Seguiamo, al solito ciò che accade. C'è un aggiornamento
alla questione Enzo Bianchi - Antonio Livi e il Direttore di Avvenire,
tratto da La Bussola quotidiana di oggi.
Come i lettori de La Bussola Quotidiana sanno bene, l'articolo di monsignor Antonio Livi che criticava
alcuni interventi di Enzo Bianchi, ha provocato la durissima reazione del direttore di Avvenire, Marco
Tarquinio. Una prima, immediata, risposta a Tarquinio è venuta dal direttore de
La Bussola Quotidiana, ma molte sono anche le lettere - arrivate in questi
giorni a noi ed anche ad Avvenire - di solidarietà a monsignor Livi. Ora è lo
stesso monsignor Livi a rispondere al direttore di Avvenire con questa lettera
aperta che pubblichiamo.
Sig. Direttore,
Il 23 marzo scorso Lei sul Suo giornale mi ingiunge di vergognarmi per quello che avevo scritto su La Bussola Quotidiana a proposito di Enzo Bianchi, accusandomi di aver orchestrato squallide manovre diffamatorie basate sulla menzogna. Siccome alcuni lettori (anche se non tutti) e i cattolici italiani in generale possono aver pensato che queste accuse (che costituiscono – queste sì – denigrazione e diffamazione nei miei confronti) siano fondate, mi vedo costretto a fornire loro pubblicamente alcune spiegazioni.
Sig. Direttore,
Il 23 marzo scorso Lei sul Suo giornale mi ingiunge di vergognarmi per quello che avevo scritto su La Bussola Quotidiana a proposito di Enzo Bianchi, accusandomi di aver orchestrato squallide manovre diffamatorie basate sulla menzogna. Siccome alcuni lettori (anche se non tutti) e i cattolici italiani in generale possono aver pensato che queste accuse (che costituiscono – queste sì – denigrazione e diffamazione nei miei confronti) siano fondate, mi vedo costretto a fornire loro pubblicamente alcune spiegazioni.
1) Io non ho scritto contro Enzo Bianchi come persona ma
contro la sua “fama di santità”, ossia contro la presentazione che se ne fa
come di un vero mistico, di un autorevole interprete della Scrittura, di un
venerato maestro di dottrina cristiana, di un eroico combattente per la riforma
della Chiesa e per l’ecumenismo. Io vorrei invece richiamare l’attenzione di
chi ha responsabilità pastorale sul fatto che i suoi scritti e i suoi discorsi
– che certa stampa utilizza come se potessero essere dei validi sussidi per la
catechesi ? sono inficiati di un’ideologia neognostica, incentrata sul progetto
di una religione universale a carattere etico (la Welthethik), secondo la
prospettiva del suo autore di riferimento, che è Hans Küng.
2) Per questo preciso motivo ho deprecato lo spazio e il
rilievo che il Suo giornale ha dato a una meditazione biblica di Bianchi,
pubblicandola in un paginone a colori di “Agorà” della domenica. Io l’ho visto
distribuito in alcune chiese di Roma assieme ai foglietti della Messa, e mi è
sembrato assurdo che quel commento di Bianchi al Vangelo della prima domenica
di Quaresima fosse presentato ai fedeli quasi come un sussidio per la pastorale
liturgica. Quale approfondimento della dottrina cristiana e quale edificazione
nella fede eucaristica – mi domandavano – possono venire da discorsi che
presentano Gesù come un modello (umano) di quella morale umanitaria che ritiene
di poter prescindere dalla grazia del Redentore? Il mondo è pieno di gente che
parla di Gesù in termini che sono più propri dell’umanesimo ateo che del dogma
cattolico: non è questo che mi turbava: mi turbava il fatto che ancora una
volta fosse presentato come un autorevole maestro della fede, con
l’autorevolezza che può conferire il “giornale dei vescovi italiani”, un
personaggio che, a mio avviso, la vera fede non contribuisce affatto a
diffonderla. Non si tratta di un problema personale o ideologico, ma di un
problema esclusivamente pastorale, e io come sacerdote lo considero l’unico
problema importante.
3) Lei, Direttore, non ha ragione quando scrive che io avrei
potuto criticare Bianchi o altri collaboratori di Avvenire «su ciò che è
opinabile: valutazioni storiche e socio-culturali, opinioni artistiche, scelte
lessicali, giudizi politici…», mentre invece mi sarei «azzardato» a «porre in
dubbio la fede altrui e l’altrui indiscutibile adesione alla buona dottrina
cattolica su ciò che è opinabile non è». Lei non ha ragione perché io critico
appunto il modo di commentare il Vangelo in un giornale ufficialmente
cattolico, e in questa materia nella Chiesa c’è sempre stata e sempre ci sarà
il diritto di critica (la teologia cattolica e lo steso dogma nascono dal
confronto critico con i diversi modi di presentare il contenuto della
rivelazione divina). Ciò che per un cattolico «opinabile non è» è solo il dogma
enunciato dalla Chiesa con il suo magistero solenne. Le interpretazioni del
dogma e la sua presentazione catechetica, così come le scelte pastorali, sono
invece materia di libera discussione. Non c’è nulla di criminoso e di
vergognoso nel fatto di aver voluto manifestare la mia opinione circa
l’inopportunità pastorale di presentare alla meditazione dei fedeli dei
discorsi, come quelli di Bianchi, così ambigui rispetto al dogma cattolico. Da
quando è diventato «indiscutibile» il fatto dell’«adesione alla buona dottrina
cattolica» da parte dei collaboratori dell’Avvenire? Basta la parola del
Direttore? È un nuovo caso di «Roma locuta, quaestio finita»?
4) Nel fare quei rilievi dottrinali e pastorali, peraltro, io
non ho minimamente voluto «porre in dubbio la fede altrui», cioè di Enzo
Bianchi. Sembra che Lei, dottor Tarquinio, non abbia presente la fondamentale
distinzione tra la fede come atto interiore del soggetto che aderisce con tutto
se stesso a Cristo e alla sua dottrina (e di questo atto interiore è
consapevole solo il soggetto stesso) e la fede come enunciazione esteriore
(professione di fede, proclamazione della fede, catechesi, evangelizzazione,
teologia); io so bene di non dover giudicare la sincerità e la fermezza della
fede egli altri (della coscienza di ciascuno di noi è giudice solo Dio, il
quale «scruta i reni e il cuore» degli uomini), ma so anche che ho il dovere di
giudicare la rispondenza di un discorso sul Vangelo alle verità fondamentali
contenute nella dottrina della Chiesa: è un dovere che in primis spetta
al collegio episcopale, con a capo il Papa, ma spetta, per partecipazione
sacramentale, anche a un semplice sacerdote come me, impegnato da sempre nella
formazione cristiana dei fedeli con il mio lavoro pastorale e con la docenza
nell’«Università del Papa». Certo, il mio giudizio – di approvazione o di
critica – è soggetto a errore dal punto di vista dottrinale, e anche dal punto
di vista della prassi può risultare meno opportuno o conveniente: ma è pur
sempre un atto legittimo, anzi doveroso, quando uno come me ritiene in
coscienza che il bene comune della comunità ecclesiale lo richieda.
5) Lei scrive che il mio è «un testo feroce, nel quale si
procede con metodi degni della peggiore “disinformatsja”: estrapolando frasi,
selezionando concetti, amputando verità, distillando veleni». In realtà, le
frasi dello scritto di Bianchi che ho citato sono testuali, e in un breve
scritto non potevo certamente riprodurre tutto il testo pubblicato nel paginone
di Avvenire (chi non crede alla sintesi che io ho fatto potrà confrontarla con
l’originale); sono però frasi emblematiche, che nemmeno il contesto può
contribuire a “salvare” (anzi, a me sembra che tutto il discorso che Bianchi fa
sul potere e sul denaro ha senso solo presupponendo che Gesù sia solo un modello
morale, un uomo esemplare). Nessuno scrittore dei primi secoli, nessun
letterato cristiano moderno, nessun teologo intenzionato a rispettare il dogma
si è mai sognato di parlare di Gesù come di una «creatura», di un uomo cioè che
insegna agli altri uomini come si deve rispettare Dio, che è il Creatore.
Bianchi è un biblista: ma dove mai si trova nella Bibbia la definizione di Gesù
come «creatura»? Che cosa avranno pensato quei fedeli che hanno letto il testo
di Bianchi sull’Avvenire e poi a Messa hanno recitano il Credo, dicendo di Gesù
che Egli è «Dio da Dio» e che è «generato, non creato»? Devono pensare che la
professione di fede della Chiesa è una formula antiquata e che è meglio credere
alle spiegazioni moderne e aggiornate di Bianchi? Questo è il vero problema: un
problema che interessa necessariamente chi ha sensibilità pastorale e si sente
responsabile dei messaggi dottrinali che vengono proposti da personaggi che
(non sempre meritatamente) godono di credito presso i fedeli, soprattutto se
sono veicolati dalla stampa che si presenta come la voce (almeno ufficiosa)
della Chiesa italiana.
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