“ Che gli
spiriti dei mortali disprezzino le realtà visibili, per non desiderare
più che i beni invisibili, è certo il maggiore dei miracoli e l'opera
manifesta dell'ispirazione di Dio ”[1]. La virtù eroica dei santi è
quindi l'indizio più eloquente della divinità della Chiesa. E di
solito, questo indizio è esso stesso autentificato, riceve il sigillo
della Chiesa che si porta garante della sua propria santità: è la
canonizzazione, atto solenne con cui il sommo pontefice giudicando in
ultima istanza ed emettendo una sentenza definitiva dichiara la virtù
eroica di un membro della Chiesa.
La
canonizzazione rientra nella categoria dei fatti disciplinari, in cui i
teologi classificano le varie leggi promulgate per il bene di tutta la
Chiesa e che corrispondono all'oggetto secondo del magistero
infallibile. Ne fanno parte la legge liturgica universale che prescrive
il modo di rendere a Dio il culto che gli è dovuto; la canonizzazione,
che è la legge con cui la Chiesa prescrive la venerazione di un fedele
defunto che in vita abbia praticato la santità perfetta;
l'approvazione solenne degli ordini religiosi, che è la legge con cui
la Chiesa prescrive il rispetto e la stima per una regola di vita che è
un mezzo certo di santificazione. L'infallibilità di queste leggi si
spiega perché la Chiesa con esse dà a tutti i fedeli l'espressione dei
mezzi richiesti per la conservazione del deposito della fede[2].
Queste leggi non sono quindi l'espressione di un potere puramente
legislativo; esse corrispondono formalmente all'esercizio di un potere
magisteriale, perché, alla radice, mettono in gioco la rivelazione[3].
Stabilendo infallibilmente certi fatti, che sono al di fuori del
dominio delle verità rivelate, la Chiesa presuppone la professione di un
principio formalmente rivelato, che si tratta di difendere, tramite le
sue applicazioni concrete.
Su
questo come su altri punti, l'aggiornamento conciliare doveva lasciare
delle tracce. Le riforme derivate dal concilio Vaticano II hanno
toccato tutti i campi. Si è imposto e s'impone ancora ai fedeli
cattolici non solo un nuovo magistero ed una nuova teologia, ma anche
una nuova liturgia, una nuova messa, dei nuovi riti sacramentali, dei
nuovi santi, delle nuove canonizzazioni e infine delle nuove comunità,
dei nuovi “ ordini ”, dei movimenti di cui ci si può chiedere in cosa
sarebbero religiosi. Tutto ciò non può non porre dei problemi reali, il
più spinoso dei quali è sicuramente quello dell'infallibilità di
queste nuove leggi. Ora, la questione dell'infallibilità dipende essa
stessa da un'altra che è quella della validità di tale legislazione.
Infatti, queste leggi sono infallibili in quanto leggi, allo stesso
modo in cui un insegnamento del magistero è (a certe condizioni)
infallibile in quanto è precisamente atto di magistero. L'infallibilità
è una proprietà che presuppone la definizione essenziale dell'atto al
quale corrisponde. Se si cambia tale definizione, per ciò stesso si
cambia anche la proprietà che ne deriva. Se l'atto diventa dubbio, lo
diventa anche la sua infallibilità. Perciò, se si vuole risolvere la
difficoltà posta da queste novità postconciliari, ci sono solo due
soluzioni. Nella prima soluzione, constatiamo che le nuove leggi nate
dal Vaticano II sono leggi legittime alle condizioni volute e allora si
deve dire che esse sono infallibili. Nella seconda soluzione,
constatiamo che queste nuove iniziative nate dal Vaticano II sono il
più delle volte dubbie e non presentano più le garanzie sufficienti
perché si possa riconoscere in esse delle leggi legittime, nel senso
tradizionale del termine e ciò autorizza a dubitare della loro
infallibilità. Ma, in ogni caso, non è possibile dare una soluzione
ammettendo che queste nuove iniziative postconciliari sono leggi
legittime alle condizioni volute e negando che siano infallibili.
Perché questa infallibilità, benché ancora non definita solennemente, è
un dato acquisito di tutta la teologia secolare e dell'insegnamento del
magistero ordinario: si può dire che essa sia prossimamente definibile
e che sarebbe temerario negarla. Seguendo Mons. Lefebvre, noi
difendiamo la seconda soluzione. Noi diciamo che la nuova legislazione
postconciliare (nuova messa e nuova liturgia, nuove canonizzazioni,
nuovo diritto canonico) non è infallibile e non vincola, perché abbiamo
serie ragioni di dubitare della sua stessa natura di legge. In questa
argomentazione, tutto dipenderà dalla legittimità delle nuove
canonizzazioni e delle nuove beatificazioni.
In
una prima parte, ricorderemo i principi tradizionali concernenti la
natura e l'infallibilità delle canonizzazioni, riguardo alla
beatificazione. In una seconda parte, esamineremo le difficoltà poste
dalle iniziative postconciliari.
PRIMA PARTE - I PRINCIPI TRADIZIONALI
Per
procedere con ordine, in questa prima parte cominceremo col definire
la beatificazione e la canonizzazione (§ 1) prima di mostrare che la
canonizzazione è infallibile in quanto tale e prescindendo dalla
circostanza sopraggiunta con l'aggiornamento del Vaticano II (§ 2).
1) Alcune definizioni
a) La beatificazione
La
beatificazione è un atto con cui il sommo pontefice concede il
permesso di rendere un culto pubblico al beatificato, in alcune parti
della Chiesa, fino a che il beato sia canonizzato. Questo atto dunque
non è un precetto; è un atto temporaneo e non definitivo; è
riformabile. La beatificazione si riduce a permettere il culto. L'atto
di beatificazione non enuncia direttamente né la glorificazione né le
virtù eroiche del servo di Dio beatificato[4].
b) La canonizzazione
La
canonizzazione è l'atto con cui il vicario di Cristo giudicando in
ultima istanza e emettendo una sentenza definitiva iscrive nel registro
dei santi un servo di Dio precedentemente beatificato. L'oggetto della
canonizzazione è triplice, perché questo atto non concerne solo il
culto. Il papa dichiara in primo luogo che il fedele defunto è nella
gloria del paradiso; in secondo luogo dichiara che il fedele defunto ha
meritato di giungere a questa gloria esercitando delle virtù eroiche
che valgono d'esempio per tutta la Chiesa; in terzo luogo, per dare
meglio d'esempio queste virtù e ringraziare Dio di averle rese
possibili, prescrive che venga reso un culto pubblico a questo fedele
defunto. Su questi tre punti: la canonizzazione è un precetto; essa
vincola tutta la Chiesa; è un atto definitivo e irriformabile. Il
registro dei santi non è il Martirologio; e d'altronde l'espressione “
iscrivere nel registro dei santi ”non si riferisce ad un documento
materiale, ma evoca solo l'intenzione della Chiesa che, con l'atto
della canonizzazione, annovera ormai nel numero dei suoi santi il nuovo
canonizzato e impone a tutti i fedeli di venerarlo come tale. L'atto
della canonizzazione dichiara in modo definitivo la santità del
canonizzato così come la sua glorificazione e di conseguenza ne
prescrive il culto a tutta la Chiesa; altra cosa è il prescrivere alla
Chiesa universale la celebrazione della messa e la recita dell'ufficio
in onore di quel santo: è una determinazione che esige un atto
supplementare, specifico e distinto della canonizzazione. L'iscrizione
di un personaggio nel Martirologio non significa la canonizzazione
infallibile di quest'ultimo. Il Martirologio è la lista che racchiude
non solo tutti i santi canonizzati, ma anche i servi di Dio che hanno
potuto essere beatificati, sia dal Sommo Pontefice, sia dai vescovi
prima del XII secolo, data in cui il papa si riserva il privilegio di
procedere alle beatificazioni ed alle canonizzazioni. I titoli di “
sanctus ” o di “ beatus ” nel Martirologio non hanno il significato
preciso che permetterebbe di fare il distinguo tra santo canonizzato e
beato.
c) Similitudini e differenze
La
beatificazione e la canonizzazione hanno entrambe come oggetto di
rendere possibile il culto di un fedele defunto, il che presuppone che
quel fedele abbia esercitato in vita delle virtù esemplari e ottenuto
la gloria. La differenza è che la beatificazione non fa che rendere
quel culto possibile (è un permesso) e non fa che supporre la gloria e
le virtù esemplari; mentre la canonizzazione rende quel culto
obbligatorio (è un precetto) ed impone ai fedeli di credere
esplicitamente alla realtà della gloria e delle virtù eroiche del
santo. In tutto ciò, l'essenziale è la virtù esemplare (o eroica) del
fedele defunto ed è quella che si cerca di verificare nei due processi,
quello della beatificazione e quello della canonizzazione. Infatti, il
culto presuppone questa virtù come l'effetto presuppone la sua causa. I
miracoli sono essi stessi presi in considerazione solo come segni che
attestano la virtù eroica. Senza virtù eroica, non c'è santità né
venerazione.
d) Conseguenze
Esiste
una differenza tra un santo ed un santo canonizzato. La canonizzazione
non causa ma indica la santità di una persona. E la indica come
esempio. Questo spiega perché non si canonizzino né tutte né molte
persone. L'esempio, per essere eloquente, deve essere unico o raro.
Moltiplicare i santi equivale a sminuire la loro esemplarità[5]:
quand'anche i santi fossero numerosi, un piccolo numero di essi e non
la maggior parte dovrebbero essere elevati sugli altari. D'altra parte,
la Chiesa dà sempre gli esempi di cui i fedeli hanno bisogno, nel
contesto di un'epoca. In questo senso, la canonizzazione è un atto
politico, nella migliore accezione del termine: non un atto di demagogia
partigiana, ma un atto che procura il bene comune di tutta la Chiesa,
un atto di rilevanza sociale, un atto che tiene conto delle
circostanze. Santa Giovanna d'Arco è stata canonizzata nel 1920, più di
500 anni dopo la sua morte; santa Teresa del Bambin Gesù lo è stata
nel 1925, meno di 30 anni dopo la sua morte. I due esempi furono utili
alla Chiesa, ma il primo sarebbe stato difficilmente capito prima, o
troppo presto, prima che la distanza del tempo avesse sbiadito il
contesto e le conseguenze di una lotta secolare...C'è un'altra
differenza da osservare, tra salvezza e santità. Una persona morta in
odore di santità è salva. Ma ci si può salvare senza aver vissuto come
un santo. Agli occhi dei fedeli, la canonizzazione ha come scopo
principale ed effetto immediato di segnalare (per darla d'esempio) la
santità di vita. Anche se si sono potute salvare ed andare in paradiso,
non si canonizzano delle persone che in vita non hanno dato esempi di
santità
2) L'infallibilità
Tale
questione è duplice. Innanzitutto, il giudizio del sommo pontefice è
infallibile quando canonizza un santo (§ 2.1)? Inoltre, è verità di
fede che questo giudizio sia infallibile, di modo che il negarlo
equivarrebbe ad enunciare un'eresia (§ 2.2)? Si potrebbe già rispondere
a ciascuna di queste due domande, basandosi sui discorsi di papa Sisto
V (1585-1590) in occasione del primo concistoro che precedette la
canonizzazione di san Didazio nel 1588: “ Il papa dimostrò
appoggiandosi sulle Sacre Scritture, sugli argomenti della ragione
presi dalla teologia e su ogni sorta di prove che il Pontefice romano,
vero successore di san Pietro e principe degli apostoli per il quale
Cristo ha pregato chiedendo che la sua fede non venisse meno, quel
Pontefice che è il vero capo della Chiesa, fondamento e colonna della
verità che dirige e guida lo Spirito Santo, non può sbagliarsi né essere
indotto in errore quando canonizza i santi. E affermò che tale verità
deve non solo essere creduta come una pia credenza, ma costituisce
l'oggetto di un atto di fede certissimo e necessario; e per stabilire
questo punto produsse tutti gli argomenti di peso e d'autorità divina.
Aggiungendo anche, cosa assai manifesta, che le leggi della Chiesa e del
papa sono certe e sicure se concernono la disciplina della fede e dei
costumi e si fondano su dei principi certi e dei fondamenti solidi
”[6]. Nondimeno, queste parole del papa emanano da lui come da un
dottore privato. Perciò si deve esaminare questa duplice questione più
dettagliatamente e considerare le ipotesi dei vari teologi.
2.1) La canonizzazione è infallibile
L'infallibilità
delle canonizzazioni oggi è dottrina comune e certa per la maggior
numero dei teologi[7]. E tutti i manuali dopo il Vaticano I (e prima
del Vaticano II), da Billot fino a Salaverri, lo insegnano come una
tesi comune in teologia[8].
Il principale rappresentante degli avversari dell'infallibilità delle canonizzazioni è Cajetan (1469-1534) nel suo Trattato delle indulgenze,
nel capitolo 8. Secondo lui, l'infallibilità di una canonizzazione non è
né necessaria né possibile[9]. Questa opinione prima di Cajetan era già
difesa da Agostino Trionfo o Agostino d'Ancona (1243-1328), nella sua Somma sul potere della Chiesa.
Il suo ragionamento fondamentale è identico a quello di Cajetan.
Consiste nel dire che, non potendo giudicare direttamente l'intimo delle
coscienze, la Chiesa non può discernere infallibilmente la santità di
una persona. A partire dal Vaticano II, alcuni teologi conciliari hanno
ripreso questa posizione anti-infallibilista. Alcuni di loro hanno
addotto le difficoltà d'ordine storico per mettere in dubbio
l'infallibilità delle canonizzazioni[10]. L'opinione difesa da Agostino
d'Ancona e Cajetan è stata ripresa recentemente da padre Daniel Ols.
op. professore dell'Università pontificia dell'Angelicum e relatore
della Congregazione per la causa dei santi, in uno studio sui Fondamenti teologici del culto dei Santi[11]. Infine, Mons. Brunero Gherardini, in un articolo pubblicato nella rivista Divinitas[12],
traccia un bilancio della controversia sull'argomento. Questo studio
rinnova la problematica nella misura in cui tiene conto delle varie
reazioni suscitate dalle recenti canonizzazioni di Giovanni Paolo
II[13]. La fine dell'articolo[14] presenta una serie di obiezioni che
andrebbero in direzione dell'infallibilità.
Seguendo
san Tommaso[15], la maggior parte dei canonisti[16] e dei teologi[17]
difendono la tesi dell'infallibilità delle canonizzazioni. Notiamo che
il problema posto è molto preciso: san Tommaso non si chiede se il papa è
infallibile quando canonizza un santo. La sua problematica riguarda il
sapere se tutti i santi che sono canonizzati dalla Chiesa siano in
gloria o se alcuni di essi possano trovarsi all'inferno. Questo modo di
porre il problema orienta già tutta la risposta. Per san Tommaso, la
canonizzazione richiede l'infallibilità prima di tutto perché comporta
la professione di una verità che è virtualmente rivelata. Ciò non
esclude gli altri due aspetti: l'esempio della vita del santo e il culto
prescritto. Ma esiste un ordine tra i tre giudizi che il papa enuncia
allorché canonizza un santo. Il primo giudizio verte su un fatto
teorico ed enuncia che una persona defunta ha perseverato fino alla
fine nella pratica eroica della virtù soprannaturale e ora è
glorificata nella beatitudine eterna. Il secondo giudizio fa imitare a
tutta la Chiesa come esemplari le virtù eroiche messe in pratica in
vita dalla persona canonizzata. Il terzo giudizio è un precetto che
impone il culto pubblico di quel santo a tutta la Chiesa. La
canonizzazione dà come esempio le virtù eroiche del santo e rende il
suo culto obbligatorio. Ma essa presuppone innanzitutto il fatto della
glorificazione di quel santo. Benedetto XIV, che cita e fa sue queste
riflessioni di san Tommaso, considera che il giudizio della
canonizzazione si basi in ultima analisi sull'enunciato di una verità
speculativa, dedotta dalla rivelazione[18].
Resta
da provare che questo triplice giudizio sia infallibile. Per farlo,
non disponiamo di argomenti di autorità di magistero, perché
l'infallibilità delle canonizzazioni non è definita come un dogma. San
Tommaso si accontenta di fornire quello che sarebbe l'equivalente di un
argomento d'autorità: una riduzione all'assurdo. Se vogliamo, è
l'autorità dei primi principi della ragione e della logica. Ci sono due
riduzioni: se si nega l'infallibilità della canonizzazione s'incorre
in un doppio pregiudizio inverosimile da una parte nell'ordine pratico e
dall'altra nell'ordine speculativo. Prima riduzione all'assurdo
sull'ordine pratico: se la canonizzazione non fosse infallibile, i
fedeli potrebbero venerare come santo un peccatore; quelli che
l'avessero conosciuto da vivo sarebbero portati a credere sull'autorità
della Chiesa che il suo stato di peccatore in realtà non fosse tale ;
ora questo sarebbe come confondere nella mente dei fedeli la virtù e il
vizio e sarebbe un errore pregiudizievole per la Chiesa. Seconda
riduzione all'assurdo sul piano teorico: sant'Agostino dice che se c'è
un errore nell'insegnamento della rivelazione divina, consegnata nelle
Scritture, la fede viene privata del suo fondamento; ora, così come la
nostra fede si fonda sull'insegnamento delle Scritture, si basa anche
sull'insegnamento della Chiesa universale; dunque, se si trova un
errore nell'insegnamento della Chiesa universale, similmente la nostra
fede è privata del suo fondamento; ora Dio non può privare la nostra
fede del suo fondamento; dunque gli insegnamenti della Chiesa
universale, tra cui la canonizzazione, devono essere infallibili come
l'insegnamento delle Scritture. Dominique Bannez completa questa
argomentazione precisando che se si afferma la possibilità d'errore
nella canonizzazione dei santi, si scandalizza la Chiesa militante nei
suoi costumi, si rende sospetta la sua professione di fede, e si fa
ingiuria alla Chiesa trionfante del cielo.
Per
corroborare questi argomenti difensivi, san Tommaso utilizza in
seguito un argomento della ragione teologica. Il giudizio della
canonizzazione è un giudizio del papa in una materia che implica una
certa professione di fede, poiché venerare un santo ed imitare le sue
virtù è dire implicitamente che lo si crede giunto alla gloria del
cielo. Ora, nelle materie che riguardano la professione di fede, il
giudizio del papa è infallibile perché Dio lo ha promesso. Il giudizio
della canonizzazione quindi è infallibile. E' qui che possiamo
ricorrere ai chiarimenti dati da Giovanni di san Tommaso, per capire
perché l'assistenza divina qui sia richiesta in modo particolare. Il
giudizio della canonizzazione può intendersi come una conclusione che
risulta dalle due premesse. La prima è una condizione formalmente
rivelata: chiunque perseveri fino alla fine nella pratica eroica delle
virtù soprannaturali ottiene la ricompensa eterna nella gloria. La
seconda è un fatto probabile, attestato dalle testimonianze umane: tale
fedele ha perseverato fino alla fine nella pratica eroica delle virtù
soprannaturali. La conclusione derivante da queste due premesse quindi è
ottenuta per mezzo di testimonianze, ed è per questo che essa non
deriva da una vera dimostrazione scientifica, assolutamente vincolante.
Il giudizio della canonizzazione fa intervenire un ragionamento che i
vecchi logici avrebbero considerato come probabile. Vi si ritrova ciò
che normalmente deve verificarsi in ogni ragionamento teologico, poiché
la proposizione enunciata in conclusione qui si ricollega, benché
indirettamente, ad una verità di fede[19]. Tale legame è solo indiretto
perché, tra la verità formalmente rivelata e la conclusione,
interviene la mediazione di una verità la cui certezza non è più quella
della fede. Ma anche se solo indiretto, il legame esiste e la
conclusione si radica nonostante tutto in una professione di fede
formale ed esplicita. La differenza che porta a dire che questo
ragionamento è soltanto probabile è che, per stabilire una conclusione
teologica, si passa da una proposizione razionale evidente e certa;
mentre per stabilire il giudizio della canonizzazione si passa dalle
testimonianze. Ecco perché l'assistenza divina è necessaria, proprio a
livello del discernimento di queste testimonianze: l'infallibilità non
potrebbe accompagnare una iniziativa in cui ci si appella alla
contingenza e la cui certezza resta soltanto probabile.
Si
potrebbe obiettare che se si considera la canonizzazione come
infallibile, la si mette sullo stesso piano delle solenni definizioni ex cathedra, cosa
che pare inconcepibile. Benedetto XIV risponde con tutta la tradizione
teologica più sicura[20] che una tale assimilazione è al contrario
nell'ordine delle cose. Certo, non si può ridurre univocamente la
canonizzazione alla definizione dogmatica infallibile; ma si può
nondimeno considerare che l'atto del magistero solenne infallibile si
realizzi in modi analogicamente diversi. Un atto del papa che ha per
fine la conservazione del bene comune di tutta la Chiesa è un atto di
definizione infallibile. Ora, il papa conserva il bene comune di tutta
la Chiesa non solo quando agisce strettamente come Dottore supremo, per
insegnare ma anche quando agisce più ampiamente come Pastore supremo,
per governare. L'insegnamento del dottore non esaurisce tutta l'attività
del pastore. E spetta al pastore fare delle leggi che provvedano al
bene comune di tutta la Chiesa: in quanto tali, queste leggi non
esprimono la verità formalmente rivelata; ma, nella misura in cui esse
sono stabilite per il bene dell'unità di fede, sono analoghe alla
definizione infallibile[21]. Aggiungiamo una ragione supplementare per
giustificare questa analogia: infatti sopra abbiamo dimostrato,
appoggiandoci a san Tommaso ed ai suoi commentatori, che se la
canonizzazione è di conseguenza un esempio ed una legge, essa è anche
formalmente e innanzitutto una professione mediata di fede. A questo
titolo potremmo già assimilarla ad una definizione. La canonizzazione
potrebbe ricondursi all'esercizio del magistero solenne infallibile e
personale del sommo pontefice, a motivo del suo oggetto secondario. Tra
altri autori, padre Salaverri cita degli esempi in cui vediamo che i
termini usati dai papi Pio XI e Pio XII esprimono senza alcun dubbio
possibile la loro esplicita volontà di esercitare un atto solenne
infallibile[22]. E Mons. Lefebvre diceva spesso che papa san Pio V
aveva “ canonizzato il rito della messa ”: voleva esprimere così
l'infallibilità delle leggi liturgiche per analogia con quella delle
canonizzazioni; e supponeva dunque quest'ultima come equivalente molto
probabilmente ad un atto personale del magistero solenne del papa.
2.2) Il valore dottrinale di questa infallibilità
Benedetto
XIV[23] dimostra che i teologi non sono unanimi quando si tratta di
pronunciarsi sul valore dottrinale dell'infallibilità delle
canonizzazioni. Alcuni ritengono che tale infallibilità non sia un dogma
di fede definito: tra questi, notiamo i domenicani Giovanni di san
Tommaso e Domenico Bannez, il gesuita Francesco Suarez e i Carmelitani
di Salamanca. Altri credono che tale conclusione equivalga ad un dogma
di fede. Osserviamo che il problema è duplice: il valore dottrinale
dell'infallibilità della canonizzazione si scompone in due aspetti. C'è
il valore dell'assenso richiesto da parte nostra al fatto teorico su
cui verte il giudizio della canonizzazione: è di fede definita che un
santo canonizzato sia indubitabilmente nella gloria del paradiso? E c'è
il valore dell'infallibilità dell'atto della canonizzazione: è di fede
definita che il papa non possa sbagliare quando procede all'atto della
canonizzazione? Gli autori (Benedetto XIV, Giovanni di san Tommaso e
Bannez) s'interessano ai due aspetti, ma privilegiano soprattutto il
primo.
E' di fede definita che un
santo canonizzato sia indubitabilmente nella gloria del paradiso? La
tesi più comune in teologia è quella in cui si dimostra che la
glorificazione di un santo canonizzato possa essere infallibilmente
definita non come di fede, cioè come rivelata formalmente ma come
rivelata virtualmente. Negare questa verità non comporta la nota
d'eresia perché non è una verità formalmente rivelata e perché la sua
negazione porterebbe pregiudizio alla fede solo indirettamente: se
questa verità rivelata virtualmente costituisce l'oggetto di una
definizione infallibile nel contesto dell'atto della canonizzazione,
essa sarà definita non come di fede divina e cattolica ma come certa o di fede cattolica; negarlo sarebbe dunque erroneo o falso;
e secondo Giovanni di san Tommaso sarebbe anche: scandaloso per tutta
la Chiesa perché indurrebbe i fedeli a peccare dando loro come esempio
un dannato; empio perché sarebbe contrario al culto dovuto a Dio;
ingiurioso perché andrebbe contro l'onore dovuto al santo canonizzato.
E'
di fede definita che il papa non possa sbagliare quando canonizza un
santo? Benedetto XIV afferma che l'infallibilità dell'atto della
canonizzazione non è ancora definita come di fede ma che potrebbe
esserlo. A favore di tale eventualità, si può considerare che il
concilio di Trento nei suoi decreti insegna che si deve rendere un
culto ai canonizzati[24]; che si devono venerare le loro reliquie[25]. E
nelle bolle di canonizzazione merita la censura “ sapiens hæresim et
proximum errori in fide ”. Perché ciò equivarrebbe a mettere in
causa il potere ecclesiastico ed il buon governo della società della
Chiesa, a negare l'infallibilità delle leggi universali che hanno il
fine di salvaguardare la fede e i costumi. Benedetto XIV afferma che
negare tale infallibilità equivarrebbe se non alla nota di eresia
almeno a quella della temerarietà; questa negazione implicherebbe anche
ingiuria ai santi e scandalo per la Chiesa. Meriterebbe in tal modo le
sanzioni più gravi[26].
SECONDA PARTE - LE DIFFICOLTA' DERIVATE DAL CONCILIO
Di
fatto, la difficoltà fino a questo punto si pone senza possibilità di
discussione con un'unica canonizzazione, quella di José-Maria Escrivà
de Balaguer (1902-1975), beatificato il 17 maggio 1992 e canonizzato il
6 ottobre 2002, da papa Giovanni Paolo II. Ci sono anche due
beatificazioni sorprendenti (quella di Giovanni XXIII e quella di Madre
Teresa), ma visto che la beatificazione non è infallibile, il problema
fino ad ora non aveva la stessa urgenza. Non è la stessa cosa con
l'annuncio ufficiale della beatificazione prossima di Giovanni Paolo
II, perché quest'ultima legittimerà, in modo particolarmente sensibile,
l'operato di questo pontefice, cioè l'attuazione del concilio Vaticano
II, principalmente sui due punti cruciali del principio della libertà
religiosa e dell'ecumenismo. D'altra parte, se è vero che una
beatificazione è un atto transitorio, che ha per suo fine normale la
canonizzazione, abbiamo motivo di temere, a causa della posta in gioco,
che il fascicolo Giovanni Paolo II non si fermi ora che è sulla buona
strada. Qui come altrove, i cattolici hanno di che motivare la propria
perplessità. Senza pretendere di fornire la chiave di tutta la faccenda
(che è riservata a Dio), possiamo almeno rilevare tre difficoltà
maggiori, che bastano a rendere dubbia la fondatezza di queste
beatificazioni e canonizzazioni nuove. Le prime due rimettono in causa
l'infallibilità e la sicurezza di questi due atti. La terza rimette in
causa la loro stessa definizione.
1) Prima difficoltà: L'insufficienza della procedura
L'infallibilità
non evita una certa diligenza umana. L'assistenza divina che causa
l'infallibilità delle definizioni dogmatiche si esercita alla maniera
di una Provvidenza. Quest'ultima, lungi dall'escludere che il papa
esamini con cura le fonti della rivelazione trasmesse dagli apostoli,
esige al contrario questo esame per sua stessa natura. In occasione del
concilio Vaticano I, il relatore incaricato di difendere in nome della
santa Sede il testo del capitolo IV della futura costituzione Pastor æternus, definendo l'infallibilità personale del papa, insistette su questo punto.
“ L'infallibilità del pontefice romano è ottenuta non con la
rivelazione né con l'ispirazione ma con l'assistenza divina. Perciò il
papa, in virtù della sua funzione, e a causa dell'importanza del fatto è
tenuto a usare i mezzi richiesti per mettere sufficientemente in luce
la verità ed enunciarla correttamente; e questi mezzi sono i seguenti:
riunione dei vescovi, dei cardinali, dei teologi e ricorso ai loro
consigli. Questi mezzi saranno differenti secondo le materie trattate e
dobbiamo proprio credere che quando Cristo promise a san Pietro ed ai
suoi successori l'assistenza divina, questa promessa racchiudesse anche
i mezzi richiesti e necessari affinché il Pontefice potesse enunciare
infallibilmente il suo giudizio ”[27] .
Ciò
è ancora più vero per la canonizzazione: questa presuppone la più
seria verifica delle testimonianze umane che attestano la virtù eroica
del futuro santo, così come l'esame della testimonianza divina dei
miracoli, almeno due per la beatificazione e ancora altre due per una
canonizzazione. La procedura seguita dalla Chiesa fino al Vaticano II
era espressione di questo estremo rigore. Il processo di canonizzazione
presupponeva esso stesso un doppio processo compiuto in occasione
della beatificazione, uno che si svolgeva davanti al tribunale
dell'Ordinario, che agiva in proprio nome; l'altro che era di esclusiva
competenza della Santa Sede. Il processo di canonizzazione comportava
l'esame del breve di beatificazione, seguito dall'esame dei due nuovi
miracoli. La procedura terminava quando il Sommo Pontefice firmava il
decreto; ma prima di apporre quella firma, teneva tre concistori
successivi.
Con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiæ universæ del 15 agosto 1967 ed il motu proprio Sanctitatis clarior del
17 marzo 1969 papa Paolo VI ha modificato questa procedura:
l'innovazione essenziale è la sostituzione del duplice processo
dell'Ordinario e della Santa Sede con un unico processo che è ormai
guidato dal vescovo in virtù della sua propria autorità, e col sostegno
di una delegazione della Santa Sede. La seconda riforma ha avuto luogo
in seguito alla promulgazione del Nuovo Codice del 1983, con la
Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister di
Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983. Questa particolare legge cui
ormai rimanda il Codice, abroga ogni disposizione precedente. Essa è
completata da un decreto del 7 febbraio 1983. Secondo queste nuove
norme, l'essenziale del processo è affidato alle cure del vescovo
Ordinario: questi indaga sulla vita del santo, i suoi scritti, le sue
virtù ed i suoi miracoli e costituisce un fascicolo trasmesso alla Santa
Sede. La Sacra Congregazione esamina tale fascicolo e si pronuncia
prima di sottoporre il tutto al giudizio del papa. Sono richiesti un
solo miracolo per la beatificazione e ancora uno solo per la
canonizzazione.
L'accesso al
fascicolo dei processi di beatificazione e di canonizzazione non è
agevole, cosa che non ci dà nessuna possibilità di verificare la
serietà con cui è applicata questa nuova procedura. Ma è innegabile
che, presa di per sé, essa già non sia rigorosa come la vecchia. Essa
realizza ancor meno le garanzie richieste da parte degli uomini di
Chiesa affinché l'assistenza divina assicuri l'infallibilità della
canonizzazione, e a maggior ragione l'assenza di errore di fatto nella
beatificazione. D'altronde, papa
Giovanni Paolo II ha deciso di fare uno strappo alla procedura
attuale, (che stipula che l'inizio di un processo di beatificazione non
possa farsi prima di cinque anni dalla morte del servo di Dio)
autorizzando l'introduzione della causa di Madre Teresa appena tre anni
dopo il suo decesso. Benedetto XVI agisce allo stesso
modo per la beatificazione del suo predecessore. Il dubbio ne risulta
più legittimo, quando si conosce la fondatezza della proverbiale
lentezza della Chiesa in queste materie.
2) Seconda difficoltà: La collegialità
Se
si esaminano attentamente queste nuove norme, ci si accorge che la
legislazione ritorna a come era prima del 12° secolo: il papa lascia ai
vescovi la cura di giudicare immediatamente sulla causa dei santi e si
riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinari. Come
spiega Giovanni Paolo II, questa regressione è una conseguenza del
principio della collegialità: “ Noi pensiamo che alla luce della
dottrina della collegialità insegnata dal Vaticano II sia molto
conveniente che i vescovi siano associati più strettamente alla Santa
Sede quando si tratta di esaminare la causa dei santi ”[28]. Ora, la
legislazione del 12° secolo confondeva la beatificazione e la
canonizzazione come due atti di portata non infallibile[29]. Ciò c'impedisce
di assimilare in modo puro e semplice le canonizzazioni nate da questa
riforma con degli atti tradizionali di un magistero straordinario del
Sommo Pontefice; questi atti sono quelli in cui il papa si accontenta
di autentificare l'atto di un vescovo ordinario residenziale. Noi
disponiamo qui di un primo motivo che ci autorizza a dubitare seriamente
che le condizioni richieste all'esercizio dell'infallibilità delle
canonizzazioni siano davvero soddisfatte.
Il Motu proprio Ad tuendam fidem del
29 giugno 1998 rafforza tale dubbio. Questo testo normativo ha lo
scopo d'introdurre spiegandoli dei nuovi paragrafi nel Codice del 1983,
aggiunta resa necessaria dalla nuova Professione di fede del 1989. In
un primo tempo, l'infallibilità delle canonizzazioni è posta per
principio. La Professione di fede del 1989 distingue infatti tre domini
di verità che sono oggetto dell'insegnamento del magistero: delle
verità formalmente rivelate e infallibilmente definite; delle verità
autenticamente insegnate; delle verità proposte definitivamente e
infallibilmente, perché hanno un legame di connessione logica o di
necessità storica con la rivelazione formale. Nell'Istruzione Donum veritatis del
1990, che è il commento autentico di questa Professione di fede, il
cardinale Ratzinger dà come esempio di questo terzo dominio:
l'ordinazione sacerdotale esclusivamente riservata agli uomini;
l'illiceità dell'eutanasia; la canonizzazione dei santi. Il Motu proprio
del 1998 conferisce un'autorità maggiore a questi due testi: il papa
li insegna riprendendoli per conto proprio e li introduce nel Diritto
canonico. Ma in un secondo tempo, il testo di Ad tuendam fidem
stabilisce delle distinzioni, che diminuiscono la portata
dell'infallibilità delle canonizzazioni, poiché ne risulta che tale
infallibilità non si intende più chiaramente in senso tradizionale. E'
per lo meno ciò che appare leggendo il documento redatto dal cardinale
Ratzinger come commento ufficiale del Motu proprio del1998[30] .
Questo commento precisa in che modo possa ormai il papa esercitare il
suo magistero infallibile. Finora, avevamo l'atto personalmente
infallibile e definitorio della locutio ex cathedra così come i
decreti del concilio ecumenico. Oramai, avremo anche un atto che non
sarà né personalmente infallibile né definitorio per se stesso ma che
resterà un atto del magistero ordinario del papa: questo atto avrà come
oggetto di discernere una dottrina come insegnata infallibilmente dal
Magistero ordinario universale del Collegio episcopale. Di conseguenza,
il papa esercita in questo terzo modo un atto del magistero che è
infallibile in ragione dell'infallibilità del Collegio episcopale; e questo atto non sarà definitorio per se stesso, perché si limiterà a ciò che insegna il Collegio episcopale[31]
. In questo caso, il papa agisce come interprete del magistero
collegiale[32] . Ora, se si osservano le nuove norme promulgate nel 1983
dalla Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister di Giovanni Paolo II, è
chiaro che nel caso preciso delle canonizzazioni il papa – per i
bisogni della collegialità – eserciterà il suo magistero in questo terzo
modo. Se si tiene conto al tempo stesso sia della Costituzione apostolica Divinis perfectionis magister del 1983 che del Motu proprio Ad tuendam fidem del 1998, quando il papa esercita il suo magistero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra
proprio che la sua volontà sia d'intervenire come organo del magistero
collegiale: le canonizzazioni quindi non sono più garantite
dall'infallibilità personale del magistero solenne del papa.
Lo sarebbero in virtù dell'infallibilità del Magistero ordinario
universale del Collegio episcopale? Finora, tutta la tradizione
teologica non ha mai detto che fosse così, ed ha sempre visto le
canonizzazioni come il frutto di una assistenza divina assegnata solo al
magistero personale del papa, assimilabile alla locutio ex cathedra.
Ecco un secondo motivo che ci autorizza a dubitare seriamente
dell'infallibilità delle canonizzazioni compiute da queste riforme
post-conciliari.
3) Terza difficoltà: La virtù eroica
L'oggetto
formale dell'atto magisteriale delle canonizzazioni è la virtù eroica
del santo. Così come il magistero è tradizionale perché insegna sempre
le medesime verità immutate, così la canonizzazione è tradizionale
perché deve segnalare sempre la medesima eroicità delle virtù
cristiane, a partire dalle virtù teologali. Dunque, se il papa
dà come esempio la vita di un fedele defunto che non ha praticato le
virtù eroiche, o se le presenta in un'ottica nuova, ispirata più alla
dignità della persona umana che all'azione soprannaturale dello Spirito
Santo, non si vede in che modo quest'atto possa essere una
canonizzazione. Cambiare l'oggetto significa cambiare l'atto.
Questo cambiamento di ottica, ci è attestato innanzitutto da un segno. A partire dal Vaticano II, il numero delle beatificazioni e delle canonizzazioni ha assunto proporzioni inaudite. Giovanni
Paolo II così ha effettuato da solo più canonizzazioni di ciascuno dei
suoi predecessori del 20° secolo e anche più di tutti i suoi
predecessori riuniti, dalla creazione della Congregazione dei Riti da
parte di Sisto V nel 1588. Il papa polacco si è spiegato egli
stesso riguardo all'aumento del numero delle canonizzazioni in un
discorso ai cardinali in occasione del concistoro del 13 giugno 1984: “
Si dice talvolta che oggi ci sono troppe beatificazioni. Ma oltre al
fatto che ciò riflette la realtà che per grazia di Dio è quella che è, ciò corrisponde anche ai desideri espressi dal Concilio.
Il Vangelo è talmente diffuso nel mondo ed il suo messaggio si è
radicato così profondamente che è proprio il gran numero delle
beatificazioni a riflettere in modo vivo l'azione dello Spirito Santo e
la vitalità che fa scaturire nel campo più essenziale per la Chiesa,
quello della santità. Infatti è il Concilio che ha messo particolarmente in luce il richiamo universale alla santità ”. Ciò si spiega perché la santità a partire dal Vaticano II è considerata come un dato comune. L'idea della vocazione universale alla santità è al centro del capitolo 5 della costituzione Lumen gentium. Vocazione universale, che comporta due conseguenze. In primo luogo, è
da osservare che questo testo non parla affatto della distinzione da
una parte tra il richiamo lontano alla santità che in principio si
verifica per tutti, e dall'altra tra il richiamo prossimo (ed efficace)
che di fatto non si verifica per tutti[33] . In secondo luogo, è da osservare anche che il
testo passa sotto silenzio la distinzione tra una santità comune ed
una santità eroica in cui consisterebbe la perfezione propriamente
detta[34] : il termine stesso di “ virtù eroica ” non appare più da nessuna parte in questo capitolo 5 della costituzione Lumen gentium.
E di fatto, a partire dal concilio, quando i teologi parlano dell'atto
della virtù eroica, tendono più o meno a definirlo distinguendolo
piuttosto dall'atto di virtù semplicemente naturale, invece di
distinguerlo da un atto ordinario di virtù soprannaturale[35] . Ecco
una prima ragione che ci autorizza a dubitare che le beatificazioni e
le canonizzazioni compiute dopo il Vaticano II s'identifichino con ciò
che la Chiesa aveva sempre voluto fare finora esercitando simili atti.
Questo cambiamento d'ottica traspare anche se si osserva l'orientamento ecumenico della santità, dopo il Vaticano II. L'orientamento ecumenico della santità è stato affermato da Giovanni Paolo II nell'enciclica Ut unum sint così come nella lettera apostolica Tertio millenio adveniente. Il
papa allude ad una comunione di santità che trascende le differenti
religioni, manifestante l'azione redentrice di Cristo e l'effusione del
suo Spirito su tutta l'umanità[36] . Quanto a papa Benedetto XVI
siamo costretti a riconoscere che dà della salvezza una definizione
che va nel medesimo senso ecumenico, e che falsa per ciò stesso la
nozione di santità, correlativa della salvezza soprannaturale[37] .
Ecco una seconda ragione per cui non si può che esitare nel
vedere negli atti di queste nuove beatificazioni e canonizzazioni una
reale continuità con la Tradizione della Chiesa.
CONCLUSIONE
Tre serie ragioni autorizzano il fedele cattolico a dubitare della fondatezza delle nuove beatificazioni e canonizzazioni. In
primo luogo, le riforme seguite al Concilio hanno comportato delle
insufficienze certe nella procedura e in secondo luogo esse introducono
una nuova intenzione collegiale, due conseguenze che sono
incompatibili con la sicurezza delle beatificazioni e l'infallibilità
delle canonizzazioni. In terzo luogo, il giudizio che si esprime nel
processo fa intervenire una concezione per lo meno equivoca e dunque
dubbia della santità e della virtù eroica.
Nel
contesto derivato dalle riforme postconciliari, il papa ed i vescovi
propongono alla venerazione dei fedeli cattolici degli autentici santi,
ma canonizzati al termine di una procedura insufficiente e dubbia. E'
così che l'eroicità delle virtù di Padre Pio, canonizzato dopo il
Vaticano II, non pone alcun dubbio, mentre non si può che esitare
davanti al nuovo stile di processo che ha condotto a proclamare le sue
virtù.
D'altra parte, la stessa
procedura rende possibile delle canonizzazioni un tempo inconcepibili,
in cui si assegna il titolo di santità a dei fedeli defunti la cui
reputazione resta controversa e presso i quali l'eroicità della virtù
non brilla d'insigne splendore. E'
sicuro che, nell'intenzione dei papi che hanno compiuto queste
canonizzazioni di un genere nuovo, la virtù eroica sia quella che era
per tutti i loro predecessori, fino al Vaticano II? Questa
situazione inedita si spiega a causa della confusione introdotta dalle
riforme postconciliari. Non sapremmo dissiparla a meno di attaccare
alla radice e interrogarci circa la fondatezza di queste riforme.
Don Jean-Michel Gleize
1. San Tommaso d'Aquino, Contra gentes, libro 1, capitolo 6.
2. Cardinale Louis Billot, sj, L'Eglise.II. Sa constitution intime, Courrier de Rome, 2010, n° 578-582, p. 189-193.
3.
Il potere di magistero non è soltanto il potere di enunciare il vero
puramente speculativo; ha per oggetto anche la verità pratica. Cosa che
porta un buon numero di autori a considerare il potere di giurisdizione
come un insieme potenziale, le cui parti analoghe sarebbero il
magistero e il governo. Sullo stato di tale questione, cf Timothée
Zapalena, sj, De Ecclesia Christi, pars altera, tesi XVI, p. 120 e sg.
4. Billot, ibidem, nota 152, p. 206.
5.
“Giovanni Paolo II ha fatto più canonizzazioni di quanto abbiano fatto
tutti i papi di questo secolo. Ma in tal modo, non si salva la dignità
della canonizzazione. Se le canonizzazioni sono numerose, non possono
essere, non diciamo valide, ma prese in considerazione né costituire
l'oggetto di venerazione da parte della Chiesa universale. Se le
canonizzazioni si moltiplicano, il loro valore diminuisce ” (Romano
Amerio, Stat veritas. Seguito di Iota unum. Glossa 39 sul § 37 della lettera apostolica Tertio millenio adveniente, p. 117).
6. Citato da Benedetto XIV, De la béatification des serviteurs de Dieu et de la canonisation des saints, libro 1, capitolo 43, n° 2.
7. Cardinale Louis Billot, sj, L'Eglise. II. Sa consitution intime, Courrier de Rome, 2010, n° 601, p. 208-209; Arnaldo Xavier da Silveira, “ Appendice: Lois et infallibilité ” in La nouvelle messe de Paul VI: qu' en penser? DPF, 1975, p. 164.
8. Salaverri nel suo De Ecclesia, tesi 17, § 726 afferma che è una verità almeno teologicamente certa se non implicitamente definita.
9. Cajetan, “ Trattato 15 sulle indulgenze ”, capitolo 8 in Opuscola omnia, Georg Olms Verlag, Hildesheim, 1995. p. 96.
10.
Per esempio, il benedettino De Vooght invoca il celebre caso di san
Giovanni Nepomuceno [la cui esistenza storica sarebbe molto incerta] per
concludere così: “ Io credo che dall'avventura di san Giovanni di
Pomuk possiamo trarre la conclusione che il papa non è infallibile
nella canonizzazione dei santi ” (“ Le dimensioni reali
dell'infallibilità papale ” in L'Infallibilità: il suo aspetto
filosofico e teologico- Atti del colloquio del Centro internazionale di
studi umanisti e dell'Istituto di studi filosofici, Roma, 5-12 febbraio 1970, p. 145-149).
11. Daniel Ols, po, “ Fondamenti teologici del culto dei Santi ” in Aa. Vv. dello Studium Congregationis de causis sanctorum,
parte teologica, Roma, 2002, p. 1-54. Ammettendo per ipotesi un errore
da parte della Chiesa che avesse canonizzato un santo inesistente o
perfino (per assurdo) dannato, padre Ols afferma che ciò non
presenterebbe un inconveniente per la fede. Poiché l'infallibilità è
necessaria solo se l'errore comporta un danno per la fede, le
canonizzazioni non la richiederebbero. Infatti, c'è inconveniente per la
fede se l'errore della Chiesa in una canonizzazione porta i fedeli a
professare in pratica l'eresia o l'immoralità; ora tale condizione non
ha luogo dato che la pratica dei fedeli che deriva dalla canonizzazione
prescinde dall'esistenza e dalla glorificazione reali del santo
canonizzato: in caso d'errore, la persuasione personale dei fedeli
basterebbe a fondare la loro devozione.
12. Mons. Prof. Brunero Gherardini, “ Canonizzazione ed infallibilità ” in Divinitas numero del 2° semestre 2003, p. 196-221.
13. Queste posizioni più o meno recenti sono presentate al § 6 dell'articolo citato, p. 211-214.
14. Al § 7, p. 214-221.
15. Nel suo Quodlibet 9, articolo 16.
16. Citati da Benedetto XIV, ibidem, n° 5. Cf Billot, ibidem, n° 601, nota 157, p. 208-209.
17.
Citiamo soprattutto: Dominique Bannez (su 2a 2ae, q 1, art 10, dubium
7, 2ª conclusione); Giovanni di san Tommaso (su 2a 2ae, q 1, dispitatio
9, articolo 2), Melchiorre Cano (De locis theologis, libro 5, capitolo 5, questione 5, articolo 3, 3ª conclusione, § 44).
18. Benedetto XIV, ibidem, n° 12. Vedi anche Billot, ibidem, 600, p. 207.
19. Giovanni di san Tommaso, ibidem, n° 11: “ quasi reductive pertinet ad fidem ”. Cf. Billot, ibidem,
n° 601, 208-209: “ Alcuni hanno pensato che san Tommaso non fosse
certo di questa infallibilità della Chiesa nella canonizzazione dei
santi, dato che nella questione quodlibetale n° 9, questione 5,
articolo 16 dice: “Si deve credere piamente che il giudizio della
Chiesa in queste materie è infallibile,” Innanzitutto, rispondiamo che,
anche se san Tommaso fosse stato indeciso su questo punto, la nostra
conclusione non perderebbe nulla della sua certezza. Infatti, non
sarebbe una cosa inaudita nella Chiesa, ed è stato anche osservato
spesso, che una dottrina ritenuta prima probabile o più probabile in
seguito fosse diventata assolutamente certa, una volta chiarita la
questione, e anche prima che la Chiesa ne donasse una definizione
solenne. In secondo luogo, rispondiamo che il dottore angelico non ha
mai esitato su questo punto , perché dice non “ si può credere piamente ”
ma “ si deve credere piamente ”, e rifiuta senza alcun equivoco tutti
gli argomenti invocati a sostegno della negativa. Quanto all'argomento
invocato a favore dell'affermativa, se egli non lo rifiuta, è perché lo
considera come conclusivo, così come vuole l'uso ”.
20. Ibidem, capitolo 44, n° 4.
21.
Nello studio sopra citato, padre Ols esamina la formula classica
utilizzata per la proclamazione solenne della canonizzazione: “
Decernimus ” o “ Definimus ”. Ricorrendo a delle espressioni di questo
genere, dice, e contrariamente a ciò che ha luogo nel quadro delle
definizioni dogmatiche, i papi non dicono mai che propongono una verità
da credere né che la propongono obbligando a questo o a quell'assenso. E
il nostro autore conclude che la formula solenne della canonizzazione
non esprime niente d'infallibile. Certo, la formula di canonizzazione
esprime una cosa diversa da una definizione dogmatica ed è per questo la
sua espressione è solo analoga a quella delle definizioni dogmatiche
che esprimono le verità formalmente rivelate. Ma ciò non prova né che
solo queste ultime esprimono un giudizio infallibile né che solo queste
ultime siano definitorie.
22. De Ecclesia,
tesi 17, § 725-726. “ Infallibilem Nos, uti catholicæ Ecclesiæ
supremus Magister sententiam in hæc verba protulimus ” ; “ Nos ex
Cathedra divini Petri uti supremus universalis Christi Ecclesiæ
Magister infallibilem hisce verbis sententiam solemniter pronuntiavimus
” (Pio XI); “ Nos universalis catholicæ Ecclesiæ Magister ec Cathedra
una super Petrum Domini voce fundata falli nesciam hanc sententiam
solemniter hisce pronuntiavimus verbis ”; “ Nos in Cathedra sedentes,
inerranti Petri magisterio fungentes solemniter pronuntiavimus ” (Pio
XII). In tal modo Salaverri pensa che l'infallibilità delle
canonizzazioni sia implicitamente definita da Pio XI e Pio XII. Vedi
anche Billot, ibidem, n° 601, p. 209.
23. Ibidem, capitolo 45, n° 1-21.
24.
Concilio di Trento, 25ª sessione, decreto del 3 dicembre 1563
sull'invocazione, la venerazione e le reliquie dei santi e sulle
immagini sacre, DS 1821. “ Quelli che negano che si devono invocare i
santi che in cielo godono di una felicità eterna; oppure quelli che
affermano che questi ultimi non pregano per gli uomini o che invocarli
affinché preghino per ciascuno di noi è idolatria, o che ciò è
contrario alla Parola di Dio e si oppone all'onore di Gesù Cristo,
unico mediatore tra Dio e gli uomini; oppure che è stupido supplicare
vocalmente o mentalmente coloro che regnano nei cieli: tutti costoro
pensano in modo empio ”. Benedetto XIV dice che questo testo equivale ad
una definizione infallibile.
25. Ibidem,
DS 1822. “ Inoltre, quelli che affermano che non si devono né onore né
venerazione alle reliquie dei santi, oppure che i fedeli invocano
inutilmente loro ed i loro sacri ricordi, ed è vano visitare i luoghi
del loro martirio per ottenerne aiuto, tutti costoro devono essere
totalmente condannati, come la Chiesa ha già condannato e condanna
ancora oggi ”.
26. Ibidem,
n° 28. “ Ogni persona che osasse affermare che il pontefice si è
sbagliato per questa o qualunque altra canonizzazione, e che un
qualsiasi santo da lui canonizzato non debba essere onorato da una lode
appropriata sia da noi accusato di essere se non eretico almeno
temerario; di essere scandaloso per tutta la Chiesa; ingiurioso per i
santi; di favorire gli eretici che negano l'autorità della Chiesa per
la canonizzazione dei santi; di avere un odore di eresia perché essa
aprirebbe ai fedeli la via di ridicolizzare i fedeli; di difendere una
proposizione errata e di essere soggetto alle più gravi sanzioni ”.
27.
Discorso tenuto a nome della Deputazione della fede da S. E. Mons.
Gasset, vescovo di Brixen, in occasione della 84ª assemblea generale
dell'11 luglio 1870, in risposta al 53° emendamento sul quarto capitolo
della costituzione De Ecclesia in Mansi, t. 52, col. 1213. Vedi anche: Cardinale Louis Billot, sj, L'Eglise. II- Sa consitution intime, Courrier de Rome, 2010, n° 991, p. 486.
28. “Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister,
AAS, 1983, p. 351. “ Putamus etiam prælucente doctrina de
collegialitate a concilio Vaticano II proposita valde convenire ut ipsi
episcopi magis Apostolicæ Sedi socientur in causis sanctorum
tractandis.” Questo testo di Giovanni Paolo II è citato da Benedetto XVI
nel suo “ Messaggio ai membri dell'Assemblea plenaria della
Congregazione per la causa dei santi ”, in data del 24 aprile 2006 e
pubblicato nell'edizione in lingua francese dell'Osservatore romano del 16 maggio 2006, pagina 6.
29. E' il parere espresso da Benedetto XIV nel suo trattato Della beatificazione dei servi di Dio e della canonizzazione dei santi, libro 1, capitolo 10, n° 6.
30. § 9 della Nota della Sacra Congregazione per la dottrina della fede pubblicata negli AAS del 1998, pp. 547-548.
31. Per esempio, la Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis,
del 22 maggio 1994 è presentata dal cardinale Ratzinger come un atto
infallibile dell'infallibilità del magistero ordinario collegiale.
Nell'intenzione esplicita della Santa Sede, questo testo non potrebbe
essere assimilato ad una locutio ex cathedra.
32.
AAS del 1998, p. 548: “ Romani pontificis declaratio confirmandi seu
iterum affirmandi actus dogmatizationis novus non est sed confirmatio
formalis veritatis ab Ecclesia jam obtentæ atque infallibiliter traditæ
”.
33. Questa confusione implica una
predestinazione del Popolo di Dio tutto intero alla santità ed alla
salvezza. E ciò implica anche una definizione della Chiesa in senso
protestante. Al contrario, come osserva padre Garrigou-Lagrange (Perfection chrétienne et contemplation, tomo 2, p. 419-427), chiamato non vuol dire eletto o predestinato.
Ed è il senso delle parabole del Vangelo (Lc, 18/7, Mt, 20/16, 22/14,
24/24, Mc, 13/20-22). Tutti i cristiani sono chiamati alla santità a
causa della grazia del loro battesimo e quindi anche in quanto fanno
parte della Chiesa; ma non tutti vi sono eletti, cosa che porta a
negare che la Chiesa sia la società dei predestinati.
34.
Tuttavia la distinzione tra la virtù comune e la virtù eroica è una
distinzione essenziale: come osserva tra gli altri padre
Garrigou-Lagrange, la santità eroica corrisponde ad un modo divino di
agire che resta specificatamente distinto dal modo umano, e ciò suppone
ben più che una semplice differenza di grado. E il modo divino ha luogo
quando l'intervento dei doni dello Spirito Santo, che è comune presso
tutti i battezzati, non resta più frequente ma latente o manifesto ma
raro, ma diventa al contempo frequente e manifesto. Vedi (Perfection chrétienne et contemplation, tomo 1, p. 404-405.
35. Per esempio: Jean-Michel Fabre nella sua opera La Sainteté canonisée,
Téqui, 2003, p. 104-105. Anche nel quadro della vita soprannaturale
ordinaria, il battezzato è già sottoposto all'influenza dei doni dello
Spirito Santo, la quale è caratteristica dell'attività soprannaturale
in generale, e non l'elemento formale che distinguerebbe l'attività
eroica. Come sottolinea padre Garrigou-Lagrange, questo elemento sarebbe
piuttosto sotto l'influenza dei doni non in quanto tale ma in quanto
preponderante e manifesta.
36. “ L'ecumenismo dei santi è forse il più convincente. La voce della communio sanctorum parla a voce più alta dei fattori di divisione ” (Tertio millenio adveniente,
§ 37); “ Nell'irradiazione che emana dal "patrimonio dei santi"
appartenenti a tutte le Comunità, il "dialogo della conversione" verso
l'unità piena e visibile appare allora sotto una luce di speranza.
Questa presenza universale dei santi dà, infatti, la prova della
trascendenza della potenza dello Spirito. Essa è segno e prova della
vittoria di Dio sulle forze del male che dividono l'umanità.” (Ut unum sint,
§ 84); “ Sebbene in modo invisibile, la comunione non ancora piena
delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella piena
comunione dei santi, cioè di coloro che, alla conclusione di una
esistenza fedele alla grazia, sono nella comunione di Cristo glorioso.
Questi santi vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno
aperto loro l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla
di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le
istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le
comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma in
primo luogo e innanzi tutto questa realtà della santità ” (Ut unum sint,
§ 84); “ La testimonianza resa a Cristo fino allo spargimento del
sangue è diventata patrimonio comune ai cattolici, agli ortodossi, agli
anglicani e ai protestanti, come notava già Paolo VI nella sua omelia
per la canonizzazione dei martiri Ugandesi ” (Tertio millenio adveniente, § 37).
37.
Benedetto XVI, “ Discorso pronunciato in occasione dell'incontro
ecumenico all'arcivescovado di Praga, domenica 27 settembre 2009 ” in DC
n° 2433, p. 971-972: “ Quanti fissano Gesù di Nazareth con gli occhi
di fede sanno che Dio offre una realtà più profonda e nondimeno
inseparabile dall' “ economia ” della carità all'opera in questo mondo:
offre la salvezza. Il termine salvezza è ricco di significati tuttavia
esprime qualcosa di fondamentale e di universale dell'anelito umano alla
felicità ed alla pienezza. Esso allude al desiderio ardente di
riconciliazione e di comunione che sgorga dalle profondità dello
spirito umano. E' la verità centrale del Vangelo e l'obiettivo verso cui
è diretto ogni sforzo di evangelizzazione ed ogni cura pastorale . Ed
è il criterio a partire dal quale i cristiani tornano sempre a
focalizzarsi nel loro impegno per sanare le ferite delle divisioni
passate ”.
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