venerdì 8 luglio 2011

Omelia pronunciata da S. Ecc. Mons. Alfonso de Galarreta in occasione delle ordinazioni al seminario di Ecône

Omelia pronunciata da
 S. Ecc. Mons. Alfonso de Galarreta

in occasione delle ordinazioni al seminario di Ecône (Svizzera)

29 giugno 2011



Il testo è ripreso dal sito della
Fraternità in italia
La trascrizione è a cura di DICI, del 7 luglio 2011

 

Non si deve scegliere tra la fede e la carità, bisogna abbracciarle entrambe!

Eccellenze,
cari Confratelli,
cari Ordinandi,
miei carissimi Fratelli,


Eccoci riuniti, un anno ancora, nel seminario di Ecône, la Casa Madre della Fraternità Sacerdotale San Pio X, allo scopo di conferire il diaconato e il sacerdozio, allo scopo di compiere così ciò che costituisce la vocazione e la missione della Fraternità. Si tratta di trasmettere, conservare, vivere il sacerdozio cattolico al fine di assicurare la perennità della Fede e della Chiesa cattolica.

Il sacerdote è un alter Christus, un altro Cristo. Egli agisce in persona Christi, in persona di Cristo. Si tratta quindi veramente del sacerdozio di Cristo in mezzo a noi. Della presenza di Cristo in mezzo a noi. Il sacerdote assicura la continuità dei benefici dell’Incarnazione di Nostro Signore, della sua vita, del suo insegnamento, della sua grazia, della sua Redenzione. Ed è veramente questo l’essenziale. In mezzo a questa crisi – crisi della fede, crisi della Chiesa – è evidente che noi non possiamo astrarcene, ignorare la situazione in cui ci troviamo e soprattutto la situazione della Santa Chiesa. A dire il vero, per l’essenziale non cambia nulla. Per l’essenziale non v’è nulla di cambiato.

Il liberalismo tenta di conciliare il cattolicesimo e il pensiero nato dal 1789

Mons. Lefebvre aveva visto e definito bene qual è il male del nostro tempo, della società e soprattutto il male nella Chiesa. Questo male si chiama molto semplicemente liberalismo. È questa conciliazione, questo tentativo di conciliazione fra la Chiesa e il mondo, fra la fede cattolica e i principi liberali, fra la religione cattolica e il pensiero nato dal 1789. Sta tutto qua, tutto il problema sta qua. Tutto il resto è fatto di giustificazioni teoriche, sottili, sofisticate della teologia modernista per giustificare questo adattamento fatto dal Concilio Vaticano II e dalle autorità nei confronti del mondo uscito dalla rivoluzione, del mondo liberale.

 
 
 
 
 
 
 
E voglio citarvi alcune frasi di quello che era allora il Cardinale Ratzinger, nelle quali egli afferma con semplicità e chiarezza proprio questo.
Per essere fedele e preciso ve le leggo. Sono molto brevi.

«Il Vaticano II aveva ragione di auspicare una revisione dei rapporti tra Chiesa e mondo. Ci sono infatti dei valori che, anche se sono nati fuori dalla Chiesa, possono trovare il loro posto - purché vagliati e corretti – nella sua visione» (Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, 1985, Ed. Paoline, p. 34).

«Il problema degli anni sessanta era di acquisire i migliori valori espressi da due secoli di cultura liberale» (Intervista a cura di Vittorio Messori, in Jesus, novembre1984, p. 72).

Il Papa attuale, Benedetto XVI, all’epoca cardinale Ratzinger, mostra anche come la costituzione Gaudium et spes sia il «testamento del Concilio», egli ne indica le intenzioni e definisce la sua fisonomia in questi termini:

«Se si cerca una diagnosi globale del testo [della Gaudium et Spes] si potrebbe dire che esso è, insieme con i testi sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo, una revisione del Syllabus di Pio IX, una sorta di contro-Sillabo. Il testo svolge il ruolo di un contro-sillabo nella misura in cui rappresenta un tentativo per una riconciliazione ufficiale della Chiesa col mondo come era divenuto a partire dal 1789» (Les principes de la théologie catholique, cardinal Joseph Ratzinger, 1982, Téqui, p. 427) .

Ecco dei testi e delle affermazioni molto chiare. Si tratta di una confessione di capitale importanza, autorevole e che ci dispensa dal provare queste affermazioni. Se loro stessi confessano che è così non c’è più bisogno che noi lo proviamo. Il Vaticano II è stato esattamente una conciliazione della religione cattolica, della fede della Chiesa col liberalismo, con la rivoluzione e i principi della Rivoluzione francese, e perfino – come dice il Papa altrove – del pensiero della fede col pensiero dei Lumi. Queste affermazioni inducono a diverse riflessioni e richiedono diverse osservazioni.

Poiché, per prima cosa, com’è possibile che vi siano dei valori che toccano in modo così essenziale l’ordine naturale e quello soprannaturale – per convincersene basta guardare alla Chiesa di prima e di dopo il Concilio! -  e che possano nascere, tali valori, al di fuori della Chiesa?
Non è dunque la Chiesa la depositaria della Verità?
La Chiesa cattolica non è la vera Chiesa?
E la Verità evolve dunque in base alla storia e al tempo, alle culture e ai luoghi? Non è vero affermare che questi sono valori nati al di fuori della Chiesa.
Già un autore come Chesterton diceva che le idee della Rivoluzione francese sono delle idee cattoliche divenute folli. E noi potremmo dire con più esattezza: sono delle verità cattoliche indebitamente trasposte nell’ordine naturale, delle idee che sono vere nell’ordine soprannaturale, con dei limiti, ma che sono state trasposte direttamente nell’ordine naturale.

 
Se veramente il Concilio Vaticano II avesse preso i valori liberali e li avesse corretti, purificati ed emendati, allora si sarebbe ritrovata molto semplicemente la verità cattolica di sempre, poiché si tratta di verità cristiane deformate. Voglio dire che il liberalismo è un’eresia cristiana, cattolica, fin dalla sua origine.

D’altra parte, era quanto meno temerario volere questa conciliazione, quando il magistero costante dei papi, per due secoli e mezzo, aveva condannato questi supposti valori: essi sono stati condannati in blocco e in dettaglio. Era stata condannata, non solo la possibilità di una tale conciliazione, ma anche la necessità di affermare una tale conciliazione. È il Syllabus, è Pio IX.

Siamo di fronte ad uno dei peccati originali del Concilio. Molto spesso ci mettono sotto gli occhi il magistero e l’autorità. Spesso è il solo argomento che essi hanno. Quando sono proprio loro che hanno incominciato a sbarazzarsi di un magistero di due secoli e mezzo e proprio per fare esattamente ciò che i papi avevano già condannato.
Questo è più che temerario.

E poi, si cerca una conciliazione col mondo, con un mondo lontano da Dio e opposto a Dio. Guardate il mondo, basta guardarsi attorno per comprendere di che mondo si tratta.
Ora, la Scrittura è molto chiara. San Giovanni ci dice: «Tutto ciò che viene dal mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita» (Cfr. I Gv. 2, 16). E l’Apostolo San Giacomo diceva ai cristiani: «Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Gc. 4, 4).


Lo spirito di indipendenza conduce alla deificazione dell’uomo

Poiché in definitiva qual è l’essenza, la sostanza, il nocciolo di questo pensiero liberale?
I papi e i grandi autori del XIX e del XX secolo hanno già detto tutto. È innanzi tutto il naturalismo, è la negazione dell’ordine soprannaturale, della Rivelazione, della grazia, e di conseguenza e in questo ordine la negazione della Chiesa, di Cristo, di Dio. Il naturalismo coerente sfocia nell’ateismo. E il comunismo è là per ricordarcelo: non s’era mai visto un orrore simile nella storia dell’umanità.
In secondo luogo è lo spirito di indipendenza e di ribellione. Indipendenza nei confronti di tutto: indipendenza dell’intelligenza nei confronti del Vero, della volontà nei confronti del Bene, dell’uomo nei confronti di Dio, nei confronti dell’autorità.
E in terzo luogo è la deificazione dell’uomo. Già San Pio X lo indicava: l’uomo si sostituisce a Dio, si fa dio e ordina la gloria a se stesso e la creazione a se stesso.

Dunque si è tentata, si è provata una conciliazione con tali idee sostanzialmente e radicalmente contrarie alla Fede cattolica e molto semplicemente contrarie all’ordine naturale, alla realtà. Certo, trattandosi di un tentativo di conciliazione, essi non hanno riaffermato questi principi tali e quali. Non hanno negato l’ordine soprannaturale, ma l’hanno ridotto e incluso nella natura. Non hanno negato la Chiesa, ma hanno messo la Chiesa al servizio del mondo, il regno dei cieli sulla terra, al servizio del mondo e al servizio di quell’impresa umanista dell’unità del genere umano e della pace, sempre nell’ordine naturale. Guardate ad Assisi, per esempio, ad Assisi III che è presentato così.

Essi non hanno negato Cristo, ma hanno messo Cristo a servizio dell’uomo. Cristo è unito a tutti gli uomini, egli rivela l’uomo all’uomo e, con la sua grazia fa che l’uomo sia un uomo perfetto. Ecco la loro dottrina.
Non hanno affermato l’indipendenza assoluta dell’uomo nei confronti di Dio, ma sono passati dall’ordine oggettivo ad un ordine soggettivo.
Oggettivamente parlando, sì, vi è un dio, vi è una vera religione, vi è una verità. Quindi l’uomo avrebbe l’obbligo morale di aderirvi. Ma in ogni caso, qualunque cosa accada, l’uomo si salva seguendo la sua coscienza, la sua verità, e soprattutto esercitando la sua libertà. Poiché sta lì la dignità ontologica e sacra dell’uomo.
L’esercizio della libertà, non nel senso tradizionale – la libertà di muoversi nel bene – ma il semplice fatto di scegliere tra il bene e il male, è lì che l’uomo trova la sua perfezione e la sua salvezza.

Essi non hanno affermato la divinità dell’uomo, ma hanno operato un ritorno antropologico col personalismo, che ha messo il bene comune, e ogni bene comune, al servizio dell’uomo individualmente, della persona. E in ultima analisi si mette al servizio della persona il bene comune divino, universale, supremo, che è Dio. Poiché Dio è il bene comune supremo.
È per questo che il Concilio afferma che l’uomo è la sola creatura che Dio ama per se stessa. Che Dio ama per se stessa!
E Dio trova la sua gloria nella gloria dell’uomo, non nella gloria che l’uomo rende a Dio, ma nella glorificazione dell’uomo.

E dunque abbiamo il medesimo scopo dei liberali, degli umanisti, dei rivoluzionari. Nessun problema!
Cerchiamo tutta la glorificazione dell’uomo e con essa otterremo anche la gloria di Dio. Così il loro dio è finito e perfezionato dalla gloria dell’uomo.
Niente di meno!

Restaurare tutto in Cristo per rimediare al male presente

Vedete com’è impossibile questa conciliazione. Ed essi ne hanno applicato rigorosamente tutte le conseguenze. Mons. Lefebvre ci diceva: L’hanno detronizzato. Sì, hanno disconosciuto sistematicamente il primato e la regalità di Nostro Signore, i suoi diritti, i diritti di Dio.
Si è per i diritti dell’uomo. Negazione dei diritti di Dio con la dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Essi hanno detronizzato nostro Signore in Se stesso nei suoi diritti, con la libertà di coscienza, con la libertà di pensiero, con la libertà dal peccato, con la libertà di culto, con la libertà religiosa. Egli è stato detronizzato veramente.
Ma essi hanno detronizzato nostro Signore anche nella sua Chiesa, con l’ecumenismo, poiché se Cristo è Re la Chiesa è regina.
E hanno detronizzato nostro Signore nel suo Vicario e nei suoi vescovi, con la collegialità e in ultima analisi con la demolizione di ogni autorità.

Ecco il pensiero con cui il Concilio ha tentato la conciliazione.
E allora, certo, oggi c’è la conciliazione della conciliazione, cioè l’ermeneutica della continuità.
E vi sono perfino di quelli che ci sono vicini o che erano dei nostri, e non sono più dei nostri, che tentano la conciliazione della conciliazione della conciliazione. Tempo perso, la loro impresa è votata da subito allo scacco: bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu. Il bene procede da una causa totalmente buona, integra, il male da qualunque difetto nella causa.

Ma qui si tratta di un difetto essenziale, poiché è l’essenziale del pensiero liberale che è totalmente e radicalmente contrario alla fede cattolica. È la cosa stessa che si cerca di conciliare che è contraria. Non si può fare un cerchio quadrato. È impossibile. Non si può neanche concepirlo. È una questione di buon senso. Si può chiedere a qualcuno di Martigny se si può andare contemporaneamente a Roma, la città eterna, e a Parigi, la città dei Lumi? Chiedetegli se si può prendere la stessa strada per giungere a queste due mete! In Spagna si dice che questo significa accendere un cero a Dio e un altro cero al diavolo. Già l’Apostolo San Paolo l’aveva detto più o meno in questi termini: «Non legatevi con gli infedeli allo stesso giogo» (Cfr. II Cor. 6, 14). Perché quale associazione può esserci tra la giustizia e l’iniquità? Quale conciliazione fra la luce e le tenebre? Quale accordo fra Cristo e il diavolo? Fra il fedele e l’infedele? Fra il tempio di Dio e il tempio degli idoli? Ora, dice San Paolo, il tempio di Dio è la Chiesa. E allora quale conciliazione può esserci? Nessuna.

Se Mons. Lefebvre ci ha indicato con precisione il male, con altrettanta precisione e chiaroveggenza ci ha indicato il rimedio. Ci ha additato il rimedio: Nostro Signore Gesù Cristo. E più precisamente Cristo Sacerdote e Cristo Re. Non v’è salvezza né redenzione possibile, né per gli individui né per le società, al di fuori del sacerdozio e della regalità di nostro Signore Gesù Cristo. Poiché egli ha compiuto la sua missione e col suo sacerdozio e con la sua regalità. «Nessuno può porre  altro fondamento che quello che è stato posto dalla mano di Dio, Cristo Gesù», afferma San Paolo (Cfr. Cor. 3, 11). E San Pietro dice nello stesso senso: la pietra che è stata rigettata dagli architetti, è divenuta testata d’angolo per i costruttori. Poiché non v’è salvezza in altro modo, in altra persona se non in Nostro Signore Gesù Cristo. E non v’è altro nome sotto i cieli per il quale gli uomini possano essere salvati se non il nome di Nostro Signore Gesù Cristo. (Cfr. Atti, 4 11-12).

Quando San Paolo, nella lettera agli Efesini, vuol fondare con forza la nostra speranza, ci ricorda come Dio Padre ha dispiegato la sua potenza e la potenza della sua forza risuscitando Nostro Signore dai morti, facendolo sedere alla sua destra e ponendo sotto la sua autorità ogni principato, ogni autorità, ogni dominazione, ogni trono. Al pari di tutto ciò che si può nominare in questo secolo e nel secolo a venire. Dio gli ha sottomesso tutto in questo secolo e nel secolo a venire. Egli l’ha costituito Capo della Chiesa, che è il suo corpo. La Chiesa è la pienezza di Colui che è tutto in tutti. Cristo è tutto in tutti nella Chiesa. E Dio gli ha sottomesso tutto (Cfr. Ef. 1, 20-23).

Nell’epistola ai Corinzi, l’Apostolo è ancora più chiaro dicendo che gli ha sottomesso tutto, che non ha lasciato alcunché che non gli fosse sottomesso. Non ha lasciato alcunché al di fuori del suo imperio, della sua regalità, e dunque oportet illum regnare, bisogna che Egli regni (Cfr. I Cor. 15, 25). È qui che sta l’ideale del sacerdote, del sacerdozio: fondare tutto in Nostro Signore Gesù Cristo, instaurare tutto, restaurare tutto in Cristo, ma anche riunire tutto, ricapitolare tutto, ordinare tutto a Nostro Signore Gesù Cristo.

Tutto sta a voi, voi siete per Cristo e Cristo è per Dio. Ecco il disegno di Dio da tutta l’eternità: restaurare tutto, riunire tutto in Cristo. E al di fuori del suo sacerdozio e della sua regalità la vita dell’uomo è un incubo senza fine. Lo vediamo bene nella società in cui viviamo, non v’è né verità né virtù e, ahimé, non vi è né salvezza, né redenzione, né giustizia. Tutte queste cose ci vengono da Nostro Signore, dal suo sacerdozio dalla sua regalità: Io sono la via, la verità e la vita (Gv. 14, 6).

E dunque, cari confratelli, cari ordinandi, la vita del sacerdote consiste appunto nel sottomettere ogni intelligenza a Nostro Signor Gesù Cristo che è la verità, ogni volontà a Nostro Signore Gesù Cristo che è la vita, e nell’offrire a tutti gli uomini la sola via di salvezza che è Nostro Signore Gesù Cristo.

Perché andare a Roma

Se le cose stanno così, qualcuno potrebbe dirmi: ma allora perché avere contatti con questa gente, perché andare a Roma? Sembrerebbe che per principio non si dovrebbero avere dei contatti, alcun contatto con costoro.
Ebbene! È tutto il contrario: per principio bisogna che noi abbiamo dei contatti e per principio bisogna che andiamo a Roma. Poi evidentemente sarà la prudenza che valuterà le circostanze e ciò che bisognerà fare veramente in un caso concreto. Ma per principio occorre innanzi tutto andare perché siamo cattolici, apostolici e romani. Poi perché se Roma è la testa e il cuore della Chiesa cattolica, noi sappiamo che necessariamente la crisi troverà la sua soluzione, la crisi si risolverà a Roma e per Roma. Di conseguenza, il poco di bene che noi faremo a Roma è molto più grande del tanto bene che faremo altrove.

D’altra parte, caritas Christi urget nos, la carità di Cristo ci spinge (II Cor. 5, 14). Bisogna comprendere quant’è difficile abbandonare l’errore quando si è vissuta tutta la vita nell’errore. È estremamente difficile avere la chiarezza e la forza per rompere con tutta una serie di legami di ordine naturale, con tutta una vita votata a questo, con tutto un insegnamento avallato dall’autorità e le conseguenze che ne derivano. Riconosciamo che la cosa non è facile, ed abbiamo pietà. Poiché in definitiva essi hanno bisogno molto semplicemente di ciò che noi abbiamo già ricevuto gratuitamente, la luce e la grazia. Perché cos’è che abbiamo che non abbiamo ricevuto? (I Cor. 4, 7). Ebbene! Molto semplicemente, essi hanno bisogno di ricevere ciò che noi abbiamo avuto la grazia di ricevere dalla misericordia e dalla munificenza di Dio. La carità ce ne fa un dovere.

Coloro che si oppongono ferocemente e per principio ad ogni contatto con i modernisti mi fanno venire in mente un passo del Vangelo. Quando Nostro Signore non fu accolto in una città, Giacomo e Giovanni – i figli del tuono – gli proposero, se lo voleva, di far cadere il fuoco dal cielo per distruggere quella città. E Nostro Signore, indulgente, passa su questo orgoglio monumentale ma ingenuo degli Apostoli – come se Nostro Signore avesse avuto bisogno di loro per risolvere i problemi! – e risponde loro: Non sapete di quale spirito siete. (Cfr. Lc. 9, 51-56). Sì, non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo che diffonde la carità nei cuori e non sapevano di che spirito erano. Erano caduti nello zelo amaro.

Noi abbiamo creduto alla carità

E qual è questo spirito?
È lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo. Non è troppo complicato, basta guardare a come Nostro Signore ha fronteggiato i suoi nemici, i suoi avversari. Sia San Giovanni che San Paolo ci dicono: è in questo che abbiamo veramente conosciuto l’amore di Dio, che il Padre ci ha amati e Cristo ha dato la sua vita per noi, mentre noi eravamo dei peccatori, mentre eravamo suoi nemici. Ed è soprattutto in questo che si manifesta la carità di Dio, e noi abbiamo creduto a questa carità. Allora, dobbiamo fare lo stesso. (Cfr. Gv. 4, 9-16 e Ef. 2).

Come si è manifestato quest’amore di Nostro Signore?  Con la guerra, gli anatemi, le condanne o facendo scendere il fuoco dal cielo? No!
Quest’opera d’amore si è compiuta con l’umiltà, con l’umiliazione, con l’obbedienza, con la pazienza, con la sofferenza, con la morte e ancora perdonando ai suoi nemici sulla Croce. Lungo tutto il corso della sua vita Nostro Signore ha dispiegato tutti i mezzi possibili e ragionevoli per fare ammettere la verità ai farisei e per offrire loro la salvezza e il perdono.
Ecco molto semplicemente ciò che dobbiamo seguire.

Io non vedo come la fermezza dottrinale sarebbe contraria alla docilità, all’ingegnosità e perfino all’arditezza della carità. Non lo vedo.
Non so in che l’intransigenza dottrinale sarebbe contraria all’intimo della misericordia, allo zelo missionario e apostolico della carità.
Non si deve scegliere: o la fede o la carità, si devono abbracciare entrambe.
E ancora, senza la carità sono niente, anche se ho una fede da spostare le montagne. Se non ho la carità sono niente. Se do la mia vita per i poveri e non ho la carità, sono niente (Cfr. I Cor. 13, 3).

Rileggete l’elogio della carità di San paolo nella sua lettera ai Corinti (Cfr. I Cor. 13), applicatelo alla vita di Nostro Signore e saprete senza confusione possibile qual è lo spirito cattolico.
La carità è paziente, la carità è buona, non è invidiosa, la carità non cerca il suo interesse, non tiene conto del male, essa rende il bene per il male, la carità scusa tutto, crede tutto, spera tutto, soffre tutto.
Ecco come noi potremo veramente cooperare alla restaurazione della fede, a questa restaurazione di tutte le cose in Cristo.
E se il rimedio è in Cristo, il sacerdozio e la regalità di Cristo, questo rimedio passa necessariamente per il cuore di nostra madre, la Santissima Vergine Maria.

Nostro Signore è stato e sarà sempre esclusivamente il frutto della Vergine Maria, del cuore di Maria. È lei che è la Madre di Cristo, la madre di Dio, la madre di tutti gli uomini, la corredentrice del genere umano, la mediatrice di tutte le grazie. Colei che distribuisce e dà tutte le grazie. Ella è veramente la regina di tutta la creazione, regina del cielo e della terra. Come dice San Bernardo, noi abbiamo ottenuto tutto tramite la Vergine Maria, dobbiamo dunque andar con fervore, devozione e costanza al Cuore di Maria, al fine di ottenere le grazie che ci sono necessarie, e soprattutto quella vita forte nella fede, nella speranza e nella carità. Poiché dobbiamo amare con forza.

Andiamo quindi veramente e sovente, con una devozione vera e interiore, al Cuore di Maria, a questo Trono della grazia, al fine di ottenere gli aiuti necessari nel tempo opportuno, così da essere in definitiva dei veri cristiani e dei veri sacerdoti di Nostro Signore Gesù Cristo.

Così sia.

Per conservare a questa omelia il suo carattere proprio, è stato mantenuto lo stile orale.


(Trascrizione e titoli DICI del 7 luglio 2011)
Tratto da: Non Possumus

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.