Schizzo storico. Le crisi della Chiesa
1.1 Gerusalemme (a.50) – E’ la prima e
fondamentale crisi, la separazione della Chiesa dalla sinagoga, operazione che
esclude e tronca il sincretismo Vangelo-Torah. Il Concilio di Gerusalemme è
importante anche perché ha separato per sempre il giudizio teoretico da quello
pratico, piegando non i principi ma le loro applicazioni alle varietà delle
situazioni, sotto l’ispirazione della carità. Dopo il Concilio Pietro e
Paolo si trovarono concordi nel giudicare superata la legge giudaica, ma
Pietro condiscendeva la sensibilità rituale dei giudeo-cristiani della Sinagoga
(difforme da quella richiesta da Pietro stesso dai cristiani provenienti
dall’idolatria). Tale prassi fu riprovata da Paolo e poi dallo stesso Pietro e
dalla Chiesa tutta. Erano dispareri sulla condotta pratica, errori derivati dal
non vedere subito il principio e l’attuazione concreta. Sono dispareri ed
errori che proseguono nel corso della storia della Chiesa (si pensi alla
soppressione della Compagnia di Gesù che rovescia le dichiarazioni dei
precedenti papi o Poi VII che ritratta gli accordi con Napoleone. Gerusalemme è
la prima crisi della Chiesa ma qui si fissa la distinzione della variabile
sfera disciplinare, giuridica e politica da quella invariabile del porro unum
est necessarium (una sola cosa necessaria): la sfera della storicità
definitivamente distinta da quella del dogma.
1.2 La crisi di Nicea (a.325) –
La crisi di
Nicea significa separazione del filosofico dal dogmatico e l’indirizzo del
Cristianesimo come religione soprannaturale. L’Arianesimo fu il tentativo di
riportare la Novità Evangelica nell’alveo gnostico. Che il Verbo non fosse
consustanziale ma consimile al Padre tranquillizzava le esigenze dell’umana
intelligenza, ma levava di mezzo la fede. Con Nicea e le definizioni di Efeso
e Calcedonia la Chiesa si stacca dalla concezione antica di Dio come
perfezione dell’uomo e della religione come culto di valori intramondani. Dio
cessa di essere il grado più inaccessibile di una perfezione comune all’uomo e
a Dio, ma è una essenza sovrastante l’umano. Cristo è ontologicamente uomo e
ontologicamente Dio così che la sua costituzione teandrica ontologica è un
mistero. Mistero che non contraddice la ragione come appare dal concetto steso
dell’essere divino come Monotriade nel cui seno l’infinito pensa e ama sé
stesso come infinito e dunque supera di per sé i limiti entro cui opera
l’intelletto creato. Si nega il diritto della ragione al soprannaturale, se si
nega alla ragione di sottomettersi alla Ragione. Negando tale sottomissione si
nega alla ragione di conoscere sé stessa, impedendole di conoscersi come
limitata e di riconoscere qualcosa oltre il proprio limite.
Siccome ogni crisi da un lato separa un’essenza
dall’eterogeneo e dall’altra conserva all’essenza il proprio tipo, a Nicea si è
conservata simpliciter la religione Cristiana.
1.3 Gli smarrimenti dell’età di mezzo –
Furono
perturbazioni più che vere crisi perché la Chiesa non rischiò mai di mutare la
propria essenza. Conviene formulare la legge della conservazione storica della
Chiesa, criterio supremo della sua apologetica. La Chiesa è fondata sul Verbo
incarnato, cioè su una verità divina rivelata. Le sono date energie
sufficienti a pareggiare al propria vita a quella verità: che la virtù sia
possibile in ogni momento è dogma di fede. La chiesa però non va perduta nel
caso non pareggiasse la verità, ma nel caso perdesse la verità. La chiesa
peregrinante è condannata da sé stessa alla defezione pratica e alla penitenza.
Si perde non per le infermità umane che la mettono in contraddizione, ma solo
quando la corruzione pratica si eleva tanto da attaccare il dogma.
Perciò moti che turbarono la chiesa medievale furono
combattuti dalla Chiesa, ma condannati solo quando ad esempio il pauperismo
trapassò in teologia della povertà. Né fu crisi il conflitto con l’Impero, né
quello dei moti catari e Albigesi e dei Fraticelli: questi moti provocati da
vari sobbollimenti sentimentali, economici e politici raramente si traducevano
in formule speculative E quando si traducevano, come ad esempio nella dottrina regressiva
preconizzante il ritorno alla semplicità apostolica, nel mito dell’eguaglianza
dei fedeli nell’eguaglianza sacerdotale, o nella teologia della terza età dello
Spirito, tutte queste devianze trovarono la Chiesa gerarchica pronta e ferma
nell’esercizio del suo officio didattico e correttore sostenuta spesso, secondo
le strutture sociali di solidarietà, dalla potenza temporale. Vi fu attacco, ma
non intacco della fede.
1.4 La crisi della secessione luterana. Ampiezza
ideale del cristianesimo –
Il grande scisma d’Oriente lasciò intatto il sistema
della fede cattolica. La vera crisi arrivò con Lutero che mutò da cima a fondo
la dottrina ripudiandone il principio. La rivolta religiosa tedesca è
strettamente attinente al Rinascimento.
La civiltà medievale con la potenza del sentimento mistico
espresse un momento essenziale della religione, ossia la relativizzazione di
tutto il mondano e la sua proiezione finalistica verso il cielo; ma per
alcuni la forza di quel momento pare aver mortificato valori che non hanno da
esser mortificati ma coordinati tra loro e subordinati al cielo. Se si
considera l’ampiezza dell’idea cristiana il Rinascimento fu un caso di ripresa
di quell’ampiezza grazie al quale la religione intese la parentela che la univa
con le civiltà morte dentro le quali dormivano i valori della naturale
sapienza, dell’ideale di bellezza e della mondana milizia.
L’assimilazione della civiltà pagana non venne solo per la
fuga dei greci dall’Islam, perché fu preceduta dalla conservazione degli autori
greci e latini ad opera dei monaci. Questo avvenne non perché i monaci
trovassero in loro un qualche incentivo alla loro vita di pietà ma perché, per
un istinto ideale non ascetico, ma pure religioso, il Cristianesimo mentre
indirizza al cielo avvalora anche la terra.
Questa ampiezza ideale del cristianesimo, dovuta alle parti
latenti destinate a manifestarsi storicamente, scorre per tutta la speculazione
e si riannoda teologicamente all’atto di unità tra il ciclo dell’atto creativo
e quello dell’Incarnazione, nei quali è presente l’unico Verbo. Troviamo nello
stesso spazio scuole e stili contrapposti: Bellarmino e Suarez fondano
teoreticamente la democrazia e la sovranità popolare, mentre Bossuet giustifica
l’autocrazia regia, l’ascetismo francescano predica la spoliazione dei beni
mondani, temporali e intellettuali, mentre il realismo gesuitico edifica città
Stati e mobilita ad maiorem Dei gloriam tutti i valori mondani. I Cluniacensi
ornano di colori, ori, gemme sino il pavimento delle chiese, i cistercensi
invece riducono l’edificio divino alla nuda architettura. Molina celebra la
libertà e l’efficacia autonoma dell’umana volizione capace di dare scacco alla
divina predestinazione mentre i tomisti esaltano l’efficacia assoluta del
decreto divino. Il francescanesimo steso contiene due spiriti diversi fin dalla
fondazione che spaziano e si conciliano in una superiore ispirazione.
Se si perde di vista questa essenziale spaziosità, la
distanza tra un’ortodossia e l’altra si presenterà tanto grande che potrà sembrare
distanza tra ortodossia ed eterodossia. E tale sembrava ai fautori delle
rispettive scuole, ma non al Magistero della Chiesa che sempre intervenne a
ridurre le vicendevoli accuse e custodendo la superiore altezza della
religione. Chesterton ha fatto di questa ampiezza il criterio principale della
sua apologetica al cristianesimo.
E’ tutta via necessario precisare i limiti di questa veduta
larga del cattolicesimo. La veduta larga non può condurre al pirronismo
onnicomprensivo [sta per negazione assoluta della ragione e della potenza
conoscitiva della ragione] che divora e sincretizza non solo i distinti, ma
anche i contraddittori.
Si parla di veduta larga quando si vedono più idee come un
insieme coerente, dove un ‘idea non venga distrutta dalla contraddizione.
E’ impossibile per ogni mente far stare insieme termini contraddittori, il vero
e il falso. Il cattolicesimo propone il logico a ogni forma dello spirito e la
sua larghezza abbraccia una pluralità di valori che stanno tutti dentro la sua
verità, ma non già una pluralità di valori e non-valori. Questo concetto spurio
dell’ampiezza della religione conduce all’indifferenza morale, cioè
all’impossibilità di ordinare la vita.
1.5 Negazione del principio cattolico nella
dottrina luterana –
per il suo rifiuto del principio l’eresia luterana è
teologicamente inconfutabile. L’apologetica cattolica può sciogliere
l’obiezione avversaria, ma non all’avversario perché rifiuta il principio dal
quale si argomenta per confutarlo. Lutero non rifiuta questo o quell’articolo
del cattolicesimo ma il principio di tutti gli articoli che è l’autorità divina
della Chiesa. Bibbia e Tradizione non sono autorità al credente se non
perché la Chiesa ha il possesso di entrambe. Non solo nell’aspetto filologico
ma anche il senso dell’una e dell’altra. Lutero pone la Bibbia e il senso ella
Bibbia nelle mani dell’individuo credente, ricusa la mediazione della Chiesa e
affida tutto al lume privato, soppiantando all’autorità dell’istituzione
l’immediatezza del sentimento. La coscienza si sottrae al magistero e
l’apprendimento individuale fonda il diritto alla persuasione e alla
manifestazione di ciò che si pensa, sopra ogni regola. La Chiesa che
l’individuo storico-morale del Cristo uomo-Dio, viene spropriata della sua
essenza autoritativa, la vivezza dell’apprensione soggettiva viene chiamata
fede e fatta dono immediato di grazia. La supremazia della coscienza leva a
tutti gli articoli della fede che cadono sotto la coscienza individuale. Il
principio cattolico che è l’autorità divina è espropriato. Se eresia è il non
tenere una verità rivelata in quanto tale, ma perché consentanea alla
percezione soggettiva si può dire che tutto il concetto di fede si converte nel
luteranesimo in quello di eresia. Non la cosa ingiunge all’assenso, ma
l’assenso dà valore alla cosa.
1.6 Ancora l’eresia di Lutero. La Bolla Exsurge
Domine –
Le proposizioni condannate contengono la dottrina della penitenza
insegnando Lutero che tutta l’efficacia della penitenza sacramentale si rifonde
nel sentimento che il confitente abbia di essere assolto. Alcuni articoli
inficiano il libero arbitrio che vien mosso interamente dalla grazia e rimane
de solo titulo. Altri toccano la prevalenza del Concilio sul Papa, l’inanità
delle indulgenze, l’impossibilità delle opere buone, la pena di morte per gli
eretici giudicata contraria allo Spirito Santo.
Nell’articolo 29 lo spirito di eresia è apertamente
professato: ”Ci è dato un mezzo per snervare l’autorità dei Concili e
contraddire liberamenti ai loro atti, e per proclamare liberamente tutto quello
che ci sembra vero”. Il criterio è lo spirito privato che dà forza a tutto quel
“che sembra”. Dunque l’anima della secessione luterana non erano la Messa, le
indulgenze, i sacramenti, il papato, il celibato … era un’insofferenza che il
genere umano porta attaccata e inerente ai precordi che Lutero ha l’ardire di
manifestare apertamente: l’insofferenza all’autorità. La Chiesa, corpo storico
collettivo dell’uomo-Dio, ha la sua organica unità dal principio divino. Che
cosa può essere l’uomo in tal confronto se non la parte che vive nella
congiunzione col principio e nell’obbedienza al principio? Chi rompe tale
vincolo non può che perdere il principio informante della religione.
Posta la questione in questi termini le magagne morali dei
prelati e la corruzione contingente dell’istituzione, pur gravi, passano in
secondo piano.
1.7 La Rivoluzione in Francia –
La Rivoluzione
francese viene identificata coi principi dell’89. E quelli infatti non
sarebbero principi se, fossero solamente la promulgazione di diritti. Sono per
contro veri e propri principi, assunzioni di verità che non si lasciano
giudicare e tutto giudicano. Posizioni antitetiche al principio cattolico
d’autorità. Sebbene non tutte le cause siano state filosofiche e religiose
(come anche per la Riforma) si può riconoscere nella Rivoluzione Francese un
grandioso moto di fondo che, per riprendere la stupenda immagine lucreziana
“funditus humanum … vitam turbat ab imo” (Intorbida sin dal fondo l’umana
vita).
La critica ai principi della Rivoluzione è stata assunta da
tutti gli autori cattolici del XIX secolo, anche quelli che si ascrivono alla
scuola liberale. Per oltre un secolo parve innegabile che dalla Rivoluzione
mosse uno spirito nuovo che non è possibile né combinare né sottomettere al
principio del cattolicesimo.
1.8 Il principio di indipendenza. La “Auctorem
fidei” –
Stranamente nell’Enchiridon non si trovano, negli
anni del sommovimento rivoluzionario, documenti che condannino i supposti
teorici soggiacenti alla legislazione riformatrice delle varie Assemblee
succedutesi sino al Consolato e all’Impero. Napoleone lasciò cadere le parti
più ostili e incompatibili con il cattolicesimo, ma lasciò nel fondo
delle novità il principio informante del mondo moderno che è l’instaurazione
dei valori umani come umani, indipendenti e sussistenti da sé medesimi e quindi
la correlativa destaurazione della autorità.
Libertà, uguaglianza e fraternità non erano sconosciuti alla
sapienza greca e poi alzati a contrassegno nella religione cristiana. Ma gli
stoici li appendevano al logo naturale (illuminante inefficacemente) ogni uomo,
mentre il cristianesimo li appese al Logo soprannaturale fatto uomo,
illuminante ed efficacemente movente il cuore dell’uomo. Poiché il Logo
naturale non è reale, ma ideale, non può essere il vero principio cui appendere
il tutto, né quindi può essere riverito e obbedito incondizionatamente. Il vero
principio è un ente realissimo che include l’Idea e che, nel Cristianesimo, si
è fatto realtà creata mediante l’incarnazione.
L’uomo-Dio, individuo ontologico, diviene individuo sociale
nella Chiesa che è il Corpo mistico di Lui, onde la dipendenza dal Cristo si
riflette nella dipendenza dalla Chiesa, questo è il principio dell’autorità che
regge tutto l’organismo teologico.
L’indipendenza politica dell’uomo insegnata dalla
Rivoluzione era contenuta dall’indipendenza religiosa insegnata da Lutero e
reinsegnata dai giansenisti. Viene condannata alla Costituzione di Pio VI
Auctorem fidei (1794).
Come Lutero trametteva tra la Parola e il credente
l’apprensione soggettiva, estromettendo la Chiesa universale, così i
giansenisti vi tramettevano la Chiesa particolare operando una traslazione
dall’universale al particolare che la plurifica e la disperde un po’ meno ma non
diversamente dallo spirito privato di Lutero[con lo strumento dei Sinodi, NdR].
I Giansenisti italiani al Sinodo di Pistoia agitavano il
generale oscuramento di verità religiose che sarebbero intervenute nella Chiesa
degli ultimi secoli. Proposizione che è contro la natura della Chiesa
In cui la verità è un atto indefettibile che non può
oscurarsi mai dal suo organo didattico. Ma a questa osservazione seguono
proposizioni proscritte come eretiche con cui si professa che l’autorità di
comunicare i dogmi di fede e di reggere la comunità ecclesiale risiede nella
comunità medesima e che si comunica dalla comunità ai pastori. Questa
proposizione intronizza lo spirito privato non più dell’individuo, ma della
singola Chiesa. L’obbedienza alla parola c’è ancora ma mediata non
dall’individuo ma dalle chiese minori. E che il papa sia capo della Chiesa, ma
come ministro della Chiesa da cui dipende, e non del Cristo, è un corollario
che riceve la qualifica di eresia.
1.9 Le crisi della Chiesa nella Rivoluzione di
Francia –
La rivoluzione popolare seguì alla rivoluzione dell’assolutismo regio
che si era affrancato dalla soggezione, almeno morale, dalla Chiesa, rinnovando
il dispotismo della lex regia e si era rafforzato prendendo gli spiriti della
luterana libertà di coscienza. Da un lato il nuovo cesarismo aveva asserito
l’indipendenza del principe dalle regole della Chiesa, dall’altro
Aveva assorbito consuetudini immemorabili, franchigie,
privilegi e guarentigie alle libertà dei sudditi. Sebbene non mancasse una meccanica
reazione sociale a tale situazione gli eventi rivoluzionari sbarbicarono
principi e persuasioni: defezioni e apostasie toccarono un terzo del clero, pur
compensato da episodi di eroica resistenza fino al martirio: preti e vescovi
correre al matrimonio, chiese e conventi profanati e distrutti (di 300
chiese di Parigi ne restarono 37); aborriti, dispersi o vietati i segni della
religione; libertinaggio nel costume; riforme licenziose e stravaganti nel
culto e nelle catechesi; sacrileghe confusioni del patriottico col religioso.
La Costituzione civile del clero (1790) secolarizzava la Chiesa annullandola
come società priore e indipendente dallo Stato.
La Rivoluzione ridotta alla sua specie logica fu una crisi
vera e propria del principio cattolico poiché stabiliva il principio
dell’indipendenza, che rimuove l’ordine religioso, l’ordine morale, l’ordine
sociale dal loro centro.
Tuttavia sebbene lo smarrimento avanzasse in tutti gli
ordini fisiologici del corpo l’anima dell’organismo mistico non fu intaccata.
1.10 Il Sillabo di Pio IX –
Viene oggi ripudiato da una
parte dei teologi che a quegli errori tentano di combinare il principio
cattolico. Oppure viene messo da parte per non dispiacere troppo al mondo o lo
interpretano alla gagliarda, facendone addirittura un prodromo degli ulteriori
sviluppi di quegli errori la cui intrinseca anima di verità avrebbe rivelata i
pasi in avanti fatti dal pensiero nel nostro secolo. Oppure ripudiato nella sua
significazione dottrinale figurato come un momento caduco dell’opposizione al
secolo della Chiesa. Il Sillabo nella fronte stessa del documento intende
elencare “i principali errori della nostra età” ma nell’ultimo degli articoli
(sintesi papale della condanna) questi errori vengono identificati con la
sostanza medesima di tutta la civiltà moderna.
Nella proposizione 3 si proscrive l’indipendenza della
ragione che, senza riferirsi a Dio, riconosce per legge soltanto quella da sé
posta (autonomia) e non si appoggia su altra forza che sulla propria a
lei immanente, così che essa si reputa capace di portare l’uomo all’adempimento
dei fini dell’uomo e del mondo.
La proposizione 5 fa della ragione la norma assoluta e del
soprannaturale un prodotto del pensiero naturale e uno stadio di esso. La
proposizione 58 proclama l’indipendenza della decisione etica dell’individuo da
una Regola regolante che oltrepassa la ragione naturale. E nella 59 viene
condannato il corollario giuridico secondo cui l’evento è la base della
giustizia e il principio non è l’Idea ma il contingente.
Di fatto il Sillabo appare più come una denuncia del mondo
moderno che un sintomo della crisi della Chiesa, non una contraddizione
all’interno della Chiesa ma una contraddizione del mondo al cattolicesimo. La
condanna del Sillabo continua nel Vaticano I.
Perciò la differenza tra la situazione della Chiesa ai tempi
del Sillabo e la nostra sta nel fatto che quelle esigenze e postulazioni del
mondo, allora esterne alla Chiesa e da Lei combattute, si sono internate nella
Chiesa, lasciando cadere l’antagonismo o tacendolo, svigorendo la forza del
principio cattolico con l’elevarlo ad una tale ampiezza da abbracciare non la
totalità del vero, ma la totalità sincretistica del vero e del falso.
1.11 Lo spirito del secolo. Manzoni –
Nella seconda parte
della Morale cattolica Manzoni, nel capitolo titolato Lo spirito del secolo esamina
quel composto eterogeneo di idee vere, utili e giuste e di idee false,
irreligiose e nocive. Manzoni trattenne le parti buone e mostra che queste
derivano dalla religione, e vi erano contenute. Fu colpa, semmai, il non averle
dedotte, lasciando spazio ai nemici della religione di dedurle. L’analisi dello
spirito del secolo poi non si fa con lo spirito del secolo ma col lume della
verità religiosa che sovrasta i tempi in una sorta di ucronia.
Ma sorge un dubbio lo spirito del secolo è forse un composto
scomponibile o è una quiddità che tiene insieme le parti del composto e dà a
ciascuna un essere diverso da quella parte? Resta fermo che il Manzoni afferma
che lo spirito del secolo dovrà essere giudicato non storicamente ma con un
criterio ucronico, cioè dalla religione.
Il giudizio apprezzativo circa una stessa cosa fanno il
cattolicesimo e i sistemi ad esso avversi (si veda il pregio e la
rispettabilità della persona) può sembrare identico, ma questa identità di
giudizio non è che apparente, perché la ragione di quella rispettabilità il
cattolicesimo la trova dove i sistemi avversi non la trovano. Qui e là si ama
l’uomo, ma qui l’uomo è amabile per sé stesso, mentre là è per se stesso
inamabile e il principio superiore della sua amabilità è un Amabile in sé che
rende amabile l’uomo.
Lo spirito del secolo non un complesso di idee ma quel che
unifica quel complesso di idee. E non è scomponibile. Lo spirito del secolo è
nella vita sociale quel che la Bibbia chiama nella vita del singolo Albero o
Cuore (Mt 7,17 e 15,18) donde salgono i pensieri dell’uomo buoni o
cattivi, di salvezza o di perdizione secondo che l’albero o il cuore siano
buoni o cattivi.
1.12 La crisi modernista. Il secondo Sillabo –
La crisi
denunciata dal Sillabo era la crisi del mondo, quella del secondo Sillabo, il
Decreto Lamentabili e dall’enciclica Pascendi (1907), denuncia al contrario al
Crisi nella Chiesa. Pio IX elenca “gli errori della nostra età”, Pio X “gli
errori dei modernisti sulla Chiesa, la Rivelazione, Cristo e i
sacramenti”. Ogni filosofia contiene virtualmente una teologia. Le
materie prettamente teologiche contemplate da Pio X sono il frutto della
filosofia dell’indipendenza maturato dalla filosofia dell’indipendenza trafitta
nel primo Sillabo.
La proposizioni non concernono più la situazione spirituale
propria del mondo, esterna alla Chiesa, ma
l’intacco dello spirito cattolico.
L’enciclica afferma che il modernismo “presenta e mescola
diverse persone” essendo storico, filosofico, credente, teologico, critico,
apologetico e riformatore. Questa pluralità di persone non è denunciata tanto
da Pio X per un atteggiamento morale di duplicità e ipocrisia (che vi fu),
quanto come espressione non di membra sparse, ma di uno spirito, che è
quello di indipendenza.
La proposizione 59 trafigge l’errore secondo cui l’uomo
sottopone al suo diveniente giudizio l’indivenibile verità rivelata,
subordinando la verità alla storia. Tale riduzione della verità al progressivo
sentimento umano, che pone il dato religioso come un inconoscibile noumeno, è
rifiutata anche all’art.20 che leva ogni dipendenza del senso religioso alla Chiesa.
La Chiesa viene abbassata a funzioni di semplice
registrazione e sanzione delle opinioni dominanti della Chiesa discente. La
proposizione 7 negando che la verità possa produrre l’obbligazione di un
assenso interno, ovverosia della persona, e non soltanto della Chiesa,
pronuncia per ciò stesso che vi è nell’individuo un intimo nucleo di
indipendenza dalla verità e che questa si impone come soggettivamente appresa,
non come verità.
La proposizione 58 secondo cui “La verità non è più
immutabile di quello che sia l’uomo, perché essa si evolve con l’uomo,
nell’uomo e attraverso l’uomo” professa due indipendenze: quella dell’uomo
storico dalla natura dell’uomo (assorbita interamente dalla storicità del
primo) e che equivale a l’esistenza di quell’idea eterna in cui sono
esemplate le idee reali senza la quale cade Dio ; e poi quella della ragione
dalla Ragione, cioè da colei che la contiene ovvero la mente divina.
Non è vero che la verità divenga nell’uomo diveniente:
divengono gli intelletti creati, anche quelli dei credenti, anche quelli del
corpo sociale della Chiesa, i quali con atti propri, varianti da individuo a
individuo, da generazione da generazione, da civiltà a civiltà, si
terminano però all’identica verità. L’indipendenza della ragione dalla Verità
immutabile porta a dare a tutto il contenuto e a tutto il contenente della
religione il carattere del MOBILISMO.
La proposizione 65 pronuncia la condanna della scienza
moderna come incompatibile col cattolicesimo è da mettere in parallelo con
l’ultima del Sillabo sulla incompatibilità con la civiltà moderna.
La religione è compatibile col pensiero umano nel senso che
essa è sempre conciliabile col vero che esso esprime.
Abbiamo due proposizioni condannate: il cattolicesimo è
conciliabile con la civiltà moderna (Pio IX) e il cattolicesimo è
inconciliabile con la vera scienza (Pio X). Da tale paragone scaturisce la
disequazione tra la civiltà moderna e la vera scienza. La Chiesa separa
civiltà moderna e vera scienza, ma non abbandona lo spirito del secolo.
Può esservi vero sapere in una civiltà non vera, ma esso è
investito allora dallo spirito non vero e occorre, con una sorta di azione
rivendicatoria, svestirlo e rivestirlo della verità che trovasi nel sistema
cattolico, rimettendola sotto il principio vero.
1.13 La crisi preconciliare e il terzo Sillabo –
Le Crisi
della Chiesa si hanno solo quando nella Chiesa medesima, non nel mondo, sorge
una contraddizione con il principio che la costituisce e la regge. Il terzo
Sillabo è l’enciclica Humani generis (1950) che coi testi del Vaticano II
costituisce il principale atto dottrinale della Chiesa dopo Pio X.
Vi possono essere anche nella formazione del sensus communis
della Chiesa momenti di memoria che tengono sotto il fuoco dell’attenzione
certe parti del deposito e momenti di oblio di altre parti del sistema
cattolico. E’ l’effetto della limitata intenzionalità dello spirito che non può
essere sempre in tutto e della conseguente dirigibilità dell’attenzione.
Bisogna però che questa relativa oblivione in cui si fanno cadere alcuni
articoli del sistema cattolico non trapassi in espunzione di essi. Quando il
senso generale va nella massa della Chiesa verso l’oscurazione di certi veri,
occorre che la Chiesa docente li mantenga con forza conservando tutto insieme il
patrimonio. Così l’innegabile epocazione [cioè, messa da parte] dei tre
sillabi non toglie loro il carattere eminente che portano con sé. Non si può
omettere che la continuità omogenea degli asserti papali costituisce agli occhi
dei neoterici [novatori, progressisti] il difetto principale di questa
insistenza della Chiesa, che ripudierebbe lo sviluppo. Ma la Chiesa sussiste in
una verità intemporale ed è con quella che giudica i tempi.
Lo stile dell’Humanae generis è tetico e categorico,
annunciando che si prendono di mira false opinioni che “minacciano di
rovesciare i fondamenti della dottrina cattolica”. Affermazione fatta senza
nessun indugio né posta come ipotetica.
Nel proemio si coglie la novità che esprime questa crisi:
l’errore che un tempo veniva ab extra dalla Chiesa adesso si genera ab intra.
Si tratta di un guasto intestino che dà luogo alla autodemolizione. Eppure le
false opinioni non dovrebbero aver luogo nella Chiesa perché qui l’umana
ragione si trova sempre rafforzata e amplificata dalla Rivelazione. L’enciclica
non fa altro che cogliere tutte le varie denominazioni e forme che discendono
dal POSTULATO DI INDIPENDENZA DALLA RIVELAZIONE.
Il pirronismo essenziale alla mentalità moderna porta che la
nostra conoscenza non sia apprensione del reale, ma puramente produzione di
immagini sempre mutevoli di una realtà sempre sfuggente. La cognizione è
indipendente dalla verità.
L’esistenzialismo poggia sul principio di indipendenza. Le
cose esistenti non hanno relazione ad essenze anteriori che partecipano
dell’assolutezza dell’ente divino di cui sono i pensati. L’enciclica colpisce
la mentalità moderna che vuole staccarsi dal sostegno di quei valori immutabili
per versare tutta ed esclusivamente nell’esistenza.
Lo storicismo è la considerazione dell’esistenza staccata
dall’essenza e non può trovare la realtà che nel movimento dando luogo a un
universale mobilismo. Negato l’elemento transtemporale di ogni cosa temporale,
costituita dalle essenze, l’essere si dissolve in divenire.
La condanna del sentimentalismo è la condanna del sentimento
quando questo non sia relazionato all’uomo intero, alla sua ragione che a suo
fondo porta un’essenza creata sì ma partecipante l’assoluto.
La discendenza del pirronismo, dell’esistenzialismo, del
mobilismo e del sentimentalismo dal principio dell’indipendenza, opposto a
quello cattolico, è il nerbo teoretico dell’enciclica.
La riprovazione dei singoli errori quali il ripudio della metafisica
(tomista o no), l’evoluzionismo generale, il criticismo scritturistico, il
naturalismo religioso e altri errori teologici sono secondari rispetto al
principio intaccato che è quello della dipendenza di tutto l’antropologico dal
divino, caduta questa si dilegua il fondamento di ogni assiologia, cioè di ogni
dottrina, di ogni affermazione vera valoriale.
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