare Democratico ha cessato ogni
qualificazione di cattolica.
In Germania analogo processo che portò la Christliche
Demokratische Partei, succeduta al Centrum, abbracciante cattolici e
protestanti, volgersi al liberalismo. Dopo Franco la Spagna ha visto sorgere
partiti di ispirazione cattolica sincretizzati con le massime dello Stato
moderno. In Belgio e Olanda, movimenti cattolici assai vivi e potenti
subirono analoga dissalazione per arrivare a posizioni digradanti verso il
liberalismo e il comunismo.
Esempio cospicuo di questa desistenza è la Democrazia
Cristiana italiana. Dopo 30 anni di potere il partito da energico e combattivo
quale fu nel 1948 è passato come fine supremo dalla lotta al compromesso
storico, con l’avversario comunista.
La Chiesa riconosce fin dalla dichiarazione di Papa Gelasio
(confermata da Bonifacio VIII) riconosce la sua incompetenza nelle materie
politiche, ma rivendica l’intero dominio dello spirituale. E’ estranea
all’azione politica ma può giudicare le leggi della comunità politica quando
impediscono il fine o violino la giustizia naturale e i diritti moderni della
Chiesa. La Chiesa può resistere alle leggi inique prescrivendo la condotta che
i cattolici in quanto cittadini devono tenere usando il loro diritto
politico, pur senza spirito d’odio e di sedizione.
Questa dottrina fu confermata da Giovanni XXIII nella Pacem
in terris facendo coincidere il dovere religioso col dovere civile: il bene
della giustizia, oggetto della virtù morale, è un costitutivo del bene
comune, oggetto della virtù politica.
Per questo motivo i Pontefici in alcuni frangenti storici
poterono annullare le leggi civili, come fece Pio XI che annullò le leggi
irreligiose del Messico nel 1926.
E comunque resta il diritto da parte dei cattolici, in
regimi di cui partecipano del potere legislativo, di opporsi alle leggi
offensive del diritto naturale e alla Chiesa il dovere di attaccarle suscitando
e regolando l’azione del laicato.
A tale azione la Chiesa ha ora abdicato quasi del tutto
attuando una politica di desistenza con gli stati trasferita anche sul laicato.
1.3 La desistenza della Chiesa nella campagna
italiana sul divorzio e sull’aborto –
Il movimento laicale che si opponeva al
divorzio fu lasciato in stato di abbandono ed isolamento. All’alacrità dei
preti neoterici che sostenevano il divorzio in pubblici comizi fece riscontro
la riservatezza malevola e malcontenta dell’episcopato che sembrava condividere
le ragioni della prudenza carnale. Andreotti racconta che lo stesso Paolo VI
aveva circa il referendum un atteggiamento di dubbio sull’esito e dissenziente
quanto all’iniziativa in sé dichiarando che “non poteva impedire a un gruppo di
cattolici italiani di servirsi liberamente dello strumento offerto
dall’ordinamento italiano per tentare di cancellare una legge ritenuta iniqua”.
Riviste “cattoliche” come “Il Regno” e “Il Gallo” fecero
campagna per il divorzio. All’Università Cattolica un gruppo di studenti e
docenti insorsero contro un articolo di padre Guzzetti che presentava la
dottrina della Chiesa in materia.
L’arcivescovo di Milano, card. Giovanni Colombo, formulava
il principio di desistenza in tre proposizioni: primo: ”non sarebbe in sintonia
con l’episcopato italiano il prete che dissuadesse il referendum; secondo” non
sarebbe in sintonia il prete che raccogliesse firme per il referendum; terzo
“sono in sintonia quei sacerdoti che si adoperano per stimolare i laici
cattolici ad agire in coerenza con la loro coscienza cristianamente
illuminata”. Da rilevare il richiamo all’obbedienza rispetto a una questione
dove la coscienza doveva conformarsi alla legge morale, in primo luogo; poi il
divieto fatto ai sacerdoti di usare il proprio diritto civile a servizio del
dovere e religioso impedendo loro la partecipazione alla raccolta delle firme;
infine il rimando alla coscienza individuale per una decisione che, essendo di
diritto naturale e positivo, spetta alla Chiesa prescrivere e no abbandonare i
cattolici al loro lume privato.
Ancora l’arcivescovo di Milano nel 1976 predicando in Duomo
asserì che “i vescovi non mirano a sostenere esclusivamente con una legge
l’osservanza di una norma morale quando non fosse più riconosciuta come tale
dalla maggioranza delle coscienze”. (OR, 26 febbraio 1976). Qui l’arcivescovo
oppugna la legge contro l’aborto, definito “orrendo crimine” dal Vaticano II, perché
allora sembra supporre il rigetto della maggioranza , ma allora se la
maggioranza si pronunciasse a favore i vescovi tacerebbero e i cattolici
dovrebbero accettare l’iniquità.
1.4 La Chiesa e il comunismo in Italia. Le condanne del 1949
–
La desistenza della Chiesa dall’impegno della vita civile ha la forma di un
rimando del cristiano ai propri lumi per le proprie scelte nei negozi della
vita pubblica. Il criterio insegnato dai vescovi italiani, assunto al Convegno
ecclesiastico del 1976 è che ai fedeli spetta intera la libertà di
scelta, con la sola condizione che la scelta sia coerente con la fede
religiosa. Ma il criterio di tale coerenza viene tolto dalle mani
del magistero, che se lo riservò in altri tempi e collocato in quelle della
comunità. Padre sorge concluse il convegno con lo slogan “Militate dove volete
ma restate cristiani” e vi appose la condizione che il giudizio di coerenza con
la fede lo si rimetta non ai singoli ma alla comunità cristiana. Ma con questa
locuzione si intende la Chiesa col suo nesso organico tra gerarchia e laicato o
l’insieme dei fedeli supposti manifestare la propria fede in una maggioranza?
Qui la sostituzione dell’opinione generale all’imperativo
della Chiesa è palese.
Alla libertà politica dei cattolici la Chiesa pose dei
limiti. I più recenti e importanti furono il Decreto del Santo Offizio 28
giugno 1949 e quello aggravante del 25 marzo 1959 sotto Giovanni XXIII. Il
primo dichiarava incorrere nella scomunica quei fedeli che professano la
dottrina comunista, atea e materialista e condanna come illecito
l’appoggio a tale partito. Il secondo condanna chi dà il suffragio al partito
comunista o ai partiti che appoggiano tale partito. L’aggravamento è manifesto.
Il primo dava luogo alla distinzione tra il comunista professante
la dottrina e il comunista praticante ma non professante. Il secondo decreto
prescinde dall’animus del cittadino e colpisce l’atto esterno del suffragio.
Colpisce inoltre che un partito non condannato stringesse anche per
l’amministrazione pubblica alleanze con tale partito.
L’intervento della Chiesa in Italia provocò conflitti tra
vescovi e autorità civili. Quando mons. Fiordelli, vescovo di Prato, che
condannò pubblicamente il matrimonio civile di un comunista fu querelato e
condannato (e poi assolto) il card. Lercaro alla condanna ordinò di suonare le
campane e Pio XII disdisse la celebrazione per l’anniversario delle
celebrazioni; a Bari l’arcivescovo rifiutò la presenza del sindaco comunista
giudicandolo incompatibile con l’azione sacra. In queste manifestazioni
episcopali non si distingue la norma tra la persona privata dalla persona
pubblica e l’ente morale della maggioranza rappresentata.
1.4 La Chiesa e il comunismo in Francia –
L’atteggiamento di desistenza dell’episcopato italiano davanti al comunismo si
era già verificato in Francia dove si affermò il principio della libertà del
cristiano di parteggiare politicamente per qualunque causa gli sembri
accordarsi con la propria coscienza.
Il documento dell’episcopato si rivolge ”ai militanti
cristiani che hanno scelto l’opzione socialista”. La lettera prescinde
totalmente dall’idea di un movimento sociale cattolico, si dà per scontato che
i “lavoratori cristiani” siano tutti comunisti, non gli si muove alcuna
contrapposizione. Questi cristiani professanti il comunismo il documento
intende aiutarli “dal di dentro” della loro situazione spirituale come se nel
seno della loro persuasione fosse giacente il seme dell’idealità cristiana e si
trattasse solo di svolgerlo. Questa posizione è collegata nel documento con una
confusione di prospettive che vede l’azione dello Spirito nelle agitazioni e
nelle lotte operaie e scambia il moto del comunismo, che si può spiegare ci le
forze storiche e naturali che generano gli eventi, per uno di quei
moti in cui operano i soprannaturali impulsi dello Spirito Santo: fa insomma
delle agitazioni sociali un fenomeno religioso.
Il circiterismo neoterico di tinta immanentistica non
distingue tra le ragioni della Provvidenza che trae la vicenda umana al suo
esito preordinato e l’azione dello Spirito Santo, che è l’anima della Chiesa ma
non del genere umano.
Su tale documento del ’72 la Chiesa francese modellò la
prassi dell’81 desistendo dalla campagna elettorale che portò al trionfo di un
regime socialista, il cui progetto annunciava l’instaurazione di una società
ateistica di filiazione marxistica. I vescovi dichiararono di “non voler
influenzare le decisioni personali dei fedeli” come se le cose politiche
fossero iperuraniche e il magistero della Chiesa non dovesse indirizzare e
illuminare le coscienze. E che “essi non vogliono opporsi a chiunque, ma attirare
l’attenzione sui valori essenziali”.
A differenza della Divini Redemptoris qui si conclude che
tra le due diverse opzioni (comunista e cattolica si intravede un fondo
ulteriore e comune. In cui può aver luogo il reciproco riconoscimento. La
formula è quella “dei valori comuni concepiti differentemente a seconda dei
gruppi di appartenenza”. Qui è latente una negazione del sistema cattolico.
Il documento spoglia l’uomo della capacità di cogliere un
valore nel suo essere proprio rimandole solo la capacità di percepirlo solo
secondo la condizione soggettiva. Poiché le percezioni differiscono, ma il
valore differentemente percepito è “identico” i vescovi possono affermare che
due concezioni contraddittorie siano percezioni differenti del medesimo. Questa
forma di soggettivismo è dedotta dall’analisi marxista che fa scaturire la
percezione dalla situazione sociale. Nel documento francese viene DISCONOSCIUTA
LA DIFFERENZA TRA LE ESSENZE. La religione non è per i vescovi un principio ma
un’interpretazione e un linguaggio. Il Verbo cristiano non è più principio e
caput, ma un’interpretazione destinata a conciliarsi con le altre
interpretazioni in un quid confusionale che talora sembra essere la giustizia,
talora l’amore.
Questo disconoscimento del carattere principale
dell’opposizione tra cristianesimo e marxismo allontana il documento degli
insegnamenti di Pio XI che qualifica il comunismo come intrinsecamente
perverso. E il disconoscimento mostra l’affezione degli estensori per l’opzione
socialista, giacché rifiutando la intrinseca perversità del comunismo la
affermano del capitalismo.
Dopo aver fallacemente trovato lo Spirito Santo e Gesù
Cristo nel dinamismo della classe operaia e posto l’opzione socialista a pari
coll’impegno cristiano il documento si spinge a un'altra confusione quella di
vedere che il travaglio dei cristiani comunisti per maggior giustizia,
fraternità e maggior uguaglianza , quando attinga a quel fondo comune, diventa
una “forma reale di contemplazione e vita missionaria”. La prassi marxistica e
la lotta di classe usurpano così il luogo della contemplativa che è invece il
luogo supremo.
1.5 Indebolimento delle antitesi –
L’indebolimento dell’antitesi tra comunismo e cristianesimo di cui la teologia
della liberazione costituirà una devoluzione logica è dovuto a due fatti:
il dissenso interno al comunismo e la dottrina enunciata da Giovanni XXIII
nella Pacem in terris.
Quanto al primo fatto è da menzionare la riforma fatta da
parecchi partiti comunisti ai loro statuti tacendo della necessità di
professare il materialismo storico e ammettendo nel partito che si ispira anche
ad altre idealità filosofiche o religiose.
Questo passo del comunismo fu preceduto dall’Internazionale
socialista che nel 1951 a Francoforte sul Meno al punto IX stabiliva che “il
socialismo democratico è un movimento internazionale che non esige
Una rigorosa uniformità dottrinale …[i socialisti] lottano
tutti per lo stesso scopo: un sistema di giustizia sociale, di maggiore
benessere, di libertà e di pace mondiale”. Epocati i principi specifici del
marxismo diviene possibile l’accomunamento di eterogenei movimenti in
un’ideologia atipica come quella della giustizia, del benessere della pace.
Il documento di Francoforte si imparenta con quello
dell’episcopato francese: OLTREPASSA LO SPECIFICO PER TROVARE UN FONDAMENTO
GENERICO E CONFUSIONALE.
1.6 Principii e movimenti nella Pacem in terris
–
Ai cattolici la mossa della coincidentia oppositorum in materia è
venuta da un passo della Pacem in terris:” Va tenuto presente che non si
possono identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il
destino dell’universo e dell’uomo con movimenti storici a finalità economiche,
sociali culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati
da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono ispirazione. Giacché le
dottrine una volta elaborate e definite rimangono sempre le stesse, mentre i
movimenti suddetti, agendo nelle situazioni storiche incessantemente
evolventisi non possono non subirne gli influssi e quindi non possono andar
soggetti a mutamenti anche profondi”.
La tesi giovannea si presenta come deduzione della massima
sempre insegnata dalla Chiesa della distinzione tra errore ed errante, tra
l’aspetto logico dell’assenso e l’aspetto che l’assenso riveste come atto della
persona.
Ma la separazione legittima tra il movimento o massa di
uomini consenzienti e l’idea inspirante il movimento non può spingersi fino
fono ad attribuire fissità alla dottrina e mobilità al movimento. E non si può
pensare che la dottrina resta fissa senza più consenzienti e che la massa,
piegandosi al divenire storico, resti senza riferimenti alcuno alla dottrina.
Sembra che l’enciclica trascuri il nesso dialettico tra quel
che le masse pensano (certamente meno distintamente dei teorici) e quel che le
masse fanno, senza più connessione coll’ideologia che avrebbe solo funzione di
dare il via al movimento. Qui si nega il precedere del pensiero rispetto
all’azione e sembra che le ideologie siano figliate dai movimenti anziché
l’inverso. Certo le ideologie risentono della fluttuazione dei tempi ma la
questione che si impone è se i movimenti continuino o no ad ispirarsi al
principio da cui nacquero.
L’enciclica però concede un altro criterio per concedere ai
cattolici di cooperare a forze politiche eterogenee:” chi può negare che in
quei movimenti, nelle misura in cui sono conformi ai dettami della retta
ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi
siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?” La tesi papale risponde
alla massima paolina: “esaminate tutto, tenete quel che è bene”. A nel
detto paolino non si tratta di sperimentare ma di esaminare per discernere e
utilizzare nella prassi quel che c’è di positivo.
E tuttavia tale consentimento e cooperazione può avvenire
quando gli uomini VOLGANO LA VOLONTA’ AD OBIETTIVI INFERIORI E CONTINGENTI,
DIVENGONO PER CONTRO IMPOSSIBILI QUANDO ESSI VOLGANO LA VOLONTA’ A TERMINI
FINALI SUPREMI TRA LORO INCOMPATIBILI.
Ora tutta la vita politica del cattolicesimo è subordinata a
un fine ultimo ultramondano, mentre il comunismo ripudia e odia ogni fine
ultramondano. Si badi bene, non solo ne prescinde, come il liberalismo: lo
ripudia.
Giova osservare che quegli elementi positivi che si
ravvisano nel movimento sono nell’enciclica considerati come propri
dell’ideologia comunista quando sono primariamente valori della religione
(inglobativi quelli di giustizia naturale) ed essi acquistano il loro
significato e la loro forza interi solo se rimessi nel complesso delle idee
religiose.
Non basta dunque riconoscerli ma occorre riconoscerli come
frazione di verità intera e rivendicarli alla religione per restituire la loro
compatta interezza. Ma questo movimento che intenda restituire alla religione
quel che appare suo manca nella Pacem in terris. L’enciclica perora piuttosto
il riconoscimento di valori che si troverebbero a pari, nel movimento e nel
cattolicesimo e che quindi rimandano a un valore anteriore e comune.
In tal modo la religione si degrada a mezzo di quel tal comune
valore. Così dall’opzione dei cristiani per il marxismo, il quale contiene
nelle viscere la guerra di classe, culminante nella rivoluzione, doveva
germogliare una teologia della liberazione. Il fenomeno del fine che prevale
che tira a sé il fine dell’altro cooperante, incompatibile col primo, si
verifica nel passaggio dall’opzione comunistica alla teologia della
liberazione.
1.7 La dottrina del padre Montuclard e lo
svuotamento della Chiesa –
Occorre tener fermi due articoli essenziali del
sistema cattolico. Primo: il fine del genere umano è ultramondano; secondo:
l’opera dell’uomo non può prevaricare la giustizia alla quale nessun fatto e
nessuna utilità può prevalere. Questi due articoli sono stati soppiantati nella
prassi e nella teoria dei movimenti cristiani optanti per il marxismo.
Per la sua immanenza assoluta il movimento abbassa sotto
l’affrancamento economico e l’eudemonismo (dottrina che propugna la felicità
come fine della vita) terreno la finalità religiosa ultramondana. Il processo è
in tre fasi. Prima si pareggia il fine della giustizia mondana al fine
ultramondano dell’uomo, pareggiando i due fini. Poi si spareggiano elevando il
fine terreno ed accantonando quello ultraterreno. Infine si fa
predominare la mira terrena, lasciando cadere lo specifico del cristianesimo
che viene o rifiutato come falso o relegato nell’orbita delle opinioni
soggettive ed irrilevanti.
Il domenicano Montuclard scrisse Les événements et la foi
1940-1952 fu proibito dal S. Uffizio nel 1953. La dottrina del libro intacca la
dottrina della Chiesa in più punti e aggiunge la denigrazione storica della
Chiesa. Il primo intacco è il modo di concepire la fede, presa come un
sentimento di comunione con Dio, ossia esperienza del divino, scissa da ogni
giustificazione razionale e da espressione di formule teoreticamente vere.
Il secondo è una risonanza delle eresie medievali della
spiritualità pura. Montuclard ritiene infatti che lo spirituale e il temporale
siano eterogenei e che lo spirituale non abbia influsso sulle realtà temporali.
Ma la dottrina dei due ordini riceve qui un ‘applicazione che abbatte l’essenza
stessa della Chiesa. Delle due liberazioni quella temporale viene interamente
rimessa al comunismo, quella spirituale viene fatta seguire alla prima. Il
compito della Chiesa nella vita presente è vanificato: “gli uomini non
interessano più alla Chiesa che a partire dal momento in cui avranno
conquistato l’umano”. Dunque la fede segue all’antecedente liberazione
apportata dal comunismo, senza la quale è impossibilitata ad operare. Del
cristianesimo che è il primum e l’incondizionato, si fa un secondario e
condizionato. Egli non solo non concorre alla liberazione umana ma lo si fa
effetto della liberazione umana previamente operata dal comunismo. Quindi la
liberazione spirituale, il regno di Dio, dipenderebbe da un cambiamento umano.
1.8 Passaggio dall’opzione marxistica alla
teologia della liberazione. Il nunzio Zacchi. Il documento dei diciassette
vescovi. Mons. Fragoso –
Lo svuotamento e l’inazione del cristianesimo
professata dal Montcuclard lo congiunge agli ideologi del marxismo. Questi,
sciolti dalla necessità di trattenersi come accade ai politici, e anche perché
più forti nella logica professano l’assioma della inconciliabilità tra marxismo
e cristianesimo. Nella Storia della filosofia del ’67 l’uomo è definito come
pura naturalità, lo sviluppo del pensiero verso l’ateismo e l’umanesimo
radicale e l’attuale avvicinamento dialogale col cristianesimo è spiegato come
INCRINATURA DELLA FEDE CHE CEDE ALLA SCIENZA E ALLA MENTALITA’ MODERNA. Il
dialogo è un momento puramente tattico.
Di fronte alla fermezza logica dei comunisti nella Gauche de
Christ spesseggiano coloro che ammettono la lotta di classe e la compatibilità
con la religione e ravvisano nel comunismo una natura intrinsecamente
cristiana. Il nunzio Zacchi a Cuba definì il regime “non ideologicamente
cristiano, ma eticamente” come se si volesse prender per cristiano un sistema
per cui Dio è un’illusione funesta e come se un’etica cristiana germogliasse da
una etica non cristiana.
Di maggior rilievo il documento firmato da 17 vescovi di
diverse parti del mondo del 31 agosto ’67 pubblicato da Témoignage chrétien che
opera il riconoscimento il passaggio dal positivo riconoscimento del comunismo
alla teologia della liberazione. Secondo Helder Camara, redattore del
documento, la Chiesa non condanna ma accetta, se non proprio promuove, le
rivoluzioni che servono al giustizia. Proposizione che appartiene al sistema
cattolico ma nella formulazione del Camara diviene un errore perché attribuisce
alla classe che insorge di giudicare della giustizia della causa, mentre la
corretta dottrina esige un consenso almeno implicito del corpo sociale.
Inoltre sarebbero da tentare vie non violente, mentre il
documento fa della rivoluzione il mezzo per sé legittimo e per sé idoneo della
riforma sociale.
Inoltre si mettono due concetti disparati sotto un unico
termine pretendendo che il Vangelo sia un principio consentaneo alla
rivoluzione marxistica per la ragione:” IL VANGELO E’ SEMPRE STATO VISIBILMENTE
O INVISIBILMENTE, DALLA CHIESA O FUORI DELLA CHIESA, IL PIU’ FORTE FERMENTO DI
MUTAZIONI PROFONDE DELL’UMANITA’ DA 20 SECOLI”.
Il transito che si fa dalla trasformazione morale operata
dal cristianesimo alla rivoluzione è illegittimo. E pure infondato fare del
cristianesimo la causalità di ogni rivolgimento umano. Vi rientrerebbe allora
quella francese, quella islamica e quella russa. IL DIFETTO DI UN SOLIDO
CRITERIO FA VEDERE TUTTO IN TUTTO E PERDERE LA DISTINZIONI TRA I VARI FATTI.
Il documento attacca poi la Chiesa per la collusione col
denaro e la ricchezza ingiusta, condanna l’interesse sui mutui, esige che la
giustizia sociale non sia data ai poveri, ma dai poveri strappata ai ricchi,
sostituisce la guerra sociale alla trasformazione armonica.
Pio XII nel radiomessaggio natalizio del ’57 affermava che
“con profondo rammarico dobbiamo lamentare l’appoggio prestato da alcuni
cattolici, ecclesiastici e laici, alla tattica dell’annebbiamento … Come si può
ancora non vedere che questo è lo scopo di tutto quell’agitarsi insincero che
va sotto il nome di “colloqui” e “Incontri”? A che scopo dal nostro punto di
vista ragionare senza un comune linguaggio, o come è possibile incontrarsi se
le vie divergono? Cioè se da una delle due parti si respingono e ignorano i
comuni valori assoluti?
Il comunismo non è un sistema sociale a cui i vescovi
possono plaudire come a una delle forme politiche, bensì un compiuto sistema
assiologico intrinsecamente ripugnante al sistema cattolico. La riduzione
del comunismo a puro sistema sociale ne toglie sì il pungiglione ma ne snatura
l’essenza. Il assaggio dall’opzione marxista alla teologia della liberazione è
reso possibile dal fatto che ai 17 vescovi sfugga l’essenza del comunismo e
l’essenza del cristianesimo. Che la lotta di classe non si accorda col
Magistero e che il documenta di difforma dal pensiero cattolico almeno in due
punti.
Per una difettosa teodicea esso tace il principio
escatologico della religione per la quale la terra è fatta per il cielo;
inoltre per una difettosa veduta storica il documento tace il principio
dell’ingiustizia sociale che la religione colloca nel disordine morale e che
per conseguenza trovasi distribuito a tutte le parti del corpo sociale, né può
addossarsi a una sola parte. Manca la tranquillità del giudizio giacché i
vescovi si mettono da una parte sola (cacciando tra l’altro il movimento
operaio cristiano dalla parte dei ricchi) e manca la superiore tranquillità
dell’animo religioso che lumeggiando la storia vi scorge una direzione
oltrepassante la storia. Non c’è nel documento un alfa e un omega che
reggano la storia, ma sola la citeriorità (l’immanenza) che conosce soltanto al
liberazione dalla miseria mondana aspettandola dall’autonoma azione umana.
Mons. Fragoso, vescovo brasiliano insegna apertamente che il
fine soprannaturale della Chiesa deve essere posposto alla lotta per la
giustizia mondana.
Il vescovo nega il saltus tra vita mondana e vita eterna,
tra natura e sopranatura, il disegno di Dio è che questo mondo sia
giusto, fraterno e felice; il regno di Dio si attua nella presente vita,
talmente che il Regno di Dio si attua nella presente vita tanto che alla
parusia il mondo si continui senza catastrofe nel Regno eetrno.
Mentre nell’antico millenarismo teneva ferma la distinzione
tra cielo e terra, tra storia ed eternità, qui la terra nuova e i nuovi
cieli non trascendono ma continuano la creazione e così la perfezione del mondo
diviene il fine del mondo, la subordinazione di tutto a Dio viene a cadere e la
Chiesa si confonde con l’organizzazione del genere umano. Eclissato l’ordine
trascendente i fini terreni possono essere perseguiti con l’assolutezza propria
dei fini ultimi e la sottomissione alla legge coi doveri di obbedienza e di
fortezza paziente vengono estinti dal diritto alla felicità nel mondo di qua.
La violenza diventa il dovere cristiano più alto, connesso con al
responsabilità morale.
Tutti problemi che apparterebbero alla politica divengono
religiosi e la Chiesa deve assumere il problema della fame, della siccità,
dell’igiene, dello sviluppo. E’ per ave fallito a questa funzione di sviluppo
umano che per mons. Camara non è errata l’accusa di Marx alla Chiesa di un
“cristianesimo passivo, alienato, vero oppio per le masse”. Per lui il compito
della religione è l’edificazione della civiltà degli uomini.
Interessante a tal proposito la dichiarazione di mons.
Fregoso per cui, dopo aver stabilito che il Vangelo deve essere vissuto prima
che appreso afferma :”se i contadini lavoreranno insieme, si uniscono, si
mettono d’accordo, acquisiranno quel senso di solidarietà, essi comprenderanno
che quello che ritengono una fatalità è un ingiustizia o difetto
dell’organizzazione [sociale], allora essi perderanno la loro religiosità
passiva per vivere l’evangelo. Solamente dopo tutto ciò io parlerò loro di
Dio”. Ma in difetto di organizzazione non costituisce un’ingiustizia, ma una
deficienza inerente a tutto ciò che è finito. Né da indizio di mente pensante
supporre che si possa vivere il Vangelo prima di conoscere Dio. E all’obiezione
se non rischiava di far perdere la fede rispose così:”E’ un rischio di cui sono
cosciente, ma la mia opera può generare tre risultati. Non cambiare la situazione
attuale e lo considero un fallimento; coscientizzare i contadini e trasformare
la loro fede: e sarebbe un successo; coscientizzare i contadini ma fargli
perdere al fede: che non sarebbe che un mezzo successo”.
Fragoso confonde i due ordini assegnando alla Chiesa come
compito diretto e primario la promozione di un certo ordine sociale e misura
dalla riuscita di tale ordine la riuscita del suo ministero episcopale.
Considera un successo parziale la perdita della fede
compensata dalla coscientizzazione ma come può aversi coscientizzazione se non
si abbia, almeno in confuso, la cognizione di Dio?.
Non si riconosce nelle operazioni riservate al vescovo
Fragoso nessuna delle operazioni che gli assegna la Chiesa, cioè insegnare le
verità di fede, santificare coi sacramenti, governare e pascere. Qui l’ordine
terreno diventa l’oggetto proprio e primario della responsabilità pastorale.
Tale concezione marxistica o comunque tutta terrena del fine del mondo fu
partecipata da non pochi vescovi da movimenti di laici e clero.
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