mercoledì 22 febbraio 2012

Santa Sede - FSSPX . «Magistero o tradizione vivente?», don Gleize denuncia un falso dilemma


Pubblico una recente interessantissima puntualizzazione di Don Jean-Michel Gleize che centra il problema all'origine dell'apparente "dialogo tra sordi" cui ci è dato assistere in quest'epoca di confusione e oscuramento della verità nel dibattito tra Santa Sede e FSSPX. Il problema non è solo ermeneutico, è molto più profondo, perché vede di fronte due concezioni diverse del magistero, frutto di una vera e propria rivoluzione copernicana, collegata con una nuova concezione di Chiesa, inutile nasconderselo:
  1. quella nata dal concilio, che ha spostato il fulcro di ogni cosa dall'oggetto al soggetto.
    Il Magistero bimillenario della Chiesa poteva dirsi 'vivente' nel senso che trasmetteva inverandolo in ogni generazione - ma curandone l'integrità nella sostanza: eodem sensu eademque sententia - il Depositum fidei della Tradizione Apostolica, fondamento oggettivo, dato, pur se sempre ulteriormente approfondito e chiarito nelle sue innumerevoli ricchezze
  2. il magistero attuale si dice invece vivente, in senso storicistico, perché portatore dell'esperienza soggettiva della Chiesa di oggi (che sarà diversa da quella di domani) perché soggetta all'evoluzione determinata dalle variazioni contingenti legate alle diverse epoche.
Insomma è cambiato il cardine su cui si fonda la Fede, spostato dall'oggetto-Rivelazione al soggetto-Chiesa/Popolo-di-Dio pellegrina nel tempo e di fatto trasferito dall'ordine dellaconoscenza a quello dell'esperienza.

Non può non essere conseguenza - del resto abbastanza ovvia - della nuova antropologia introdotta dal concilio, passata dal teocentrismo all'antropocentrismo: un uomo centrato su se stesso e non più fontalmente orientato a Dio con le innumerevoli implicazioni, anche in campo liturgico, che non possono ovviamente essere sviluppate qui. Frutto dello storicismo, del personalismo e di ogni altra spinta modernista, che hanno nutrito laNouvelle Théologie che la sta facendo tuttora da padrona, in una Chiesa non più docente ma dialogante, nella quale il munus docendi viene impropriamente esercitato dai teologi. [VediGaudium et spes 12 24 - Gaudium et Spes 22]

Mi ha colpito la conclusione del documento citato da don Gleize alla fine: una Catechesi del Papa sulla Tradizione di aprile 2006: « ...Concludendo e riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. » Sul 'succo' del discorso non possiamo che essere d'accordo; ma il vero problema sta nel fatto che quelle che vengono definite cose o parole come "collezione di cose morte", nella vulgata modernista vengono riferite al "magistero perenne" diventato "cosa morta" da sostituire sempre col magistero vivente, quello attuale...


«Magistero o tradizione vivente?», don Gleize denuncia un falso dilemma.

Durante una Conferenza del 25 gennaio scorso, a Sion (Svizzera), sul tema "magistero o tradizione vivente?" Don Jean-Michel Gleize, professore di ecclesiologia al Seminario di Ecône, ha fatto alcune precisazioni in ordine al suo studio Una questione cruciale, apparso sull'ultimo Courrier de Rome di dicembre 2011, destinato a corredo della risposta di mons. Fellay al "Preambolo dottrinale". Ecco gli estratti più significativi di questa conferenza:

« Ci si obietta insomma che il magistero vivente, non quello di ieri, è oggi il solo degno di questo nome. Solo il magistero attuale è capace di dire ciò che è conforme alla Tradizione e ciò che le è contrario, perché solo esso rappresenta il magistero vivente intereprete della Tradizione. Dunque, delle due l'una: o noi rifiutiamo il Vaticano II giudicandolo contrario alla Tradizione, ma contraddicendo il solo magistero possibile, il magistero vivente, che è quello di oggi (quello di Benedetto XVI), allora noi non siamo cattolici ma protestanti; oppure decidiamo di non essere protestanti e siamo obbligati ad accettare il Vaticano II per obbedire al magistero vivente, che è quello di oggi, il quale dichiara che il concilio è conforme alla Tradizione. C'è un dilemma, cioè un problema senza soluzione apparente, al di fuori delle due indicate: se si vuole sfuggire ad uno dei due ambiti, non si scappa dall'altro. Ma in realtà questo dilemma è falso. perché ci sono dei falsi dilemmi. (...)

Le due alternative sono evitabili, entrambe nelle stesso tempo, perché esiste una terza soluzione. È possibile rifiutare il Vaticano II senza essere protestanti e obbedendone al magistero; è possibile di non essere protestanti e di obbedire al magistero senza accettare il Vaticano II (...) Il dilemma è falso, perché si mostra che esiste una terza alternativa. La nostra risposta consiste dunque nel distinguere:

(...) il magistero vivente si dice non in opposizione al magistero passato; esso si dice in opposizione al magistero postumo. Il Magistero vivente è quello del presente, ma anche quello del passato. L'obiezione che ci viene fatta consiste nell'assimilare magistero vivente al magistero presente, e ad opporre questo magistero vivente a quello passato. Questa assimilazione ha luogo perché ci si pone esclusivamente dal punto di vista del soggetto. Non si distingue più tra i due punti di vista: quello della funzione (in cui il magistero vivente è nello stesso tempo presente e passato) e quello del soggetto (in cui il magistero vivente non è che presente). Si confondono i due punti di vista e si riduce così il magistero vivente a quello presente.

Il sofisma che ci si oppone consiste nel confondere i due sensi dell'aggettivo "vivente" attribuito al magistero. Noi diciamo che il magistero vivente ricopre tutto il magistero passato e presente, o ci poniamo così nel giusto punto di vista della costanza di una funzione sempre in vigore, il cui atto è definito attraverso l'oggetto. Chi obbietta, si pone dal punto di vista del soggetto e pretende che il magistero vivente coincida esclusivamente col magistero di un individuo in vita al momento presente.

Perché questa confusione? Perché ridurre il magistero vivente al magistero del presente? Perché si è voluto inventare, dopo il Vaticano II, un nuovo magistero. Il magistero è ridefinito, perché ha per obbiettivo quello di esprimere la continuità di un soggetto e non più quella di un oggetto. Continuità di un soggetto, ci dice Benedetto XVI nel discorso del 2005, 'che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino'. Per Roma, il magistero vivente è precisamente il magistero di Benedetto XVI, in opposizione al magistero di san Pio X o di Pio XII. E questo magistero èattuale perché è soggettivo, perché esprime la continuità d'un soggetto. È uno dei presupposti della Tradizione vivente, nel discorso del 2005.

Il magistero non si definisce più in funzione della verità eterna e atemporale della rivelazione (che rimane la stessa passata, presente o futura che sia). Questo nuovo magistero si definisce in funzione del soggetto presente dell'autorità, lui stesso organo di un altro soggetto più fondamentale che è l'unico Popolo di Dio in cammino attraverso il tempo. Il magistero vivente è sempre quello di questo tempo presente, perché si situa in riferimento al Popolo di Dio che vive in questo tempo presente. Il ruolo del magistero è di assicurare la continuità di una esperienza, è lo strumento dello Spirito che alimenta la comunione 'assicurando il collegamento fra l'esperienza della fede apostolica, vissuta nell'originaria comunità dei discepoli, e l'esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa' (Benedetto XVI "La comunione nel tempo: la Tradizione", allocuzione del 26 aprile 2006, L'Osservatore Romano n.18 del 2 maggio 2006, p.12) »

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