lunedì 5 settembre 2011

Tradizione Cattolica - Ultimo numero

TC 2011 agosto 
Editoriale
di don Davide Pagliarani

Il dramma di una generazione che ha inteso ridare vita alla Chiesa, cercando di allontanare 1500 anni di vita della Chiesa. Si è dissociata la dottrina dalla vita. La stagione conciliare è riuscita a ridurre il Cattolicesimo ad un insieme di massime scolorite ed insignificanti, ininfluenti sulla vita dei cristiani.




Freccia bluCalendario 2011 (per il calendario liturgico vedi qui)
Tra i paradossi più evidenti e più interessanti che caratterizzano la vita della Chiesa di oggi vi è la ricerca radicale di un cattolicesimo vivo, libero, dinamico, creativo, liberato per sempre da quelle forme statiche e stereotipate che lo avrebbero cristallizzato per circa 1500 anni, per un lasso di tempo che va dall’era costantiniana fino al 1962: è giocoforza che questa “vita” venga ricercata ritornando alle origini, con particolare riferimento ai testi biblici e a tutto ciò che - si presume - si facesse nei primissimi secoli, prima che la Chiesa si pietrificasse in quelle formule nelle quali è rimasta imprigionata per secoli.
Il paradosso sta nel fatto che mettendo tra parentesi “l’era delle formule” il modernismo toglie alla Chiesa quella continuità storica che è sinonimo di vita: non esiste infatti vita senza continuità; noi possiamo smettere di pensare e ricominciare a farlo, smettere di lavorare e ricominciare, ma non possiamo smettere di vivere e ricominciare a vivere.
Analogamente non esisterebbe vita della Chiesa senza continuità e questa continuità si chiama Tradizione.
In questa prospettiva la Tradizione si presenta quindi non solo come veicolo di un contenuto dottrinale ma anche di una vita da esso dipendente.
Il paradosso è estremamente interessante perché esso tradisce l’atteggiamento erroneo più universale al quale ogni errore è in qualche modo riconducibile: la dissociazione tra la dottrina e la vita e - conseguentemente - la pretesa di avere la vita senza la dottrina o la dottrina senza la vita.
L’errore menzionato ha una dimensione universale in quanto colpisce il cattolicesimo nella sua stessa essenza e nel suo stesso principio basilare. È su questo che vorremmo riflettere.
Nostro Signore incarnandosi è venuto a insegnare una dottrina (Gv, 7, 16) e nello stesso tempo ha dato delle norme la cui osservanza è strettamente necessaria per amarLo e per raggiungerLo: “Chi mi ama osserva i miei comandamenti” (Gv, 14, 21).
Egli è, quindi, al contempo Maestro e Legislatore e non è un caso che Egli si sia definito “Verità” (Gv, 14, 6) da credere attraverso la fede e “Via” da seguire attraverso l’osservanza delle norme morali: è solo attraverso queste due operazioni combinate che Egli può essere realmente “Vita”, ovvero riempire integralmente lo spazio spirituale di cui ogni anima dispone, essere “tutto in tutti”, “omnia in omnibus” (Col, 3, 11). Questa vita di cui Cristo stesso vive e che vuole comunicare non è altro che la santità.
La vera conoscenza di Cristo, quella di cui parla Nostro Signore stesso a più riprese nel Vangelo, è tale solo quando è accompagnata dall’amore e quindi dall’imitazione di Cristo: è vera ed efficace solamente se unisce l’anima a Cristo e la trasforma rendendola progressivamente e in tutto somigliante a Cristo stesso: è questo e solo questo il cattolicesimo di sempre, quello degli apostoli, di tutti i papi, di tutte le epoche, senza soluzione di continuità. È questa la Tradizione considerata nei suoi contenuti e nei suoi effetti.
La conoscenza e l’imitazione di Cristo sono - quantunque distinte - talmente connesse che nel momento in cui una delle due avesse un difetto la vita stessa non si può sviluppare e non è più possibile: questo principio vale per la singola anima e ugualmente per la Chiesa universale.
Solo per fare un esempio, la storia del sorgere delle eresie dimostra che spesso è da problemi morali irrisolti e dal disordine affettivo di alcuni religiosi  che sono germinate le più insidiose aggressioni all’ortodossia cattolica. In altre parole la deviazione morale, mirando a giustificarsi e a legittimarsi, attacca la dottrina di verità che, se integralmente assunta, la condannerebbe.  Ciò vale anche per il modernismo e il neomodernismo.
Non si può avere la vita dissociando fede e morale, ovvero non si può avere la pretesa di raggiungere la salvezza attraverso la sola fede oppure semplicemente seguendo con la massima generosità il codice morale.
Di conseguenza così come la sola fides di Lutero si trova ad essere de facto mortifera in quanto non integrata dalle opere, l’osservanza di sane norme morali svincolata dall’adesione a Nostro Signore attraverso la via dogmatica non serve a nulla se non a creare l’illusione di avere tutto essendo privi di tutto.
Ogni errore ed anche ogni atteggiamento sbagliato è riconducibile alla scelta di qualcosa di Nostro Signore che non corrisponde più alla scelta integrale e incondizionata della sua Persona: è la scelta di qualcosa che ci piace e magari ci soddisfa. Questo errore può applicarsi a tutto, anche alle cose più sante, qualora non fossero parte del Tutto che è Nostro Signore. A questo proposito possiamo sottolineare come l’attitudine a scegliere una parte della Rivelazione a esclusione delle altre e, soprattutto, l’atteggiamento interiore contemporaneo che presume di poter accettare della fede solo ciò che a noi pare buono, anche contro ciò che insegna la Chiesa, rappresenta la radice di tutte le posizioni eretiche.
Con questi presupposti si evince chiaramente che la radice di ogni crisi, a cominciare da quella che attualmente investe la Chiesa, è innanzitutto spirituale prima di essere dogmatica, filosofica o liturgica; di conseguenza è solo in una prospettiva spirituale in cui Cristo ritorna ad essere “tutto in tutti” che ogni cosa può essere restaurata: dogma, morale, filosofia, liturgia...
È questo il primato dimenticato della vita spirituale, ovvero il primato della vita della grazia (e del suo riflesso esteriore: una non farisaica vita di pietà) quale forza che coniuga e armonizza il rapporto con la dottrina  e con la norma morale, che altrimenti restano una lettera che uccide e non vivifica.
In ultima analisi è proprio la perdita del senso di questo primato che ha prodotto la crisi sotto gli occhi di tutti, attraverso un clima spirituale paragonabile al clima mortifero che Nostro Signore aveva trovato presso i farisei del suo tempo: uomini pieni di scienza ma che non conoscevano più Suo Padre, uomini pieni di leggi ma che non osservavano più la legge. Uomini privi di Dio e pieni di sé e di odio.
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Chi non cerca Cristo nella Chiesa e nella Tradizione della Chiesa pensando che quest’ultima possa averLo perso nel corso dei secoli, non crede nella Chiesa, non la ama e non troverà mai Cristo.
Chi ritiene che la Chiesa abbia tradito la sua missione malgrado i santi ininterrottamente generati, nei quali il Vangelo non ha mai cessato di incarnarsi e di realizzarsi, odia la Chiesa e la sua santità.
Chi pretende penetrare il senso profondo del Vangelo unicamente attraverso una minuziosa esegesi filologica, disprezzando il Vangelo incarnato e trasmesso nella Chiesa e dalla Chiesa, potrà proferire solo inutili parole al vento.
Chi pensa di trovare Cristo semplicemente ritrovando le formule dogmatiche, troverà solo dei testi scritti.
Chi pensa di trovare Cristo semplicemente “amando”, finirà per amare solo sè stesso senza conoscere nessun altro all’infuori di sé stesso.
Chi pensa di trovare Cristo semplicemente nelle formule liturgiche, finirà per soffocare la propria anima nei pizzi e nell’incenso.
Chi pensa di trovare Cristo semplicemente nel latino, finirà per preferire Catullo a San Tommaso d’Aquino.
Chi pensa di trovare Cristo semplicemente nelle grandi espressioni artistiche, finirà per preferire il ritratto di Venere a quello di Maria Santissima.
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Tutto è formula o finisce per ridursi a formula se lo si dissocia dalla Persona di Nostro Signore e dalla vita che è venuto a comunicare ininterrottamente attraverso la Chiesa.
È questo l’errore più grave e più radicale di una generazione di uomini di Chiesa che non ha riconosciuto nelle formule della Tradizione il legame con la Persona di Nostro Signore perché in realtà misconosceva Nostro Signore. Quelle formule apparivano insignificanti perché ormai chi avrebbe dovuto custodirle e trasmetterle non ne amava più il Significato.
È il dramma di una generazione a cui non è restato che valutare la Chiesa e i suoi tesori in modo umano, su un piano umano, in una prospettiva umana.
È purtroppo l’errore fatale che anche ognuno di noi può commettere.


Al sommario del n°79 (2011 n°2):
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