a cura di Marco Bongi
- Come ha conosciuto la FSSPX? Ne aveva sentito parlare prima della conoscenza diretta?
Nel 1992 trovai un vecchio numero di “La Tradizione cattolica” era interessante: “chissà se lo pubblicavano ancora”; provai a contattare la redazione e mi abbonai. Nel frattempo conclusi l’itinerario del seminario, fui ordinato nel giugno 2000 e iniziai il ministero; solo del maggio 2007 visitai il priorato di Rimini ed incontrai don Luigi.
- Quando era seminarista le avevano mai parlato di mons. Lefebvre e della S. Messa antica?
No. La Tradizione nella sua dimensione positiva è assente dal moderno insegnamento in Seminario. Se si cita la Messa “pre-conciliare” lo si fa solo per sottolineare com’era inadeguata quella liturgia e quella teologia. Anche recentemente, in occasione del “motu proprio”, so che qualche “liturgista” ha usato il DVD della santa Messa pubblicato dalla Fraternità per deriderne con i seminaristi rito e gesti.
- Cosa ha provato la prima volta che si è avvicinato alla celebrazione della S. Messa di sempre?
Di trovarmi alla Presenza di Dio, un po’ come Mosè sul Sinai; per la prima volta tutta la celebrazione era “davanti a Lui” ed Egli stesso era lì. Nel rito copto le rubriche prescrivono che il sacerdote entri scalzo nel santuario, del resto il nostro rituale Pontificale prescrive particolari calzari per il vescovo; la prima volta che ho celebrato la Santa Messa ho intuito improvvisamente il perché: Mosè di fronte al roveto. Ogni volta che entro nel santuario è così: il roveto brucia della Sua presenza.
- Com’è la vita nella FSSPX?
E’ anzitutto una vita semplice e fraterna. Monsignore la pensò sulla scorta della sua esperienza in terra di missione: intuì l’importanza non solo dell’apostolato ma anche di un luogo nel quale “ricaricarsi” spiritualmente ed intellettualmente, ove vivere assieme ad altri sacerdoti, fraternamente; pensò ad un luogo che anche proteggesse i sacerdoti dal mondo; questo luogo è il “priorato”. E’ bello perché c’è sempre una buona parola, una battuta piuttosto che una discussione dottrinale, qualcosa da sistemare, un’ospite che viene da lontano, una preghiera nell’unica liturgia pur nella diversità delle lingue nazionali di ciascuno. Poi ci sono le suore, un esempio in tutto: di preghiera, laboriosità, attenzione, modestia, riservatezza ... ed i fratelli, dei consacrati non sacerdoti, che si prendono cura con generosità di noi tutti: della casa, degli ospiti, di noi sacerdoti.
- I priorati ospitano anche persone esterne?
Direi che il priorato è aperto all’accoglienza di quanti ne rispettano ritmi e finalità: per una parola, un incoraggiamento, un tempo di ritiro o di discernimento un sacerdote è sempre disponibile. Si organizzano poi specifici incontri per sacerdoti e fedeli; vi si predicano più volte all’anno gli esercizi ignaziani secondo il metodi di p. Francesco da Paola Vallet e diffuso da p. Ludovico Maria Barielle.
- Come si svolge la giornata, l’apostolato ... ?
Ci sono sostanzialmente due ritmi di vita diversi: quando siamo in casa (al priorato, durante la settimana o la feria) e nell’apostolato (al fine settimana o nelle feste). Al priorato la sveglia ufficiale è alle 6.00 ma molti sacerdoti si svegliano prima per recitare il Mattutino e le Lodi; alla 6.30 c’è la recita comune di Prima, quindi la meditazione e l’Angelus; alle 7.15 la Santa Messa ed il ringraziamento; alle 8.10 la colazione. C’è quindi il tempo da dedicare allo studio, alla preparazione di incontri, catechesi, convegni, agli articoli; per vari lavori manuali ed incombenze, oppure per un ulteriore momento di preghiera, per il breviario (Terza e Nona), la Sacra Scrittura etc. Alle 12.15 c’è la recita comune di Sesta e l’Angelus quindi il pranzo alle 12.30. Nel pomeriggio un ulteriore tempo di studio, lavoro o preghiera (la recita in privato del Vespro) sino alle 18.50 con la recita comune del Santo Rosario e dell’Angelus (il giovedì c’è la Benedizione Eucaristica). Alle 19.20 la cena e alle 20.45 la Compieta cui segue il Grande Silenzio sino alle 8.00 del giorno dopo. Nell’apostolato, il fine settimana, nelle feste, in altre occasioni, stanti gli obblighi clericali (Breviario e Santa Messa) e della Fraternità (Rosario quotidiano), gli orari sono flessibili in relazione alle diverse situazioni e necessità.
Io non sono ancora inserito in questa importante missione, vedo tuttavia i confratelli percorrere centinaia di chilometri per assistere ed incontrare i fedeli, celebrare loro la Santa Messa, risolvere innumerevoli problemi per la collocazione delle cappelle, la celebrazione, l’alloggio, per l’ostilità di parroci e vescovi, in questo senso non molto caritatevole con noi.
- Pensa che ci saranno altri sacerdoti che seguiranno il suo esempio?
Sinceramente penso che altri preti e seminaristi si pongano la questione. Come conseguenza della propria scelta di consacrazione al Signore, si rivela necessario un serio ripensamento delle dimensioni sacerdotale del “presbiterato” e sacrificale della Santa Messa. L’ondata ideologica post-conciliare si sta esaurendo in un sistema sostanzialmente agnostico, nei giovani sacerdoti e nei ragazzi si risveglia invece la ricerca dell’autenticità della nostra fede: di qui l’avvicinamento alla Tradizione Cattolica. Il sacerdote moderno, prima vittima del nuovo corso ecclesiale, vive spesso una profonda crisi d’identità; da essa egli può uscire unicamente riappropriandosi dei mezzi che gli fornisce la viva Tradizione della Chiesa: in primo luogo la Messa di sempre, quindi il Breviario, una vita sacerdotale Fraterna, dunque l’Apostolato.
Grazie mille don Massimo.
Grazie a Lei.
Grazie a questo coraggioso sacerdote! Don Massimo, l'aspettiamo alla cappella di Napoli!
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