venerdì 29 aprile 2011

Alcune riflessioni a proposito di ciò che ha detto Padre Cantalamessa nell’omelia del Venerdì Santo



(di Corrado Gnerre su Riscossa Cristiana)

Nella celebrazione della Passione del Venerdì Santo in San Pietro l’omelia è stata tenuta da padre Raniero Cantalamessa. Ho letto con attenzione ciò che il Padre ha detto e mi preme fare qualche considerazione. Giustamente il Padre ha affermato che il Cristianesimo può e deve dare una risposta al mistero del dolore. Personalmente ho scritto in un mio precedente intervento che ci sono tre possibili posizioni del cristiano dinanzi al dolore, indicando quella giusta nel “contemplare e rispondere”.

Scrivevo: “La posizione giusta è quella di contemplare il Crocifisso: capire quanto, nel Cristianesimo, Dio non si limita a consolare sulla sofferenza, ma Egli stesso ne fa vera esperienza. Dio poteva scegliere un’altra strada, ma ha scelto la sofferenza. E l’ha scelta non solo per le sue creature, ma anche per Sé. Egli stesso si è messo a capo e ha preso la Croce: «Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso (via purgativa), prenda la sua croce (via illuminativa) e mi segua (via unitiva)» (Matteo 16, 24). Attenzione però: questo contemplare deve essere accompagnato anche da una spiegazione. L’intelligenza esige argomenti, e fin dove è possibile non si può trascurare questa esigenza. Non basta dire: dinanzi alla sofferenza si può solo far silenzio. Qui entra in gioco la cosiddetta Teologia della Croce (…).”
Suggestivo è anche il passaggio in cui padre Cantalamessa parla del Dio cristiano come di colui che non solo non ha creato la sofferenza, ma che addirittura è venuto a farne vera esperienza. Il Padre ha detto: “Non si può dire che “la domanda di Giobbe è rimasta inevasa”, che neppure la fede cristiana ha una risposta da dare al dolore umano, se in partenza si rifiuta la risposta che essa dice di avere. Cosa si fa per assicurare qualcuno che una certa bevanda non contiene veleno? La si beve prima di lui, davanti a lui! Così ha fatto Dio con gli uomini. Egli ha bevuto il calice amaro della passione. Non può essere dunque avvelenato il dolore umano, non può essere solo negatività, perdita, assurdo, se Dio stesso ha scelto di assaporarlo. In fondo al calice ci deve essere una perla.” E infatti bisogna insistere su questa tensione verso l’eterno che deve contraddistinguere l’annuncio cristiano, perché solo così anche la permissione della sofferenza da parte di Dio diventa per l’uomo comprensibile, sopportabile e perfino amabile.
Mi sono però non poco meravigliato allorquando ho letto ciò che padre Cantalamessa ha detto al termine della sua predica riferendosi al recente terremoto in Giappone: “Dobbiamo però raccogliere anche l’insegnamento che c’è in eventi come questo. Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini. Sono però un ammonimento: in questo caso, l’ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci. Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare, proprio esse, lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte.”
Proprio relativamente a queste parole sviluppo alcune riflessioni.
Dio può volere il male fisico per accidens
Certamente nessuno può dire (a meno che non abbia avuto da Dio particolari carismi) quando una catastrofe naturale è castigo di Dio. Nello stesso tempo però nessuno può dire che una catastrofe naturale non possa mai essere un castigo. Dio infatti può anche castigare. Se è vero che Dio può solo permettere ma mai volere il male morale (cioè il peccato); è pur vero che Dio -per accidens- non solo può permettere ma anche volere il male fisico, e ciò per evitare il male morale o per correggere e ammonire. San Tommaso d’Aquino (dico: san Tommaso d’Aquino!) afferma che Dio, volendo sopra ad ogni cosa la sua bontà, rigetta il male morale che è ad essa direttamente contrario. Ma, relativamente agli altri mali, volendo tutto in ordine alla sua natura che è somma bontà, può anche volere il male di pena in ordine alla giustizia e il male naturale in ordine alla provvidenza. Pio XII, in un discorso ai Giuristi Cattolici del 26 maggio 1957, dice: “Spesso infatti le pene volute da Dio sono piuttosto un rimedio che un mezzo di espiazione, piuttosto « poenae medicinales » che « poenae vindicativae ». Esse ammoniscono il reo a riflettere sulla sua colpa e sul disordine delle sue azioni, e lo inducono a distaccarsene ed a convertirsi.” Dunque, Pio XII parla esplicitamente di pene “volute” da Dio.
Dio è sommo amore e somma giustizia
Pertanto, Dio –per accidens- può volere il male fisico in vista di un bene e pertanto tale male, proprio perché finalizzato al bene, diviene un gesto di amore. Ciò può essere voluto anche per punire in quanto Dio oltre ad essere sommo amore e anche somma giustizia. Ricordo che amore e giustizia sono entrambe virtù e costituiscono nel massimo grado la natura di Dio. Sono due virtù apparentemente contrarie ma non contraddittorie. Per cui, mentre possiamo dire di Dio che è giustizia massima e misericordia massima, non possiamo dire che Dio è giusto e non-giusto o misericordioso e non-misericordioso perché ciò sarebbe non contrario ma contraddittorio. Scrive san Bernardo di Chiaravalle: “Ti inganni, o miserabile e inganni te stesso, non Dio (…). Tu pensi che Egli potrebbe anche scacciarti se lo volesse, ma che per sua bontà non lo può volere (…). Ma è certamente estraneo alla Sua perfezione il non essere giusto perché è buono, come se non potesse essere contemporaneamente giusto e buono. Una bontà giusta è preferibile ad una bontà debole e remissiva, anzi, una bontà senza giustizia non è vera virtù (…). Egli mitigherebbe la Sua condanna nella punizione, se tu volessi rinsavire, né negherebbe il Suo perdono al tuo pentimento. Ma poiché tu non puoi volerlo a causa della tua ostinazione e del tuo cuore impenitente, Egli non potrà mancare nella punizione.” (I dodici gradi della superbia, 31 e ss.).
Dio esige il trionfo della giustizia
Che Dio esiga il trionfo della giustizia è confermato anche dalla verità del Giudizio universale. Si sa che tale giudizio non modificherà quello particolare, nel senso che se nel giudizio particolare (immediatamente dopo la morte) si è condannati all’inferno non è che con il giudizio universale vi sarà la speranza che tale condanna possa essere modificata. E allora, se il giudizio particolare verrà confermato perché ci sarà quello universale? Per esigenze di giustizia: perché il bene deve essere esaltato dinanzi a tutti e il male condannato dinanzi a tutti. Il Catechismo di San Pio X dice testualmente: “Nel giudizio universale si manifesterà la gloria di Dio, perché tutti conosceranno con quanta giustizia Dio governi il mondo, sebbene ora si vedano qualche volta i buoni in afflizione e i cattivi in prosperità.”
La prova della Passione di Gesù
La convinzione secondo cui non è ammissibile che Dio possa castigare è facilmente confutabile e manifesta una palese contraddizione. Viene da chiedersi: perché Dio non potrebbe castigare gli uomini, se poi è arrivato, per i peccati degli uomini, a “castigare” perfino Suo Figlio, l’Innocente per eccellenza. Gesù si è addossato volontariamente le colpa degli uomini per espiarla.
Il valore della sofferenza vicaria
Proprio perché Dio oltre ad essere sommo amore è anche somma giustizia, la teologia spirituale ha sempre riconosciuto la possibilità della sofferenza vicaria e quindi che alcune anime possano volontariamente offrirsi “vittime” per la salvezza dei peccatori e del mondo intero. Ricordo che a Fatima la Vergine arrivò a chiedere che bambini di 10, 9 e 7 anni offrissero penitenze e sacrifici e arrivò perfino a chiedere a Giacinta se avesse voluto offrire per i peccatori la grande sofferenza di morire senza la compagnia della propria madre. E’ vero che ci sono teologi che dinanzi a questi fatti, o alla domanda perché in alcune apparizioni la Madonna fa vedere se stessa che trattiene il braccio di Suo Figlio, pur non negando l’autenticità delle stesse, arrivano a dire che si tratta solo di un linguaggio antropomorfico e quindi simbolico. Resta però il fatto che i sacrifici volontari e le sofferenze patite dai piccoli veggenti di Fatima non furono affatto antropomorfiche e simboliche!
Anche il castigo è un ammonimento
Padre Cantalamessa nella sua predica ha distinto il castigo dall’ammonimento, arrivando a dire che le catastrofi naturali non possono mai essere un castigo, ma tutt’al più un ammonimento. Ora, sarà per mia incapacità, ma non riesco proprio a cogliere il senso di tale distinzione. Infatti, se letteralmente i due termini non sono identici, resta il fatto che il castigo che viene ammesso teologicamente figura sempre come un ammonimento, nel senso che Dio non castiga sadicamente, cioè per il gusto di castigare, ma perché questo possa essere occasione di ripensamento. Il verbo castigare, che deriva dal latino castus, cioè “puro”, nel suo significato originario significa “correggere”, “purificare”. Il verbo “ammonire”, deriva anch’esso dal latino, precisamente da ad-monere, cioè avvertire, avvertire per evitare che si vada incontro a qualcosa di più grave: «(…) quei diciotto, sopra i quali rovinò la Torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Luca 13, 4-5).  Dunque, considerata l’etimologia, non c’è una grande differenza tra “castigare” e “ammonire”. Si tratta comunque di un’azione diretta. Dove la differenza? Mi sembra proprio uno di quegli escamotages linguistici per esprimere più elegantemente le stesse verità. Del tipo: “diversamente abile” invece che “handicappato” o “operatore ecologico” invece che “netturbino”.
E’ credibile un ammonimento solo per far sì che l’uomo si rapporti bene alla tecnica?
Rileggiamo ciò che ha detto Padre Cantalamessa: “Dobbiamo però raccogliere anche l’insegnamento che c’è in eventi come questo. Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini. Sono però un ammonimento: in questo caso, l’ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci.” Ora, se è vero che l’affidamento utopistico alla tecnica come redentrice dell’uomo costituisce una grave peccato di idolatria, è pur vero che parlare di ammonimenti solo per evitare ciò mi sembra aggravare la responsabilità di Dio non certo alleggerirla. Se poi si fa riferimento a ciò che padre Cantalamessa ha aggiunto: “Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare, proprio esse (la scienza e la tecnica), lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte”, dovremmo convincerci che tali ammonimenti servano per farci capire come utilizzare sapientemente la tecnica. Insomma, Dio non può castigare per il peccato, ma può ammonire per evitare, per esempio, che utilizziamo male il nucleare…mi sembra un po’ pochino.
Dobbiamo rigettare anche la Scrittura?
Allora, ancora una volta, il problema è se Dio possa solo permettere o possa anche volontariamente generare castighi. Dire che Dio non possa castigare perché crederlo offenderebbe Dio, vuol dire andare contro ciò che dice la Scrittura, rifiutare i suoi stessi insegnamenti. Fermo restando tutti i possibili generi letterali da riconoscere, è pur vero che non si possono negare il Diluvio universale, Sodoma e Gomorra, Anania e Saffira, e tanti altri episodi. E’ vero che c’è chi dice che, raccontando questi fatti, la Bibbia vorrebbe solo farci capire quanto il peccato abbia conseguenze cosmiche… ma, siamo seri, è una spiegazione, questa, che non spiega. San Pio da Pietrelcina disse ad un suo figlio spirituale: “Ringrazia e bacia dolcemente la mano di Dio che ti percuote: è sempre la mano di un Padre che ti percuote perché ti vuol bene.”
Termino con alcune parole che la Vergine disse a Fatima (l’evento soprannaturale più importante del XX secolo): “Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati”.

(Corrado Gnerre)
per leggere il testo completo dell’omelia di P. Raniero Cantalamessa, clicca qui

Fonte 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.