venerdì 29 aprile 2011

Il dovere di rompere l'assedio islamico



Immaginate se un sa­cerdote diffondesse da un altoparlante is­sato sopra il campani­le della chiesa il seguente appello per invitare i fede­li a prendere parte alla messa: «Testimonio che nostro Signore Gesù Cri­sto è l’unico vero Dio! Te­stimonio che il suo Vica­rio, il Papa, Sommo Pon­tefice della Santa Roma­na Chiesa Cattolica Apo­stolica, è l’unico custode della vera fede! Unitevi al­la preghiera! Gesù Cristo è il nostro Signore! Non vi è altro Dio al di fuori di Ge­sù Cristo!».
Immaginate se duemi­la cristiani irrompessero nello spazio antistante la Grande moschea di Ro­ma o di Milano Segrate dopo aver forzato il posto di blocco delle forze del­l’ordine e ferito cinque agenti, si mettessero a re­citare il rosario con l’in­tenzione dichiarata di sal­vare le anime dei musul­mani in quanto eretici, in­tonassero degli inni che affermano l’assolutezza della verità in Cristo e des­sero alle fiamme delle bandiere islamiche con la mezzaluna. Ebbene, io non ho al­cun dubbio. Tutte le Pro­cure d’Italia interverreb­bero per aprire fascicoli su fascicoli denunciando l’arbitrio di un sacerdote che, oltre a violare la quie­te pubblica, diffonde dei contenuti fortemente le­sivi della libertà e della pluralità d’opinione san­cita dalla nostra Costitu­zione; così come eviden­zierebbero una serie di re­ati perpetrati dai manife­stanti cristiani, dall’as­sembramento e occupa­zione di spazio pubblico senza autorizzazione, ag­gressione alle forze del­l’ordine, incitamento al­l’odio razziale nei con­fronti dei musulmani, of­fesa a un simbolo religio­so.
Tutto ciò è effettiva­mente accaduto a parti in­verse, con i musulmani nel ruolo degli aggressori e noi italiani, al di là del nostro essere cristiani, credenti o praticanti, nei panni delle vittime. Ma, come era prevedibile, co­sì come la Procura di Mila­no non intervenne quan­do il 3 gennaio 2009 gli islamici occuparono Piaz­za Duomo, almeno fino a questo momento la Pro­cura di Milano- che è così solerte ad intervenire quando vuole - non ha aperto nessun fascicolo per appurare il fatto de­nunciato da Il Giornale nella domenica di Pa­squa, 24 aprile, in un arti­colo dal titolo «Lo scanda­lo del minareto di Mila­no. Per la prima volta il muezzin invita alla pre­ghiera di strada. E nessu­no si indigna». Piaccia o meno, dobbia­mo prendere atto che nel nostro stato di diritto ci sono due pesi e due misu­re a seconda se a violare la legge siamo noi o se so­no i musulmani. I fatti stanno a indicare che la certezza del diritto e della pena vale solo per noi, mentre per i musulmani vale solo la certezza di un diritto assoluto che culmi­na­nell’arbitrio e nell’ille­galità senza alcuna san­zione.
Ecco perché è arrivato il momento di opporci a questa auto-discrimina­zione che, da un lato, ci impedisce di beneficiare del principio secondo cui «la legge è uguale per tut­ti » e, dall’altro, ci trasfor­ma in vittime della schie­ra di magistrati, politici, banchieri, imprenditori, massoni, intellettuali che, pur di scagliarsi con­tro la civiltà giudaico-cri­stiana che esprime valori non negoziabili e certez­za delle regole, finiscono per trasformarci sempre più in sudditi dell’islam qui a casa nostra. È il momento di dire ba­­sta! Di chiedere quanto­meno che i musulmani si attengano alle nostre leg­gi così come fanno gli ebrei, i cristiani o i bud­dhisti. Di esigere che le moschee operino con le stesse norme a cui sono sottoposte le sinagoghe, le chiese o qualsiasi tempio di culto eretto sul suolo italiano. Visto che la realtà delle nostre istituzioni è quella che abbiamo descritto, ebbene, è arrivato il momento di prendere noi cittadini italiani l’iniziativa, promuovendo una legge di iniziativa popolare, così come previsto dall’articolo 71, comma 2, della Costituzione, che consente ai cittadini italiani, attraverso una raccolta di almeno 50.000 firme, di presentare al Parlamento un progetto di legge, affinché questo sia poi discusso e votato.
Chiariamo subito che i principi che ci ispirano sono: 1) L’articolo 8 della Costituzione dove noi evidenziamo che «le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti», ma a condizione che «non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano ». Così come rileviamo che l’islam come religione, non avendo finora stipulato un’intesa con lo Stato per il profondo contrasto che persiste tra le associazioni islamiche, opera in un contesto di arbitrio giuridico non essendo stati definiti i rapporti con lo Stato. 2) La determinazione che qualsivoglia intesa tra lo Stato e le comunità religiose islamiche debba fondarsi sull’assoluto rispetto delle nostre leggi e delle regole fondanti della civile convivenza. Significa che le moschee devono essere delle case di vetro dove, al pari delle sinagoghe e delle chiese, si parla in italiano e si diffondono valori che ispirano alla vita, all’amore e alla pace, e dove chiunque possa entrare, sedersi, ascoltare e condividere una spiritualità comune al di là della fede diversa.
Questo non è affatto il caso dei predicatori d’odio, di violenza e di morte che si sono annidati in gran parte dei circa 900 luoghi di culto islamici presenti sul nostro territorio nazionale. Non possiamo più continuare a subire l’arbitrio degli islamici, il lassismo dei magistrati, la connivenza ideologica dei politici e degli intellettuali relativisti, laicisti, buonisti e islamicamente corretti che, odiando la civiltà giudaico- cristiana che tutela la loro vita, la loro dignità e la loro libertà, è come se odiassero se stessi. Siccome noi invece ci amiamo, non intendiamo rassegnarci.

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