Siamo la "quota rosa" dell’ormai noto Appello al Papa su Assisi, un appello che ha suscitato le più svariate reazioni. Non intendiamo prenderle in considerazione per fornire una risposta a ciascuna di esse: forse sarebbe tempo perso nonché fonte di una nuova ondata di reazioni istintive che poco vantaggio portano alla causa del bene della Chiesa e delle anime. E’ infatti tale causa l’unica cosa che ci preoccupa e per la quale ci siamo sentite in coscienza di sottoscrivere l’appello ed è su tale causa che vorremmo richiamare l’attenzione di quanti vorranno ascoltare.
Ora, ci sembra che diverse reazioni (non tutte, grazie a Dio) manifestino piuttosto chiaramente la condizione di buona parte del mondo cattolico, almeno di quello che ha una "visibilità mediatica".
Noi abbiamo semplicemente affermato che la riedizione di Assisi pone un problema terribilmente concreto, che fu già considerato dal Santo Padre in occasione degli incontri precedenti: lo smarrimento di tante anime che, travolte dalla valanga di immagini e discorsi, probabilmente decontestualizzati, che circoleranno in quei giorni, si chiederanno se per caso la fede non sia cambiata. Il problema è reale, tremendamente reale: chi vive a contatto con la gente non può non registrare con dolore il disorientamento di molti, che conduce alle conseguenze più disparate. C’è chi scrolla il capo e prosegue per la sua strada; c’è chi si lancia in un dialogo interreligioso "fai da te" caratterizzato da sincretismo; c’è chi si incattivisce contro la gerarchia, perché questa avrebbe tradito la fede, etc. Non vogliamo dare una valutazione a queste reazioni: semplicemente le verifichiamo e con la preghiera e la parola cerchiamo di aiutare queste anime, portando nel cuore il dolore di vedere questo triste spettacolo.
Così scriveva il beato cardinal Newman: "La Chiesa non cerca di dare spettacolo, ma di compiere la sua opera. Essa riguarda il mondo e tutto ciò che contiene, come un’ombra vana, come polvere e cenere, in paragone di ciò che vale anche una sola anima" (Alcune difficoltà sentite dagli Anglicani, I, p. 240). Questa è la prospettiva dell’appello e questa, ne siamo certi, è anche la prospettiva del Santo Padre.
Per tale motivo, vedere che il nostro appello, che aveva questa motivazione di fondo, sia diventato per molti l’occasione di un lancio di "etichette" ai loro autori, non può che rattristarci.
Nessuno di noi vuole dire al Papa ciò che deve o non deve fare: abbiamo semplicemente voluto che al Santo Padre arrivasse anche la voce di chi constata con dolore non l’ipotetico futuro disorientamento di molti, ma quello che è già una realtà concreta. E questo lo facciamo in spirito di filiale apertura ed obbedienza, senza ergerci minimamente a giudici dell’operato di Sua Santità.
A ciò vorremmo aggiungere quanto sottolineato proprio di recente dall’eccellente riflessione del sig. Marco Bongi: è forse un reato di lesa maestà manifestare al Santo Padre che ci sono degli aspetti poco chiari in questo evento? Non nel senso, sostenuto purtroppo da qualcuno, che il Papa voglia affermare una sorta di eguaglianza di tutte le religioni e pertanto non creda a Gesù Cristo, unico Salvatore; quanto piuttosto nel fatto che non si riesce chiaramente a comprendere il valore da dare a tale incontro: si tratta di un’iniziativa diplomatica, per ribadire l’importanza della pace universale e della libertà religiosa? O è piuttosto il tentativo di riaffermare la religiosità dell’uomo di fronte ad una società sempre più secolarizzata ed antireligiosa? In che modo si deve comprendere la preghiera per la pace di ogni gruppo religioso?
Sono queste le domande aperte alle quali - ci sembra – occorra rispondere con più chiarezza, sapendo che se non ci sarà una posizione chiara da parte della Santa Sede, risulterà inevitabile il diffondersi di interpretazioni arbitrarie in senso relativistico e sincretistico
Noi prendiamo perciò apertamente le distanze da tutte le etichette che ci sono state affibbiate: siamo cattoliche, punto e basta (serve forse altro?). Prendiamo le distanze da quello "sport", diffuso in certi ambienti, che consiste nel parlare del Papa solo per criticarlo e chiosarne ogni discorso. Prendiamo parimenti le distanze dall’altra consuetudine di mostrarsi più papisti del Papa, al punto da arrivare a mettere in "standby" la propria ragione non appena il Papa sospira.
Quali sono i frutti di queste posizioni ad oltranza, se non l’invettiva pura e semplice, che agita gli animi e conduce lontani da ciò che è vero ed essenziale? A chi giovano queste continue ed unilaterali prese di posizione, se non ai nemici di Cristo e della Chiesa? Valga più che mai il monito che san Paolo rivolgeva ai Galati, in dissidio tra loro: "se vi mordete e vi divorate gli uni gli altri, badate almeno di non consumarvi a vicenda" (Gal. 5, 15).
Luisella Scrosati e Katharina Stolz
Fonte: Messainlatino
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