Contro il modernismo politico (o errore
liberale), che oggi proclama la netta separazione tra Chiesa e Stato,stiamo
illustrando i princìpi cattolici
sul potere che hanno il Papa e la Chiesa
anche in temporalibus
e
come questo potere si è realizzato in concreto nel corso della storia. Nella
prima parte abbiamo richiamato l’insegnamento di Gesù
e degli Apostoli
nel campo socio-politico e la dottrina
che i Padri della Chiesa e i grandi Papi già
prima del Medioevo hanno dedotto dai princìpi
di questo insegnamento. Dopo il cosiddetto“secolo di
bronzo”(IX-X secolo), la Chiesa, con
San Gregorio VII, esce da uno dei periodi più
tenebrosi della sua storia e riprende l’
approfondimento
dottrinale e l’applicazione
pratica del “Date
a Cesare quel che è di
Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
2a PARTE
IV- IL MEDIOEVO E
LA CRISTIANITÀ (XI-XII secolo)
S. Gregorio VII (1073-1085) combatté contro la simonia e il nicolaismo (cioè il concubinato dei sacerdoti) per riformare la Chiesa. La
lotta per le investiture, nella quale ebbe come acerrimo nemico l’imperatore Enrico IV, offrì
al Papa l’occasione per continuare a
dedurre dai princìpi cristiani la dottrina dei
rapporti tra Chiesa e Stato.
L’imperatore
fu scomunicato nel 1076.”La sentenza coglie
direttamente l’ordine temporale e politico; gli
anatemi spirituali vengono in ultimo luogo”(1): il principe indegno è
dichiarato decaduto e i suoi sudditi sono
sciolti dall’obbedienza; il verdetto
è
pronunciato nel nome dell’autorità spirituale del Pontefice romano e in virtù del potere di“legare e sciogliere” che ha ricevuto da Cristo.
“Gregorio
ebbe la convinzione di essere responsabile, dal punto di vista spirituale,
della salvezza del mondo, perché successore di Pietro e cioè del Principe degli Apostoli”(2).
Gesù
aveva detto a Pietro “Pasci i miei agnelli”; secondo Gregorio (e il buon senso) anche i re fanno
parte del gregge di Cristo,
affidato a Pietro
e ai
suoi successori. Come pure il
potere
di legare e
sciogliere riguarda tutti, anche i re: “il potere del Papa,
al pari
di quello di Pietro, è di origine divina”(3).
Nel Dictatus Papae (1075) sul potere dei pontefici, S.
Gregorio VII, aveva raccolto in 27 proposizioni la sua dottrina sul potere
papale; di queste proposizioni 22 sono di natura teologica e affermano il
primato della Chiesa romana e del Vescovo di Roma; le altre cinque (8ª;9ª;12ª;19ª;27ª) si riferiscono alle relazioni tra Papa e imperatore e
sono l’espressione
concreta della teologia
ierocratica gregoriana:
8ª) solo
il Papa può usare le insegne imperiali;
9ª)
tutti i principi
devono baciare i piedi solo al Papa;
12ª)
il Papa può
deporre l’ imperatore;
19ª)
nessun uomo può
giudicare il Papa;
27ª)
il Papa può
sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso i principi iniqui.
Nella prima lettera a Ermanno, Vescovo di
Metz (25 agosto 1076),S. Gregorio VII pone chiaramente le basi sulle quali si
fonda la supremazia del papato sull’impero. La sua
fonte principale è S. Ambrogio,secondo il quale
il sacerdozio è tanto più nobile del potere temporale quanto l’oro lo è del piombo; l’
imperatore è nella Chiesa e non sopra di
Essa; quindi anche le sue cattive azioni debbono
e possono essere censurate dalla Chiesa. S. Gregorio parla anche di deposizione del re da parte del Papa e passa così dalla
supremazia
teorica
a quella pratica.
Nella prima scomunica e deposizione di
Enrico IV (22 febbraio 1076), S. Gregorio si rivolge a S. Pietro e dice:“per
tua grazia mi è
stata data da
Dio la potestà di legare e
sciogliere in cielo e in terra. Basandomi su
questa certezza [...], in nome
di Dio onnipotente, [...] io tolgo a
Enrico [...] il potere su tutta Italia e Germania,
e sciolgo tutti i cristiani dal
vincolo del giuramento [...], e proibisco
che alcuno lo serva come re.
[...] Agendo in tua vece io lo scomunico [...],
perché le genti sappiano e
vedano che Tu sei Pietro e su questa pietra
il Figlio di Dio edificò la sua
Chiesa [...]”.
Nel 1080 la sentenza pontificia diventa definitiva. Il testo afferma
chiaramente che l’ autorità spirituale del Papa implica un vero potere nell’ordine temporale. Sempre rivolgendosi a San Pietro, Gregorio
VII dice: «Gli tolgo ogni potere e dignità regale... Che tutti
capiscano
che, se “potete
sciogliere e le- gare in cielo”, a maggior
ragione potete
togliere o concedere, sulla terra, i
poteri, i regni, gli imperi,
in base ai meriti»(4).
D’altronde questa dottrina era già stata formulata da Gregorio VII cinque
anni prima nel Dictatus Papae, nelle proposizioni 12 e 27: “Il Papa può deporre l’imperatore”
e “può sciogliere i sudditi dall’
obbedienza ai
principi iniqui”. Tale tesi “lungi dall’esser
nuova [...] è
la conclusione normale dei princìpi
cristiani tradizionali, Gregorio si richiama ai detti
e fatti dei santi Padri.
Le sue referenze sono soprattutto S. Ambrogio, S. Agostino,
Gelasio I, Nicola I. [...] Si rifà
innanzi tutto al Tu es Petrus e alle conseguenze logiche che ne
derivano per la giurisdizione spirituale del Papa: nessuno fa eccezione e niente è
sottratto alla
sua giurisdizione.
Anzi argomenta a fortiori: se la
Sede apostolica...giudica le cose spirituali, perché non potrebbe giudicare anche le temporali? Chi può dubitare che
i sacerdoti
di Cristo siano da reputarsi
come padri e maestri dei re, dei principi e di tutti i fedeli?
Se l’esorcista
comanda i diavoli, a più
forte ragione il Papa è giudice dei peccati dei re! (Prima lettera a Ermanno
vescovo di Metz)”(5).
Il Papa ricorda gli stessi princìpi a Sancho d’Aragona,
asserendo che Pietro è stato costituito da Cristo
principe su tutti
i regni della terra (6).
Nella seconda lettera al vescovo di Metz (15 marzo 1081) S.
Gregorio espone “tutta una teologia sui rapporti tra
Stato e Chiesa”(7).
Il potere delle chiavi, date da Cristo a Pietro, sta alla base di tutta la
teoria e la pratica gregoriana; il potere temporale
e quello spirituale stanno tra loro come la luna al sole: «Il
beatissimo Apostolo
Paolo disse: “Non sapete
che noi giudicheremo gli Angeli? Quanto più le cose del secolo?”
[...]. A
chi si possono meglio paragonare
coloro che vogliono piegare alle loro forme i sacerdoti di Dio, se
non a colui che
è il primo di tutti i figli della
superbia? Colui che, tentando lo stesso Cristo sommo Pontefice
[...] e promettendogli
tutti i regni del mondo,
disse: “Tutto questo sarà tuo, se scenderai e mi adorerai”?
[...]. L’oro è tanto
più prezioso del piombo, quanto
la dignità sacerdotale è più nobile della dignità regia [...].
Nulla si trova nel
mondo di più degno dei sacerdoti,
di più sublime dei vescovi [...]».
I fratelli Robert e Alexander Carlyle mettono
in rilievo che Gregorio VII spera che “sacerdozio e
impero possano essere uniti nella concordia,e che, come il corpo umano è guidato dai suoi due occhi, così
il corpo della Chiesa possa essere guidato e illuminato quando i due poteri
concordano nella vera religione...e ammonisce Enrico IV a ricordare che egli
detiene legittimamente il potere regio se obbedisce al Re dei re, Cristo, e
difende e rafforza la Chiesa [...]. L’autorità secolare - secondo Gregorio - trova il suo vero fondamento
nella difesa e nel mantenimento della giustizia, e egli spera che vi possa
essere una vera concordia e intesa tra sacerdozio e impero, cioè tra le due autorità
stabilite da Dio per governare il mondo”(8).
APPROFONDIMENTI
TEOLOGICI
UGO DI S. VITTORE (1096-1141) la creazione è una, Dio creatore
è uno e,“se
esistono due poteri,
due
funzioni,il
dualismo è solo
apparente”(9).
I due poteri si compongono
e si unificano nell’unità di
Dio e
della sua Chiesa, per cui la
società umana è la cristianità e la
cristianità è la Chiesa. Ogni potere dipende da un unico potere,
quello divino. Quindi il potere secolare
ha una sola fonte, la Chiesa: “È il clero,ossia il potere
spirituale che pone in
essere
il potere temporale, dietro
ordine
di Dio; è il potere spirituale che istituisce quello
temporale e [...]
lo
consacra e lo benedice, insomma
gli
conferisce legittimità [...]. Proposizione di significato inequivocabile che, pur lasciando intatta la
distinzione
tra gli
uffici [...], afferma la dipendenza
originaria [del potere temporale] e la
superiorità di giurisdizione [del potere
spirituale]”(10).
GIOVANNI DI SALISBURY (+1180) nel Policraticus, scritto tra il 1155 e il 1159, tratta dei
rapporti tra potere spirituale e
temporale.
“Giovanni è un sostenitore di posizioni ecclesiastiche molto
avanzate:egli non solo condanna qualsiasi invadenza del potere temporale nella sfera
della Chiesa [...] ma sostiene apertamente la superiorità del potere spirituale [...] nei confronti di quello temporale
[...] tutte le leggi dei principi sono vane e nulle, se non sono in armonia con
la legge divina e con gli insegnamenti della Chiesa”(11).
Giovanni si serve dell’immagine delle due spade, molto probabilmente ispirandosi a S.
Bernardo, e scrive che “il principe ha avuto la spada
materiale dalla Chiesa, alla quale appartengono entrambe le spade, sebbene essa
si serva di quella materiale tramite il
principe;
questi è pertanto il ministro del sacerdozio e compie quella parte meno
alta delle sacre funzioni che non è degna di essere svolta dal sacerdote(Policraticus, IV, 3)”(12).
S. BERNARDO DI CHIARAVALLE(+1173) è la figura che domina il secolo, la sua teoria è
quella delle“due
spade”, presa dal passo del Vangelo dove agli Apostoli,
che gli avevano detto: “Abbiamo
due spade”,Gesù risponde: “bastano ”. Per S. Bernardo vi sono, perciò, due
spade,
simbolo dei due poteri, quello
spirituale
e quello temporale. Le
due
spade le posseggono gli Apostoli
e
Pietro, che è il loro capo e il capo della Chiesa. La spada
temporale,
però, non deve essere utilizzata direttamente da Pietro e dalla Chiesa.Essa
è di Pietro e della Chiesa, ma deve essere sguainata per Pietro e per la Chiesa, non da Pietro e dalla Chiesa.
“Rimetti la tua spada nel fodero”aveva detto Gesù a Pietro che
usò direttamente la spada, tagliando un orecchio ad un servo che
era venuto ad arrestare il suo
Maestro.
A papa Eugenio III, suo figlio
spirituale,S. Bernardo scrive: “La spada temporale deve essere sguainata per la Chiesa, mentre quella
spirituale
dalla Chiesa.
Una è in mano del sacerdote,
l’altra in mano del soldato, ma
deve essere usata al cenno (ad
nutum) del sacerdote”.
S. Bernardo non cancella la distinzione tra
i compiti del potere temporale e quelli del potere spirituale,ma subordina
chiarissimamente il temporale allo spirituale e afferma che il potere temporale è posseduto dalla Chiesa, ma non
utilizzato
direttamente da
essa, che lo
lascia ai principi, i quali
dovranno utilizzarlo ad nutum sacerdotis.
INNOCENZO III
(1198-1216) Ritiene
che, come Vicario
di Cristo,
è il rappresentante supremo di Dio in terra, superiore al re
ed agli
imperatori;
è il plenipotenziario di Dio, per volere del Quale
regnano i
re e i
principi governano (per
Me reges
regnant). «La concezione del vi-
cariato di Cristo divenne per lui un’idea
centrale [...] essa gli
dava
l’autorità universale di una posizione“tra Dio e l’uomo, tra Dio e sopra l’uomo; più
piccolo di Dio e più
grande dell’uomo, giudice sopra tutti e non giudicabile
da nessuno, a eccezione di Dio”»(13).
Innocenzo III rivendica per sé la plenitudo
potestatis che Cesare non ha
e che comprende nel suo “ambito non solo la Chiesa
universale, ma tutta la realtà
temporale”(14).
Inoltre,il potere regale deriva dall’autorità pontificia tutto il suo splendore e la
sua dignità:
“Così come la luna riceve dal
sole la sua luce”(15).
Innocenzo III riconosceva l’
autonomia(che non è
l’indipendenza)del temporale dallo spirituale, “ma riservava pur sempre al Papato un diritto preminente, che
era inerente
e connaturato a quel vicariato di Cristo [...]. Orbene Cristo
[...], in quanto è
Dio, è sovrano dei
corpi e delle anime, egli è
il sacerdote e il re supremo ed ha una regalità spirituale e temporale; dunque ce l’ha anche il Papa”(16).
Questo diritto il
Papa, pur possedendolo, non vuole esercitarlo abitualmente, ma
solo in certi casi eccezionali, quando lo impone una causa urgente e grave, ad esempio
ratione peccati.
Secondo il Dictionnaire de Théologie catholique
il pontificato di InnocenzoIII
rappresenta il perfezionamento definitivo della dottrina del
potere diretto in
temporalibus posseduto
dal Papa, ma non esercitato abitualmente. Egli asserisce che
il re “riceve da Dio l’uso
della spada temporale”(17);
ed il 16 febbraio 1209 dichiara all’imperatore Ottone
IV:“Noi possediamo l’autorità
papale e il
potere regale, entrambi nella loro
pienezza”(18).
Secondo Ehler e Morrall il “pontificato
di Innocenzo III è
considerato[...] per molte ragioni il periodo della maggior grandezza medioevale
del Papato. Egli [...] era un eminente teologo e
giurista: sotto il suo pontificato furono promulgati un gran numero di decreti
papali, con i quali la plenitudo potestatis Papae –
termine che Innocenzo III contribuì
fortemente a divulgare – fu definita nei suoi vari
aspetti. Di queste decretales, quattro sono particolarmente importanti: 1) Per venerabilem, in cui il Papa
afferma l’autorità della S. Sede nelle materie che si riferiscono tanto al Diritto
Canonico quanto a quello Civile;
2) Novit Ille, dove è asserita la facoltà del Papa di intervenire negli affari di polìtica internazionale ratione peccati;
3) Venerabilem fratrem, in cui vengono definiti i
diritti del Papa nei riguardi della corona di Germania[...];
4) Sicut universitatis, dove il Pontefice esprime
il suo giudizio sulle relazioni tra potere spirituale e quello imperiale”(19).
Giuseppe Corradi scrive che Innocenzo III
“sistematizzò
la dottrina del dominio universale del Papato in materia spirituale e temporale
attuandone l’esecuzione pratica. In quanto Vicario di Cristo, Rex regum et Dominus dominantium, il Papa
rappresenta la massima autorità
terrena; la Chiesa, cui spetta ogni potere nella direzione delle anime, deve essere
superiore all’impero; ed al Pontefice romano spetta il diritto di intervento in
qualsiasi questione temporale e politica. [...]. Questi scopi, essenzialmente
religiosi, costituirono
i
moventi di tutta la sua
politica
volta ad attuare il principio
che sta
alla base della concezione
cristiana
del Medioevo: la subordinazione
degli
interessi della città del secolo a quelli della città di Dio”(20).
Un eminente studioso, il professor Oscar
Nuccio dell’Università
La Sapienza di Roma,in un’opera poderosa di oltre cinquemila pagine (Il pensiero economico italiano, Sassari,
Gallizzi, 1984-2002, 7 tomi dal medioevo al
settecento), ha trattato,con maestria e competenza, anche il tema che ci
riguarda. L’Autore insegna che dall’età di S. Gregorio VII il sacerdozio sviluppò una dottrina del potere pontificio che si rifaceva a S.Leone
Magno e fu completata da Innocenzo III; il Papa è
non solo il vicario di Pietro, ma anche di Cristo e di Dio; egli è inferiore a Dio, ma ne partecipa il potere, ed è superiore all’uomo. Siccome è il vicario di Cristo, e le veci di Cristo sono di natura giuridica,
il governo su queste veci fondato si estende a tutto il mondo, che è, perciò, affidato al go- verno
spirituale e temporale del Papa.
La plenitudo potestatis assume con Innocenzo III una
dimensione non solo ecclesiastica, ma anche politica. La motivazione ratione peccati consente a Innocenzo di
aprire un varco attraverso il quale il potere sacerdotale si estende a tutte le
materie nelle quali è possibile peccare; e di
fatto siccome non esistono atti umani neutri, in quanto le circostanze li
rendono buoni o cattivi moralmente (per es. cammino per
rubare o per dire il rosario) , il potere
sacerdotale si estende alla totalità
delle questioni temporali. Nel Papa si ritrovano concentrate le due potestà supreme, la spirituale e la temporale, e la potestas gladii concessa all’imperatore
deriva dal Papa
nell’atto dell’incoronazione. Tale principio, secondo Oscar Nuccio, fu riformulato
da S. Tommaso nella Summa
contra Gentiles (IV,
q.76) e ribadito da Giacomo da Viterbo nel
De regimine christiano (1301). Coloro che negano al
Papa la doppia diretta potestà in spiritualibus et in temporalibus, sono coloro i quali
affermano che “I Papi sono gli Dèi dei monti, ossia delle cose spirituali; ma non gli Dei delle
valli, poiché non hanno nessun potere sui
beni temporali”. Per Innocenzo, invece, il Papa ha
potere sui monti e sulle valli ossia in
spiritualibus et in temporalibus,per cui la giurisdizione del Papa, conclude il Nuccio, è la più perfetta di tutte, e perciò non ha senso distinguere tra potere indiretto in temporalibus e diretto in spirituali bus (21).
Si veda anche l’epistola
di Innocenzo III al Patriarca di Costantinopoli(1159): “Dominus Petro non solum universam Ecclesiam,
sed
totum reliquit
saeculum gubernandum”(“Il Signore lasciò
a Pietro da governare non solo la Chiesa universale,
ma tutto il mondo”)(22).
Il XIII secolo vedrà affermarsi sempre più
la teoria del potere
diretto
in temporalibus.
INNOCENZO IV
(1243-1254)
Di Innocenzo IV ci interessa il decreto Aeger cui levia o lenia (1245), nel quale “con un’ampiezza ed un vigore che non saranno mai sorpassati, [...] rivendica sulla terra
una delega generale di Dio, il Re dei re, con la pienezza del potere di legare e
sciogliere [...] anche l’ imperatore”(23).
Alcuni autori, tra i quali Giovanni Battista
Lo Grasso S.J.(24),
dicono che è disputato se detto decreto
sia di Innocenzo IV o di un suo discépolo.
Penso, però,
che l’ appartenenza alla Compagnia di Gesù con la sua adesione alla tesi del potere indiretto in temporalibus abbiano spinto il Lo Grasso a
mettere in dubbio l’autenticità di un documento del Magistero che afferma esplicitamente che
il Papa ha potere diretto in
temporalibus, ma
non vuole esercitarlo e lo lascia ai laici. Agostino Paravicini Bagliani e la
maggior parte degli storici contemporanei, affermano, invece, che il decreto è di Innocenzo IV, anche “se alcuni si
chiedono se l’estensore materiale non debba essere
ricercato in seno al collegio dei cappellani del card. Raniero Capocci da
Viterbo”(25).
Quest’ultima
opinione, però, non è oggi, la più comune e il documento è oramai ritenuto pacificamente di Innocenzo IV. Augustin
Fliche e Victor Martin,ad esempio, nella loro famosa Storia della Chiesa, sostengono che Innocenzo IV, “dottissimo e già
studente e maestro nell’Università di Bologna [...], era ritenuto un canonista eminente e un
diplomatico abilissimo [...]. Egli non solo condivide col suo predecessore
[Innocenzo III] le idee sull’«onnipotenza»
romana, ma va oltre e con lui..., il
principio teocratico si
afferma con la massima chiarezza...Innocenzo IV si ritiene investito, a somiglianza di Cristo, della
spada
temporale, il
cui uso affida all’ imperatore e
ai re, riservando a sé solo l’uso
della spada spirituale. Basta leggere la bolla Aeger cui levia, con cui risponde agli attacchi di
Federico II che seguirono [...] il Concilio di Lione del 1245, per rendersi
conto...che le
rivendicazioni della S. Sede mai
erano state affermate in modo
così categorico. [...]. La morte di Federico II
corona la vittoria del Papato[...] e sottolinea il crollo degli
Hohenstaufen[...], il cesaropapismo imperiale non conoscerà più che resurrezioni effimere.
Il Concilio di Lione fu una prova luminosa dell’unità della Chiesa, raccolta attorno alla S. Sede, e una chiara
affermazione della potestà pontificia, cioè della plenitudo
potestatis [...]
Secondo Innocenzo III, il Papa non
poteva incoronare imperatore se non
quello designato dai principi elettori,e perciò
la sua scelta aveva dei limiti; ma, dopo la vittoria della Sede Apostolica [con
Innocenzo IV]su Federico II, ogni restrizione scompare, almeno dal punto di
vista giuridico: mai
per l’innanzi
l’autorità di
Roma aveva raggiunto un
tale vertice”(26). È chiaro che anche per Fliche e Martin la bolla Aeger cui levia appartiene formalmente ad
Innocenzo IV.Federico II – aggiunge Silvio Solero– “aveva pubblicato il famoso manifesto ai principi cristiani
in cui denunciava i vizi, la cupidigia e la corruzione dei prelati.
Innocenzo IV rispondeva con la bolla Aeger cui levia contenente la formula della teocrazia
papale, affermando il primato pontificio come voluto da Cristo che aveva
conferito a Pietro e ai suoi successori l’impero
universale del cielo e della terra”(27).
Vediamo il contenuto del documento pontificio:“[...] sulla terra rappresentiamo il
Re dei re, dal cui potere si sa non è escluso alcun uomo [...] Dio [...] attribuì al Principe degli Apostoli, e a noi, attraverso di lui, pieno potere di legare e di sciogliere
qualunque cosa sulla terra [...]. [Cristo conferì
a Pietro] potere non solo sulle genti, ma anche sopra i regni [...]. Ne segue dunque
che il Romano Pontefice, può, almeno casualiter [non abitualmente,ma
eccezionalmente] esercitare il suo potere pontificale nei riguardi di qualsiasi
cristiano [...],specialmente ratione
peccati così che stabilisca che qualunque peccatore [...] sia considerato
pubblicano e eretico [...] e che, di conseguenza,sia privato del potere
temporale se ne aveva uno [...]. Dunque esaminano con poco acume [...], coloro
i quali affermano che la Sede apostolica ha avuto la prima volta il potere dall’imperatore Costantino, mentre si sa che questo potere era in
lei prima, naturalmente e in potenza.
Gesù
Cristo [...] vero re e sacerdote [...] stabilì
nella Sede apostolica non solo un monarcato pontificale, ma anche uno regale, avendo affidato al beato Pietro e ai suoi
successori,
le redini sia
del potere cele- ste che di quello terrestre. Questo fatto
è reso evidente
nella pluralità delle chiavi,
perché si capisca che per mezzo dell’una
abbiamo ricevuto il potere per le cose temporali
sulla
terra e
per mezzo dell’altra il
potere
delle cose spirituali in cielo. [...]. Nel grembo della Chiesa sono poste ambo le spade di ambedue i
poteri...Entrambi le appartengono di diritto,dal momento in cui il Signore non disse a Pietro “getta
la spada”, ma:“rimetti la tua
spada nel fodero”,perché non fosse usata da
lui stesso[ma per
lui, ad
nutum sacerdotis]...Quindi
Pietro, per ordine divino,non aveva il permesso di usare direttamente la spada, tuttavia aveva l’autorità di ordinarne l’uso
[da parte del principe in difesa della Chiesa]. Da ciò deriva che il
potere
di questa spada è nella Chiesa, ma è
esercitato dall’imperatore che lo riceve da lei. Questo potere, che si trova nel grembo della Chiesa, è soltanto potenziale
e passa all’atto quando viene
trasferito dal sacerdote al principe” (Aeger cui levia, in LO GRASSO S.J., Ecclesia et Status. Fontes selecti.
Historiae Juris Publici Ecclesiastici,2ª ed., Roma, Gregoriana,1952, n° 446-455, pagg. 194-198).
Innocenzo III – scrivono i fratelli Carlyle
– “usò
sempre la massima cautela e si astenne dal trarre conclusioni estreme. A
trarle fu invece Innocenzo
IV [...], e a lui si
devono far risalire i princìpi,
che i grandi canonisti del XIII secolo, come l’Ostiense
e Guglielmo Durando, [...]dovevano esporre [...]. Innocenzo IV afferma [...]
che il Papa ha ricevuto da Cristo in persona il potere di redigere i canoni,
mentre l’imperatore la propria autorità di legislatore la riceve dal popolo
romano [...]; inoltre,come Cristo, quando era su questa terra, era da tutta l’eternità
Signore naturale del mondo, e per legge naturale in grado di deporre re e
imperatori, così
i suoi vicari – e cioè Pietro e i suoi successori – avevano il medesimo potere [...]. Innocenzo IV vuol
giungere alla conclusione che, anche nelle questioni temporali [...] la sua autorità
è superiore a
quella di tutti gli altri poteri
secolari [...]. Tra Papa e imperatore
esiste un rapporto speciale; il secondo è advocatus del primo, presta a lui il giuramento,
riceve l’impero dalle sue mani,
[...]. Innocenzo IV [...] sembra voler
suggerire implicitamente che l’imperatore è vassallo del Papa [...] e sostenne che questi
aveva il diritto di respingere un candidato non adatto al
trono imperiale [...]; infine proclama senza esi tare che l’ imperatore gli era debitore del
trono imperiale [...] Pertanto non
ci pare azzardato concludere che, per Innocenzo IV, ambedue i
poteri,
spirituale e
temporale, in via di principio gli
appartenevano”(28).
SAN TOMMASO
D’AQUINO (+1274)
Il Dottore Angelico riprende e approfondisce
la dottrina tramandata.
Egli scrive: “La
S. Chiesa [...] ha soltanto la spada spirituale, quanto all’esecuzione da esercitarsi direttamente dalla sua mano. Ma ha anche la spada temporale, quanto al
comando di impiegarla: poiché
al suo cenno deve essere estratta, come dice Bernardo”(29). E continua: “Nelle
cose che
riguardano il bene civile,
bisogna
obbedire piuttosto al potere
secolare
che allo spirituale... A
meno che il potere spirituale sia unito al potere secolare come nella Chiesa o nel
Papa, in virtù di una disposizione di Dio, che è sacerdote e re [...]”(30).
Alcuni autori hanno cercato di interpretare
questo passo come riferito unicamente allo Stato pontificio, soltanto nel quale
il Papa è sacerdote e re in atto;
tuttavia mi sembra che questa interpretazione sia forzata, poiché se S. Tommaso avesse parlato di un caso specifico, quello
appunto dello Stato pontificio, lo avrebbe detto; invece parla in generale di cose che riguardano il bene civile, e dice che qualora si tratti
della Chiesa o del Papa, allora bisogna obbedire al
potere spirituale, che per volontà
divina racchiude in sé anche quello temporale;
altrimenti occorre obbedire al potere civile. Ed infatti la maggior parte degli
interpreti, vede nel passaggio dell’Aquinate
l’affermazione del potere diretto
del Papa
in
spiritualibus et in temporalibus. Inoltre nelle Quaestiones quodlibetales, l’Angelico
sostiene che ora i re sono vassalli della Chiesa perché, con l’avvento del Cristianesimo, la situazione
è cambiata e Cristo ha diritto
di regnare sulla coscienza dei principi31; perciò “il Papa detiene l’autorità suprema sia nelle questioni spirituali che in quelle
temporali(Commento
alle Sentenze di Pietro Lombardo, II, dist. 44, q. 2, a.3)”(32).
Nella Somma Teologica, infine,S. Tommaso si pone la questione
se il potere temporale sia sottomesso allo spirituale come il corpo all’anima,e risponde di sì
(33).
Secondo la filosofia politica dell’Angelico l’uomo ha un solo fine ultimo,che
è soprannaturale (la Visione Beatifica);
il benessere temporale è soltanto un fine prossimo; pertanto
l’autorità
temporale dev’essere sottomessa alla
spirituale,come il fine prossimo è
ordinato e sottomesso al fine ultimo. Etienne Gilson scrive: “La
morale di S.Tommaso ha scopi più alti che adattare l’uomo al bene comune della città:
essi gli sono imposti dalla metafisica stessa, da cui la morale riceve i suoi princìpi: l’uomo
di Aristotele non era una creatura, lo è invece l’uomo di S. Tommaso”(34).
Bisogna
osservare che l’Aquinate “è ben lungi dal relegare a quello che spetta al Papa ratione peccati il legittimo intervento pontificio
nella sfera temporale.
Attribuendo al Capo della Chiesa la cura
del fine ultimo [...] gli riconosce, per via di eminenza e in ragione della sua
autorità spirituale suprema, un’autorità temporale sui principi della
terra che, di fatto, si estende a tutta l’azione degli
stessi principi, purché [...] venga ad avere rapporto
con il fine ultimo [...].
Spetta perciò al Papa e solo a lui giudicare quello che deve dire o non dire
[...] in funzione della sua carica sovrannaturale e quando, come, fino a che
punto ci sia bisogno di un intervento nella sfera temporale”(35). L’Angelico,
in breve, distingue
ordine naturale
e soprannaturale, Stato e Chiesa. Non
li separa, né li confonde, ma subordina il naturale al
soprannaturale, lo Stato alla Chiesa: “Il potere
temporale è soggetto a quello spirituale
come il corpo all’anima” (De regimine principum,l.1, c.10; Cfr. R. SPIAZZI O.P.,Enciclopedia del pensiero
sociale cristiano,ESD, Bologna, 1992, pp. 188-194, 212-215).
BONIFACIO VIII
(1294-1303)
Con Bonifacio VIII la teoria della plenitudo potestatis tocca il suo apogeo; egli «incarnava, in un temperamento focoso, le dottrine più intransigenti sulla supremazia pontificale. Gran canonista
[...] non sorpassò nessuna delle formule di
Innocenzo
IV [...].
Bonifacio rivendica una
giurisdizione suprema nel dominio spirituale
e temporale, distingue tra possesso e esercizio [...].
Egli distingue
i due poteri, ma ne rivendica il
possesso e lo separa dall’esercizio abituale”(36).
La Bolla Unam sanctam riguarda la pienezza del potere papale
(1302).
In essa il Pontefice «espresse
le tesi estreme della dottrina teocratica sull’impero
[...]. Nella primavera del 1303 ripeteva ad Alberto d’Austria:“Omnes potestates sunt a Christo
et a
nobis, tamquam a vicario Jesu
Christi’» (“Ogni potere viene da Cristo e da
noi, come vicario di Gesù
Cristo”)(37).
Nell’Unam
Sanctam Bonifacio aveva
detto che “ogni potere, sia quello spirituale sia
quello temporale, ha la sua origine da Dio e che è stato conferito da Dio alla Chiesa...; essa
lascia l’esercizio del potere secolare ai principi, ma
conserva il diritto di effettuare il proprio controllo su di loro... la Bolla è un sommario poderoso del pensiero della
Chiesa al culmine del periodo medievale”(38).
Massimo Montanari scrive che nell’Unam
Sanctam “Bonifacio propugnava solennemente una
teoria integrista della società
cristiana, intesa come unico corpo, di cui Cristo è Capo e il Pontefice il Vicario. Al Pontefice spettano dunque
entrambe le
spade, la temporale e la spirituale;
egli ha il primato sui regnanti della terra ed ha la potestà di intervenire su tutto e su tutti. L’idea teocratica, che si era formata nei secoli precedenti, mediante
le posizioni via via assunte da [...] Gregorio VII e Innocenzo III, era portata
da Bonifacio VIII alle estreme conseguenze e giungeva alla pienezza della sua formulazione
dottrinale”(39).
Ma vediamo il contenuto della Bolla stessa:
«Noi siamo obbligati a credere e a
professare che c’è
una sola Santa Chiesa cattolica e apostolica [...] che rappresenta un corpo
mistico, il cui capo è
Cristo [...]. Noi sappiamo dal Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci
sono due spade,
una spirituale e una temporale [...]. E chi nega che la spada temporale
appartenga a
Pietro ha malamente interpretato
le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua spada nel
fodero”. Quindi
ambedue sono in potere
della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale. Una deve essere impugnata per
la Chiesa, l’altra
dalla
Chiesa; la prima dal clero, la se- conda dalla mano dei re, ma secondo il
comando e il cenno del sacerdote, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a
quella spirituale.
[...]. Perciò se il potere terreno erra, sarà
giudicato da quello spirituale; se il
potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato
dal
superiore; ma se erra il supremo
potere
spirituale questo potrà essere giudicato solamente da Dio
e non dagli uomini (prima
Sedes a nemine judicetur) [...]. Perciò chi si
oppone a
questo potere istituito da
Dio, si
oppone ai comandi di Dio a
meno che
non pretenda, come i Manichei, che ci sono due
princìpi [...].Quindi
dichiariamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni
creatura umana che essa sia
sottomessa
al romano Pontefice”.
Secondo i fratelli Carlyle “Bonifacio...proclama [Ausculta fili] che Dio lo ha collocato al di sopra di tutti
i re e di tutti i regni, dotandolo del potere di distruggere e di costruire [...]
[mentre Filippo il Bello] pretendeva che [...] i re francesi, nelle questioni
temporali, erano sempre stati soggetti soltanto a Dio ”(40).
DUE
TEOLOGI-CANONISTI BONIFACIANI
a) EGIDIO ROMANO (+1316) fu discepolo di S. Tommaso a Parigi,benché appartenesse all’ordine agostiniano,e
divenne nel 1295 arcivescovo di Bourges. Ha scritto De ecclesiastica potestate, che tratta del potere
supremo(plenitudo
potestatis)
della Chiesa e del Papa. Egli riafferma la subordinazione gerarchica del potere
temporale al potere spirituale, distinguendo le rispettive competenze, per cui
al potere temporale “è
riconosciuto il diritto di governare […] in condizioni di
relativa autonomia, al fine di ottenere un buon funzionamento della società civile. Il potere temporale, tuttavia, può essere sempre sottoposto al controllo ed al giudizio finale della
Chiesa che fissa, da sola, i limiti dei suoi interventi, nella piena consapevolezza
della superiorità del proprio ufficio” (EGIDIO ROMANO, Il potere della Chiesa, Roma, 2000,introduzione p.
11).
L’opera di Egidio
si divide in tre parti: nella prima analizza il rapporto tra potere temporale e
spirituale; nella seconda il diritto di proprietà
da parte della Chiesa; nella terza confuta le obiezioni alla plenitudo potestatis Papae.
Il filo conduttore dell’opera
egidiana è “l’eminenza del potere spirituale
esercitato dal Papa […]
che rappresenta il grado di potere più
elevato, dal quale deriva il potere temporale” (op. cit., p. 14). “Il
Papa detiene i due poteri (temporale e spirituale), ma riserva per sé l’autorità spirituale ad
usum,
mentre può concedere ad nutum l’autorità temporale ai sovrani perché
la esercitino sotto il controllo e
la superiore visione della Chiesa” (op. cit., p. 15).
Gli autori maggiormente citati da Egidio
sono S. Agostino (una cinquantina di volte), Aristotele ed il suo maestro S.
Tommaso (circa trenta volte ciascuno).
Egli riprende dunque gli argomenti classici
del primato dell’anima sul corpo, l’argomento delle due spade di S. Bernardo e aggiunge nuove
considerazioni: la Chiesa consacra i re, perché
il sacerdozio precede ontologicamente ogni regalità umana, dato che l’atto precede ontologicamente
la potenza e il perfetto precede l’imperfetto (41); ogni potere viene da Dio,
sia quello pontificio sia quello regio, ma “non
egualmente
e immediatamente, anzi il potere regio lo
si riceve tramite quello pontificio”(42).
“Si può ritenere che il trattato di Egidio romano sia la più formale espressione della dottrina teocratica del potere
diretto in
temporalibus”(43).
“Tuttavia egli nega di voler
turbare il funzionamento del potere civile. Questo ha, infatti, la sua ragion d’essere, ma è sempre un potere secondario,anzi ausiliario di quello della Chiesa. È vero: la Chiesa non gestisce direttamente il dominio temporale [...].
Essa ha di meglio da fare che lasciarsi irretire dalle cure di questo tipo,
dato che, innanzi tutto e in via ordinaria e normale, si deve preoccupare della
sfera spirituale. Tuttavia sono infiniti i casi in cui si trova giustificato l’intervento della Chiesa nel dominio temporale e cioè ogni qualvolta che vi si trovi implicata anche la sfera
spirituale”(44).
GIACOMO
DA VITERBO (+1308) nel suo De
regimine cristiano (1301-1302)(45),
afferma che la Chiesa ha una reale
supremazia sullo Stato.
Tale teoria è
stata chiamata teocrazia o meglio ancora ierocrazia: il Papa ha la sovranità assoluta diretta
civile ed ecclesiastica in
temporali bus e in
spiritualibus, ma conserva
per sé la seconda e trasmette la prima al
principe; tale delega si esprime tramite
la cerimonia dell’ incoronazione del sovrano. Giacomo da Viterbo riprende la
teoria delle due spade, dell’anima e del corpo, e le elabora ed esplicita
approfondendo la teologia della Unam
sanctam di Bonifacio
VIII; naturalmente si basa anche e soprattutto
sugli scritti di Egidio Romano,
suo confratello agostiniano, e cerca
di conciliare il tomismo politico con
l’agostinismo.
Nella II pars del suo trattato Giacomo da Viterbo parla
del Pontefice romano, vicario di Cristo, che partecipa alle prerogative di
Colui di cui fa le veci. Cristo, vero Dio e vero uomo, ha un duplice potere:
divino e umano. Il potere divino è
onnipotente; Egli manifesta la sua onnipotenza creando dal nulla e mediante la
Provvidenza che conduce al loro fine le cose create, istante dopo istante. Cristo,
in quanto Dio Creatore e Provvido, è
re (da regere ossia
condurre le anime al loro fine) e la sua Umanità in virtù dell’Unione Ipostatica,
partecipa ai privilegi della sua Divinità.
Il suo Vicario, perciò,
ha la plenitudo potestatis sia nell’ordine
temporale che in quello spirituale; ma vuole – come
Cristo – esercitare solo la seconda. Tuttavia la
pienezza del potere in Cristo non è
identica a quella del Papa, nel quale essa è partecipata, e, mentre in Cristo vi è la pienezza di potere in grado eminente, nel Papa vi è solo in grado sufficiente. È
come per le perfezioni pure da ogni imperfezione(l’essere,
il vero,il bene...), che si trovano in Dio formaliter,
eminenter e nelle creature
formalmente, ma solo allo stato limitato, finito e creato. Il potere
sacerdotale e regale sono distinti, ma non incompatibili, cosicché la stessa persona può avere entrambi o decidere di trasferire ai
laici il potere regio e di mantenere per sé
quello spirituale, com’è nel caso del Papa. Le due forme di potere
derivano entrambe da Dio, come dalla loro causa efficiente; ma si differenziano poiché il potere spirituale deriva direttamente
da Dio
al Pontefice, mentre quello temporale
deriva al re indirettamente ossia tramite il Papa. Inoltre il fine del potere temporale è
la beatitudine terrena, che
è il fine prossimo dell’uomo ed è un mezzo affinché egli possa cogliere il suo fine
ultimo soprannaturale:
la Visione Beatifica. Quindi, ontologicamente,
il potere spirituale ha il primato su
quello temporale, ed essendo indirizzato al fine ultimo dell’uomo
ha il diritto di giudicare il potere temporale, che è ordinato soltanto al fine prossimo dell’uomo.
Il potere temporale sta a quello spirituale come l’inferiore
al superiore.
Per cui è
logico asserire che Cristo ha dato a Pietro e ai suoi successori le due forme
di potere, che Egli stesso aveva, anche se, come Cristo,Pietro non vuole
esercitare il potere temporale direttamente, ma lo conferisce al
principe, per non essere oberato e distratto dal suo compito principale e
specifico che è quello di condurre gli
uomini al loro fine ultimo soprannaturale: il Cielo. Tuttavia il Papa ha anche
un compito secondario che è quello di vigilare se il
principe usa bene del potere temporale, e in caso contrario il Pontefice interviene
e corregge il re e usa direttamente, anche se in maniera non
regolare, abituale, costante e universale; ma eccezionalmente e ratione peccati il potere temporale, che egli
possiede direttamente
ma che
non vuol utilizzare abitualmente e normalmente.
GLI OPPOSITORI
La dottrina ierocratica fu aspramente contestata,
tra il XIII e il XIV secolo, da Filippo il Bello, Dante Alighieri, Marsilio da
Padova (46),
Giovanni da Parigi O.P. e infine da Guglielmo di Occam (+1350).
Non è
il caso di dilungarmi ad esporre e confutare i loro errori; chi volesse
conoscerli può leggere con profitto J. J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico (Il Mulino, Bologna, 1989,vol.
I, pagg. 322-354). Mi limito,qui, a riassumere brevemente gli errori di
Marsilio e di Occam. Marsilio
da Padova vuole
assorbire la Chiesa gerarchica e il Papato nella Società civile, teorizzando così
la “laico-crazia” ossia il monismo del
potere temporale: il sacerdozio è in- globato nel regno in cui vi è una sola autorità
che è quella del principe.
Per Marsilio la vera Chiesa di Cristo non
è quella gerarchica romana, ma
è l’insieme
dei fedeli che si ispirano a Cristo; quindi tutti i cristiani, laici e
ecclesiastici, sono “uomini di Chiesa”.
La Chiesa perciò non è una società perfetta distinta dallo
Stato né ha una sua autorità: il Papa e il sacerdozio sacramentale; l’autorità è una sola, quella del
principe. Il sistema di Marsilio sfocia nella subordinazione della Chiesa allo
Stato e nell’assorbimento della Chiesa da parte dello
Stato nella “laico-crazia totalitaria ”.
Guglielmo d’Occam fu ancora più radicale di Marsilio. Egli non era soltanto un giurista e un
polemista, ma anche un filosofo e un teologo francescano di Oxford; a
differenza di Marsilio non tollerò
nessun totalitarismo monista, né ecclesiastico,né tanto meno laico, perché
aveva in orrore ogni autorità.
Inoltre, se per Marsilio il Concilio è superiore al Papa, per Occam neppure il Concilio è fonte di magistero infallibile; le uniche norme, per lui,sono
la S. Scrittura e la ragione. Il potere dell’imperatore
deriva dal popolo, non dal Papa e neppure da Dio.
(continua)
Note:
1 D. Th. C., vol. 23, col. 2714.
2 J.J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico. Vol. I. Antichità e Medioevo, op. cit. , pag. 266.
3 Ibidem, pag. 267.
4 P. L , t. CXLVIII, col. 818.
5 D. Th. C., vol 23, col. 2715.
6 P. L., ibidem, col. 790.
7 J. J. CHEVALIER, op. cit., pag. 270.
8 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, Il pensiero politico medievale, 1ª parte del II vol., Laterza, Bari,1959, pagg. 111 e 113.
9 J. J. CHEVALIER, op. cit. , pag. 272.
10 Ivi.
11 ROBERT W. & ALEXANDER J.CARLYLE, op. cit., 2ª parte del II vol., pagg. 540-541 e 543.
12 Ibidem, pag. 543.
13 M. GRESCHAT - E. GUERRIERO (a cura di), Il grande libro dei Papi, San Paolo, Milano, 3ª ed. 2000, I vol.,pag. 258.
14 J. J. CHEVALIER, op. cit., pag. 275.
15 Ibidem, pag. 276.
16 Ivi.
17 Lettera al re d’Ungheria, P.L., t. CCXIV, col 871.
18 P.L., t. CCVI, col. 1162
19 SIDNEY Z. EHLER - JOHN B. MORRALL, Chiesa e Stato attraverso i secoli, Vita e Pensiero, Milano,1958, pagg. 96-98.
20 AA. VV., I Papi e gli antipapi, TEA, Milano, 1993, pagg. 73-74.Il volume accoglie i profìli biogràfici di tutti i Pontefici ed antipapi. Le voci sono tratte dal Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, Torino, 4ª ed., 1984-1991.
21 Cfr. O. NUCCIO, Il pensiero economico italiano,Gallizzi, Sassari, 1984-1992, vol. I, tomo I, pagg.821-834.e vol. I, tomo II, pagg.1143-1178. 1187-1206. 1951-1962. 1963-1990. 1409-1540. 1493-1468.
1439-1468. 1697-1711.Cfr. Anche R. SPIAZZI O.P., Enciclopedia del pensiero sociale cristiano, ESD, Bologna, 1992, pp. 190-192
22 Potthast Regesta, n° 862. GIOVANNI XXII, nel 1317 scriveva: “Cui (Pontifici) in persona B. Petri, terreni simul et coelestis imperii jura, Deus ipse commisit”. (Extravagantes Jo. XXII,tit. 5).
23 D. Th. C., vol 23, col. 2727.
24 J. B. LO GRASSO S.J., Ecclesia et Status. Fontes selecti. Historiae Juris Publici Ecclesiastici, Gregoriana, Roma, 1952, pag. 194.
25 A. PARAVICINI BAGLIANI, Enciclopedia dei Papi, vol II, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma,
2000, pag. 390.
26 A. FLICHE-V. MARTIN, Storia della Chiesa, op.cit.vol. X, pagg. 310-311 e 319-320.
27 AA. VV., I Papi e gli antipapi, TEA, Milano,1993, pag. 82.
28 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, op. cit., III vol , 1967, pagg. 338-345.
29 In IVum Sent. , dist. XXXVII.
30 Ibid., ad IVum.
31 Quaestiones quodlib., XII, a.19 “in isto tempore reges sunt vassalli Ecclesiae”.
32 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, p. cit., III vol, 1967, pag. 373.
33 S.T., II-II, q.40, a.6, ad 3um.
34 E. GILSON, Le Thomisme. Introduction à la philosophie de Saint Thomas d’Aquin, Paris, 1965, 6ª ed., pag. 405.
35 J.J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico, vol I, Antichità e Medioevo, op. cit. , pag. 297.
36 D.Th.C., vol. 23, coll. 2736-2737.
37 A. FLICHE-V. MARTIN, Storia della Chiesa, op. cit. XI vol., pagg. 151 e 169.
38 SIDNEY Z. EHELER - JOHN B. MORRALL, op. cit., pag. 123.
39 AA. VV. , I Papi e gli antipapi, TEA, Milano,1993, pag. 89.
40 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, op. cit., III vol.,1967,pagg. 396-464, passim. Cfr. anche G. BOFFITTO-G. U. OXILIA, Un trattato inedito di Egidio Colonna. De ecclesiastica potestate, Libreria Internazionale, Firenze, 1908.
41 Cfr. EGIDIO ROMANO, De ecclesiastica potestate, I, 5, ed. di Firenze, 1908, pagg. 18-20. Cfr. M. DELLE PIANE, La disputa tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, in «Storia delle ideee politiche economiche e sociali», diretta da L. FIRPO, Utet, Torino, 1983, vol. 2, tomo II, Il Medioevo, pagg. 500-541.
42 Ibidem, II, 5, pag. 46.
43 D. Th. C., vol. 23, col. 2734.
44 J. J. CHEVALIER, op. cit., vol. I, pag. 318.
45 Di cui possediamo da poco un’edizione in lingua italiana: GIACOMO. DA VITERBO, Il governo della Chiesa, a cura di A. RIZZACASA e G. MARCOALDI, Nardini, Firenze, 1993.
46 Di cui possediamo, ora, una edizione latino-italiana del Defensor pacis : MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, BUR, Milano, 2001, 2 voll. Cfr. anche C. GIACON, Occam, Brescia, La Scuola, 1945.
Tratto da Si, si, no, no Anno XXXV n. 1; 15 Gennaio 2009 pag. 1-7
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