Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.
1.1 La defezione dei sacerdoti –
Nell’allocuzione del giovedì santo del 1971 rievocando il dramma di Cristo
disertato dai discepoli e tradito dall’amico, il Papa fece transizione da Giuda
all’apostasia dei preti. Chiamò i defezionanti “infelici e disertori”, parlò di
“vili motivi terreni”, deplorò la loro “mediocrità morale che vorrebbe trovare
naturale e logico infrangere una propria promessa lungamente premeditata”.
Parlando al clero romano nel febbraio ’78 delle defezioni
sacerdotali disse: “Le statistiche ci opprimono, le casistiche ci sconcertano
“. Parla di “mania di laicizzazione” che ha “sconsacrato la figura tradizionale
del sacerdozio” e con un processo che ha qualcosa di inverosimile “ha
divelto dal cuore di alcuni la sacra riverenza dovuta alla loro stessa
persona”.
Lo sgomento del Papa deriva in parte dall’ampiezza
statistica del fenomeno e in parte della profondità del corrompimento. Né si
tratta esclusivamente della corruzione del costume sacerdotale, in quanto violi
il celibato, giacché esso si corruppe anche in altre epoche ma senza apostasie,
ma dall’altro corrompimento quello che consiste nel RIFIUTO DELLE ESSENZE e nel
tentativo di trasformare il sacerdote in altro da sé. La peculiarità della
defezione postconciliare non sta nella moltitudine strabocchevole dei casi
(cifre del genere e anche superiori accaddero in Francia al tempo della
Rivoluzione), ma dalla legalizzazione che ne ha fatto la Santa Sede concedendo
larghissimamente la dispensa pro gratia. Questa toglie al prete di esercitare
il ministero, ma lo lascia in tutti i diritti e le funzioni che appartengono al
laico, rendendo inattivo e insignificante il carattere indelebile
dell’ordinazione.
1.2 La legittimazione canonica della defezione
sacerdotale –
Nei rapporti editi dalla Segreteria di Stato dal 1969 al 1976 in
sette anni i sacerdoti calarono da quattrocentotredicimila a
trecentoquarantatremila; i religiosi da duecentoottomila a centosessantacinquemila.
Le dispense però cessarono quasi del tutto nel 1978 con Giovanni Paolo II. Il
diritto canonico prevede che con la riduzione allo stato laicale il chierico
perde offici, benefici e privilegi clericali ma gli resta l’obbligo del
celibato, salvo i casi in cui si suppone la mancanza di consenso. Ma oggi la
mancanza di consenso non sembra più essere desunta dalla Giurisprudenza della
Santa Sede non più dalle disposizioni del soggetto nel momento dell’ordinazione
ma dalle successive esperienze di inettezza o discontento morale dispiegatesi
nella vita del prete ordinato. Criterio che i Tribunali diocesani USA tentarono
di introdurre nelle cause di nullità matrimoniali. Il fatto che il prete chieda
in un tale momento della sua vita, di ritornare allo stato laicale diviene la
prova che egli era immaturo nel momento in cui s’impegnò. Ma in tal modo
si spogliano di responsabilità i singoli momenti della volontà per investirne
la loro somma. Forse lo scemare delle vocazioni sacerdotali, dipende nelle sue
ragioni più profonde, da questa frivolizzazione dell’impegno che toglie al
sacerdozio quel carattere di totalità e perpetuità che piace, coll’amaro e col
duro, alla parte più nobile dell’umana natura.
Giovanni Paolo II definì queste defezioni un anti-segno e un
anti-testimonianza che sono stati tra i motivi di arretramento delle speranze
del Concilio.
La causa del fenomeno è eminentemente spirituale e interessa
in un duplice ordine. In primo luogo e in linea puramente naturale vi ha un
abbassamento del valore della libertà, ritenuta incapace di legarsi in modo
assoluto a qualcosa di assoluto e capace al contrario di slegare ogni legame.
Come si intende analogicamente col divorzio.
In secondo luogo la flessione della fede, cioè la
dubitazione circa l’assoluto cui il sacerdote si dedica e a cui deve dedicarsi
in modo assoluto. Questa flessione che potrebbe raddrizzarsi o essere
raddrizzata venne invece assecondata. Si cade così in un circolo vizioso nel
quale la virtù venga a mancare proprio a causa di quel che al contrario la
sosterrebbe e la reggerebbe. Tuttavia la Congregazione per la dottrina della
Fede nel 1980 promulgò una disciplina restrittiva che riduce a due soli capi i
motivi di dispensa, cioè il difetto di consenso all’atto dell’ordinazione e
l’errore del Superiore nell’atto dell’ammissione all’ordinazione.
1.3 Tentativi di riforma del sacerdozio
cattolico –
Tutti i motivi soggiacenti alla riforma del sacerdozio si risolvono
nel RIFIUTO DELLE ESSENZE e nella spinta a trasgredire il limite che circoscrivono
le essenze e, circoscrivendo, le determina e le fa essere.
Si lamenta che il sacerdote vive in uno stato di inferiorità
e di imperfetta responsabilità e si chiede di “restituirgli la facoltà di
determinare la propria situazione” restituendogli ad esempio la facoltà di
contrarre il matrimonio, di lavorare in officina, pubblicare libri, di
manifestare le proprie opinioni (sebbene la parresia del clero non sia mai
stata così ampia, facile e risonante).
In realtà l’allentamento della disciplina canonica un sùbito
attuoso e fruttuoso. Sotto il riparo dell’autorità predicano come kerygma
evangelico e dottrina della Chiesa fluttuanti e meteore opinioni proprie,
predicano cioè sé stessi.
I preti non soltanto hanno l’autorità che compete loro in
forza dell’ordinazione ma la ampliano oltre misura arrogando al loro ministero
un’autorità indebita con cui tentano di rivestire le loro private opinioni.
Conviene osservare che la rivendicazione del prete per una
più ampia facoltà “a determinare la propria situazione arguisce una
debilitazione della fede e del conseguente senso della dignità sacerdotale. Chi
ha il potere di produrre il corpo del Signore e di rimettere i peccati, mutando
il cuore degli uomini, come può sentirsi minore e non pienamente responsabile,
senza patire oscurazione d’intelletto ed eclissi di fede? Questo senso
d’inferiorità nasce dall’essersi il prete spogliato del senso essenziale del
sacerdozio, che è di dare il sacro agli uomini, e dal prendere lo stato
sacerdotale alla stregua di ogni altro stato, come quello dell’uomo che cerca
la propria realizzazione nel mondo.
1.4 Critica della critica del sacerdozio
cattolico. Don Mazzolari –
Dicono: il prete soffre perché è in mezzo a un mondo
indifferente e ostile che non si apre alla sua azione e che gli passa accanto
senza incontro. Eppure il Salmo con cui si aprì il Vaticano I:”Partendo
andavano e piangevano spargendo le loro semente, ma al ritorno arriveranno con
giubilo portando i loro manipoli”. Stride fare un lamento speciale di questa dissidenza
tra mondo e sacerdozio, mentre poi si accusano i secoli di gran fede di
trionfalismo in cui la dissidenza era sentita a questo modo.
Don Mazzolari osserva che “ il prete soffre di dover
predicare parole che sono più alte della sua vita e che lo condannano”. Ma
questa è la condizione costitutiva non solo del prete ma di ogni uomo di fronte
alla legge morale. Basta riconoscere la distinzione tra ordine ideale e ordine
reale per riconoscere che nessuno può predicare le verità morali a titolo
personale: di nessuno la virtù pareggia la dottrina.
L’inadeguatezza della vita del sacerdote è solo un caso
particolare nella generale inadeguatezza della vita di tutti gli uomini. LA
CONSEGUENZA CHE SE NE DEVE TRARRE E’ L’UMILTA’ E NON L’ANGOSCIA DELLA SUPERBIA.
1.5 Sacerdozio universale e sacerdozio ordinato
–
Il dogma cattolico ravvisa nel sacerdozio una differenza non solo funzionale
ma di essenza tra prete e laico, differenza ontologica dovuto al carattere
impresso nell’anima del sacramento dell’ordine. La teologia neoterica,
ravvivando antiche istanze ereticali confluite nell’abolizione luterana del
sacerdozio, occulta il divario esistente tra sacerdozio universale dei fedeli e
sacerdozio sacramentale dei soli preti. Grazie all’ordinazione egli diventa
capace di atti in persona Christi, di cui i laici sono incapaci, come produrre
la presenza e rimettere i peccati. La tendenza della teologia neoterica è
invece il dissolvimento del secondo nel primo. Il prete avrebbe solo una
funzione speciale, come l’ha ciascun cristiano, nella differenziata comunità
cristiana e non implica alcuna differenza ontologica.
Il teologo olandese Bunnink ha manifestato bene il pensiero
dominante nella Chiesa olandese:” Il sacerdozio universale si impone come una
categoria di base del popolo di Dio, mentre il ministero particolare non è che
una categoria funzionale”, ed è una “necessità sociologica emanante dal basso”.
Il paralogismo circa il sacerdozio genera il paralogismo
circa la Chiesa nel mondo: infatti la “Chiesa del Concilio” dice, “scopre
progressivamente che in ultima istanza la Chiesa e il mondo compongono una sola
e medesima realtà divina”. Ecco le essenze disciolte e poi confuse: prima il
sacerdozio ordinato confusa con quella del sacerdozio battesimale e poi quella
della Chiesa soprannaturale teandrica confusa con la società universale del
genere umano indifferenziato.
1.6 Critica dell’adagio “il prete è un uomo come
tutti gli altri” –
Si tratta di un asserto falso in linea teologica e storica.
In linea teologica urta contro il dogma del sacramento dell’ordine che alcuni
cristiani ricevono e altri no, in linea storica, nella comunità civile non
tutti gli uomini sono eguali tranne che , in astratto, nell’essenza, ma non
dove essa trovasi, in concreto, differenziata.
No, non è un uomo come tutti gli altri, è un uomo-prete. E
non tutti sono uomini-preti. I neoterici fissandosi sulla identità astratta
della natura umana rigettano il carattere soprannaturalmente speciale che il
sacerdozio introduce nella specie umana e per il quale il prete è SEPARATO.
Da questo errori discendo corollari pratici. Il prete oggi
deve lavorare (prendendo il lavoro come fine dell’uomo, abbassando la
contemplazione e il patimento sotto la produttività utilitaristica). Il
sacerdote, essendo un uomo come tutti gli altri, rivendicherà il diritto al
matrimonio, alla libertà del vestito, alla partecipazione attiva alle lotte
sociali e politiche; così entrerà nella lotta rivoluzionaria.
Che il prete sia segregato dal mondo è lamento infondato. In
primo luogo perché egli è separato, come il Cristo separò gli apostoli suoi,
proprio per essere mandato nel mondo.
In secondo luogo storicamente la separazione del clero dal
mondo nel senso lamentato dai neoterici non trova nessun suffragio nella
storia. Tanto il clero secolare quanto quello regolare sono separati dal mondo
ma dentro il mondo. E a provare vittoriosamente che quella separazione dal
mondo non rende estraneo il clero al mondo basta il fatto che il clero
regolare, l’uomo del chiostro, quello più separato dal secolo è anche quello
che più potentemente operò l’influenza religiosa e civile nel mondo.
Il clero è il fermento che lievita la pasta ma non però si
fa pasta.
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