CONDITIO
SINE QUA NON PER L’INSTAURAZIONE DEL REGNO SOCIALE DI CRISTO
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d. CURZIO NITOGLIA
19 agosto 2011
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Contro l’errore ‘per
difetto’ del Liberalismo-laicista e ‘per eccesso’
dell’Angelismo-clericalista
Attualità del problema
●San Pio X nell’enciclica
Jucunda sane (12 marzo 1904) spiega che il mezzo con cui gli
eterodossi s’infiltrano nella Chiesa consiste nell’applicare una
regola d’azione prudenziale ai princìpi o al dogma, confondendo il
piano teoretico o della verità con quello pratico o dell’agire
umano. Ora, continua papa Sarto, la Prudenza è una virtù morale, che
aiuta ad applicare i princìpi al caso pratico e a risolvere
quest’ultimo alla luce del principio senza svilire il principio
rendendolo valido solo se praticamente utile. Quindi, trasporre
confondendoli la Prudenza o la pratica al livello dei princìpi ed
abbassare il principio dal livello teorico a quello pratico ha
conseguenze disastrose: dal punto di vista teoretico annacqua il
principio ed erode il dogma; dal punto di vista pratico può
degenerare sia in lassismo che in rigorismo come vedremo oltre.
●Purtroppo il
cattolicesimo liberale fa proprio ciò riguardo alla dottrina sui
rapporti tra Stato e Chiesa. Con la scusa di maggior prudenza, esso
obietta che la dottrina dell’unione gerarchizzata tra potere
temporale e spirituale non è “prudenziale” o “pastorale” al tempo
presente. Il liberalismo cattolico o modernismo sociale non nega
esplicitamente il principio dell’unione tra Stato e Chiesa, per non
essere espulso dalla Chiesa, ma dice che praticamente o
prudenzialmente oggi non è più opportuno e utile, ma dannoso.
●Per confutare tale errore
bisogna ben distinguere la teoria o il principio, che non muta
(2+2=4) dalla pratica (ho 4 mele, le posso mangiare tutte assieme o
è più prudente mangiarne 1 il mattino, 1 a pranzo, 1 la sera e
l’altra metterla da parte in caso di necessità?). Attenzione!
Distinguere per unire e non per contrapporre, infatti la pratica
segue la teoria ed è l’applicazione al caso concreto e contingente
del principio universale e immutabile. Se confondo pratica o
prudenza (mangiare 4 mele assieme potrebbe essere indigesto) con il
principio (2+2=4), vanifico l’immutabilità di esso (e do luogo
all’evoluzione della verità, del dogma, alla Tradizione vivente…).
Occorre altresì evitare l’errore per eccesso di chi non riesce a
calare in pratica il principio e diventa un ideologo settario,
fanatico, spietato, senza misericordia. Costui non riesce a capire,
per esempio, se sia opportuno gridare in pubblico, in mezzo a una
stazione metropolitana, che Gesù è Re della Società, oppure, se sia
più prudente, parlarne con persone atte a capirlo e ad ascoltare,
magari in un’aula universitaria, ostile, ma attenta. Il modernismo
politico, al contrario, pecca per difetto di buon senso naturale, di
Fede e di Speranza soprannaturali e, di fronte al mondo moderno che
è capace di capire ma si oppone alla verità, rinuncia per principio
ai princìpi. Per esempio, in nome della ‘Tolleranza’ chiude la “case
di tolleranza”. S. Agostino (grande Santo e genio eccelso) scrive:
“Se togli dal palazzo la fognatura, esso sarà immerso dalla melma e
diverrà un’immensa cloaca”. È quello che si è verificato in Italia
(per difetto) con la Legge Merlin, la quale non era una Santa né un
genio ed ha infangato ogni luogo, per aver confuso il principio (la
prostituzione è un male) con la pratica (buon senso insegna che è
meno grave circoscrivere il fenomeno della prostituzione - chiamata
“il mestiere più antico del mondo” - nelle “case chiuse”, piuttosto
che lasciarlo invadere il mondo intero). Il settario (per eccesso)
non riesce ad applicare con prudenza il principio (la prostituzione
è un male morale) alla vita pratica (la natura umana è ferita dal
peccato originale, e pochi riescono a vivere nella castità secondo
il loro stato di vita, mentre la maggior parte, purtroppo, la viola)
e quindi nega l’esistenza alle case di tolleranza e condanna alla
pena capitale i peccatori (v. il Calvinismo). Mentre San Pio V a
Roma aveva fatto erigere un intero “quartiere di tolleranza” e Gesù
disse all’adultera va’ non ti lapido ma non devi volere peccare più
(verità nel giusto mezzo di profondità tra eccesso e difetto), i
farisei per eccesso la volevano lapidare e i modernisti odierni
giustificano per difetto il suo peccato. Dal punto di vista
soprannaturale il principio (p. es. Trinità delle Persone nell’Unità
della Natura divina) non muta, era vero ieri, lo è oggi e lo sarà
domani. Però è opportuno gridarlo in mezzo ad una moschea o
sinagoga, senza essere stato interrogato al riguardo? Oppure è più
prudente evitare di entrare nelle sinagoghe e moschee di propria
iniziativa, ma discutere e dimostrare la non contraddittorietà del
dogma della SS. Trinità in una conferenza aperta a cristiani, ebrei
e musulmani? Solo in caso di necessità occorre affermare il
principio (se mi rapiscono e mi portano in una moschea o sinagoga e
mi chiedono se credo alla SS. Trinità devo dire di sì). Se mischio
il principio (Dio Uno quanto alla Natura, ma Trino quanto alle
Persone) alla prudenzialità e li confondo o miscelo, vince
l’opportunità pratica sulla verità annacquata (nel mondo odierno,
oramai globalizzato, è più utile non parlare di Trinità senza
negarla esplicitamente ed affermare solo l’esistenza di un Dio unico
per tutti, v. Assisi 1986-2011). Quindi giungo a conseguenze
disastrose (rinnegamento almeno pratico o implicito della Fede).
●Quanto alla dottrina
sociale cattolica sull’unione gerarchizzata tra Stato e Chiesa, il
principio è sempre valido, bisogna saperlo applicare in pratica, ma
non mischiare e confondere teoria e pratica per giungere a
vanificare o edulcorare il principio. Si cadrebbe nell’utilitarismo
liberale o “comodismo” americanista, condannati da Leone XIII nella
lettera Testem benevolentiae, 1889* (primato dell’utile sul vero e
amore smodato della comodità). Quindi, pur senza rinnegare
esplicitamente il principio, lo riteniamo teoricamente e
praticamente inattuabile, non più possibile, neppure a lungo termine
e vi rinunziamo se non de jure almeno de facto. Per cui l’unica
strada percorribile è quella delle concessioni, del dialogo colla
modernità, cedendo ai suoi falsi princìpi, i quali stranamente e
incoerentemente vengono ritenuti come princìpi moderni, mentre
quelli della filosofia perenne, della teologia scolastica, del
Magistero tradizionale sono reputati, storicamente e non
teoreticamente, reperti archeologici, sorpassati, grazie alla
mentalità storicistica che, calando il principio nella sua epoca
storica e rendendolo un fatto cronologico e contingente e non più un
principio immutabile, relativizza tutto.
●Anche nel campo sociale la verità o i
princìpi non rientrano nel campo dell’azione e dell’agire
prudenziale. Bisogna applicare con prudenza il principio immutabile
di verità teoretica al caso pratico non solo individuale ma comune,
sociale e politico. Tuttavia non bisogna mischiare teoria e pratica,
principio ed azione, dogma e prudenza. La verità appartiene
all’ordine dell’essere e la prudenza a quello dell’agire. Ora “agere
sequitur esse, modus agendi sequitur modum essendi, sed agere non
est esse” (l’agire segue l’essere, il modo di agire segue il modo di
essere, ma l’azione non è l’essere). Il modo di agire o l’atto umano
pratico può essere incompleto, imperfetto ed anche cattivo ossia
falso, ma una verità teoretica non può essere, per definizione,
incompleta, imperfetta e falsa, questa sarebbe la contraddizione
stessa sussistente come ‘il cerchio quadrato’, per il principio di
identità e non-contraddizione (vero = vero, falso = falso, vero ≠
falso). La verità è la conformità dell’intelletto alla realtà
(“adaequatio rei et intellectus”), l’idea è vera se corrisponde
all’essere non all’azione[1],
è falsa se non vi corrisponde, in quest’ultimo caso non ho un
concetto imperfetto, ma semplicemente falso o erroneo, invece l’atto
umano può essere ‘meno perfetto di ciò che dovrebbe essere’
(imperfezione o “actus remissus”) o cattivo leggermente (peccato
veniale) oppure cattivo gravemente (peccato mortale). Bisogna
comprendere e compatire la fragilità pratica dell’uomo, senza
giustificarla ed approvarla, ma se si traspone la prudenza
dell’agire nell’ordine dell’essere o della verità, mediante
mezze-verità o termini equivoci, ambigui, sfumati, imprecisi, i
quali, volutamente, non sono esplicitamente erronei, è ancora più
pericoloso per la sana ragione e la purezza della Fede. Coloro che
di fronte all’errore, invece di condannarlo, smascherarlo o
disapprovarlo apertamente, cercano un accomodamento, un compromesso
teoretico tra verità e falsità, negano implicitamente il principio
per sé noto di identità e non-contraddizione, sotto apparenza di
apostolato, pastoralità, prudenzialità, sono più pericolosi di chi
professa apertamente l’errore, come insegna S. Ignazio da Loyola
nelle Regole sul discernimento degli spiriti dei suoi Esercizi
spirituali. Infatti il diavolo quando tenta apertamente al male in
quanto male è meno pericoloso di quando si presenta sotto apparenza
di angelo di luce e cerca di ‘spingere al male sub specie boni’,
insinuando al tentato di pensare che forse sta facendo il bene. Le
mezze-verità, la vaghezza, l’imprecisione, l’indecisione, il
pressappochismo o l’indefinibilità dottrinale sono la “quinta
colonna” o il nemico che si presenta da amico, il cavallo di Troia,
il lupo vestito da agnello che penetra – grazie al suo camuffamento
– nel cuore della Chiesa e la vuole cambiare dal di dentro, come
dice il “Programma dei Modernisti” (1906) attribuito ad Antonio
Fogazzaro ed Ernesto Buonaiuti.
*
Mons. Antonio De Castro
Mayer
●Nella sua Lettera pastorale sulla
Regalità sociale di Cristo del 1978, il vescovo brasiliano distingue
benissimo la verità dall’azione pratica, e scrive che “il
liberalismo ossia l’indifferentismo relativistico in materia
religiosa e il separatismo sociale dall’elemento soprannaturale è la
causa dell’apostasia delle Nazioni”. Il Liberalismo laicista,
infatti, propugna per principio la separazione tra religione e
politica, Chiesa e Stato, poiché conformemente alla sua filosofia
soggettivistico-relativistica una religione vale l’altra e
conseguentemente lo Stato deve essere indifferente verso la vera
religione. Inoltre concepisce l’Individuo come un Assoluto, un Fine
e nega la dimensione sociale e creaturale dell’uomo, che invece è in
relazione con gli altri e con Dio. Da questi princìpi “teoretici”,
indifferentismo, soggettivismo, individualismo e “pratici”,
immanentismo, separatismo, ne segue necessariamente la separazione
dello Stato dalla Chiesa o l’apostasia politica, sociale e
nazionale, che è più grave di quella individuale, come uccidere 1000
persone è più grave che ucciderne una sola. In breve è il
contro-regno di Cristo, la contro-chiesa o la “sinagoga di Satana”
(Apoc., II, 9). La dottrina cattolica insegna la cooperazione
gerarchizzata tra Stato e Chiesa, per santificare non solo
l’individuo, che per natura è socievole e relativo alla sua Causa.
Quindi la Chiesa vuol sacralizzare la Società civile, unione di più
famiglie, composte da vari uomini, socievoli, creati e dipendenti da
Dio. Invece il liberalismo laicista vuole dissacrare la Società,
poiché non ammette la dimensione creaturale e socievole dell’uomo e
l’angelismo iper-clericalista vuol rendere la religione un fatto
eminentemente individuale e “vocazionista”, negando implicitamente
la natura come Dio l’ha creata: uomo animale razionale, composto di
anima e corpo e naturalmente sociale e non “naturalmente
sacerdotale”: sarebbe confondere l’ordine naturale con quello
soprannaturale. Mentre il modernismo lo fa a scapito del
soprannaturale o per difetto, l’iper-clericalismo angelista lo fa
per eccesso a scapito della natura, “sed Gratia non tollit natura,
supponit et perficit eam”, insegna S. Tommaso (S. Th., I, q. 1, a. 8
ad 2[2])
. Ecco la causa dell’apostasia dell’ora presente: il
laicismo-liberale e l’angelismo iper-spiritualista, il naturalismo
(Razionalismo, Illuminismo, Materialismo, Immanentismo) e lo
spiritualismo esagerato (Platone/Cartesio/Idealismo/Ontologismo).
● “In principio era Auctoritas et
Auctoritas erat a Deo”, recita l’adagio scolastico. Infatti per la
Rivelazione “non c’è Autorità se non derivante da Dio”[3].
Invece per il liberalismo l’autorità deriva dall’Uomo che è Fine
ultimo di se stesso (“non est auctoritas nisi ab homine et a
populo”). Il liberalismo è l’incarnazione della dottrina delle “Due
città” descritta da S. Agostino nel De civitate Dei, “la città di
Dio composta da coloro che per amore del Creatore riconoscono se
stessi quali creature finite e la città di satana, composta da
coloro che per amor disordinato di sé, disprezzano Dio”. La
Rivoluzione moderna, il laicismo liberale contrappongono Dio e uomo,
come due persone non solo distinte ma contrarie e contrapposte, una
autonoma dall’altra. L’uomo moderno e contemporaneo grida come
Lucifero “Non serviam!” e come il serpente dell’Eden insinua “Ero
sicut Deus”. La Chiesa, che è l’ordine o il contrario della
Rivoluzione, la quale è il “disordine stesso sussistente per
partecipazione”, armonizza Dio (“l’Ordine stesso sussistente”) e
l’uomo come Padre e figlio, distinti, non contrari né contrapposti,
ma in relazione di conoscenza amorosa, altruistica, reciproca e in
convivenza pacifica mediante la Grazia santificante. Da ciò ne segue
che per la Chiesa lo Stato, il quale naturalmente è un insieme di
uomini e di famiglie, deve dare a Dio il culto ufficiale e pubblico,
poiché lo Stato è per natura creatura di Dio. Invece il Laicismo o
la modernità antropocentrica e rivoluzionaria nega che Dio è
creatore dell’uomo e a fortiori della Società civile, polis o
civitas. Quindi mentre la Chiesa ha una concezione eminentemente
politica o sociale, data la natura socievole dell’uomo creato da
Dio, il laicismo, rivoltoso e sovversivo, odia la dimensione sociale
(“l’altro è l’inferno”, diceva J. P. Sartre, certamente i suoi
scritti lo sono stati per molti giovani spinti da essi al suicidio)
e creaturale dell’uomo, che lo mette in relazione con gli altri
nello Stato e in relazione con Dio nella Chiesa, la quale è una
Società perfetta giuridica e soprannaturale, un “Corpo mistico”. Ma
la dottrina a-sociale e liberale – come insegna Pio XII – “è contro
natura” poiché vuole “obbligare lo spirito e la volontà dell’uomo ad
aderire all’errore e al male o a considerarli indifferenti”[4],
mentre l’intelletto è fatto per aderire al vero e confutare il falso
e la volontà per amare il bene e ripudiare il male. Nell’adesione
all’errore o al male non solo non vi è nessuna perfezione o
arricchimento della natura umana, ma solo degradazione
dell’intelligenza e della volontà, le quali sono le due facoltà
nobili dell’anima razionale e spirituale dell’uomo. Lo Stato, che è
un insieme di famiglie, le quali si uniscono per ottenere più
facilmente il proprio fine prossimo (benessere materiale) ed ultimo
(vivere virtuosamente per unirsi a Dio), non ha il diritto di
deformare l’intelligenza e la volontà dell’anima umana, ma al
contrario deve aiutare l’uomo a conoscere la verità e a praticare la
virtù. Tutto ciò lo si consegue tramite la cooperazione tra politica
e religione, Stato e Chiesa. Chi li vuol separare pecca o per
difetto (laicismo liberale: individualismo a-sociale) o per eccesso
(spiritualismo angelistico: l’uomo è solo anima, il corpo è malvagio
e così la società o la polis sono un male da evitare per ottenere il
proprio Fine che è il Cielo, solamente tramite la religione, la
quale non ha nessuna valenza sociale)[5].
Ma l’uomo non è un angelo, è composto di anima e corpo, è fatto per
vivere in Società civile (Stato) e religiosa (Chiesa), le quali non
devono prescindere l’una dall’altra (errore per eccesso: angelismo
platonico/cartesiano[6])
o combattersi (errore per difetto: laicismo liberal-rivoluzionario),
ma cooperare subordinatamente come il corpo e l’anima.
●Siccome per natura l’uomo è animale
razionale e libero, (fatto per conoscere il vero e amare il bene) e
socievole (fatto per vivere in Società civile o politica), neppure
Dio potrebbe concedere allo Stato e all’individuo, che sono una sua
creatura naturale, il potere di contraddire la loro ragion d’essere
o finalità (conoscere il vero, amare il bene, vivere in Società
politica-naturale e religiosa-soprannaturale) e dar loro il diritto
di essere indifferenti o neutrali in materia di retta ragione
individuale, sociale e religiosa. La libertà filosofica o religiosa
è contro-natura, la tolleranza filosofica o religiosa è sempre un
male che si può permettere de facto, mai volere per principio per
evitare un male maggiore. Ciò lo insegna la sana ragione, la vera
teologia, la Tradizione apostolica e il Magistero della Chiesa[7].
L’ignoranza invincibile scusa l’individuo dal peccato formale, ma
non gli dà il diritto di fare pubblicamente il male e propagare in
foro esterno e pubblicamente l’errore, poiché oggettivamente egli si
trova nell’errore e nel male, i quali non hanno nessun diritto
all’esistenza, alla propaganda e all’azione pubblica[8].
●Una delle finalità della Chiesa oltre la
conversione delle singole anime è la dilatazione del Regno di Dio su
tutta la terra.
Questo Regno è “principalmente spirituale, ma secondariamente anche
di ordine politico o temporale” (Pio XI, Quas primas,
1925). Quindi la libertà religiosa è contro la finalità della Chiesa
come Cristo l’ha voluta, non solo è contro-natura ma anche contro la
Rivelazione. L’apostasia delle Nazioni da Dio, che era stata
propugnata dai laicisti e dagli anti-cristiani, purtroppo oggi ha
invaso le menti anche degli uomini di Chiesa (v. Dignitatis humanae
personae, 7 dicembre 1965). L’ideale o la meta apostolica alla quale
tutti (laici e chierici) siamo chiamati è la instaurazione del regno
di Dio già sulla terra, pur se imperfettamente, per ottenerlo
perfettamente in Paradiso. Quindi prima dobbiamo convertirci
veramente e vivere abitualmente in Grazia di Dio e poi potremo
portare Cristo nella famiglia, nell’ambiente di lavoro e nella
Società civile. Questo è l’ordine da seguire per “instaurare omnia
in Christo” (S. Pio X): se non si è cristiani interiormente e
veramente non si può restaurare la Cristianità (“nemo dat quod non
habet”), non si deve incominciare con la politica (“politique
d’abord” Charles Maurras) perché ciò significherebbe iniziare a
costruire una casa dal tetto e non dalle fondamenta. Se si conquista
il potere del Governo e si fanno leggi cristiane ma il Governante e
i cittadini non sono cristiani, la “restaurazione” è solo esteriore
e superficiale e quindi dura come un fuoco di paglia. Anche Antonio
Gramsci lo aveva capito. Secondo lui occorreva prima conquistare il
consenso di una nazione e cambiarne la mentalità e poi conquistare
l’egemonia e il potere politico, diversamente tutto sarebbe
crollato. La Polis è un insieme di famiglie e di uomini, prima
viene l’individuo che unito ad altri forma una famiglia, la quale
assieme ad altre famiglie formano un villaggio e più villaggi uno
Stato. La Civitas o Polis sarà cristiana e ordinata nella misura in
cui coloro che ne fanno parte sono ordinati e cristiani. Solo, poi,
lo Stato ha il dovere di mantenere l’ordine e proteggere la vita
virtuosa. Ma non si può cominciare con la fine, sarebbe una
contradictio in terminis o un “contro-senso”, “il principio = il
principio, la fine = la fine, il principio ≠ la fine”. Aristotele
(Politica) e San Tommaso (De regimine principum) insegnano che “la
politica è la virtù di prudenza applicata alla Società”, mentre la
‘prudenza individuale’ si chiama “monastica” e quella ‘familiare’ si
dice “economia”. Leone XIII insegna che i primi e veri cristiani
“fecero in pochissimo tempo penetrare il Cristianesimo non solo
nelle loro famiglie, ma nell’esercito, nel senato e perfino nel
palazzo dell’Imperatore”[9].
Non si è cominciato dal Palazzo imperiale, ma dal singolo cristiano.
*
Mons. Brunero Gherardini[10]
Mons. Brunero Gheradini ha affrontato il
problema dei rapporti tra Stato e Chiesa nel suo ultimo libro del
giugno 2011 La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana
(Torino, Lindau, 2011)[11].
Al capitolo VII del suo libro mons. Gherardini tratta dell’origine
divina del potere civile[12]
secondo S. Agostino[13]:
il governante o Principe deve amministrare la res publica come
un’attività volta al bene comune, ossia far conseguire ai cittadini
il bene morale e far loro evitare il male. L’origine – come rivela
S. Paolo (Rom., XIII, 1) – del potere è divina. Il governo, quindi,
è buono se rispetta la sua natura, ossia la Causa efficiente da cui
trae l’Autorità, che è Dio, e, la causa finale, che è il bene comune
temporale subordinato a quello morale o spirituale. Altrimenti se
non riconosce Dio come sua Causa efficiente e non ha di mira il
vivere virtuosamente (naturale e soprannaturale) il governo è
cattivo, anzi è paragonabile ad “una banda di ladroni”[14].
Il buon governante deve, secondo S. Agostino e tutti i Padri greci e
latini, mettersi al servizio del bene e deve promuovere socialmente
cioè assieme alla Società civile o Stato la Religione divina[15].
L’obbedienza all’Autorità civile, tuttavia, è condizionata al di lei
mantenersi nella finalità morale (vivere virtuoso) e nella
dipendenza da Dio (causalità efficiente). Altrimenti, l’Autorità
diventa tirannia ed è lecito resistergli a certe determinate
condizioni (specialmente non rendere la situazione posteriore
peggiore di quella anteriore)[16].
Secondo l’Ipponate il governante cristiano non solo deve provvedere
alla pace interna ed esterna della Società civile, ma anche a quella
spirituale, cioè lo Stato deve favorire la Chiesa nella sua missione
di espandere il Regno di Dio in tutto il mondo[17].
Certamente la Chiesa e lo Stato non possono costringere a fare il
bene, che non sarebbe più libero e meritorio, ma debbono proibire di
fare il male[18].
Anzi, per difendere la Fede si può chiedere anche l’intervento di
chi porta la spada. Infatti se il Principe deve punire i crimini
civili, perché mai gli si dovrebbe impedire di reprimere anche i
crimini spirituali (l’eresia e lo scisma)? Siccome l’eresia e lo
scisma sono un male, anzi il massimo dei mali, chi porta la spada
non può non servirsene per reprimerli[19].
S. Agostino confuta con 1000 anni di anticipo l’obiezione dei
catto-liberali secondo i quali l’uomo come singolo individuo è
religioso, ma come cittadino facente parte di uno Stato deve essere
neutrale in materia religiosa. L’Ipponate infatti afferma che il
Principe serve Dio in due modi: come uomo, vivendo la Fede informata
dalla Carità, e come Governante facendo leggi conformi a quella
divina-naturale, facendole rispettare e punendo i trasgressori[20].
*
Conclusione
●San Pio X nell’enciclica
Jucunda sane (1904) ci ricorda che:
1°) Non bisogna confondere
e mischiare i princìpi con la pratica, la verità con le esigenze
della vita, altrimenti si cade nella evoluzione perpetua della
verità, come voleva Maurice Blondel “veritas est adaequatio
intellectus et vitae”, infatti siccome le esigenze della vita umana
sono contingenti concrete e storiche, l’intelletto si deve adeguare
ad esse che mutano costantemente. La verità non è più ancorata nella
stabilità e immutabilità dell’essere, ma nella fluttuazione e nel
moto perpetuo del divenire. Ancorare la nave sui flutti mobili delle
onde e non sul fondale stabile del mare. 2°) Il catto-liberalismo o
il social-modernismo, invece, confondono volutamente e
scientificamente princìpi e pratica, così formulano delle “mezze
verità” che sono più pericolose dell’errore manifesto, poiché esse
sono nascoste e segrete, come il modernismo qualificato come “foedus
clandesinum” o “setta segreta” da S. Pio X (Sacrorum Antistitum, 1°
settembre 1910). Tali mezze verità vengono applicate non solo alla
filosofia, al dogma e alla morale, ma anche alla dottrina sociale e
politica della Chiesa e soprattutto alla unione gerarchizzata tra
Stato e Chiesa. 3°) Certamente bisogna calare il principio nella
pratica con Prudenza, ma la Prudenza non è la Fede, il dogma, la
verità o l’essere, essa è la recta ratio agibilium, ci dice come
dobbiamo fare per agire hic et nunc virtuosamente alla luce dei
princìpi immutabili, senza confondere essere e agire, verità e
prudenzialità. Invece per il catto-liberalismo o il
social-modernismo a-dogmatico il Principio o il Valore massimo,
assoluto e universale è “non bisogna esagerare nella affermazione
della verità, occorre sfumarla e renderla accettabile all’uomo
moderno”. Senza, però, cadere nel rigorismo disumano e fanatico di
chi annulla i casi pratici e vede solo i princìpi, mentre la vita è
fatta di casi pratici e contingenti, che vanno risolti alla luce dei
princìpi immutabili e perenni.
●Mons. De Castro Mayer
nella sua ‘Lettera pastorale sul Regno sociale di Gesù Cristo’
(1978) ci ricorda che.
1°) L’uomo è un’unione di
anima, corpo e socievolezza, contro l’angelismo super-spiritualista
contro il materialismo laicista di destra (liberalismo) e di
sinistra (socialismo). 2°) L’Autorità viene da Dio e non dall’uomo o
dal popolo, che usurperebbe, così, il posto del Creatore. 3°)
Aderire al falso e fare il male non è vera libertà, ma è un difetto
contro-natura di essa, poiché l’anima umana è naturalmente fornita
di intelletto fatto per conoscere il vero e rifiutare il falso, e di
volontà, fatta per amare il bene e fuggire il male. 4°) Siccome Dio
è la Perfezione stessa sussistente, non può fare il male, che
sarebbe un’imperfezione. Quindi neppure Dio può concedere la libertà
alle false religioni, il diritto alla libertà di opinione, che sono
contro natura e intrinsecamente perversi. 5°) L’ordine cronologico
da seguire per “istaurare tutto in Cristo” è innanzitutto la
conversione personale (nemo dat quod non habet), poi quella della
famiglia, quindi il villaggio ed in fine lo Stato. Se s’inverte
l’ordine come ha fatto Charles Maurras (‘politique d’abord’) e si
parte dallo Stato, senza prima aver formato veri cristiani, famiglie
e villaggi sinceramente cristiani, si ha un tetto senza casa e senza
fondamenta; un mobile roso dai tarli, un braccio ingessato, ma
ammalato internamente di cancrena, che prima o poi esploderà e farà
crollare l’ingessatura; un’ossatura giuridica di Stato che ha
un’apparenza cristiana, ma senza anima e senza sostanza. Leone XIII
(Immoratle Dei, 1885) e San Pio X (Notre charge apostolique, 1910)
ci ricordano che “la Cristianità è esistita, non bisogna inventarne
una nuova, ma instaurarla e restaurarla incessantemente contro gli
assalti dell’empietà” (S. Pio X) e che il Vangelo “prima ha
penetrato gli animi dei cittadini, delle famiglie e dell’esercito
romano sino ad arrivare, in fine, anche al Palazzo imperiale” (Leone
XIII).
●Mons. Brunero Gheradini
ha affrontato il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa nel suo
ultimo libro La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana
del 2011. 1°) Lo Stato deve essere subordinato alla Chiesa come il
corpo all’anima, la materia alla forma, la potenza all’atto, il
divenire all’essere. S. Agostino - assieme a tutti i Padri
ecclesiastici - ha insegnato la dottrina della cooperazione in
gerarchia tra Stato e Chiesa. Mons. Gheradini ha compendiato nel suo
ultimo volume questi princìpi sulla Chiesa in sé ed in rapporto alla
Societas o Polis. 2°) La Chiesa “non può non fare politica” (San Pio
X), che non è partitica ma è la virtù di Prudenza applicata alla
Società civile, essendo l’uomo un “animale sociale per natura”
(Aristotele e S. Tommaso). 3°) Lo Stato deve essere subordinato alla
Chiesa come il corpo all’anima, la materia alla forma, la potenza
all’atto, il divenire all’essere. S. Agostino - assieme a tutti i
Padri ecclesiastici - ha insegnato la dottrina della cooperazione in
gerarchia tra Stato e Chiesa.
d. Curzio Nitoglia
19 agosto 2011
[1]
Il modernismo ha cambiato la definizione di verità: non più
conformità dell’intelletto all’essere (“adaequatio rei et
intellectus”) o realtà oggettiva ed extramentale, ma conformità
del pensiero alle esigenze della vita (“adaequatio intellectus
et vitae”), che evolvono continuamente e, perciò, con esse
cambia anche la verità.
[2]
Cfr. anche S. Th., I, q. 62, a. 5: II-II, q. 26, a. 9,
arg. 2; III, q. 69, a. 8, arg. 3.
[3]
Rom., XIII, 1.
[4]
Pio XII, Discorso al V Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi
cattolici italiani, 6 dicembre 1953.
[5]
È facile riconoscere in queste teorie l’impronta dello
gnosticismo, del manicheismo e della cabala.
[6]
Si noti bene come l’angelismo segna l’inizio della modernità
filosofica con Cartesio (+ 1650), secondo il quale l’uomo è solo
anima unita accidentalmente al corpo, come un cavaliere al
cavallo. Tale spiritualismo esagerato, che nega la composizione
sostanziale di anima e corpo, Cartesio lo mutua da Platone, ma
senza il concetto di ‘partecipazione’, che Platone aveva
abbozzato e che S. Tommaso ha perfezionato avendolo unito al
concetto di partecipazione creaturale all’Essere per essenza e a
quello aristotelico di ‘essere come atto ultimo di ogni essenza’
(scavalcando, tuttavia, lo stesso Aristotele, che si era fermato
alle sole essenze e non era giunto alla loro perfezione ultima
ossia l’actus essendi). L’Aquinate somma Platone ed Aristotele e
li perfeziona tramite il concetto di partecipazione all’Essere
per essentiam e di atto d’essere come perfezione ultima di ogni
forma o perfezione iniziale.
[7]
Cfr. S. Gregorio Nazianzeno (+ 390), Hom. XVII; S. Giovanni
Crisostomo (+ 407), Hom. XV super IIam Cor.; S. Ambrogio (+
397), Sermo conta Auxentium; S. Agostino (+ 430), De civitate
Dei (V, IX, t. XLI, col. 151 ss.); S. Gelasio I (+ 496), Epist.
ad Imperat. Anastasium I; S. Leone Magno (+ 461), Epist. CLVI,
3; S. Gregorio Magno (+ 604), Regesta, n. 1819; S. Isidoro Da
Siviglia (+ 636), Sent., III, 51; S. Nicola I, Epistul.
Proposueramus quidam (865); S. Gregorio VII (+ 1085), Dictatus
Papae (1075), I epistola a Ermanno Vescovo di Metz (25 agosto
1076), II epistola a Ermanno (15 marzo 1081); Urbano II (+
1099), Epist. ad Alphonsum VI regem; S. Bernardo Di Chiaravalle
(+ 1173), Epistola a papa Eugenio III sulle due spade; Innocenzo
III (+ 1216), Sicut universitatis conditor (1198), Venerabilem
fratrem (1202), Novit ille (1204); Innocenzo IV (+ 1254), Aeger
cui levia (1245); S. Tommaso D’Aquino (+ 12074), In IVum Sent.,
dist. XXXVII, ad 4; Quaest. quodlib., XII, a. 19; S. Th.,
II-II, q. 40, a. 6, ad 3; Quodlib. XII, q. XII,
a. 19, ad 2; Bonifacio VIII (+ 1303), Bolla Unam sanctam (1302);
Cajetanus (+ 1534), De comparata auctoritate Papae et Concilii,
tratt. II, pars II, cap. XIII; S. Roberto Bellarmino (+ 1621),
De controversiis; F. Suarez (+ 1617), Defensio Fidei
catholicae;.Gregorio XVI, Mirari vos (1832); Pio IX, Quanta cura
e Syllabus (1864); Leone XIII, Immortale Dei (1885), Libertas
(1888); S. Pio X, Vehementer (1906); Pio XI, Ubi arcano (1921),
Quas primas (1925), Pio XII, Discorso ai Giuristi Cattolici
Italiani, 6 dicembre 1953.
[8]
Pio XII, Discorso al V Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi
cattolici italiani, 6 dicembre 1953.
[9]
Immortale Dei, 1885.
[10]
Mons Brunero Gherardini è nato il 10 febbraio del 1925 a Prato,
ha compiuto gli studi liceali ad Ivrea presso i Salesiani ed è
stato ordinato sacerdote il 29 giugno del 1948 a Pistoia. Ha
studiato filosofia con padre Cornelio Fabro (+ 1995) e teologia
con mons. Antonio Piolanti (+ 2001) e il card. Pietro Parente (+
1986) col quale si è laureato. È stato Consultore della “Sacra
Congregazione delle Cause dei Santi”; Officiale della “Sacra
Congregazione dei Seminari”; Professore Ordinario di
Ecclesiologia all’Università Lateranense; Responsabile della
“Pontificia Accademia Teologica Romana” e della “Pontificia
Accademia di San Tommaso”; dal 1994 è Canonico della Basilica di
San Pietro e dal 2001 Direttore della Rivista teologica
“Divinitas” fondata da mons. Piolanti.
[11]
Lindau editrice: Corso Re Umberto, n. 37, 10128-Torino;
www.lindau.it.
[12]
B. Gheradini, La Cattolica, cit., p. 147.
[13]
S. Aug., Contra Faustum manichaeum, XXII, 75; Id., De civitate
Dei, IV, 4 e V, 1; Id., Serm., 358, 6.
[14]
S. Aug., De civitate Dei, IV, 4: “Remota iustitia, regna sunt
magna latrocinia”.
[15]
S. Aug., Contra Cresconium, III, 51, 56; Id., De civitate Dei,
V, 24.
[16]
S. Aug., De catechizandis rudibus, 21, 37.
I “rudi” non sono i “rozzi”, ma coloro che
ancora non conoscono la dottrina cristiana.
[17]
S. Aug, Contra Cresconium, II, 19; III, 51-56.
[18]
S. Aug., Contra litteras Petiliani, II, 38, 183-184.
[19]
S. Aug., Contra epistulam Parmeniani, I, 10, 16.
[20]
S. Aug., Epist., 185, 5, 19.
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sabato 10 settembre 2011
L’UOMO ‘ANIMALE POLITICO’
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