1.1 Il discorso inaugurale: l’antagonismo col
mondo e la libertà della Chiesa –
Già nella ricognizione del testa si levano
problemi canonici e filologici (per alcuni sulla redazione influì una mente non
papale).
Si apre con un aut aut ai cattolici respingendo
neutralità ed utralità (cioè il pareggiamento) tra mondo e vita celeste,
dovendosi ordinare tutte le cose del tempo al destino eterno.
Tra l’altro si riafferma che “gli uomini hanno il dovere di
tendere al conseguimento dei beni celesti sia singolarmente presi, sia socialmente
uniti”. Concetto tradizionale della signoria assoluta di Dio.
Il secondo capo saliente è la condanna del pessimismo di
coloro che nei tempi moderni non vedono che “prevaricazione”. Il papa riconosce
nel nuovo corso del mondo le alienazioni dalle sollecitudini spirituali, che
trova in qualche modo bilanciate dalle “condizioni della vita moderna che
hanno tolto di mezzo quegli innumerevoli ostacoli con cui un tempo i figli del secolo
impedivano la libera azione della Chiesa”. Rimane il dubbio se il Papa avesse
in mente l’indebita ingerenza che Impero e Monarchie assolute esercitarono
sulla Chiesa in tempi in cui ultimamente tutto dipendeva dalla religione.
Oppure pensasse alle vessazioni subite dalla Chiesa dal ‘700 in qua ad opera
dello Stato liberali ai tempi in cui la separazione dalla sfera civile
preparava al presente condizione di civiltà. Sembrerebbe piuttosto il primo che
il secondo tenendo presente però che all’asservimento della Chiesa alla potestà
civile la Chiesa riluttò tanto in teoria quanto in pratica; e anche il diritto
di veto fu più volte tenuto per nullo nei Conclavi.
Il giudizio ottimistico del Papa circa l’attuale libertà
concorda con il fatto di una Chiesa sollevata dal dominio temporale, ma non
poteva sfuggire al Papa che ad interi episcopati nazionali era impedita la
partecipazione al Concilio.
Conviene anche ricordare che quella lamentata servitù
costituiva un aspetto della compenetrazione della vita religiosa nella società,
compenetrazione dovuta all’imperfetta distinzione dei valori subordinati,
religiosi e civili che si prendevano come un tutto insieme informato dalla
religione.
Ma occorre ricordare a proposito della reale libertà del
Concilio che con gli accordi di Metz (agosto 1962) tra Chiesa cattolica e
Chiesa ortodossa, attraverso i quali si ottenne che il Patriarcato di Mosca
avrebbe accolto l’appello papale di inviare osservatori al Concilio, in cambio
dell’astensione dalla condanna del comunismo. Benché il bollettino del Partito
Comunista francese avesse rivelato la condizione posta da Mosca che il Concilio
tacesse del comunismo, calò su di essa un silenzio mediatico non essendo
ripresa dalla stampa né propalata, sia per larga apatia e anestesia dei ceti ecclesiali
circa la natura del comunismo, sia per una potente azione silenziatrice voluta
dal Pontefice stesso. Ma potente, benché silente, ne fu l’effetto sullo
svolgimento del Concilio dove la richiesta di reiterare la condanna fu
rigettata.
L’assemblea si pronunciò specificatamente sul totalitarismo,
sul capitalismo, sul comunismo, sul colonialismo, ma celò il suo giudizio sul
comunismo dentro il giudizio generico sulle ideologie totalitarie.
L’INDEBOLIMENTO DEL SENSO LOGICO, PROPRIO DELLO SPIRITO DEL
SECOLO, LEVA ANCHE ALLA CHIESA LO SPAVENTO PER LA CONTRADDIZIONE. Nel discorso
inaugurale si celebra la libertà della Chiesa proprio mentre si confessa che
moltissimi vescovi sono imprigionati per la fedeltà a Cristo. Ma questa
contraddizione, pur grande è minore, rispetto alla contraddizione di fondo per
la quale si poggia IL RINNOVAMENTO DELLA CHIESA SULL’APERTURA AL MONDO
stralciando dai problemi del mondo il problema del comunismo.
1.2 Il discorso inaugurale. Poliglossia e polisenso testuale
–
Il terzo capo del discorso del Papa tocca il cardine su cui ruota il
Concilio: come la verità cattolica possa comunicarsi al mondo contemporaneo
“pura e integra senza attenuazioni o travisamenti, ma insieme in modo tale che
la mente dei contemporanei sia facilitata nel dovere che le corre di assentire
ad essa”. Si trova qui un intoppo perché tra testo italiano e versione italiana
del discorso c’è discrepanza. Versione latina: ”Occorre che questa dottrina
certa e immutabile alla quale si deve prestare un fedele ossequio, venga
approfondita ed esposta in quel modo che i tempi richiedono”. La
traduzione italiana, riprodotta in tutte le versioni originali del Concilio
suona così: ”Anche questo però studiata ed esposta attraverso le forme
dell’indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno”. Un conto è
fare in modo che ripensamento ed esposizione della dottrina cattolica si
facciano in maniera appropriata ai tempi (concetto comprensivo e largo) un
altro che si faccia SEGUENDO I METODI DEL PENSIERO, CIOE’ DELLA FILOSOFIA
CONTEMPORANEA. Per esemplificare: un conto è presentare la dottrina appropriata
alla citeriorità (vicinanza) peculiare della mentalità moderna e un altro che
essa si pensi e si esponga seguendo quella stessa mentalità. Per fare un altro
esempio l’accostamento alla mentalità moderna non richiede l’analisi marxistica
bensì adattare a quella mentalità l’opposizione cattolica.
In realtà si tratta del come reprimere gli errori. Ma si
deve osservare: 1) il polisenso nascente dalla difformità delle traduzioni
attesta la PERDITA DI QUELLA ACRIBIA (precisione critica, meticolosità) che fu
costume della Curia; 2) Il polisenso entrò in successive allocuzioni del Papa
che citava ora secondo il latino ora secondo la traduzione; 3) furono diffuse
traduzioni, a scapito della versione latina, e il fatto che queste traduzioni
consuonino fa congetturare la possibilità di una cospirazione.
1.3 Il discorso inaugurale: nuovo atteggiamento di fronte
all’errore –
La stessa incertezza genera il discorso in cui si distingue
tra l’immutabile sostanza dell’insegnamento cattolico e la variabilità delle
sue espressioni. La versione latina: “Altra cosa infatti è il deposito della
fede preso in sé stesso, cioè le verità contenute nella nostra venerabile
dottrina, e altra cosa il modo in cui queste medesime verità si enunciano
mantenendo però il medesimo senso e il medesimo contenuto. Bisogna invero
attribuire molta importanza a un tale modo e lavorare in questo, se occorrerà,
con pazienza: si dovranno cioè nell’esporre le verità introdurre quei modi che
più convengano all’ammaestramento, la cui indole è principalmente pastorale”.
Questa invece la traduzione italiana: ”Altra è la sostanza dell’antica dottrina
del depositum fidei e altra è la formulazione del suo rivestimento ed è di
questo che devesi con pazienza tener gran conto, tutto misurando nella forma
e proporzione di un magistero a carattere prevalentemente pastorale”. Il
divario è grande e dà luogo a due supposizioni: o il traduttore italiano ha
inteso afre una parafrasi, oppure la traduzione è il testo base.
Vistosa è l’omissione nella traduzione italiana delle parole
“nello medesimo senso e nel medesimo contenuto”. Alle quali è attaccato il
rapporto tra verità da credere e la formula con cui essa si esprime.
E’ invece una novità l’atteggiamento d assumere di fronte
agli errori: pur non intendendo indebolire la sua opposizione all’errore
preferisce “al giorno d’oggi far uso della medicina della misericordia
piuttosto che delle armi della severità”. Essa intende contrastare l’errore
“mostrando al validità della sua dottrina piuttosto che con le condanne”.
L’annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della
severità sorvola sul fatto che, nella mente della Chiesa, LA CONDANNA STESSA
DELL’ERRORE E’ OPERA DI MISERICORDIA, poiché trafiggendo l’errore, si corregge
l’errante e si preserva altrui dall’errore. Inoltre verso l’errore non può
propriamente esservi misericordia o severità poiché queste sono virtù morali
aventi per oggetto il prossimo, mentre l’errore ripugna all’intelletto con un
atto logico che si oppone a un giudizio falso. La misericordia è il
dolore della miseria altrui accompagnata dal desiderio di soccorrere non può
quindi farsi verso l’errore, ma soltanto verso l’errante, a cui si soccorre proponendo
la verità e confutando l’errore. In tal modo il Papa dimezza l’officio
esercitato dalla Chiesa verso l’errante alla sola presentazione della verità: e
questa basterebbe per sé stessa , senza venire a confronto con l’errore, a
sfatare l’errore. L’operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar
luogo alla didascalia del vero, fidando nell’efficacia di esso a produrre
l’assenso dell’uomo e a distruggere l’errore.
Questa dottrina del Pontefice costituisce una variazione
rilevante nella Chiesa Cattolica. I moderni sono così profondamente
penetrati di opinioni fallaci specie in materia morale che “ormai gli
uomini da sé stessi [senza confutazioni e condanne] sembra che siano propensi a
condannarle e in specie quei costumi di vita che disprezzano Dio e la sua
legge”. Che l’errore teoretico, che nasce da cause logiche, possa correggersi
da solo è ammissibile, ma che l’errore pratico circa le azioni della vita, che
dipende da un giudizio del pensiero, si risani da sé, è difficilmente comprensibile.
Difficile anche concedere a quella interpretazione ottimistica che l’errore si
correggerebbe da sé, è smentita dai fatti. Gli uomini non si ricredettero da
quegli errori, ma anzi vi si confermarono e diedero loro vigore di legge,
palese con l’adozione del divorzio e dell’aborto. Il costume dei popoli
cristiani è interamente mutato e le loro legislazioni civili, quasi
esemplate sul diritto canonico, furono mutate in legislazioni puramente profane
senza più ombra di sacro.
1.4 Reiezione del Concilio preparato. La rottura della
legalità conciliare –
Il lavoro preparatorio è stato rigettato non tanto per
un atto interno del Concilio svolgentesi nella sua regolarità legale ma
per un fatto di rottura della legalità conciliare. Nella discussione alla XXIII
Congregazione su lo schema de fontibus Revelationis vi fu un contrasto tra chi
volva rimanere legato alla formula tridentina (Rivelazione contenuta nei libri
scritti e nelle tradizioni non scritte) presi come due fonti, rispetto a quelli
che volevano riaffermare la dottrina in modo meno ostico per i protestanti che
rifiutano la Tradizione. Per risolvere il contenzioso si propose di
rimaneggiare interamente lo schema. Ma i voti raccolti non raccoglievano
la maggioranza qualificata richiesta di due terzi. Dato il risultato si
annunciò la prosecuzione della discussione, ma l’indomani il Papa fece
annunciare di rifondare lo schema da una nuova commissione, per renderlo più
breve e far spiccare meglio i principi generali definiti dal Tridentino e dal
Vaticano I. Con questo intervento si operò una rottura della legalità
passando dal regime collegiale al regime monarchico. La rottura della
legalità significò un nuovo cursus se non dottrinale, almeno di orientamento
dottrinale.
1.5 Ancora rottura della legalità conciliare –
L’Assemblea
avrebbe dovuto eleggere i membri di sua spettanza (16 su 24) delle 10
commissioni deputate a esaminare gli schemi redatti dalla commissione
preparatoria. La sola obiezione possibile era che essendo solo il terzo giorno
l’elezione fosse troppo precipitosa non conoscendosi ancora sufficientemente.
Il Card. Lienart se ne fece interprete, chiese al card. Tisserant
presidente dell’Assemblea di poter parlare, ma conformemente al regolamento non
gli fu concesso. Il presule rompendo la legalità afferrò il microfono (tra gli
applausi) elesse una dichiarazione secondo cui era impossibile votare
senza previa affermazione sulla qualità degli eligendi e previa consultazione
delle Conferenze nazionali. La votazione non ebbe luogo, al congregazione fu
sciolta e le commissioni furono poi formate con larga immissioni di elementi
estranei al lavori preconciliari. Liénart nelle sue memorie interpretò il gesto
come un’ispirazione carismatica. Così il Concilio sarebbe stato comandato
a Giovanni XXIII, secondo la sua testimonianza, da una suggestione dello
Spirito e il Concilio da lui preparato avrebbe subito una brusca voltata per
una mossa che lo stesso Spirito diede a Liénart. Chenu e Congar parlando dei
testi della Commissione preparatoria li definirono astratti, antiquati,
estranei alle aspirazioni dell’umanità contemporanea. Il nuovo testo approvato
da Giovanni XXIII (e da Liénart e Garrone, Frings e Dopfner, Alfrink, Montini e
Léger) svolgeva questi motivi: che il mondo moderno aspira al Vangelo, che tutte
le civiltà contengono una virtualità che le spinge al Cristo, che il genere
umano è unità fraterna al di là delle frontiere, dei regimi, delle religioni,
che la Chiesa lotta per la pace, lo sviluppo e la dignità degli uomini. Il
testo poi modificato non perse il carattere originario antropocentrico e
mondano.
1.6 L’azione papale nel Vaticano II. La “Nota praevia” –
Con
Giovanni XXIII l’azione papale al Concilio apparve come desistenza dal
preparato Concilio e condiscendenza al movimento che il Concilio, rotta la
continuità della preparazione volle darsi da sé stesso.
Paolo VI benché assecondasse in generale il moto del
Concilio ammodernante annunciato nell’allocuzione si trovò a doversi separare
da sentimenti in esso predominanti e a far uso dell’autonoma autorità papale in
alcuni momenti.
Sul principio della collegialità sino ad allora solo
implicito nell’ecclesiologia cattolica Paolo VI volle che quanto scritto nella Lumen
Gentium si chiarisse e determinasse in una Nota praevia della Commissione teologica
che riaffermò il principio cattolico del primato potestativo e didattico del
Papa. La Nota praevia respinge della collegialità l’interpretazione
classica secondo al quale il soggetto della suprema potestà nella Chiesa è solo
il Papa che la condivide, quando voglia con l’universalità dei vescovi da lui
chiamati a Concilio. La potestà somma è collegiale solo per comunicazione ad
nutum(per volontà) del Papa. E respinge la dottrina neoterica, secondo cui il
soggetto della suprema autorità della Chiesa è il collegio unito col Papa e non
senza il Papa che ne è capo appunto del collegio e quindi come rappresentante
del collegio che egli ha l’obbligo di consultare per esprimerne il senso.
Teoria improntata a quella dell’origine moltitudinaria dell’autorità difficilmente
compatibile con al costituzione divina della Chiesa. In entrambe le teorie si
tiene che la potestà suprema sta nel collegio dei vescovi unito al
loro Capo, ma che il Capo può esercitarla indipendentemente dal Collegio,
mentre il Collegio non può indipendentemente dal capo.
L’attitudine del Vaticano II a sciogliersi dalla stretta
continuità colla tradizione e a crearsi forme, modalità e procedure atipiche,
no si sa se sia da attribuire allo spirito ammodernante che lo investì e
diresse o alla mente e all’indole di Paolo VI. Il risultato fu un rinnovamento
o meglio una novazione dell’essere che toccò strutture, riti, linguaggio,
disciplina, atteggiamenti, aspirazioni, la faccia della Chiesa destinata a
presentarsi al mondo nuova.
Non va lasciata cadere neppure la novità formale della Nota
praevia: nella storia dei Concili non v’è esempio di un glossema (spiegazione)
di tal genere apposto a una Costituzione dogmatica; sembra inoltre
inesplicabile che nell’atto medesimo in cui promulga un documento dottrinale,
il Concilio, dopo tante consultazioni, emendamenti, accoglimenti e reiezioni di
modi, emani un documento così imperfetto da dovervi accompagnare una chiosa
esplicativa. Infine una curiosa singolarità della Nota: si dovrebbe
leggere prima della Costituzione a cui è allegata e viceversa si legge stampata
dopo di essa.
1.7 Ancora l’azione papale nel Vaticano II. Interventi sulla
dottrina mariologica. Sulla morale coniugale –
In ossequio alla causa unionis sulla
Madonna doveva bastare un semplice capitolo e non uno capitolo come quello che
la Commissione preparatoria aveva approntato. Sin dall’inizio il Sinodo si era
trovato sotto gli influssi delle scuole teologiche tedesche influenzate dalla
mariologia protestante che non si voleva contraddire. Questa, come gli
islamici, le riserva una venerazione ma le rifiuta il culto che la Chiesa le
riserva.
Paolo Vi voleva attribuirle il titolo di Madre della Chiesa
da consacrarsi nello schema sulla Beata Vergine o per lo meno che fosse
consacrato nel capitolo del de Ecclesia a cui lo schema fu ridotto. Ma non lo
voleva l’assemblea. Il titolo era fondato sulla ragione teo-antropologica:
essendo Maria madre vera del Cristo ed essendo il Cristo il capo della Chiesa e
per così dire la Chiesa contratta (come la Chiesa, secondo il Cusano, è il
Cristo espanso) il passaggio da Maria madre di Cristo a Madre della Chiesa è
ineccepibile. Ma la maggioranza del Sinodo ritenne questo titolo non
specificatamente diverso da quelli ondeggianti tra il poetico e lo speculativo
(che sono di incerto significato), considerandolo carente di base teologica e
di ostacolo alla causa unionis e manifestò la sua contrarietà alla
proclamazione. Paolo VI allora con un atto di autonoma autorità, procedette
alla proclamazione solenne nel discorso di chiusura della terza sessione (21
novembre 1964), accolto in silenzio in un assemblea altrimenti scorrevole
all’applauso. Anzi, l’atto del Papa suscitò vive rimostranze.
Per bocca dei cardinali Lèger e Suenens risuonarono in aula
teorie nuove sulla dottrina del matrimonio che abbassavano il fine procreativo
del coniugio e aprivano il varco alla sua frustrazione, mentre elevavano il
fine unitivo e di donazione personale a suo pari o addirittura maggiore. Paolo
Vi fece pervenire alla Commissione quattro emendamenti con l’ordine di
inserirli nello schema. Si doveva espressamente insegnare l’illiceità dei
mezzi contraccettivi non naturali; dichiarare che la procreazione non è un fine
accessorio o parallelo del matrimonio, rispetto all’espressione dell’amor
coniugale, ma necessario e primario. Tutti gli emendamenti erano appoggiati a
testi della Casti Connubii di Pio XI che si sarebbero dovuti inserire. Gli
emendamenti furono ammessi, i testi di Pio XI, no.
La questione dei contraccettivi veniva demandata a una
commissione papale e poi decisa con l’enciclica Humanae vitae. La commissione
conciliare escluse i testi di Pio XI, ma Paolo VI li fece aggiungere d’imperio
nello schema che il Concilio approvò nella IV sessione.
1.8 Sintesi del Concilio nel discorso di chiusura della
quarta sessione. Confronto con Pio X. Chiesa e mondo – Il discorso ha un
carattere ottimistico che lo ricongiunge al discorso di apertura di Giovanni
XXIII: la concordia tra i Padri è “meravigliosa”, l’ora della conclusione è
“stupenda”. Le parti nere non vengono taciute ma vengono investite dello
spirito eutimico (ottimista). Così la diagnosi del presente stato del mondo
riesce ultimamente e apertamente positiva.
Il papa riconosce la generale dislocazione della concezione
cattolica della vita, ma nel discorso appare manifesto il riconoscimento della
tendenza dell’uomo moderno alla citeriorità (immanenza) e il progressivo
fastidio di ogni ulteriorità e trascendenza. Ma fatta questa esatta diagnosi
del vacillamento moderno il papa la mantiene nell’ambito puramente descrittivo
e non riconosce alla crisi il carattere di un’opposizione principale alla
assiologia (dottrina dei valori umani) cattolica.
Pio X nell’enciclica E supremi apostolatus aveva
riconosciuto con diagnosi identica a Poalo VI che lo spirito moderno è spirito
d’indipendenza, dando a questo spirito carattere principiale di questa
mondanità che necessariamente cozzava col principio cattolico:: questo pone
tutto da Dio a Dio, quello tutto dall’uomo all’uomo. Pio X vedeva l’uomo
moderno farsi io e pretendere l’adorazione, Paolo VI dice espressamente che “la
religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con al religione (perché
tale è) dell’uomo che si fa Dio”. E tuttavia Paolo VI pensa che grazie al
Concilio, lo scontro abbia prodotto non un urto, una lotta, un anatema, ma una
simpatia immensa, un attenzione nuova della Chiesa ai bisogni dell’uomo.
Obiettando che così facendo la Chiesa deflette dalla sua via teotropica e batta
la strada antropologica, il Papa oppone così facendo la Chiesa non è deviata
nel mondo , ma si è rivolta al mondo. Ma la domanda allora è: rivolta al mondo
per raggiungerlo o per attrarlo a sé?
Certo che l’officio di verità della Chiesa discende
dall’officio di carità, ma la difficoltà sta nel non trasgredire la verità per
ragioni di carità e nell’accostarsi all’umanità moderna che è in movimento
antropotropico, non per secondarne il moto, ma per invertirlo. Non si danno due
centri del reale ma uno solo.
L’imprecisione del discorso appare anche dall’adozione di
due formule contrarie, che cioè “per conoscere l’uomo bisogna conoscere Dio” e
che “per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”. Vi sono secondo la dottrina
cattolica una conoscenza di Dio possibile per via naturale a tutti gli uomini e
una conoscenza di Dio soprannaturalmente rivelata. E similmente due conoscenze
dell’uomo. Ma il dire senza distinzione che per conoscere l’uomo bisogna
conoscere Dio e viceversa, per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo si
ravvisa un circolo vizioso per cui lo spirito non troverebbe un vero inizio da
cui muovere sia per conoscere Dio sia per conoscere l’uomo. Tale discorso circa
l’uomo e Dio si può estendere dalla cognizione all’amore, giacché il Papa dice
che per amare Dio bisogna amare gli uomini, ma tace che è dio che rende amabile
l’uomo e che il motivo del doversi amare l’uomo è il doversi amare Dio.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.