1. Introduzione:
«Dubitare del progresso è l'unico progresso», asseriva
provocatoriamente il grande pensatore colombiano Nicolàs Gòmez Davila
(1). Il progresso delle conoscenze e del sapere, che si è avuto negli
ultimi 2-3 secoli, è reale, ma non comporta affatto una automatica
elevazione morale o civile dell'umanità: il tema, assai complesso,
richiederebbe, per darne davvero conto, tutta una storia e un'accurata
analisi, che qui è impossibile e perfino inutile. La moltiplicazione
delle conoscenze ha, tra l'altro, moltiplicato i lemmi del vocabolario, o
almeno li ha diversificati: mentre se ne sono aggiunti di nuovi, tanti
altri tendono a invecchiare e quasi a sparire sia nell'uso che nelle
scritture dotte. Certe parole poi, certe espressioni e certe etichette,
atte a designare qualcosa o qualche idea, in positivo e in negativo,
sono diventate strumenti della battaglia politica e ideologica, già da
vari decenni, e questo lo sappiamo tutti. La mass-mediocrazia, ...
... che è una conseguenza scontata della tecnocrazia contemporanea
(2), ha ampliato il fenomeno, mostrando il lato oscuro dell'aumento
delle conoscenze sopra ricordato: l'aumento, paradossalmente parallelo,
del semplicismo, della retorica di bassa lega e degli slogan da mandare a
memoria e poi usare "al momento giusto". Cioè l'aumento - direttamente
proporzionale all'indubitabile aumento del sapere popolare avutosi in
epoca moderna e contemporanea
(con il tramonto dell'analfabetismo, per esempio) - dell'ignoranza
sotto la forma inedita di confusionismo, di relativismo antropologico ed
etico, di sincretismo epistemologico, o di puro caos mentale.
L'ambito religioso non ha fatto
eccezione a questa situazione binaria di approfondimento persino
parossistico da un lato (si pensi a certa esegesi scientifica o a certe
tesi ultra-specialistiche di teologia su un solo versetto biblico!) e
dall'altro la marea, anzi l'oceano sconfinato di ignoranza religiosa dei
cristiani, così caratteristica del nostro tempo. Molti, tra cui ci pare
di ricordare anche l'eminentissimo cardinal Siri, hanno giustamente
lamentato il fatto che mai la Bibbia sia stata così letta come oggi, o
almeno così acquistata, e mai d'altro canto sia stata così negletta,
cioè poco praticata. Ma se è poco praticata e poco vissuta, significa
che la sola lettura della sola Scrittura non basta a diventare più
"biblici" o "evangelici"...
Nell'ambito strettamente teologico,
l'incidenza del “progresso” linguistico e culturale si è fatta sentire
con la nascita dell'ecclesialese e di espressioni "teologicamente
corrette" (ma religiosamente vane, ambigue o eterodosse) (3). Spiegarne
il potenziale di ambiguità significherebbe abusare della pazienza del
lettore, limitiamoci dunque a citare alcune espressioni più note:
apertura al mondo, tolleranza, dialogo, pluralismo, aggiornamento,
liberazione, pastorale, partecipazione attiva, etc.
Sull'uso scorretto e inibente delle parole, nell'ambito della teologia contemporanea,
notava tempo fa l'ottimo domenicano, padre Cavalcoli: «In un ambiente
inquinato dall'eresia (...) facilmente sono gli ortodossi che possono
far la figura dei devianti; magari non si arriva al punto di
spudoratezza di chiamarli “eretici”, ma eventualmente con nomignoli
infamanti, nell'inventare i quali i buonisti mostrano una fertile
fantasia, come per esempio “fondamentalista”, “conservatore”,
“reazionario”, “interista”, “tradizionalista”, “intransigente”,
“preconciliare”, “destrorso”, ecc.» (4).
Di questi termini si potrebbe fare una
microstoria e ad essi si potrebbero aggiungere, nello stesso senso, gli
ormai desueti, “bigotto”, “guelfo”, “papista”, “papalino”, “codino” ed
altri ancora. Il termine che qui interessa è uno solo, e coincide con
quello, a nostro avviso, di maggior spessore teologico, storico e
concettuale tra tutti: quello di tradizionalista.
2. Concetto cattolico di Tradizione
Sul concetto di Tradizione ci limitiamo
per brevità ad alcuni cenni. Secondo una testo sempre autorevole, la
Tradizione «con la Bibbia è una delle due fonti della Rivelazione divina
e può essere definita: "La predicazione o trasmissione orale di tutte
le verità (rivelate da Cristo agli Apostoli o lor suggerite dallo
Spirito Santo), mediante il magistero sempre vivo e infallibile della
Chiesa, assistita dallo Spirito di verità"» (5). Importante in proposito
è la chiarificazione, in funzione anti-ereticale, apportata ormai quasi
mezzo secolo fa dal Concilio: «È chiaro dunque che la Sacra Tradizione,
la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima
disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non
poter indipendentemente sussistere» (DV 10).
Il libro che parla meglio della
Tradizione, tra i più recenti, è senza dubbio quello di don Bernard
Lucien (6) a cui ci ispiriamo per le righe seguenti. Scrive il Lucien
che «secondo l'istituzione divina tre elementi legati tra loro o
piuttosto correlati e però distinti intervengono nella trasmissione del
deposito rivelato: la Tradizione, la Sacra Scrittura, il Magistero della
Chiesa» (7). L'autore nota giustamente che «se è (...) facile
precisare, in un primo approccio, ciò che è la Sacra Scrittura e ciò che
è il Magistero, è molto più difficile dire cos'è la Tradizione divina,
perché questo vocabolo, anche entro il solo perimetro dell'uso
cattolico, comporta molte accezioni» (8).
All'interno di un capitolo accuratamente
argomentato, il Lucien arriva a dare una definizione della Tradizione,
come si usava con le "tesi" proposte dai teologi di una volta. Eccola:
«La Tradizione divina nel senso più stretto, e intesa attivamente, è la
conservazione e la trasmissione continue e divine della Rivelazione, a
partire dagli Apostoli, attraverso la predicazione orale e la fede della
Chiesa, cioè con un mezzo distinto dalla Sacra Scrittura» (9).
Il Lucien nelle pagine seguenti
spiegherà il senso e la portata del dogma della uguale autorità della
Scrittura e della Tradizione - contro il biblicismo sempre rinascente e
contro l'idea luterana che la lettura della Bibbia sia indispensabile
per tutti per una vita di fede - mostrando poi che «la Tradizione
possiede una certa priorità sulla Sacra Scrittura, dal punto di vista
dell'inter-pretazione» (10).
Il tradizionalismo di cui parliamo,
dunque, pur se rimanda, e a giusto titolo, all'idea tutta cattolica di
Tradizione, non ne è un semplice derivato culturalmente neutro, ma si
colora al giorno d'oggi di valenze identitarie, spirituali, teologiche e
soprattutto liturgiche che gli provengono dalla storia recente e
dall'uso che ne è stato fatto da parte di alcuni cattolici nel periodo
post-conciliare. Uso, come vorrebbe dimostrare questo scritto - che ha
questo chiarimento quale sua causa finale -pienamente legittimo e in
nulla contrario alla verità, cioè alla Tradizione, alla Scrittura e al
Magistero della Chiesa.
3. La parola tradizionalismo (o tradizionalista) nel magistero ottocentesco
Sappiamo tutti che fare teologia sui
dizionari non è scevro da pericoli, soprattutto per il rischio di
rinviare costantemente il necessario e correlato approfondimento... alle
calende greche! Tuttavia servirsene al bisogno non pare in sé
censurabile, ed è da almeno un paio di secoli, cosa ordinaria per
docenti, studiosi e studenti di teologia.
Sul Denzinger (11) il termine
tradizionalismo compare solo 3 volte e sempre in riferimento alla
filosofia di Bautain e Bonnetty (12), filosofia che nulla ha a che fare
con l'uso che ne viene fatto oggi per indicare una data sensibilità
ecclesiale, che la si approvi o meno.
Il testo fa una stringata sintesi dei fatti: «Louis-Eugène-Marie Bautain, professore a Strasburgo e direttore del seminario arcivescovile, fu rimosso dal suo ufficio da Le Pappe de Trévern, vescovo di Strasburgo,
per sospetto di fideismo e tradizionalismo. Il 15 sett. 1834 il vescovo
di Strasburgo emanò un'istruzione pastorale (Advertissement) per il suo
clero. Egli pose al posto di 6 domande, a cui Bautain doveva
rispondere, 6 tesi della dottrina cattolica, che il 18 nov. 1835 furono
sottoscritte da Bautain e dal suo circolo a Strasburgo (...). Una
lettera del 21 sett. 1837 al suo vescovo, in cui Bautain spiegava le sue
asserzioni, fu occasione di nuovi sospetti. Correva il pericolo che
venisse condannata la sua opera La philosophie du christianisme
(Strasbourg 1835). Per evitare tale pericolo Bautain l'8 sett. 1840
sottoscrisse di nuovo in presenza del vescovo coadiutore A. Ràss 6 tesi,
il cui testo si discosta lievemente da quello delle tesi del 18 nov.
1835. per ottenere il riconoscimento di una comunità religiosa da lui
fondata, Bautain infine, il 26 aprile 1844 sottoscrisse per ordine della
S. Congregazione dei vescovi e dei religiosi una terza formula (...).
Le tesi 1-5 delle formule del 1835 e 1840 furono adoperate dalla S.
Congregazione dell'Indice in occasione del processo Bonnetty» (13).
Il tradizionalismo dei padri Bautain e
Bonnetty, che comunque si sottomisero alla Chiesa, dando così un
bell'esempio di obbedienza e fedeltà, era un errore, o almeno una
tendenza erronea di stampo filosofico-culturale, assai simile al
fideismo. Un autore lo definisce così: «È la dottrina
filosofico-religiosa, secondo la quale una rivelazione primitiva fu
assolutamente necessaria al genere umano, non solo per acquistare la
conoscenza delle verità di ordine soprannaturale, ma anche delle verità
soprasensibili, cioè delle verità fondamentali di ordine metafisico,
morale e religioso: esistenza di Dio e concetto di essere, spiritualità
ed immortalità dell'anima, vita futura, legge morale obbligatoria, ecc.
Tale rivelazione giunge ad ogni uomo per tradizione, cioè attraverso
l'insegnamento orale e sociale, che deve essere accettato per fede: la
società è l'organo della rivelazione primitiva. Indipendentemente dalla
rivelazione divina l'uomo non può avere nessuna conoscenza» (14).
Gli attuali cattolici-tradizionalisti,
evidentemente, non solo non dipendono in nulla da questa impostazione
filosofica, ma ne sono a tutta prova, i più intrepidi avversari (15). Ma
perché questi due filosofi di tendenza fideista-ontologista furono
chiamati tradizionalisti? Ciò si spiega con la loro idea che senza la
tradizione, o rivelazione primitiva, sarebbe impossibile arrivare a Dio e
ammettere i cosiddetti preambula fidei.
Tra le tesi sottoscritte da Bautain nel
1844, la n. 4 è una promessa a non insegnare «che la ragione non possa
acquisire una vera e piena certezza dei motivi di credibilità, cioè di
quei motivi che rendono la rivelazione divina evidentemente credibile,
come lo sono particolarmente i miracoli e le profezie, e soprattutto la
risurrezione di Cristo» (Denz. 2769).
Tutti gli attuali
cattolici-tradizionalisti concordano colla condanna romana, ed anzi lo
spirito tradizionalista è sorto proprio in reazione alle deviazioni
teologiche, filosofiche e liturgiche del post-Concilio, tra cui non
erano affatto assenti errori come questi.
In conclusione per misurare la distanza
tra quel tradizionalismo (filosofico) e il nostro, basti dire che «La
Chiesa ebbe ancora di mira il tradizionalismo, o per lo meno il suo
spirito, nell'enciclica Pascendi» (16). Ebbene, questo fondamentale
documento, il più importante del Pontificato di s. Pio X e uno dei più
rilevanti nel magistero degli ultimi secoli, costituisce, come noto,
l'anima della nostra difesa della Tradizione cattolica integrale, del
nostro tradizionalismo, contro ogni modernismo, antico o contemporaneo.
4. Uso del termine nel magistero da san Pio X ad oggi
Papa S. Pio X, per la sua condanna
solenne del modernismo e per la sua fulgida santità - oggi vilmente
attaccata da autori legati al neo-modernismo - costituisce indubbiamente
un punto di riferimento per tutti i veri cattolici. Per noi
tradizionalisti lo è in modo speciale (17). La battaglia della sua vita,
e il momento più luminoso della sua virtù eroica, si ebbe proprio nella
lotta epocale contro il modernismo "cattolico".
Ancora a pochi mesi dalla morte, a vari
anni dalla Pascendi, scriveva: «Un altro dolor piuttosto, che mi turba
ed angustia, è il diffondersi spaventoso del modernismo, specialmente
nel clero secolare e regolare; un modernismo teorico in pochi, ma nei
più pratico, che però trascina alle medesime conseguenze del primo,
all'indebolimento e alla perdita totale della fede, In questo è
l'avversario terribile che affigge la Chiesa e il papa e contro il quale
devono combattere i buoni per mantenere intatto il deposito della fede e
salvare tante anime che corrono alla rovina» (18).
Nella dimenticata Lettera Notre charge
apostolique (19) circa «la dottrina sociale del Sillon e il miraggio di
una falsa democrazia» (20) del 25 agosto 1910, Papa Sarto, verso la
fine del mirabile testo afferma: «Siano persuasi [i sacerdoti] che la
questione sociale e la scienza sociale non sono nate ieri; che in ogni
tempo la Chiesa e lo Stato felicemente d'accordo hanno suscitato a
questo fine feconde organizzazioni; che la Chiesa, la quale non ha mai
tradito il benessere del popolo con alleanze compromettenti, non ha da
staccarsi dal passato e che basta riprendere con l'aiuto dei veri operai
della restaurazione sociale le organizzazioni sciolte dalla Rivoluzione
e adattarle, nello stesso spirito cristiano che le ha ispirate, al
nuovo ambiente creato dall'evoluzione materiale della società: perché i
veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma
tradizionalisti».
Questa frase non ha bisogno di lunghi
commenti. Secondo il grande pastore, ci sono degli amici del popolo
dichiarati ma solo apparenti e ci sono al contrario dei veri amici del
popolo, che forse sono meno apparenti o appariscenti, ma hanno in questa
vera amicizia molta più consistenza dei primi. Tra i falsi amici vi
sono i rivoluzionari e gli innovatori, tra i veri amici i
tradizionalisti. È chiaro che chi ama il popolo veramente, da vero
amico, è anche per forza di cose amico di Dio, e chi non ama Dio non
sarà mai vero amico del popolo, cioè dei fratelli in umanità.
Nei Pontificati successivi, da Benedetto
XV a Giovanni Paolo II, l'uso del termine tradizionalista, salvo
meliori judicio, non risulta. Almeno non risulta nel senso culturalmente
forte e pregnante in cui lo utilizzò Papa Sarto.
In tempi recentissimi, invece, a oltre
40 anni dalla chiusura del Concilio il termine è ritornato in uso,
collegato specialmente con il motu proprio Summorum Pontificum (7.7.07) e
con il movimento che difende la legittimità e la priorità dogmatica,
anche dopo la riforma liturgica del 1969-70, della liturgia tradizionale
(21). Nel Decreto di erezione della parrocchia della SS. Trinità dei
Pellegrini, firmato dall'allora cardinal Vicario dell'Urbe e presidente
della Cei, Camillo Ruini, il termine compare due volte (22).
Dopo aver citato il motu proprio, si
asserisce che: «il Santo Padre ha disposto che nel Centro della Diocesi
di Roma (...) fosse eretta una parrocchia personale atta ad assicurare
un'adeguata assistenza religiosa per l'intera comunità dei fedeli
Tradizionalisti residenti nella stessa Diocesi». Curioso l'uso della
maiuscola, che si ripete poco dopo: «Pertanto, col presente Decreto, in
virtù delle facoltà ordinarie riconosciutemi dal Santo Padre, erigo la
parrocchia personale per la comunità dei fedeli Tradizionalisti, in
onore di Dio Onnipotente», ecc.
Se ai fedeli tradizionalisti, viene
offerta una parrocchia nel centro di Roma, per volontà esplicita del
Santo Padre e in onore di Dio Onnipotente, è il segno che i
tradizionalisti... esistono! Anzi essi formano una "comunità", la
comunità dei fedeli tradizionalisti. Nessuno mi pare che abbia notato la
cosa in sé importante del riconoscimento di uno spirito, di un carisma
che è legato ad un preciso rito liturgico e che viene identificato con
quel sostantivo.
D'altra parte noi crediamo che non la
sola preferenza liturgica distingua questa comunità dalle altre della
diocesi e nell'intera Chiesa. La liturgia, di importanza fondamentale ne
è solo l'espressione esterna e pubblica; il cuore di questa comunità
spirituale, o di questo movimento o "famiglia di anime", è
l'attaccamento toto corde all'integrale patrimonio della bimillenaria
Tradizione cattolica - da cui il nome di tradizionalisti (che dunque
tutti i cattolici dovrebbero far proprio e a nessuno dovrebbe dar
fastidio...) - in tutta la sua estensione, in tutta la sua profondità e
in tutte le sue virtualità dottrinali, ascetiche, morali, liturgiche,
sociali e politiche.
5. Conclusione: legittimità per i cattolici militanti di oggi di dirsi tradizionalisti
Secondo l'eccellente filosofo stimmatino
padre Cornelio Fabro, «il pericolo del modernismo non è mai
completamente debellato perché è insita nella ragione umana, corrotta
dal peccato, la tendenza a erigersi a criterio assoluto di verità per
assoggettarsi a sé la fede» (23).
Con la svolta conciliare però si assiste
ad una nuova ed inattesa diffusione dello spirito del modernismo in
seno alla compagine ecclesiastica, tanto che un autore ha potuto
scrivere tali calibrate parole: «Di solito il Magistero cattolico
brillava per chiarezza concettuale e rigore terminologico, per evitare
possibili fraintendimenti e aberrazioni. Nel Vaticano II, invece, s'è
voluto appositamente usare un linguaggio meno preciso, a motivo della
sua natura pastorale, con l'intento per sé lodevole di raggiungere il
maggior numero di uomini di buona volontà, ma col risultato de facto che
ognuno vi ha potuto dedurre tutto ed il contrario di tutto, a proprio
uso e consumo» (24).
Oggi dunque dato che «dopo il Concilio
Vaticano II il mondo cattolico, sgomento, si trovò modernista» (25) e
che «mai, infatti, all'interno della Chiesa cattolica, è stato così
diffuso l'errore nel campo della fede» (26), è bene usare neologismi o
veterologismi che aiutino a farsi capire meglio da tutti, nella Chiesa e
fuori di essa. L'uso della definizione di cattolici-tradizionalisti -
come un tempo i più docili seguaci di s. Pio X nella lotta
anti-modernista usarono quella di cattolici-integrali (27), o come sotto
Pio IX e Leone XIII i cattolici fedeli a Roma e anti-liberali si
chiamarono cattolici-intransigenti (28) - ci pare assolutamente lecito,
spesso doveroso, non raramente e anzi sempre più frequentemente
strettamente necessario.
6. Appendice sulla nozione di "Tradizione vivente"
A scanso di equivoci, e ammessa la
legittimità di definirsi tradizionalisti, è opportuno precisare che
siffatto tradizionalismo non coincide col il fissismo dogmatico
assoluto, che consisterebbe nella posizione erronea di rigettare
qualunque progresso dottrinale omogeneo con il patrimonio della
Rivelazione.
L'abbé Lucien, nel testo da noi citato,
parlava della spinosa questione, con riferimento alla cosiddetta
"Tradizione vivente". Lo studioso nota che a partire almeno da «Johann
Adam Mòhler, faro della Scuola di Tubinga nel secondo quarto del XIX
secolo, questa espressione è in effetti servita più di una volta a
veicolare idee assai contestabili» (30). Quali? Per esempio «la
riduzione della Tradizione al Magistero attuale» (31) oppure «la
negazione del compimento della Rivelazione con la morte dell'ultimo
apostolo» (32). «È questo secondo errore, continua don Lucien, che
spesso nel prolungamento del relativismo e dello storicismo modernisti,
si presenta come particolarmente virulento oggi» (33).
In estrema sintesi, e per non allungare
troppo questa breve nota sul tradizionalismo, concludiamo col Lucien,
notando che «in definitiva, ed avendo cura di evitare gli errori
relativisti e evoluzionisti, si deve riconoscere la tripla legittimità
della nozione di Tradizione vivente:
1) perché il deposito rivelato, oggettivamente concluso, si trasmette esplicitandosi
2) perché questo deposito è trasmesso attraverso degli atti umani di predicazione e di fede
3) perché questa trasmissione è
divinamente assicurata, nel corso dei secoli, attraverso l'azione viva e
trascendente di Cristo e dello Spirito Santo» (34).
Note:
1) N. Gòmez Dàvila, In margine a un testo implicito, Milano 2001 (1977), p, 69.
2) Di cui i critici sono pochi e anzi tendono a diminuire invece che come sarebbe bene ad aumentare. Si vedano le argomentazioni sempre valide di J. Ellul, Il sistema tecnico, Milano 2009 (1977).
3) In tal senso resta sempre attualissimo il manuale di R. Amerio, Iota unum, Milano 1984. Si segnalano due nuove edizioni del testo, entrambe del 2009, a cura della benemerita casa editrice veronese Fede e cultura e della Lindau
4) G. Cavalcoli, La questione dell'eresia oggi, Roma, 2008, p. 231. Il corsivo è nostro.
5) S. Cipriani, Tradizione, in Enciclopedia cattolica, Firenze, 1954, voi. XII, col. 397.
6) B. Lucien, Révélation et Tradition. Les lieux médiateurs de la Révélation divine publique, du dépót de la foi au Magistère vivant de l'Eglise, Brannay 2009
7) B. Lucien, op. cit., p. 65 (traduzione nostra). Un eccellente excursus storico-teologico sulla nozione di Tradizione, anche in relazione con l'intricata questione del "tradizionalismo" post-conciliare, si trova in B. Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento 2010.
8) Ibid., p. 66.
9) Ibid. Mons. Gherardini, nell'opera citata (p. 279) propone questa definizione: "La Tradizione, in quanto “parola trasmessa”, è la Rivelazione stessa che la Chiesa, mediante la sua predicazione iniziata, per volere del suo divin Fondatore, fin dalle origini e mai interrotta, trasmette sotto l'assistenza dello Spirito Santo come appresa dalla viva voce di Cristo e dei suoi apostoli, ai quali - ed in essi ai loro successori - Cristo l'aveva affidata perché la ritrasmettessero per tutta la durata del tempo, fedelmente ed integralmente".
10) Ibid., p. 96. Contro un certo tradizionalismo stretto, l'abbé Lucien mostra in sapienti pagine la legittimità dell'espressione, che si presta facilmente all'equivocità, di "Tradizione vivente" (cfr. pp. 115-119). L'espressione è lecita secondo i tre aspetti della Tradizione divina: dal punto di vista dell'oggetto (che si esplicita sempre più e meglio), dal punto di vista dell'atto della trasmissione (che è dinamico e non statico) e dal punto di vista della Causa trascendente (che assiste semper et prò semper la Chiesa e il suo infallibile Magistero). Stessa idea esprime Gherardini, cfr. op. cit., p. 246ss. Ibid., p. 96.
11) Citiamo l'edizione che abbiamo usato in questo caso: H. Denzinger, Enchiridion Symbolurum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, (a cura di P. Huenermann), Bologna, 1995. Abbreviato solitamente in Denz.
12) Ai nn. 2751, 2811, 2841. Manca inspiegabilmente nell'indice il n. 2765.
13) Denz. pp. 982-983.
14) E. Basadonna, Tradizionalismo, in EC, Firenze, 1954, vol. VIII, col. 385
15) Sembrerà un paradosso ma sono i cosiddetti progressisti, i quali si dichiarano apertamente anti-tradizionalisti, a dichiarare oggi che l'esistenza di Dio non può essere conosciuta con certezza alla luce della sola ragione (prima proposizione condannata nel sistema di Bautain). Dunque, malgrado la singolare omonimia tra il tradizionalismo di ieri e di oggi, sono i teologi progressisti, nei loro errori, gli eredi filosofici dei Bautain e Bonnetty, e non noi tradizionalisti che usiamo questo termine soltanto come sinonimo di cattolici-romani-integrali.
16) E. Basadonna, cit., col. 397.
17) Ovviamente il fatto che esistano dei gruppi cattolici, ancora non in piena comunione colla Sede Apostolica, che usano emblematicamente la figura di s. Pio X nulla toglie né alla grandezza del Pontefice, né alla legittimità del medesimo uso da parte di chi è - per grazia e senza meriti - nella piena comunione, né al fatto che il modernismo combattuto dal Papa sia un problema reale e di enorme attualità, nel cuore stesso della Chiesa...
18) Lettera del 10 luglio 1913, in A.M. Dieguez - S. Pagano, Le carte del 'sacro tavolo'. Aspetti del pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato, Città del Vaticano, 2006, pp. 327-328. Purtroppo l'introduzione e le note del libro risentono dello storico pregiudizio anti-Pio X e del dilagare del modernismo negli anni successivi al Vaticano II, come alcuni notarono fin da subito, cfr. J. Maritain, Le paysan de la Garonne, Paris 1966.
19) Non compare, per esempio, nell'accuratissimo Denzinger...
20) ln AAS 2 (1910), pp. 607-633.
21) La Lettera Apostolica Summorum Pontificum "motu proprio data" sull'uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970 e la Lettera di accompagnamento Con grande fiducia alla Lettera Apostolica "Summorum Pontificum" sull'uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma del 1970, si trovano in Insegnamenti di Benedetto XVI, Città del Vaticano, 2008, vol. III, 2, pp. 20-29.
22) Decreto di erezione della parrocchia personale della Santissima Trinità dei pellegrini (23 marzo 2008), in Rivista diocesana di Roma, 3 (maggio-giugno 2008), pp. 552-553
23) C. Fabro, Modernismo, in EC, Firenze, 1952, vol. VIII, col. 1196.
24) A. M. Apollonio, Un discorso da fare. Sul Concilio Vaticano II. A proposito del recente libro di Mons. B. Gherardini, in Fides Catholica, 1 (2010) 251. Si chiede poco dopo l'insigne mariologo: «Quale profitto per l'anima d'un comune fedele può mai portare lo sforzo di cui parla GS [cioè Gaudium et spes], di penetrare perfettamente la cultura relativista, del nostro tempo? Cosa c'è di più velenoso per la fede di un semplice cristiano, che l'assorbire intellettualmente le esalazioni infernali di questa cultura di morte?».
25) Ibid., p. 254.
26) G. Cavalcoli, La questione dell'eresia oggi, Roma 2008, p. 33.
27) Si veda il Programma del Sodalitium Pianum di mons. Umberto Benigni che al primo punto esordiva così: "Noi siamo Cattolici-Romani integrali". E che s. Pio X approvò con vari Rescritti autografi.
28) Si pensi all'uso di questo termine fatto proprio come una bandiera da don Davide Albertario, su cui cfr. G. Pecora, In prigione in nome di Gesù Cristo, ed. CLS, 2002 Torino.
29) B. Lucien, op. cit., pp. 115-119 con il titolo significativo di Quelques remarques sur la "Tradition vivente". Per approfondire un tema spigolo ma essenziale rinviamo il lettore più esigente a prendere atto delle sapienti notazioni teologiche del teologo francese, che noi sintetizzeremo sopra.
30) Ivi, p. 115.
31) Ibid.
32) Ibid.
33) Ibid.
34) Ibid., p.117.
2) Di cui i critici sono pochi e anzi tendono a diminuire invece che come sarebbe bene ad aumentare. Si vedano le argomentazioni sempre valide di J. Ellul, Il sistema tecnico, Milano 2009 (1977).
3) In tal senso resta sempre attualissimo il manuale di R. Amerio, Iota unum, Milano 1984. Si segnalano due nuove edizioni del testo, entrambe del 2009, a cura della benemerita casa editrice veronese Fede e cultura e della Lindau
4) G. Cavalcoli, La questione dell'eresia oggi, Roma, 2008, p. 231. Il corsivo è nostro.
5) S. Cipriani, Tradizione, in Enciclopedia cattolica, Firenze, 1954, voi. XII, col. 397.
6) B. Lucien, Révélation et Tradition. Les lieux médiateurs de la Révélation divine publique, du dépót de la foi au Magistère vivant de l'Eglise, Brannay 2009
7) B. Lucien, op. cit., p. 65 (traduzione nostra). Un eccellente excursus storico-teologico sulla nozione di Tradizione, anche in relazione con l'intricata questione del "tradizionalismo" post-conciliare, si trova in B. Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento 2010.
8) Ibid., p. 66.
9) Ibid. Mons. Gherardini, nell'opera citata (p. 279) propone questa definizione: "La Tradizione, in quanto “parola trasmessa”, è la Rivelazione stessa che la Chiesa, mediante la sua predicazione iniziata, per volere del suo divin Fondatore, fin dalle origini e mai interrotta, trasmette sotto l'assistenza dello Spirito Santo come appresa dalla viva voce di Cristo e dei suoi apostoli, ai quali - ed in essi ai loro successori - Cristo l'aveva affidata perché la ritrasmettessero per tutta la durata del tempo, fedelmente ed integralmente".
10) Ibid., p. 96. Contro un certo tradizionalismo stretto, l'abbé Lucien mostra in sapienti pagine la legittimità dell'espressione, che si presta facilmente all'equivocità, di "Tradizione vivente" (cfr. pp. 115-119). L'espressione è lecita secondo i tre aspetti della Tradizione divina: dal punto di vista dell'oggetto (che si esplicita sempre più e meglio), dal punto di vista dell'atto della trasmissione (che è dinamico e non statico) e dal punto di vista della Causa trascendente (che assiste semper et prò semper la Chiesa e il suo infallibile Magistero). Stessa idea esprime Gherardini, cfr. op. cit., p. 246ss. Ibid., p. 96.
11) Citiamo l'edizione che abbiamo usato in questo caso: H. Denzinger, Enchiridion Symbolurum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, (a cura di P. Huenermann), Bologna, 1995. Abbreviato solitamente in Denz.
12) Ai nn. 2751, 2811, 2841. Manca inspiegabilmente nell'indice il n. 2765.
13) Denz. pp. 982-983.
14) E. Basadonna, Tradizionalismo, in EC, Firenze, 1954, vol. VIII, col. 385
15) Sembrerà un paradosso ma sono i cosiddetti progressisti, i quali si dichiarano apertamente anti-tradizionalisti, a dichiarare oggi che l'esistenza di Dio non può essere conosciuta con certezza alla luce della sola ragione (prima proposizione condannata nel sistema di Bautain). Dunque, malgrado la singolare omonimia tra il tradizionalismo di ieri e di oggi, sono i teologi progressisti, nei loro errori, gli eredi filosofici dei Bautain e Bonnetty, e non noi tradizionalisti che usiamo questo termine soltanto come sinonimo di cattolici-romani-integrali.
16) E. Basadonna, cit., col. 397.
17) Ovviamente il fatto che esistano dei gruppi cattolici, ancora non in piena comunione colla Sede Apostolica, che usano emblematicamente la figura di s. Pio X nulla toglie né alla grandezza del Pontefice, né alla legittimità del medesimo uso da parte di chi è - per grazia e senza meriti - nella piena comunione, né al fatto che il modernismo combattuto dal Papa sia un problema reale e di enorme attualità, nel cuore stesso della Chiesa...
18) Lettera del 10 luglio 1913, in A.M. Dieguez - S. Pagano, Le carte del 'sacro tavolo'. Aspetti del pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato, Città del Vaticano, 2006, pp. 327-328. Purtroppo l'introduzione e le note del libro risentono dello storico pregiudizio anti-Pio X e del dilagare del modernismo negli anni successivi al Vaticano II, come alcuni notarono fin da subito, cfr. J. Maritain, Le paysan de la Garonne, Paris 1966.
19) Non compare, per esempio, nell'accuratissimo Denzinger...
20) ln AAS 2 (1910), pp. 607-633.
21) La Lettera Apostolica Summorum Pontificum "motu proprio data" sull'uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970 e la Lettera di accompagnamento Con grande fiducia alla Lettera Apostolica "Summorum Pontificum" sull'uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma del 1970, si trovano in Insegnamenti di Benedetto XVI, Città del Vaticano, 2008, vol. III, 2, pp. 20-29.
22) Decreto di erezione della parrocchia personale della Santissima Trinità dei pellegrini (23 marzo 2008), in Rivista diocesana di Roma, 3 (maggio-giugno 2008), pp. 552-553
23) C. Fabro, Modernismo, in EC, Firenze, 1952, vol. VIII, col. 1196.
24) A. M. Apollonio, Un discorso da fare. Sul Concilio Vaticano II. A proposito del recente libro di Mons. B. Gherardini, in Fides Catholica, 1 (2010) 251. Si chiede poco dopo l'insigne mariologo: «Quale profitto per l'anima d'un comune fedele può mai portare lo sforzo di cui parla GS [cioè Gaudium et spes], di penetrare perfettamente la cultura relativista, del nostro tempo? Cosa c'è di più velenoso per la fede di un semplice cristiano, che l'assorbire intellettualmente le esalazioni infernali di questa cultura di morte?».
25) Ibid., p. 254.
26) G. Cavalcoli, La questione dell'eresia oggi, Roma 2008, p. 33.
27) Si veda il Programma del Sodalitium Pianum di mons. Umberto Benigni che al primo punto esordiva così: "Noi siamo Cattolici-Romani integrali". E che s. Pio X approvò con vari Rescritti autografi.
28) Si pensi all'uso di questo termine fatto proprio come una bandiera da don Davide Albertario, su cui cfr. G. Pecora, In prigione in nome di Gesù Cristo, ed. CLS, 2002 Torino.
29) B. Lucien, op. cit., pp. 115-119 con il titolo significativo di Quelques remarques sur la "Tradition vivente". Per approfondire un tema spigolo ma essenziale rinviamo il lettore più esigente a prendere atto delle sapienti notazioni teologiche del teologo francese, che noi sintetizzeremo sopra.
30) Ivi, p. 115.
31) Ibid.
32) Ibid.
33) Ibid.
34) Ibid., p.117.
Fabrizio Cannone
Fides Catholica n. 1-2011
Breve nota su tradizione e tradizionalismo
Fides Catholica n. 1-2011
Breve nota su tradizione e tradizionalismo
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