sabato 1 ottobre 2011

IL VATICANO II E IL LIMBO



La Commissione Teologica Internazionale (CTI) nel suo recente documento sul Limbo (v. sì si no no 15 maggio 2007) asserisce che il “tema” del Limbo “non entrò nelle deliberazioni del Concilio e fu lasciato aperto ad ulteriori indagini”. Eppure basta sfogliare gli Atti del Concilio per constatare che ben tre schemi sul Limbo furono approntati, presentati e poi discussi nella Commissione Centrale preparatoria del Vaticano II (v. Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando 2,2 pp. 389ss.).
Il primo schema fu elaborato da una sottocommissione della Commissione teologica, presieduta dal card. Ottaviani, Prefetto del Sant’ Uffizio; il secondo schema fu approntato dal gesuita Dhanis, Rettore della Gregoriana; il terzo da mons. Carlo Colombo.
 
Dottrina tradizionale ed “opiniones novae”    
Lo schema presentato dalla Commissione Teologica espone succintamente la dottrina tradizionale sul Limbo e altrettanto succintamente respinge le “opiniones novae” che contro di essa si erano andate affacciando negli ambienti dei “novatori”. Eccetto i martiri uccisi in odio alla fede (in odium fidei) – dice lo schema – nessuno può passare dallo stato di figli di Adamo e di “figli d’ira”, nel quale nasciamo [a motivo del peccato originale], allo stato di grazia e di figli adottivi, senza il Battesimo o il suo desiderio; poiché gli infanti sono incapaci di tale desiderio e inoltre la Chiesa è stata sempre convinta che essi non possono conseguire la vita eterna senza il Battesimo, perciò il Concilio dichiara vane e senza fondamento (inanes et sine fondamento) tutte le opinioni con le quali si stabilisce per gli infanti un altro mezzo di salvezza oltre il Battesimo realmente ricevuto (re susceptum).
Meno succintamente le Note dello schema espongono i dati della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, sui quali si fonda la dottrina tradizionale sul Limbo, e sbarrano la via a non pochi errori, che ci siamo visti riproporre puntualmente dalla Commissione Teologica Internazione nel suo recente documento (v. sì sì no no cit.).
Nella nota 1, ad esempio, circa l’espressione “eccetto i martiri uccisi in odio alla fede” viene precisato che «nella Costituzione è detto di proposito “in odium fidei” perché erroneamente ogni morte di bambino, sia per malattia sia per sventura viene equiparata al martirio». Erroneamente, dunque, si vorrebbe oggi equiparare ai martiri le piccole vittime dell’aborto, normalmente commesso con disprezzo della legge divina naturale, sì, ma non “in odium fidei”.
Nella nota 4 la sottocommissione teologica dichiara che nello schema “non è piaciuto affidare i bambini [senza Battesimo] alla misericordia di Dio perché la Chiesa non l’ha mai fatto”. È piaciuto, invece, affidarli alla misericordia di Dio, benché la Chiesa non l’abbia mai fatto, sia al nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, sia al recente documento della CTI sul Limbo.
Un ultimo esempio: nella nota 3 il card. Bellarmino, dottore della Chiesa, risponde anticipatamente alla CTI che si pone la domanda retorica, equivalente ad una negazione, se l’infante non battezzato “possa essere privato della visione di Dio senza la sua cooperazione”: “Anche se i bambini – scrive il Bellarmino – non sono battezzati senza [loro] colpa, tuttavia non senza colpa si perdono perché hanno il peccato originale” (De Baptismo I, cap. 1). Difatti alla CTI è sfuggito che tutti nasciamo privati della grazia, e quindi della visione beatifica, senza nessuna cooperazione da parte nostra.
 
Le talpe
Allo schema approntato dalla Commissione Teologica il gesuita Dhanis oppose un suo personale schema, nel quale apriva la via alle nuove teorie sul Limbo.
Oltre a fare ciò che la Commissione si era rifiutata di fare perché contrario alla prassi tradizionale della Chiesa (“quia ipsa Ecclesia hoc numquam fecit”), il p. Dhanis si appella all’universalità della volontà salvifica di Dio e della Redenzione: “La Santa Madre Chiesa – egli scrive – affida umilmente [sic] la loro sorte [dei bambini non battezzati], anche per i quali Gesù Cristo è morto, alla profondissima giustizia e misericordia di Dio”. Così la Chiesa, dopo duemila anni di superbia e di errore, veniva richiamata dal gesuita Dhanis all’umiltà e alla fede nella volontà salvifica di Dio e nella soddisfazione universale di Cristo!
Come si vede, il documento sul Limbo varato dopo oltre 40 anni dalla CTI è già sostanzialmente in germe in questo secondo schema. Quanto alla “opinatio” contraria alla dottrina tradizionale della Chiesa, il p. Dhanis nel suo schema dice che essa manca di “saldi argomenti” (argumentis firmis); non che manca affatto di argomenti.
Da parte sua mons. Carlo Colombo (“il teologo” di Montini) va anche oltre e nel suo schema premette al “manca” un “adhuc”: l’opinione contraria della dottrina della Chiesa manca “ancora” di saldi argomenti; non è detto, però, che non possa tirarli fuori da un giorno all’altro.
Se il lavoro da “talpa” di Dhanis e Colombo fosse andato in porto, la via alle innovazioni dottrinali sul Limbo sarebbe stata aperta fin d’allora.
Il card. Ottaviani, Prefetto del Sant’Uffizio oltre che Presidente della Commissione Teologica, avvertì il pericolo e perciò, quando i tre schemi furono presentati per la discussione alla Commissione Centrale preparatoria, tentò di stornarlo con un suo personale monito sul valore dottrinale della Tradizione. Prima, però, volle che si seguisse la prassi ordinaria e che il card. Felici leggesse la relazione ufficiale con la quale la Commissione Teologica illustrava i tre schemi presentati.
 
Superiorità di suffragi e di dottrina
La relazione della Commissione Teologica sottolinea che dei tre schemi presentati “il primo [quello elaborato dalla sottocommissione teologica] gode dei suffragi di 19 membri della Commissione Teologica, il secondo [del padre Dhanis]di 5 membri, il terzo [di mons. C. Colombo] del solo redattore”. Oltre a questa significativa disparità di suffragi, la relazione illustra la superiorità dottrinale (praestantiam theologicam) del primo schema rispetto agli altri due.
Ecco la parte saliente dell’ argomentazione:
«1) La Chiesa, nella sua secolare prassi, ha negato la sepoltura ecclesiastica ai bambini morti senza Battesimo né mai ha pregato per essi pubblicamente.
2) Gli antichi, che negano ai piccoli morti senza Battesimo il premio della vita eterna, in nessun modo hanno dubitato della volontà universale salvifica di Dio e della soddisfazione universale di Cristo [come sembrano insinuare Dhanis e Colombo -n.d.r.].
3) Secondo il Concilio plenario Baltimorense II, anno 1866, […] Cristo, effondendo il Suo Sangue, ha procurato a tutti gli infanti il diritto di ricevere il Battesimo, affinché possano vedere il volto di Dio, fonte della celeste beatitudine; del godimento di questo diritto, però, i bambini sono defraudati da tutti coloro che permettono che essi muoiano senza Battesimo. Perciò è chiaro che la dottrina del primo schema non porta nessun pregiudizio al valore universale della morte salvifica di Cristo, ma solo ne chiede con insistenza l’applicazione mediante quei mezzi da Cristo stesso stabiliti e cioè mediante i Sacramenti della Chiesa, di fatto o almeno col desiderio ricevuti.
Si deve infine notare che il terzo schema non è suffragato da nessun solido argomento né del Magistero della Chiesa né dei Padri onde in verità è lecito dubitare che neppure in futuro [in corsivo nel testo] l’opinione contraria potrà godere di solidi argomenti».
 
Il valore dottrinale della Tradizione
A questa relazione ufficiale il card. Ottaviani volle aggiungere un grave monito ai membri della Commissione Centrale Preparatoria.
 «Ritengo opportuno – egli disse – premettere [alla discussione] un avvertimento. Qui si tratta di enunciare la verità, non di ciò che il cuore pietosamente potrebbe suggerire etc. Infatti, se facessimo appello alla pietà, certamente dovremmo tenere una via diversa, ma noi dobbiamo considerare la cosa così com’è stata stabilita nell’attuale economia della salvezza eterna voluta da Cristo.
Non c’è nessun dubbio che il Battesimo è necessario di necessità di mezzo e, come già detto, la tradizione in questo fu sempre costante. La stessa prassi della Chiesa di non pregare per gli infanti morti senza Battesimo e di non fare per loro le esequie, che si fanno per i bambini battezzati, è il segno esterno della prassi ecclesiale ed accompagna la tradizione. La tradizione su questo è unanime, fu sempre unanime, e, se noi disprezzassimo l’argomento di una tradizione così costante, così unanime, potrebbe risultarne indebolito il principio riguardante il deposito della fede, che si enuncia non solo per mezzo delle Sacre Scritture, ma anche per mezzo della tradizione. D’altronde, per quanto riguarda l’aspetto pietoso dell’ argomento, opportunamente si accenna, da parte della sottocommissione dottrinale che ha preparato il decreto, ad una certa felicità, di cui godranno quei bambini che muoiono senza Battesimo. È vero che essi sono privati della visione beatifica ma, come dice San Tommaso, questo è minima cosa per loro, in quanto la privazione della visione beatifica è il massimo danno, il più grande dolore per coloro che già vi furono ordinati perché già entrarono in stato di grazia per mezzo del Battesimo e degli altri Sacramenti. [...].
Per quanto riguarda il lato pratico, dobbiamo considerare la tendenza prevalsa oggi in ogni luogo di differire il Battesimo dei bambini. Se noi lasciamo insoluta la questione dopo che è stata trattata dagli autori e lasciamo la porta aperta alla speranza che i bambini senza Battesimo si salveranno, noi favoriamo la prassi di non battezzarli, che già ovunque incomincia ad invadere il mondo cristiano […].
La volontà salvifica di Dio non è in questione; essa non è messa in dubbio neppure per i bambini ecc., perché anche per loro Cristo è morto e l’applicazione sufficiente [dei Suoi meriti] era pronta anche per loro, ma non poté essere efficace a motivo delle circostanze, soprattutto allorché queste dipendono dagli uomini [..]. Mons. Colombo è rimasto solo a sostenere che si deve modificare la dottrina della Chiesa per salvare la volontà salvifica di Dio. Questa non è messa in dubbio per il fatto che si sostiene ciò che la Tradizione ha sempre sostenuto e che ha il suo fondamento nel principio che il Sacramento del Battesimo è necessario di necessità di mezzo.
Il primo schema differisce dal secondo presentato dal prof. Dhanis, Rettore della Gregoriana, e la differenza sta nel fatto che Dhanis dice che le teorie contrarie non sono ancora sostenute da solidi argomenti. Perciò ammette la possibilità che questi argomenti ci siano e anche Colombo calca su questa possibilità […]. Essi lasciano perciò la porta aperta come a dire: “vedremo poi se ci sono argomenti”. Ma a me sembra che la Tradizione sia un argomento così perentorio da non doversi allontanare dalla dottrina finora stabilita. […]. Sono dunque vere innovazioni che in qualche modo si vogliono introdurre».
 
Come fu data via libera alle innovazioni
Com’è noto, tutto il lavoro preparatorio del Concilio, costato tre anni di studio e di fatiche, fu rigettato fin dall’inizio: i 20 schemi approntati (eccettuato quello sulla Liturgia, poi rimaneggiato dai novatori) furono rigettati in blocco e senza esame ad opera dell’ala neomodernista. Perciò la CTI può dire che il “tema” del Limbo “non entrò nelle deliberazioni del Concilio”. Tace, però, che non vi entrò a motivo di quel colpo di mano che determinò la rottura del Concilio con la sua preparazione o, più esattamente, la rottura dell’ orientamento conciliare (e postconciliare) con la dottrina tradizionale.
È poi del tutto falso che il “tema” del Limbo sia stato “lasciato aperto ad ulteriori indagini”, visto che di queste ulteriori indagini non vi è traccia nel recente documento della CTI, che si limita a riproporre, sia pure amplificate, le innovazioni già affacciate nei loro schemi dal padre Dhanis e da mons. Colombo. Innovazioni che rimangono non suffragate da nessun argomento né della Sacra Scrittura né della Tradizione né del Magistero e alle quali si attaglia perfettamente il giudizio del card. Bellarmino: “Coloro che poi s’immaginano [per gli infanti non battezzati] un altro rimedio oltre il Battesimo [reale] in modo apertissimo sono in contrasto con il Vangelo, i Concili, i Padri e il consenso della Chiesa universale” (S. R. Bellarmino De Baptismo I, cap. 1).
Hirpinus

IL Limbo e il giudizio universale

Una religiosa ci scrive:
«Ho letto con interesse l’ultimo numero di sì sì no no sul Limbo. È talmente importante difendere questa verità sotto pena di nuocere al Mistero insondabile della Redenzione.
M’interesso alla dottrina del Limbo fin dalla mia infanzia, perché mia madre fece un aborto naturale, ma soprattutto perché sono stata colpita dall’arresto della madre di una mia compagna di scuola, che, essendo levatrice, si era arricchita in modo irregolare per aver praticato clandestinamente un gran numero di aborti. Il suo bel palazzo fu messo in vendita, ma nessun compratore potette restarvi più di alcuni mesi, finché un giorno (nel 1975 circa) uno di loro spiegò a mio padre, che allora era autista a…. che quella casa era stregata. Infatti, ad una cert’ora della notte, si udivano dei vagiti di bambini e ciò rendeva le notti insopportabili! Mio padre consigliò a quel signore, che d’ altronde non era credente, di far esorcizzare la casa da un buon sacerdote che gli indicò. I vagiti cessarono e la famiglia si convertì… Ciò mi fece riflettere molto, poiché non riuscivo a comprendere come, privi della visione di Dio, questi bambini potessero essere felici naturalmente. Poiché la Chiesa non ha troncato la questione, preferisco l’opinione di Sant’Agostino (giudicato severo!), il quale pensava che questi bambini soffrissero la più leggera delle pene (non quella dei sensi, ma la privazione della visione di Dio). Inoltre, dove si troveranno questi bambini al giudizio finale? È mai pensabile che non siano presenti? Ecco una questione sulla quale i teologi dovrebbero riflettere.
Lettera firmata
* * *
Un’opinione scartata ed un’ altra superata
È vero che la Chiesa non ha ancora troncato la questione, non circa l’esistenza del Limbo (an sit) mai messa in dubbio, ma bensì circa le caratteristiche specifiche di esso (quomodo sit). Neppure lo schema approntato per l’ultimo Concilio dalla Commissione Teologica presieduta dal card. Ottaviani intendeva troncarla. Alla nota 5, infatti, si legge che l’espressione generica dello schema: “Non mancano ragioni per pensare che essi [gli infanti morti senza Battesimo] godano perennemente di una felicità consona al loro stato” era stata studiata affinché potesse ottenere il consenso di tutti i teologi delle diverse scuole, dato che lascia intatte le “questioni disputate, cioè la natura del Limbo, se vi sia un leggero dolore, in che senso la condizione di questi infanti sia soprannaturale ecc.” (Acta et Documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando 2,2 pp. 392-393).
In realtà alla Commissione Teologica più che risolvere le quaestiones disputatae, interessava chiudere definitivamente la via a quelle ipotese, anche pie, ma prive di fondamento e, soprattutto, pericolose per il dogma che erano già state respinte dal Monitum del Sant’Uffizio del 18 febbraio 1958 (AAS 50/1958, 114). “Si scarta parzialmente il mistero del Limbo. E per questa via si cominciano a rivedere gli insegnamenti costanti del Magistero e a reinterpretare la rivelazione scritturale primitiva” aveva avvertito anche il futuro card. Journet (La volonté divine salvifique sur les petits enfants p. 131).
Tuttavia, se è vero che la Chiesa non ha ancora troncato la questione, è altresì vero che essa ha mostrato chiaramente di preferire l’ opinione più mite di San Tommaso a quella di Sant’Agostino e dei teologi che ne subirono l’influenza.
A voler essere precisi, nell’ opinione di Sant’Agostino, manifestata nell’ardore della polemica antipelagiana, dobbiamo distinguere, come la religiosa nostra lettrice, due punti:
1) i bambini nel Limbo soffrono, sia pure della sofferenza più lieve di tutte (damnatio omnium levissima), per la privazione di Dio;
2) essi soffrono anche di una pena del senso, sia pure “mitissima”.
Ora questo secondo punto è fuori discussione, essendo già stato scartato dal Magistero: “la pena del peccato originale è la privazione della visione di Dio, mentre la pena del peccato attuale è il tormento della geenna perpetua” e sarebbe incompatibile con la giustizia divina se il peccato originale “contratto senza consenso” fosse punito come il peccato personale “commesso con consenso” (Innocenzo III, Denz. 410).
Resta, dunque, il primo punto: la sofferenza per la privazione della visione di Dio. Su questo punto la questione è tuttora controversa; Sant’Agostino, il Card. Bellarmino ed altri grandi teologi ritengono che i bambini nel Limbo soffrano, sia pure di una lieve tristezza per la privazione della visione beatifica; San Tommaso ed altri teologi affermano, invece, che essi non soffrono affatto e godono di una conoscenza e di un amore di Dio naturali. “Nessun uomo saggio – scrive il Dottore Angelico – per esempio si affligge di non poter volare come un uccello, oppure perché non è re o imperatore, non essendo ciò a lui dovuto, ma si affliggerebbe se venisse privato di ciò cui in qualche modo era predisposto. Ebbene tutti gli uomini dotati dell’uso del libero arbitrio sono proporzionati a conseguire la vita eterna, perché sono in grado di prepararsi alla grazia, per cui si consegue la vita eterna. Se quindi costoro non la raggiungono, ne devono provare un dolore grandissimo, perché perdono quanto sarebbe stato loro possibile [è la condizione dei dannati]. I bambini, invece, non furono mai proporzionati a conseguire la vita eterna: poiché essa non era loro dovuta per i principi naturali, superando ogni capacità della natura; né ebbero mai la possibilità di avere atti propri con i quali conseguire un bene così grande. Perciò essi non si addoloreranno affatto per la mancanza della visione di Dio: anzi godranno di partecipare in molte cose della bontà divina e delle perfezioni naturali(Summa Theologiae Suppl. App. II a. 2).
Il Suarez, a sua volta, dice che il bambini morti senza Battesimo amano Dio, di amore naturale, al di sopra di ogni cosa e godono di essere al sicuro da ogni peccato e sofferenza (De peccatis et vitiis disp. IX sect. VI). Il Lessius dice che essi posseggono una conoscenza naturale perfetta delle cose materiali e spirituali che li mette in grado di amare sommamente Dio, sia pure di amore naturale, di benedirlo e lodarlo per l’eternità, anche per aver risparmiato loro il combattimento terreno, sempre di esito incerto (De perfect. divin. L. XII c. XXII, n. 144 ss.).
Questa sentenza è divenuta poi comune tra i teologi sia a motivo dell’autorità di San Tommaso sia, soprattutto, a motivo della preferenza che il Magistero della Chiesa è venuto sempre più manifestando per essa. L’opinione “severa” di Sant’Agostino, sulla quale d’ altronde egli stesso manifestò più volte la sua perplessità (v. sì sì no no 2006, p. 3 1a colonna), può dirsi perciò certamente superata (v. Pier Carlo Landucci Il Limbo ai bambini non battezzati in Palestra del Clero 15 settembre 1971 p. 1096). Ne fa fede il Catechismo di San Pio X, che al n. 100 insegna in modo assoluto che “i bambini morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non godono Dio [come i beati] ma nemmeno soffrono”.
 
Naturale e soprannaturale
Per comprendere come i bambini non battezzati – benché privi della visione “faccia a faccia” di Dio – possano essere naturalmente felici, bisogna considerare che il destino soprannaturale dell’uomo è un dono assolutamente gratuito perché eccede tute le capacità e tutte le esigenze della natura umana. Come ricordano San Pio X contro i modernisti (Pascendi) e Pio XII contro i neomodernisti (Humani Generis), Dio avrebbe potuto, senza fargli nessun torto, non elevare l’uomo allo stato soprannaturale lasciando nello stato naturale e con il destino naturale di “godere di Lui mediante la naturale cognizione e il naturale amore” (San Tommaso In IV Sent. L. II, dist. XXX, q. 2 a.2 ad 5). Questo godimento naturale di Dio è appunto la condizione dei bambini nel Limbo, i quali, non più bambini, ma nel pieno sviluppo della loro intelligenza e della loro volontà, “benché separati da Dio quanto all’unione mediante la gloria [visione beatifica diretta] non sono tuttavia totalmente separati da Lui” (ivi).
 È questo il motivo principale per cui il modernismo e il neomodernismo negano l’esistenza del Limbo: Dio – secondo loro e contro la dottrina della Chiesa – non potrebbe creare esseri intelligenti senza destinarli alla visione beatifica. Ma, se così fosse, la visione “faccia a faccia” di Dio sarebbe dovuta alla natura umana, non sarebbe più gratuita (grazia), ma un diritto dell’ uomo né sarebbe più soprannaturale, ma naturale. Cadrebbe così una delle colonne portanti del Cristianesimo: la distinzione tra ordine “naturale” e ordine “soprannaturale”, termine, quest’ultimo, che non a caso non ricorre nei documenti del Vaticano II.
Al contrario, il Limbo, con il suo godimento naturale di Dio, “starà sempre a ricordare la sublime trascendenza e gratuità della vita soprannaturale e del suo premio divino” (mons. Pier Carlo Landucci art. cit.). Come l’inferno darà gloria a Dio manifestando eternamente la divina giustizia e la bruttezza del peccato, il Limbo Gli darà gloria manifestando in eterno la bontà di Dio nell’elevare l’uomo ad uno stato e ad un fine incommensurabilmente superiore al suo stato naturale e al fine ad esso proporzionato.
 
La terza categoria
Quanto al giudizio universale, i teologi “probati”, ai quali dobbiamo far riferimento soprattutto oggi, vi hanno già riflettuto e da tempo.
È vero, il Vangelo sul giudizio finale parla solo di coloro che avranno fatto e coloro che non avranno fatto in funzione della loro volontà libera ed illuminata e tace di coloro che non ebbero la possibilità di fare, ma da questo non è affatto lecito dedurre che questa terza categoria non esista. Ad attestarcelo ci sono i documenti del Magistero infallibile della Chiesa, alla quale soltanto spetta di spiegare il vero senso delle Scritture. Detti documenti, infatti, pongono sempre in una categoria a parte, distinta dai beati e dai dannati, le anime che muoiono “col solo peccato originale” e cioè coloro che, come gli infanti o i dementi, non ebbero la possibilità di fare o non fare in funzione della loro volontà libera ed illuminata.
Se di queste anime non si fa menzione nel giudizio universale è semplicemente perché questo giudizio non le riguarda: esse non vi saranno giudicate, perché nulla vi è da giudicare, non avendo avuto la possibilità di meritare o di demeritare. Perciò, secondo alcuni teologi, le anime del Limbo neppure assisteranno al giudizio universale e, ignorando la felicità degli eletti, non ne avranno nessun rimpianto. Secondo altri, invece, esse conosceranno la felicità degli eletti, ma egualmente non ne avranno rimpianto, essendo la loro volontà perfettamente conforme alla volontà divina, che essi ben sanno saggia, giusta e buona. Tutti i teologi, comunque, sono d’accordo in questo: che il testo evangelico del giudizio finale non fa ostacolo alla dottrina cattolica sul Limbo.
 
Un monito, non una rivelazione

A conclusione, vogliamo ribadire che il progressivo addolcimento della dottrina cattolica sul Limbo riguarda non la sua esistenza, ma solo le sue caratteristiche specifiche. Infatti, l’esclusione dalla visione beatifica delle anime che muoiono con il solo peccato originale (esclusione, cui è legata l’esistenza del Limbo) è professata sia dalla scuola più “severa” (Sant’Agostino, San Bellarmino ecc.) sia dalla scuola meno “severa” (San Tommaso, Suarez ecc.). Né poteva essere diversamente perché questa esclusione è verità di fede fondata sulla Sacra Scrittura, sulla Tradizione e sul Magistero (v. sì sì no no 15 marzo 2006, pp. 1 ss.).
Infine, l’episodio, di cui ci dà testimonianza la religiosa nostra lettrice, anche se di origine diabolica (dato che è stato vinto dagli esorcismi), è stato nondimeno permesso da Dio per un fin di bene, e cioè, a parer nostro, per ammonire i vivi sulla gravità anche ultraterrena dell’aborto, non per rivelare la sofferenza degli infanti abortiti nel Limbo. Infatti, anche se soggettivamente non soffrono e godono di una felicità puramente naturale, resta pur sempre vero che oggettivamente hanno subìto un danno reale per colpa di chi, con l’aborto, li ha privati sia della vita terrena sia della possibilità di meritare con essa la beatitudine soprannaturale della visione “faccia a faccia” di Dio.
Hirpinus

Fonte: Si si no no

Il LIMBO É DE FIDE
dal Conc. di Firenze che definisce: «le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale o col solo peccato originale, subito vanno all’inferno, ma puniti con pene differenti» (D. B. 693).
E il Conc. di Trento, confermando quanto era stato detto anche nel Conc. di Firenze, e cioè che è di fede che «le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale o nel solo peccato originale, scendono subito nell’inferno, ma punite con pene differenti», conferma che «ai bambini è necessario il Battesimo per conseguire la vita eterna» (D. B. 791). Queste definizioni non fanno altro che riportare quanto aveva detto Gesù: «Se uno non sarà rinato nell’acqua e nello Spirito Santo non potrà entrare nel Regno di Dio» (Gv. 3, 5) e «Chi crederà e si battezzerà sarà salvo» (Mc. 16, 16).
Colla parola inferno però, non è designata necessariamente la pena dei dannati adulti. Nella tradizione cattolica, questo luogo per i bambini, si chiama solitamente «Limbo».
Alcuni Padri e Teologi pensarono che vi sia una pena dei sensi mitissima; ma una sentenza molto comune esclude anche questa pena, la quale si restringerebbe solo alla privazione della visione beatifica di Dio, anzi alcuni, come Suarez e Lessio, ammettono perfino una beatitudine naturale.
(Somma di Teologia Dogmatica; GIUSEPPE CASALI)

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