Distinzione reale tra potenza/atto, essenza/essere
La Volontà di Dio
● La volontà efficace o assoluta (conseguente) di Dio si compie sempre infallibilmente. Infatti niente di reale e di buono può avvenire al di fuori della causalità efficiente di Dio. Le cause seconde agiscono solo col “concorso naturale” di Dio e sussistono solamente se conservate nell’essere da Dio (S. Th., I, q. 19, a. 6).
Il “concorso divino”, metafisicamente, è l’influsso della Causa prima sull’attività delle creature. L’ente finito dipende da Dio sia quanto all’essere (creazione e conservazione nell’essere), sia quanto all’agire (“agere sequitur esse”). Inoltre la sana teologia ammette comunemente la necessità di un’azione positiva di Dio sulla creatura per spiegarne l’attività (“concorso immediato”). Tale dottrina la si trova nella Rivelazione. Isaia (XXVI, 12): “Signore, Tu hai operato in noi tutte le nostre azioni” e San Paolo (Atti degli Apostoli, XVII, 28): “in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. La ragione teologica è la seguente: solo Dio è il suo essere che coincide col suo agire, essendo Egli assolutamente semplice. La creatura invece riceve l’essere da Dio. Ora siccome la potenza o capacità di agire non passa da sé all’azione, la creatura ha bisogno di un impulso o spinta all’operare. Dio in quanto causa prima efficiente e finale dell’universo, inoltre, ha il dominio assoluto su tutte le cose. Perciò l’attività delle creature non può essere sottratta all’influsso o concorso divino. Dio è causa principale e la creatura è causa seconda e subordinata (De Potentia, q. 3, a. 7). Il concorso divino non è simultaneo o insieme alla creatura, come insegna il molinismo[1], il quale pone un parallelismo tra causa prima e causa seconda, tra volontà divina e libertà umana, ma per S. Tommaso è una pre-mozione che mantiene l’ordine tra causa prima e seconda (S. Th., I, q. 105; De pot., q. 3, a. 7), nulla togliendo a quest’ultima, come invece fa l’occasionalismo[2], ma nulla sottraendo a Dio come fa il molinismo, che Lo rende co-autore alla pari con l’uomo della salvezza. Per sostenere la tesi molinista bisognerebbe ammettere delle eccezioni al principio di causalità universale di Dio ed ammettere che l’essere dei nostri atti liberi non venga da Dio come da causa prima. Ora tra la volontà di Dio e la nostra vi è un’analogia di attribuzione intrinseca per cui la libertà è predicata per prius et causaliter di Dio (analogato principale) e per posterius et effectualiter delle creature (analogati secondari). Quindi la volontà di Dio è prima e “primo-muove” la nostra (“agere sequitur esse”). Il nostro libero arbitrio è causa reale del suo atto (contro l’occasionalismo), ma non ne è la causa prima o concomitante (contro il molinismo): Dio è la causa prima che crea, conserva nell’essere e muove le cause seconde (S. Th., I, q. 83, a. 1, ad 3). La grazia intrinsecamente efficace non distrugge la libertà, ma la attua e la porta al pieno compimento del suo tendere al bene. S. Tommaso definisce l’essenza di libertà (libertà di esercizio) come “poter agire o non agire” (In I Sent., d. 33, q. 21). Ora “Dio agisce sulle creature secondo la loro natura e non contro essa” (S. Th., I-II, q. 10, a. 4). Perciò siccome la libertà è ordinata per natura al bene, la pre-mozione divina non violenta e non distrugge la libertà dandole un movimento contrario alla sua inclinazione naturale al bene, ma “est maxime naturalis” (S. Th., I-II, q. 10, a. 4) portando la libertà dalla sua tendenza al bene all’azione perfetta o buona[3].
● Il tomismo si erge come una vetta tra i due errori opposti del molinismo e dell’occasionalismo senza sopprime la causalità seconda (come fa l’occasionalismo, che spinge verso il quietismo) e senza considerare la causa seconda alla pari o concomitante con la causa prima (come fa il molinismo spingendo ad una sorta di volontarismo naturalista), ma insegnando che causa prima e seconda sono reali e cooperano in gerarchia di subordinazione del creato all’Increato.
● La Ventiquattresima ed ultima proposizione delle XXIV Tesi del Tomismo insegna: “Nessun agente creato influisce nell’essere di qualsiasi effetto, se non in forza di una mozione ricevuta dalla causa prima”. Vale a dire l’uomo non può produrre un atto buono se prima non è stato mosso dalla causa prima che è Dio. Essa è l’ultima conclusione della Prima delle XXIV Tesi del Tomismo, la quale distingue potenza da atto e afferma che la potenza non passa all’atto da sé ma solo se “pre-mossa” da un ente già in atto. Come pure della VI Tesi, che insegna la distinzione reale di essenza ed essere negli enti creati. Mentre solo Dio è il suo stesso essere e agire, per cui l’ente creato non può agire da se stesso poiché riceve l’essere e l’agire ab alio ossia da Dio e deve essere creato, conservato nell’essere e pre-mosso da Lui. Il molinismo si discosta quindi dall’inizio e dalla fine, dalla ‘A’ e dalla ‘Z’ della vera metafisica tomistica, quale la Chiesa l’ha approvata magisterialmente[4]. Non si può affermare che la tesi della pre-mozione sia di Domingo Bañez[5] (1528-1604) e non di S. Tommaso. Bañez ha commentato l’Angelico, ha precisato ed esplicitato la sua dottrina, ma la sostanza della pre-mozione, pre-determinazione e pre-destinazione della dottrina banneziana-tomistica la si trova contenuta già nella filosofia di S. Tommaso come spiegano le XXIV Tesi del Tomismo e poi è stata ampiamente trattata dall’Aquinate dal punto di vista teologico sostanzialmente identico al bannesianesimo[6].
● La volontà inefficace, condizionale o sufficiente (antecedente) di Dio pone un problema quanto alla sua onnipotenza e alla libertà umana. Come si deve concepire teologicamente questa volontà inefficace divina? Per esempio Dio vuole che tutti si salvino, ma di fatto non tutti sono salvati. S. Tommaso risponde (ivi, ad 1um) che la volontà condizionale di Dio rimane inefficace perché Dio permette che non si compia; perché le creature defettibili possono venire meno e qualche male fisico o morale avviene, ma Egli lo permette per un bene maggiore che solo Lui conosce. Per esempio Dio permette che la gazzella sia sbranata dal leone, che i giusti siano martirizzati, e che alcuni peccatori non vogliano convertirsi – per colpa loro e non per mancanza di aiuto divino – e muoiano nell’impenitenza finale. Soprattutto quest’ultimo caso pone problemi alla coscienza cristiana. Ma dobbiamo tenere ben fermo che Dio lo permette per un bene superiore, per esempio la manifestazione della giustizia contro l’ostinazione nel male. Altrimenti verrebbe meno il primo principio speculativo (d’identità): “il male è il male, il bene è il bene”, e di ordine morale (sinderesi): “il male va evitato, il bene va fatto”.
● Questa distinzione tra volontà antecedente e inefficace e volontà conseguente ed efficace è il fondamento della distinzione tra grazia sufficiente (che dipende dalla volontà antecedente, condizionale e inefficace) e grazia efficace (che dipende dalla volontà conseguente, assoluta ed efficace)[7]. La grazia sufficiente rende realmente possibile osservare i Comandamenti divini, perché dà all’uomo il potere reale di osservarli, e contiene virtualmente la grazia efficace, la quale, però, può essere frustrata dalla resistenza umana alla grazia sufficiente. La grazia efficace ci concede inoltre l’osservanza reale e di fatto dei Comandamenti. Ora c’è di più nell’osservanza attuale e reale dei Comandamenti che nel solo poter osservarli (“a posse ad esse non valet illatio”): poter essere milionario non significa avere di fatto svariati milioni (ivi, a. 8). Il molinismo insegna che la grazia divina è efficace non per se stessa, ma per il nostro consenso. Ma “ciò costringerebbe la volontà assoluta di Dio a mendicare il consenso umano”[8]. Ora non vi è nulla di più assurdo che ammettere una certa passività nell’Atto puro da ogni potenza, che è Dio[9].
● Per farmi capire meglio ricorro ad alcuni esempi. Dio da tutta l’eternità ha voluto efficacemente la conversione di S. Paolo, la quale è avvenuta infallibilmente e liberamente, come segno del trionfo della misericordia divina. Infatti la volontà di Dio aiuta quella umana fortiter et suaviter senza farle violenza, ma lasciandola padrona di fare il bene, che è l’essenza della vera libertà, mentre fare il male è un difetto di libertà. Invece Dio non ha voluto efficacemente la conversione di Giuda, l’ha voluta solo in maniera sufficiente e condizionale ed ha permesso l’impenitenza finale di Giuda a causa del suo rifiuto della grazia sufficiente offertagli sino alla fine nel Getsemani e per motivi superiori, che lui solo conosce nei minimi dettagli e che per noi sono genericamente la manifestazione della giustizia divina.
● Infatti la libertà consiste nel voler tendere al fine o al bene. Essa è, quindi, la facoltà o potenza di scegliere i mezzi utili per conseguire il fine. S. Tommaso spiega che “poter fare il male non è l’essenza della libertà; ma ne è una conseguenza in quanto la natura creata è fallibile e defettibile e può errare e fare il male” (De Ver., q. 24, a. 3, ad 2). Quindi poter fare il male è un difetto o deficienza di vera libertà. Questa, pertanto, non può essere un fine e tanto meno il fine ultimo e il sommo bene, poiché è una potenza o capacità di agire liberamente. Ora l’azione o operazione consiste nel tendere verso il fine. Quindi la libertà è capacità, strumento o mezzo atto a cogliere il fine e non è il fine. Perciò, in quanto la libertà è facoltà o potenza, non passa all’azione da sé, ma solo se prima è spinta da un altro che è già in atto.
● Attenzione! Resistere alla grazia sufficiente è un difetto che viene solo da noi e non dalla deficienza della grazia divina (absit!), mentre non resisterle è un bene, che, ultimamente, viene come causa prima da Dio autore di ogni bene e da noi solo come cause seconde pre-mosse, spinte o “primo-mosse” da Dio. L’uomo non può fare positivamente il bene se non è spinto o ‘pre-mosso’ da Dio, mentre può fare il male o “deficere” da sé, poiché il male è “privazione di bene” e la privazione o deficienza non hanno bisogno di un impulso divino. Un mancamento o privazione non richiede se non una causa deficiente. Il Creatore di ogni cosa e quindi anche della libertà umana può infallibilmente muoverla a determinarsi liberamente a fare un atto buono. Non la violenta, togliendole la libertà, ma la pre-muove a determinarsi liberamente. Infallibilità, efficacia, pre-mozione a determinarsi non significano violenza o necessità. Per esempio, normalmente diciamo: Domani immancabilmente o sicuramente verrò a farvi visita, se Dio lo vuole. Questo modo comune di parlare è l’applicazione pratica dell’influsso della causalità prima sulle cause seconde. Attenzione! Dio non costringe la nostra scelta, ma pre-muove la nostra volontà a determinarsi liberamente. È solo in questo senso che si può parlare di pre-determinazione fisica o pre-mozione. Dio vuole efficacemente la salvezza di Pietro e Pietro può dannarsi, ma se Dio vuole efficacemente la sua salvezza Pietro di fatto non si dannerà. Se Dio è totalmente ed efficacemente padrone di noi, non dobbiamo temere di non essere più liberi, anzi saremo pienamente liberati dall’errore e dal male solo nella misura in cui Dio regnerà pienamente e perfettamente in noi.
● Il Santo, che rinunzia ad ogni autonomia o amor proprio rispetto a Dio, è perfettamente libero perché è sempre nelle mani di Dio. S. Pietro, che prima del triplice rinnegamento, aveva una certa qual fiducia nelle sue forze o volontà concomitante, sperimentò la sua debolezza ed imparò a riporre soprattutto in Dio la sua fiducia, poi pianse amaramente il suo peccato e si fece crocifiggere a testa in giù. S. Agostino e S. Giovanni Damasceno insegnano che S. Pietro fu privato della grazia sovrabbondante (efficace) quando per sua colpa o presunzione rinnegò Gesù rifiutando la grazia sufficiente offerta a tutti. S. Tommaso nel Commento alla II Ep. ai Cor., (XII, 7) scrive: «Essendovi nei buoni il bene per il quale essi possono inorgoglirsi, Dio permette talvolta che i suoi eletti abbiano in sé qualche infermità, qualche difetto, e, talvolta un peccato mortale che impedisca loro di inorgoglirsi, che li umilii veramente, e faccia a loro riconoscere che con le loro proprie forze non possono reggersi ed ancor meno perseverare. Qualcosa di simile accadde a S. Pietro, umiliato per le sue negazioni durante la Passione del Signore. Dopo di esse predette tutta la sua presunzione, e pose la sua fiducia non più in se stesso, ma in Dio solo».
● La dottrina tomista sulla predestinazione o salvezza eterna, anziché affidare la nostra anima alla volontà concomitante umana (molinismo/volontarismo) o a lasciar far tutto e solo a Dio senza la doverosa cooperazione secondaria (occasionalismo/quietismo), la rimette nelle mani di Dio e collabora con lui come uno strumento (animato e libero) nelle mani del suo padrone. Infatti il motivo formale della virtù di Speranza è l’ausilio onnipotente e misericordioso di Dio e non la forza della nostra volontà creata da Dio e ferita dal peccato originale (S. Th., II-II, q. 17, a. 4 e 5). Anzi se dovessimo confidare alla pari nelle nostre forze e nell’aiuto di Dio, ci sarebbe davvero motivo di atterrirci. Ma per fortuna dobbiamo cooperare con tutte le nostre forze con la grazia di Dio che ci previene e ci accompagna.
● Il Concilio di Trento ha definito che il dono della perseveranza e della predestinazione o salvezza eterna “si può avere solo da Colui che può far stare in piedi chi sta in grazia, affinché perseveri e rialzare chi cade” (DB, 806). Quindi non si può dire che colui il quale non ha la grazia efficace, che porta infallibilmente al compimento dell’atto buono, ma ha solo la grazia sufficiente, non abbia il potere di compiere il bene, cioè la potenza o capacità reale di agire bene. Sarebbe come dire che colui il quale dorme è cieco e non può assolutamente vedere, mentre non sta vedendo in atto, però ha il potere reale di svegliarsi, aprire gli occhi e vedere. In breve il fatto di non compiere l’atto non significa non avere la facoltà di agire.
● Il molinismo (cfr. Luis de Molina, Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis, 1588, ediz. Parigi, 1876, pp. 51, 230, 256, 459, 565) si scosta radicalmente dall’insegnamento di S. Tommaso su questo punto. Infatti Molina nega che la grazia sia efficace di per sé o intrinsecamente, ossia perché la volontà efficace di Dio è onnipotente per se stessa e non per la risposta umana, come insegna l’Angelico. Il molinismo ritiene che la grazia (e la volontà divina) sia efficace solo estrinsecamente o per il nostro concorso o consenso. È la dottrina del “concorso simultaneo” o “parallelo”, ossia l’atto buono è prodotto con un influsso indifferente divino, che agisce non sulla creatura ma con la creatura, come due agenti coordinati e alla pari. Nella produzione dell’atto libero il molinismo vede l’influsso di due con-cause parziali e concomitanti o alla pari, come due cavalli che tirano lo stesso carro. Il molinismo segue la via inversa al tomismo. Infatti mentre San Tommaso partiva dall’influsso o pre-mozione divina per arrivare alla libera risposta umana (primato dell’atto sulla “pura potenza”), Molina stabilisce come punto di partenza la libertà umana per risalire poi all’influsso divino (potenza che contiene in sé un “atto imperfetto” e da sé, assieme o alla pari con Dio, passa all’azione).
● Il tomismo insegna che, se Dio non è determinante, è determinato[10], non è onnipotente, ma dipende parzialmente dalla volontà umana. Insegna anche, contro ogni predestinazianismo luterano-calvinista, che la mozione efficace della volontà e grazia divina, non fa violenza alla volontà del peccatore al momento della sua conversione, anzi attua la vera libertà umana e la porta a determinarsi verso il bene, volgendo liberamente le spalle al male. La grazia efficace attua la libertà umana, senza violentarla. Dio ci conduce a volere liberamente ciò che vuole che noi facciamo. La pre-mozione efficace divina non è necessitante, perché attua, con noi e in noi, il modo libero della nostra scelta volontaria, senza distruggerla violentandola, così come una creatura da noi molto amata (per esempio la madre) ci porta a voler liberamente ciò che essa vuole che noi facciamo. Non bisogna mai dimenticare che la vera libertà è finalizzata al bene e, se Dio la porta a farlo, la attua e perfeziona, non la costringe o violenta.
● La dottrina teologica molinista sulla grazia deriva dalla metafisica suareziana. Secondo Suarez[11] la materia prima possiede una certa sua attualità (Disputationes Metaphysicae, dist. 13, sez. 5, Salamanca, 1597) onde la materia prima non è realmente distinta dalla forma sostanziale, mentre per S. Tommaso (De spiritualibus creaturis, a. 1; S. Th., I, q. 45, a. 4; De Potentia, q. 3) la materia prima è pura potenza, che riceve l’attualità solo tramite la forma sostanziale, per cui materia e forma sono realmente distinte (In Physic., lc. 9, n. 60; De spiritualibus creaturis, a. 1). Quindi nella metafisica di Suarez manca la nozione vera e precisa di potenza (Disp. Meth., dist. 30, sez. 13) come termine medio tra atto e nulla (“medium inter purum non-ens et ens in actu”, In I Physicorum, lc. 9, n. 60). Le conseguenze teologiche di questo errore metafisico suareziano aprono la via al molinismo, che a sua volta può aprire le porte all’errore della esigenza dell’ordine soprannaturale da parte di quello naturale, in quanto la potenza obbedienziale secondo Suarez (De Gratia, lib. 6, c. 5) e Molina non è più solo pura potenza senza alcun atto, ma una potenza che contiene in sé un atto anche se imperfetto. Così la natura pre-contiene in sé la grazia anche se imperfettamente.
● Oltre alla confusione filosofica tra materia e forma, che può portare all’errore teologico della non-gratuità della grazia, Suarez confonde filosoficamente potenza e atto, onde asserisce che l’ente è semplicissimo ed è ente in atto (Disp. Meth., dist. 15, sez. 9). Questa confusione filosofica può sfociare in un vero e proprio panteismo teologico, poiché tende a fare di ogni ente un Atto puro sine ulla potentia. Ma l’Atto puro è solo Dio e, se ogni ente è Atto puro, allora Dio coincide col creato e viceversa. Invece S. Tommaso distingue realmente la potenza dall’atto, di modo che ogni ente creato è composto di potenza e atto, mentre solo l’Increato o Dio è Atto puro da ogni potenza (S. Th., I, q. 77, a. 1; In VII Metaph., lc. 1; In IX Metaph., lc. 1 e lc. 9). In tutte le sue opere l’Angelico non si stanca di ripetere: “solus Deus est suum esse, non solum habet esse, sed est suum esse. In solo Deo essentia et esse sunt idem” (S. Th. I, q. 3, a. 4; ivi, q. 7, a. 1 ad 3).
● In breve il sistema teologico del molinismo, come la filosofia suareziana, nega la distinzione reale tra essenza ed essere, tra potenza ed atto nelle creature. Invece per S. Tommaso la creatura non è il suo essere, ma lo riceve da Dio, che è l’Atto puro, come una potenza riceve un atto. Quindi, siccome “il modo di agire segue il modo di essere”, la creatura non può agire da sola, non può passare dalla potenza all’atto da sé, ma deve ricevere dall’Essere per se stesso sussistente e l’esistenza e l’agire. La dottrina tomista sulla predestinazione o salvezza eterna ci aiuta a porre tutta la nostra fiducia in Dio (contro il molinismo/volontarista) e ad agire con tutte le nostre forze in quanto reali cause seconde (contro l’occasionalismo/quietista).
● Secondo il molinismo la libera determinazione dell’atto umano meritorio non est a Deo movente, ma viene solo da noi e da una grazia di illuminazione che ci alletta, in presenza dell’oggetto proposto da Dio, di modo che la grazia divina sollecita sia colui che si converte sia colui il quale non si converte (Molina, Concordia, cit., pp. 51, 565). In breve da Dio viene solo la natura e l’esistenza dell’anima con le sua facoltà, la grazia abituale o santificante e la grazia attuale sotto forma di allettamento, come l’offerta di un bene che attrae ed una mozione divina indifferente (non-efficace), sotto l’influsso della quale l’uomo può volere indifferentemente sia il bene che il male. Invece il II Concilio di Orange ha definito: “Tutte le volte che facciamo il bene, Dio agisce in noi e con noi affinché facciamo ciò che viene fatto” (canone 9). La prima causa della privazione della grazia e del peccato è in noi, nella nostra cattiva volontà, che resiste alla grazia sufficiente di Dio, la quale non diventa efficace per colpa nostra (S. Th., I-II, q. 112, a. 3, ad 2). Mentre la prima causa del conferimento della grazia è Dio, come è rivelato in Osea (XIII, 1): “La tua perdizione viene da te stesso, Israele; invece in Me solo sta il tuo soccorso”.
● Il tomismo insegna che, se Dio non è determinante o “pre-movente” efficacemente, è determinato e “con-mosso” simultaneamente. Egli non sarebbe l’autore della nostra libera salvezza ma solo lo spettatore. Per fare un esempio: di due uomini che ricevono egualmente tutti i doni naturali e soprannaturali, se uno si muove ad un atto buono, mentre l’altro si determina ad un atto cattivo, ciò per cui il primo è migliore dell’altro (l’atto di carità soprannaturalmente buono) non verrebbe da Dio, ma alla pari da Dio e dall’uomo, allettato indifferentemente dalla grazia divina. Ma, se Dio è causa della nostra anima con le sue facoltà di conoscere/credere e amare/caritatevolmente, a maggior ragione lo è del loro atto (di intelligere e credere per Fede, di amare e diligere per Carità soprannaturale) che è superiore alle facoltà, perché l’azione reale è più nobile del poter agire. Quindi la libera determinazione verso il bene è interamente di Dio come causa prima e interamente nostra ma solo come cause seconde. Come il frutto dell’albero è tutto dell’albero come causa principale e del ramo come causa secondaria; la scrittura è tutta mia come causa principale e tutta della penna come causa secondaria. Attenzione! La grazia efficace suscita, ma non esclude la nostra cooperazione, anzi la richiede.
● S. Tommaso insegna che «Amor Dei est infundens et creans bonitatem in rebus. Siccome l’Amore di Dio è causa della bontà delle cose, uno non sarebbe migliore di un altro se Dio non volesse più bene ad uno che ad un altro» (S. Th., I, q. 20, a. 2). Il II Concilio di Orange ha definito: “Nemo habet de suo nisi mendacium et peccatum” (DB, 195). Infatti il male è privazione di bene e può venire dalla nostra deficienza, mentre il bene, che è positivamente ‘essere-buono’ può venire solo dall’Esse a se et non ab alio. Perciò se uno è più buono dell’altro è perché Dio lo ha amato di più. Infatti non è vero che siccome uno è buono Dio lo ama, ma al contrario Dio amando qualcuno lo rende buono. Ora Dio ama tutti sufficientemente, ma alcuni di più. Questo è il principio di predilezione che ci fonda nella vera umiltà. Se siamo buoni non è merito nostro, ma è perché Dio ci ama (o “primo-muove”), noi dobbiamo solo corrispondere (o “secondo-muoverci”) e non rifiutare l’Amore divino. Tra uomo e Dio non c’è concomitanza ma posteriorità e priorità. La mozione divina è pre-determinante e non indifferente, di modo che ne risulti un atto buono piuttosto che uno cattivo. Altrimenti Dio sarebbe determinato dall’uomo. Invece la mozione divina può ottenere efficacemente e infallibilmente il suo effetto (muoverci all’azione buona), senza costringere o violentare la nostra libera scelta. La mozione divina attua e perfeziona la nostra libertà portandola al bene liberamente. C’è un contatto verginale tra la grazia efficace e la volontà umana, che non è violentata ma arricchita. Proprio come la mozione divina ha condotto la Madonna a pronunciare liberamente il “Fiat” il giorno dell’Annunciazione senza costringerla, ma perfezionandola ed elevandola alla vera elicitazione dell’atto libero, che per sua natura è ordinato al bene e, se sceglie il male, manifesta una deficienza di libertà.
● In breve e riassumendo: quello che vi è di buono nell’anima degli uomini viene da Dio. Ora gli atti di Carità infusa sono buoni e quindi vengono da Dio come causa prima e poi da noi come da causa seconda. Il II Concilio di Orange ha definito: “Dio ci ama quali saremo per il suo dono, non quali siamo per il nostro merito” (canone 12).
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Provvidenza e predestinazione
● La Provvidenza è l’idea di Dio dell’ordine e della finalità delle cose al loro termine ultimo (S. Th., I, q. 22, a. 1). La predestinazione[12] è la parte più alta della Provvidenza: la volontà di Dio antecedente di salvare tutti gli uomini e quella conseguente di condurre efficacemente alla salvezza coloro che di fatto saranno salvati. Il pentirsi era realmente e sufficientemente possibile per Giuda per grazia di Dio, ma di fatto non è avvenuto per colpa sua. Vi è infatti una reale distinzione tra potenza e atto, distinzione reale che è negata da Suarez in metafisica e che in teologia porta Molina alla dottrina del “concorso simultaneo” o alla pari tra Dio e l’uomo nella produzione dell’atto libero buono e salvifico. Il mistero consiste nel conciliare due verità: la volontà salvifica universale antecedente con la salvezza attuale non universale (volontà salvifica conseguente). San Paolo rivela: «Chi differenzia te da altri? che cosa hai tu che non abbia ricevuto (da Dio)? e se lo hai ricevuto, perché te ne glorifichi come non lo avessi ricevuto?» (I Cor., IV, 7); «È Dio che produce in noi il volere e l’agire secondo il suo beneplacito» (Filipp., II, 13). S. Tommaso commentando questi testi ne deduce che nessuno sarebbe migliore di un altro se non fosse più amato e più aiutato da Dio, il quale dà a tutti la grazia sufficiente, ma ad altri quella efficace o sovrabbondante. “Chi si salva si salva per la grazia efficace di Dio. Chi si danna si danna per sua colpa, poiché non ha corrisposto potendolo alla grazia sufficiente”. In particolare S. Paolo in Romani VIII, 30 scrive: «Quos praescivit et praedestinavit, quelli che Egli ha preconosciuti li ha anche predestinati». Il Concilio di Quierzy ha definito: “Coloro che si salvano, si salvano per dono del Salvatore; coloro che si dannano, si perdono per loro demerito” (canone 3). S. Tommaso riprende l’interpretazione di S. Agostino e spiega che non è la prescienza divina dei nostri meriti a produrre la nostra predestinazione o salvezza di fatto, ma coloro che Dio ha preconosciuto con uno sguardo di amore efficace li ha predestinati. Sempre S. Paolo scrive: «Forse vi è ingiustizia in Dio? Non sia mai. Egli dice a Mosè: “Userò misericordia a chi farò misericordia e userò compassione di chi avrò compassione”. Dunque (la salvezza) non è di chi vuole né di chi corre, ma di Dio che usa misericordia» (Rom., IX, 4). Quindi la predestinazione comporta un atto positivo di Dio. Invece l’indurimento del peccatore non è voluto positivamente, ma soltanto permesso da Dio, e deriva positivamente dal cattivo uso che l’uomo fa della propria libertà stornandola dal suo fine, che è il bene e utilizzandola per il male, che è deficienza di bene.
● La predestinazione è il piano di Dio con cui egli ordina la creatura razionale al fine della vita eterna. Destinare significa mittere o trans-mittere (S. Th., I, q. 23, a. 1). Il problema che sorge è il seguente: perché Dio ha scelto alcuni che porta alla salvezza e permette la impenitenza finale di altri? S. Tommaso risponde (ivi, a. 5, ad 3) che nei predestinati Dio vuol manifestare la sua misericordia, nei dannati la sua giustizia. Un’altra obiezione si aggiunge: perché Dio ha predestinato l’uno piuttosto che l’altro? S. Agostino aveva già risposto: “quare hunc trahat et illum non trahat, si non vis errare noli velle judicare” (In Joann. tr. 26). S. Tommaso insegna esplicitamente: «Dio non fa mancare a nessuno ciò che gli è dovuto» (S. Th., I, q. 23, a. 5, ad 3) e «Dio dà a tutti l’aiuto sufficiente per non peccare» (S. Th., I-II, q. 106, a. 2, ad 2). Per esempio: se incontro due poveri e do l’elemosina ad uno e non all’altro non commetto nessuna ingiustizia, poiché l’elemosina appartiene alla carità gratuita e non a ciò che è dovuto per giustizia.
● Secondo Molina invece la scelta divina si basa sulla prescienza dei nostri meriti. Quindi, siccome siamo buoni, Dio ci ama. Come si vede è il ribaltamento, tendenzialmente antropocentrico, del principio di predilezione tomistico. Anche Gesù ci ha detto: “Senza di Me non potete fare niente” (Gv., XV, 5). In breve i meriti degli uomini, lungi dall’essere la causa della predestinazione, ne sono gli effetti (S. Th., I, q. 23, a. 5). Per S. Tommaso contro Molina, come per S. Agostino contro Pelagio, tutto ciò che vi è di buono e di soprannaturalmente salutare in noi, deve derivare da Dio, che è la fonte di ogni essere e di ogni bontà. Invece per Pelagio come per Molina Dio è spettatore o co-autore (per concorso simultaneo) e non autore principale della nostra buona volontà. Il beneplacito o la volontà di Dio sono la risposta alla domanda del perché Dio voglia la salvezza di uno (p. es. il buon ladrone) e permetta la dannazione dell’altro (il cattivo ladrone). Nessuno si danna se non per colpa propria (cfr. II Conc. d’Orange; Conc. di Quierzy; Conc. Trid.; DB, 198 ss. ; 316 ss. ; 826-27, 850).
● Certamente questo è un mistero ineffabile e insondabile, ma inevitabile. Infatti occorre conciliare la volontà salvifica universale antecedente con la predestinazione conseguente, l’infinita misericordia e l’immensa giustizia, l’onnipotenza divina e la libera risposta umana. Sarebbe contraddittorio e assurdo, ossia contro la ragione e non oltre la ragione, se Dio non desse a tutti la grazia sufficiente per salvarsi. Invece tutti possono realmente osservare i Comandamenti e giungere in Paradiso, ma non tutti lo vogliono e per colpa loro, non per mancanza o deficienza di grazia divina. In questo caso Dio comanderebbe l’impossibile e condannerebbe chi non è colpevole. Ma ciò contraddice l’infinità bontà divina. Tutto si riconduce alla metafisica della distinzione reale tra potenza e atto, essenza ed essere applicata in teologia. Nelle cose gratuite, come è la grazia, si può dare a chi di più e a chi di meno, purché si dia a tutti il sufficiente, come spiega la parabola dei lavoratori dell’ultima ora, che percepiscono lo stesso salario di quelli della prima ora. Dio rimprovera costoro che mormoravano contro gli ultimi e dice: “Prendi quello che ti spetta per giustizia e vai. Non mi è forse lecito fare ciò che voglio con il mio? O forse il tuo occhio è invidioso perché do a qualcuno più di quanto gli spetti?” (Mt., XX, 15).
● Occorre fare attenzione di evitare i due errori per eccesso e per difetto del predestinazianismo (Dio condanna anche senza colpa) e del pelagianesimo (l’uomo si salva da sé con le sue forze naturali). Il molinismo non è pelagianesimo, ma mette la grazia divina e il concorso umano su un livello paritetico e simultaneo, mentre il tomismo dà il primato alla grazia divina e concede il concorso secondario e libero alla volontà umana. Il molinismo non è stato condannato, come invece lo fu il pelagianesimo, ed è quindi lecito seguirlo, ma la sua base metafisica è fragile poiché nega la Prima (e la Ventiquattresima) delle XXIV Tesi del Tomismo, la quale distingue potenza da atto e nega che la potenza contenga un certo atto in sé anche se imperfetto, così che possa passare da sé all’atto. Invece la metafisica tomistica insegna che “omne quod movetur ab alio movetur” e che “ens in potentia non reducitur ad actum nisi per ens in actu”. Per quel che mi riguarda, se la mia salvezza dipendesse parimenti da me e da Dio sarei più preoccupato che se dipendesse principalmente dalla volontà divina e secondariamente dalla mia, la quale è infinitamente meno buona di quella di Dio.
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Il fondamento ultimo della distinzione tra grazia sufficiente ed efficace
● La volontà divina antecedente e conseguente sono il fondamento della grazia sufficiente ed efficace (S. Th., I, q. 19). Tale distinzione tra le due grazie si fonda a sua volta sul dogma secondo cui «Non avviene nulla senza che Dio non l’abbia voluto, se si tratta di un bene, o senza che Egli l’abbia permesso se si tratta di un male» (cfr. Conc. Trid.; DB, 816). In breve ogni bene viene da Dio e non avviene nessun peccato senza che Dio non lo permetta.
● Molina invece nega che la grazia efficace lo sia per sé o intrinsecamente ed ammette che è efficace a causa del nostro consenso. Così vi è un bene che avviene senza che Dio lo abbia voluto efficacemente ed è sottratto alla causalità prima ed universale di Dio “a quo omnia cuncta procedunt”.
● S. Tommaso specifica che nella grazia sufficiente ci è offerta la grazia efficace, ma, per il fatto che l’uomo resiste alla sufficiente cortesia divina, merita di essere privato dell’aiuto efficace che gli era virtualmente offerto in quella sufficiente. La resistenza alla grazia sufficiente è un male che viene solo da noi; la non-resistenza alla grazia è un bene che non avverrebbe se Dio non l’avesse voluto assolutamente. Quindi sarebbe erroneo pensare che alcuni ricevono solo grazie efficaci ed altri solo grazie sufficienti. Noi riceviamo tutti e due le specie di doni. Ma spesso alcuni resistono alla grazia sufficiente, che li inclina alla conversione, e così non passano per colpa loro dalla potenza all’atto[13].
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Conclusione
● Riassumendo: la predestinazione da S. Tommaso è vista solo positivamente ossia in ordine alla salvezza e non negativamente in ordine alla dannazione. Nessuno è predestinato all’inferno, ma “Dio infligge la pena della dannazione solo per il peccato” (S. Th., I, q. 23, a. 3). L’Angelico fa un paragone che illustra a mo’ di esempio il problema della predestinazione. Nella creazione l’ente è portato all’esistenza e l’unico motore o causa efficiente della sua esistenza è la volontà del Creatore (S. Th., I, q. 105, a. 5; De Pot., q. 3, a. 4 e 7; S. c. Gent, III, c. 66; De Malo, q. 3, a. 2, ad 4); così nella predestinazione o salvezza eterna la causa principale e prima è la volontà divina e l’amore gratuito di Dio per l’uomo. Perciò la predestinazione o salvezza eterna è principalmente opera di Dio e solo secondariamente dell’uomo. Inoltre la vita eterna è un fine soprannaturale, che sorpassa totalmente la capacità umana naturale. Perciò per raggiungere il fine soprannaturale ci vuole un agente soprannaturale. Ora solo Dio è per se stesso soprannaturale. Quindi solo Dio è autore principale della salvezza o predestinazione eterna dell’uomo. Anche qui l’Aquinate ci dà un esempio molto efficace: come la freccia non può scoccare da se stessa, ma ci vuole un arciere che la scagli tramite un arco, così l’uomo, che non può giungere da sé al suo fine soprannaturale, deve esservi lanciato o “pre-mosso” da Dio. Sia la freccia che l’uomo non sono alla pari con l’arciere e Dio, ma ne dipendono come la causa seconda da quella prima o principale (ivi, ad 1um). Se l’arciere non scaglia la freccia essa non vola in aria; se Dio non “pre-muove” l’uomo, questi non arriva in Paradiso “post-movendosi”. Ora destinare significa “mandare” e predestinare significa mandare, trasferire, trasmettere l’uomo al fine ultimo. Se la salvezza fosse opera alla pari di Dio e dell’uomo, il conseguimento del Paradiso non sarebbe opera totalmente soprannaturale e così la grazia e la Visione beatifica[14]. Quindi, conclude S. Tommaso, l’uomo ha solo una capacità o potenza passiva, senza nessun atto neppure imperfetto, di arrivare in Paradiso, mentre Dio ha la potenza attiva somma o onnipotente di farvelo giungere, chiamandolo alla grazia e alla gloria, che sono sostanzialmente sopra la natura creata (Ibidem, a. 2) e non simultanee alla natura. In breve il primato della causalità efficiente e finale divina non viene meno neppure nell’essere e nell’agire dell’uomo. La sorgente prima di ogni essere ed agire rimane Dio, l’Esse ipsum subsitens, che è fonte totale di tutti gli enti per partecipationem. Quindi l’uomo nell’atto libero ha il dominio del suo agire come vera causa seconda, senza escludere la causalità prima, la quale non fa violenza alla volontà, ma la muove per prima a fare il bene (De Pot., q. 3, a. 7, ad 13). Dio non costringe, ma influenza la volontà umana. Chiediamo a Dio di poter cooperare alla sua grazia e rendere certa la nostra salvezza con le nostre opere buone, “primo-mosse” da Lui[15].
d. CURZIO NITOGLIA
29 novembre 2011
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