1.1 Variazione della Chiesa postconciliare di
fronte alla gioventù. Delicatezza dell’opera educativa –
Nella filosofia, nella morale, nell’arte e nel senso comune,
ab antiquo sino ai nostri tempi, la gioventù fu riguardata come un’età di
imperfezione naturale e morale.
Il giovane è un soggetto in possesso della libertà e deve
essere formato ad esercitare la libertà in modo che, scegliendo l’adempimento
del dovere (la religione non dà alla vita altro scopo), si determini da sé
stesso a quell’unum per il cui raggiungimento è stata data la libertà.
La delicatezza dell’azione educativa deriva dall’avere per
oggetto un essere che è un soggetto e come fine la perfezione di esso soggetto.
Si tratta di un’azione sopra la libertà umana che non limita ma produce
libertà. Per questo rispetto l’azione educativa è una imitazione della
causalità divina la quale secondo la teorica tomistica produce l’azione libera
dell’uomo. Per cui l’azione educativa della Chiesa rispetto alla gioventù non
può prescindere dall’opposizione dei correlativi che sono l’imperfetto di
fronte al perfetto (relativamente, s’intende) e dell’insciente o discente
rispetto allo sciente (sempre inteso relativamente).
1.2 Carattere della gioventù. Critica della vita
come gioia-
La gioventù essendo vita incipiente ha bisogno che le venga
rappresentato l’intero della vita cioè il fine in cui la virtualità
dell’incipiente deve adempirsi. La vita è difficile o, se si vuole, seria. In
primo luogo perché l’uomo è una natura debole. In secondo luogo l’uomo è guasto
e inclina al male. E le propensioni malvagie fanno che la condizione della vita
umana, tirata da opposti motivi, sia una condizione di milizia, anzi di
guerra. La vita è difficile e le cose difficili sono le cose interessanti.
L’uomo NON DEVE REALIZZARSI MA DEVE REALIZZARE I VALORI per cui è fatto e che
esigono che egli si trasformi. Ed è curioso che mentre la teologia
postconciliare frequenta il vocabolo metànoia (conversione), che vuol dire
trasformazione della mente, faccia poi tanta forza sulla realizzazione di sé
stesso.
Che la vita umana sia combattimento e fatica era un luogo
comune dell’educazione antica, da cui prese forma la favola di Ercole al Bivio.
Oggi la vita è presentata irrealisticamente ai giovani come
una gioia, prendendo al gioia in speranza. La durezza dell’umano vivere,
dipinto un tempo nelle orazioni più frequentate come valle di lacrime viene
dissimulato mentre la felicità vien figurato come lo stato proprio dell’uomo.
Perciò ai giovani pare ingiustizia ogni ostacolo da saltare e lo sbarro è
riguardato non come prova, ma come scandalo. E gli adulti hanno ripudiato
l’esercizio dell’autorità per voler piacere giacché credono non poter essere
amati se non carezzano.
1.3 I discorsi di Paolo VI ai giovani –
Tutti i
motivi del giovanilismo del mondo contemporaneo, partecipato dalla Chiesa, si
uniscono nel discorso dell’aprile ’71 a un gruppo di Hippies venuti a Roma a
manifestare per la pace. Il Papa rileva con lode “i valori segreti” che i
giovani vanno cercando e li enumera. Per pima cosa la spontaneità che gli
sembra in contraddizione con la ricerca, poiché una spontaneità ricercata cessa
di essere spontaneità. E non gli sembra neanche in contraddizione con la
moralità che è intenzionalità consapevole.
Il secondo valore della gioventù è “la liberazione da certi
vincili formali e convenzionali”, senza però precisare quali siano.
Il terzo è la “necessità di essere sé stessi” Ma non
si chiarisce qual è l’io che il giovane deve attuare e in cui riconoscersi.
L’Io vero non esige che il giovane si realizzi comunque, ma che egli si
trasformi e diventi persino un altro da sé. La parola del Vangelo non ammette
chiosa:” abneget semetipsum (Lc 9,23). Il Papa aveva esortato alla metànoia:
realizzarsi o trasformarsi?
Il quarto è lo slancio a “vivere e interpretare il proprio
tempo”. Ma il Papa non porge ai giovani la chiave interpretativa del proprio
tempo e non rileva che, per la religione, nell’effimero del proprio tempo
l’uomo ha da ricercare il non effimero, cioè il fine ultimo.
La semiologia della gioventù che il Papa fece nel discorso
del 3 gennaio 1972 è ancora più scopertamente antitetica a quella tradizionale
cattolica. Vi sono descritte come qualità positive il naturale distacco dal
passato, il facile genio critico, l’antiveggenza intuitiva.Questi caratteri non
convengono alla vera psicologia della gioventù e non sono positivi. Lo
staccarsi dal passato è un’ impossibilità morale, storica e religiosa: basta dire
che per il cristiano tutta la vita e l’impegno di vita dipendono dal battesimo,
che è un antecedente, e la famiglia dalla Chiesa che è un antecedente massimo.
Che la gioventù abbia genio critico, cioè discernitivo, è difficile sostenere
se si riconosce il divenire dell’uomo nella sua formazione e se si distingue il
momento maturo da quello immaturo. L’antiveggenza poi è una cosa novissima dato
che al giovane si riconosce sempre un vedere tardivamente non solo gli eventi
del mondo ma pure l’utile proprio.
Eppure il Papa si spinge a proclamare che “i giovani sono
all’avanguardia profetica della causa congiunta della giustizia e della
pace”. Additando un singolare rovesciamento nel quale chi deve seguire è
seguito e l’immaturo è di esempio al maturo.
1.4 Ancora del giovanilismo della Chiesa –
La
Conferenza episcopale elvetica si spinse a dichiarare nel 1969 che “la
contestazione giovanile porta avanti valori di autenticità, di disponibilità,
di rispetto dell’uomo, di insofferenza della mediocrità, di denuncia
dell’oppressione, valori che a ben guardare si incontrano col Vangelo”. Facile
notare che i vescovi peccano di indeterminatezza logica.
L’autenticità in senso cattolico non consiste nel porsi
naturalmente come si è, ma nel farsi come si deve essere.
La disponibilità è adiafora (indifferente) e si qualifica
come buona solo in rapporto al bene cui l’uomo si rende disponibile.
Il rispetto dell’uomo esclude il disprezzo del passato
dell’uomo e il ripudio della Chiesa storica.
L’insofferenza della mediocrità, oltre che mancare di
determinatezza (rispetto a che cosa?) è contro la saggezza antica, contro la
virtù di contentamento e contro la povertà di spirito.
Che poi “siamo in presenza di nuovi traguardi umani e
religiosi” è affermazione che privilegia il nuovo e dimentica non esserci altra
creatura nuova che non sia quella ri-fondata dall’Uomo-Dio, né altri traguardi
da quelli da Lui prescritti.
Lodare i giovani come “segno dei tempi e come la voce stessa
di Dio” è un composto di parole assurdo per la smisuratezza dell’adulazione.
Anche lodare i giovani “che vogliono essere protagonisti” urta contro il
principio cattolico dell’umiltà e dell’obbedienza, tanto più che la Chiesa non
è composta solo da giovani.
Si può notare anche la consumazione di un’alterazione
semantica e che i termini paterno e paternalistico son diventati termini di
disprezzo. Ma chi non vede che in un sistema in cui il valore si fa poggiare
sull’autenticità e sul rifiuto di ogni imitazione, il primo rifiuto è quello
della dipendenza paterna?
Se si divinizza la gioventù la si getta al pessimismo,
perché le si fa desiderare di perpetuarsi, mentre non si può. La gioventù è un
progetto di non–gioventù e l’età matura non deve modellarsi su di essa, am
sulla saggezza maturata.
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