venerdì 15 luglio 2011
Lettera enciclica "Quare lacrymae, sull’uccisione del Re di Francia, sulla orribile catastrofe della rivoluzione francese, sulla iniquità delle filosofie professate"
Quare lacrymae
Roma, 17 giugno 1793
Venerabili Fratelli,
Come mai le lacrime e i gemiti non soffocano le Nostre parole? Non Ci conviene piuttosto esprimere con i gemiti anziché con le parole quell’immenso dolore dell’animo che Vi dobbiamo manifestare, mentre Vi esponiamo quanto è successo a Parigi il 21 gennaio del corrente anno? Spettacolo orrendo di crudeltà e di barbarie!
Per la cospirazione di uomini empi è stato condannato a morte il cristianissimo re Luigi XVI e la condanna è stata subito eseguita. Ma quale processo, e con quale modalità ciò sia stato compiuto, brevemente Vi riferiremo: la cosa è stata condotta a termine dall’Assemblea Nazionale senza alcuna autorità e senza alcun diritto. Infatti, abolita la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica, essa aveva trasmesso ogni pubblico potere al popolo, il quale non si lascia guidare né dalla ragione, né dal consiglio; non fa distinzione fra il giusto e l’ingiusto; apprezza e stima poche cose secondo verità, molte invece secondo l’opinione corrente; è incostante, facile ad essere ingannato e condotto a tutti gli eccessi; è ingrato, arrogante, crudele. Gode nel vedere il sangue umano, la strage, i lutti e lo strazio dei morenti, come si vedeva negli antichi anfiteatri, e se ne pasce voluttuosamente. La parte più feroce di questo popolo, non contenta di aver degradato la maestà del suo Re, volendogli togliere anche la vita, comandò che fungessero da giudici i suoi stessi accusatori che gli si erano dichiarati nemici. Questi, durante lo svolgimento del processo, vollero repentinamente chiamarne altri peggiori, affinché il numero dei giudici favorevoli alla condanna prevalesse sugli altri. Tuttavia non riuscirono ad aumentarne il numero, in modo che il Re fu condannato con un numero di voti inferiore a quello richiesto dalla legge. E da tanti giudici iniqui e perversi, da tanti voti estorti, che cosa ci si doveva aspettare e temere se non un risultato triste, orribile, esecrato per tutti i secoli? Tuttavia, poiché l’orrore per tanta scelleratezza aveva fatto indietreggiare molti, essendo sorta una grande disputa fra i votanti, si decise di ripetere ancora la votazione, il cui esito, sebbene fosse soltanto espressione dei congiurati, fu dichiarato legittimo.
Passiamo qui sotto silenzio altri atti illegittimi, certamente nulli e irriti, che si possono leggere nella dignitosa difesa degli avvocati e qua e là nei pubblici giornali. Tralasciamo anche tutto quello che il Re fu costretto a subire e soffrire prima della pena capitale: la sua lunga detenzione in varie prigioni, dalle quali veniva prelevato talvolta per essere tradotto davanti alle sbarre della Convenzione; l’assassinio del suo confessore; la segregazione dalla sua carissima regale famiglia, e tanti altri generi di tribolazioni per aumentargli la pena e l’ignominia. Davanti ad esse, ognuno che abbia qualche sentimento di umanità non può provare altro che orrore, poiché era ben nota a tutti l’indole soave, benefica, clemente, paziente di Luigi XVI, amante del suo popolo, alieno da rigore e severità, cordiale e indulgente verso tutti.
Fu per questo che ci s’indusse a convocare le Assemblee del regno che venivano insistentemente richieste, e che risultarono poi contro la sua regia autorità e infine contro la sua persona.
Non possiamo tuttavia passare sotto silenzio tutte le virtù che risultano dal suo testamento scritto di suo pugno, che svela l’intimo del suo animo, e che è stato poi divulgato dovunque a mezzo stampa. Quanta virtù in lui; quanto zelo e amore per la Religione cattolica! Quale testimonianza di vera pietà verso Dio! Quanto dolore, quanto pentimento per aver dovuto apporre la sua firma sotto gli atti contrari alla disciplina e alla vera Fede della Chiesa! Venendo quasi sommerso sotto le onde di tante avversità ogni giorno sempre più pressanti, poteva ripetere le parole del re d’Inghilterra Giacomo I: "che egli veniva calunniato in tutte le assemblee popolari non perché avesse commesso qualche crimine, ma soltanto perché era il Re; il che era ritenuto il peggiore di tutti i crimini". Ma tralasciamo un po’ di parlare di Luigi, per portare dalla storia un esempio che si addice pienamente al Nostro argomento e che è provato dalla testimonianza luminosa di onesti scrittori.
Maria Stuarda, regina di Scozia, figlia di Giacomo V re di Scozia, e vedova di Francesco II re di Francia, avendo assunto i titoli e le insegne dei re d’Inghilterra, che gl’Inglesi avevano già attribuito ad Elisabetta, come narrano molti storici, quante avversità dovette affrontare da questa sua rivale e dai facinorosi Calvinisti, che le portarono insidie e violenze! Spesso incarcerata, spesso soggetta agli interrogator" dei giudici, rifiutò di rispondere, dicendo che una regina deve rendere conto della sua vita solo a Dio. Vessata continuamente e in tutti i modi, rispose, dimostrò l’infondatezza dei crimini che le erano stati attribuiti e provò la propria innocenza. Ma non per questo, tuttavia, i giudici si astennero dal compiere l’ingiustizia già premeditata e pronunciarono contro di lei la condanna a morte, come fosse irrefutabilmente rea e quella testa regale fu troncata sul palco.
Benedetto XIV nel terzo libro sulla Beatificazione dei Servi di Dio, cap. 13, n. 10, ragiona così su questo evento: "Se si dovesse istituire un processo sul martirio di questa Regina, processo che finora non è mai stato disposto, risalterebbe subito un’obiezione evidente contro il suo martirio, desunta dalla sentenza del processo e da tutte le calunnie che contro di lei hanno farneticato gli eretici, specialmente Giorgio Buchanan in quell’infame libello che ha per titolo: "Maria smascherata". Ma se si esamina la vera causa della sua morte, che si riassume nell’odio contro la Religione Cattolica che ella sola, unica superstite, professava in Inghilterra; se si esamina l’invitta costanza con la quale respinse le proposte di abiurare la Religione Cattolica; se si osserva la forza ammirevole con cui sostenne la morte; se si tien conto, come si dovrebbe, che ella protestò prima della decapitazione, e nell’esecuzione stessa, che era sempre vissuta da cattolica e che moriva volentieri per la fede cattolica; se non si omettono, come non devono essere omesse, le evidentissime ragioni dalle quali emerge non solo la falsità dei crimini attribuiti alla regina Maria dai suoi oppositori, ma anche l’ingiusta sentenza di morte, fondata su calunnie ispirate dall’odio contro la Religione Cattolica, perché restassero immutabili i dogmi ereticali nel regno d’Inghilterra; allora si comprenderà che non manca nessuna condizione necessaria per affermare che il suo fu un vero martirio".
Sappiamo da Sant’Agostino che "non è il supplizio che fa il martire, ma la causa". Per questa ragione Benedetto XIV si dichiarò propenso a ritenere vero martirio l’uccisione di Maria Stuarda. Egli si chiese "se per il martirio è sufficiente dimostrare che il tiranno fu mosso dall’odio contro la Fede di Cristo, anche se si attribuisce l’occasione della morte ad un’altra causa che non riguarda la Fede di Cristo o vi appartiene soltanto accidentalmente". Risolse il caso affermativamente, indotto dalla ragione che un atto desume la sua specifica natura non da un’occasione o da altra causa impulsiva, ma dalla causa fondamentale. Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall’odio contro la Fede, anche se l’occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede.
Ritorniamo ora al re Luigi XVI. Se è grande l’autorità del papa Benedetto XIV, e si deve dare molto peso alla sua opinione quando propende a definire martirio l’uccisione della regina Stuarda, perché anche Noi non dovremmo considerare martirio la morte del re Luigi ? Anche in questo caso vi furono lo stesso attaccamento alla Religione, lo stesso proposito e la stessa ferocia. Deve essere quindi riconosciuto lo stesso merito. E chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede e oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo?
Già da tempo i Calvinisti avevano cercato di abbattere in Francia la Religione Cattolica; ma bisognava prima preparare gli animi. Il popolo doveva essere indottrinato con empie ideologie che essi non desistevano di spargere fra il volgo per mezzo di libelli riboccanti di perfidie ed eccitanti alla rivolta; e per realizzare il loro intento utilizzavano l’opera di perversi filosofi. L’Assemblea generale del Clero Gallicano nell’anno 1745 aveva già condannato questa perniciosa scelleratezza degli artefici di inique dottrine. Noi stessi, all’inizio del Nostro Pontificato, abbiamo denunciato a mezzo di una lettera enciclica indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica la manovra detestabile dei perfidi uomini e il gravissimo pericolo sovrastante, allorché li abbiamo esortati con queste parole: "Togliete di mezzo a Voi il male, cioè, con grande energia e sollecitudine cercate di far sparire dal Vostro gregge tutti questi libri avvelenati". Se avessero avuto esito le Nostre esortazioni e i Nostri ammonimenti, oggi non avremmo a dolerci del progresso di questa congiura contro i re, e della rovina dei regni. Quando questi uomini depravati hanno notato l’esito favorevole della loro opera, e che era già giunto il momento di mettere in esecuzione i loro disegni, cominciarono a sostenere apertamente in quel libro pubblicato nell’anno 1787 che questa affermazione di Ugo Rosario, a meno che non sia qualcun altro l’autore del libro: "È cosa lodevole togliere di mezzo il principe che non vuole aderire alla religione riformata e non vuole partecipare alla difesa della religione dei protestanti".
A seguito dell’iniqua affermazione sopra riportata, risulta chiaro a tutti quale sia stata l’origine delle penose sventure alle quali Luigi andò incontro: si è dovuto riscontrare che tali frutti derivavano in Francia dai malvagi libri, come da un albero velenoso. È stato scritto nella Vita dell’infame Voltaire che il genere umano gli doveva essere eternamente grato per essere stato il primo sostenitore della rivoluzione generale, avendo eccitato i popoli a riconoscere le proprie rivendicazioni di libertà e ad usare le proprie forze per abbattere il formidabile bastione del dispotismo, cioè il potere religioso e sacerdotale, sopravvivendo il quale – dicevano – il giogo della tirannide non sarebbe mai stato sconfitto poiché l’una e l’altra autorità sono talmente legate fra loro, che una volta abbattuto l’uno, l’altro doveva necessariamente cadere. E costoro, cantando già vittoria per la fine del regno e per l’abbattimento della Religione, esaltano il nome glorioso di questi empi scrittori, come se fossero i comandanti di schiere vittoriose. E così è accaduto che, con queste arti, hanno attirato dalla loro parte una grande moltitudine di popolo, allettandola sempre più, o meglio illudendola con grandi promesse; hanno percorso tutte le regioni della Francia, servendosi del nome specioso di libertà onde chiamare tutti a raccogliersi sotto queste spiegate insegne e queste bandiere. Questa dunque è quella libertà filosofica che mira al risultato di corrompere gli animi, depravare i costumi, sovvertire l’ordine delle leggi e di tutte le istituzioni. Tale falsa libertà fu condannata dall’Assemblea del Clero Francese quando già serpeggiava fra il popolo con queste fallaci opinioni; Noi stessi nella già ricordata lettera enciclica [Inscrutabile divinae del 25 dicembre 1775] l’abbiamo caratterizzata e definita con queste parole: "Questi perversi filosofi cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che un’immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo".
I suddetti agitati difensori del genere umano hanno aggiunto a questo falso e bugiardo nome di libertà l’altro nome parimenti falso di uguaglianza: cioè uguaglianza fra uomini che si costituiscono in società civile, quantunque siano di opinioni diverse, procedano verso direzioni diverse, ciascuno spinto dal proprio arbitrio, e non ci debba essere nessuno che prevalga per autorità e forza, comandi, moderi e richiami dall’agire perverso sulla strada dei doveri, affinché la società stessa, sotto la spinta contrastante di tante fazioni, non cada nell’anarchia e si dissolva, come qualsiasi armonia che si compone dell’accordo di tanti suoni, e se non ottiene un idoneo equilibrio fra strumenti e suoni degenera in rumori confusi e del tutto stonati. Essendosi poi proclamati riformatori degli stessi comandamenti, anzi arbitri della Religione, mentre, secondo l’espressione di Sant’Ilario di Poitiers, la Religione esige il dovere dell’obbedienza, cominciarono essi stessi ad emanare norme e inauditi statuti sulla Chiesa stessa. Da questo laboratorio è uscita quella sacrilega Costituzione che Noi abbiamo rifiutato nella Nostra risposta del 10 marzo 1791 sottoscritta da trenta Vescovi. E qui si può giustamente adattare al caso ciò che scrisse San Cipriano: "Come è possibile che siano gli eretici a giudicare i cristiani, gli ammalati ad occuparsi dei sani, i feriti di chi è rimasto incolume, i peccatori del santo, i rei dei giudici e i sacrileghi del sacerdote?". Che resta ormai alla Chiesa, se non cedere a un insensato?
Coloro che nelle diverse classi dei cittadini rimanevano ancora fedeli al loro credo e costantemente ricusavano di sottomettersi con giuramento alla nuova Costituzione, venivano subito fatti oggetto di malversazioni e destinati alla morte. Si è osato perfino di massacrarli indistintamente; si è infierito barbaramente contro moltissimi uomini di chiesa; sono stati soppressi dei Vescovi, i quali dovrebbero essere circondati di devozione e riverenza, come ha insegnato col suo esempio Cristo Signore che, come dice San Cipriano, "fino al giorno della sua passione rispettò i pontefici e i sacerdoti ebrei, nonostante essi non avessero il timore santo di Dio, né riconoscessero in Lui il Messia".
Una moltitudine di uomini di ogni ceto fu in questo modo soppressa. La pena meno grave fu di cacciarli in esilio in regioni straniere, senza distinzione di età, di sesso, di condizione. Per la verità era stato decretato che ognuno potesse liberamente professare la religione che voleva, come se ogni religione fosse vera e portasse all’eterna salvezza. In realtà era invece proibita la sola Religione Cattolica, e per estirparla si faceva scorrere il sangue per le piazze e le case, come se ogni credente fosse da colpire con pena capitale. Non potevano essere difesi e sicuri coloro che si erano rifugiati nelle regioni d’esilio, perché in quei luoghi venivano arrestati e, ingannati perfidamente, venivano soppressi. Questa è la caratteristica di tutte le eresie, questo il costume degli eretici fin dai primi secoli della storia della Chiesa; e questo è pure confermato dalla tirannica condotta dei Calvinisti, specialmente in Francia, dove con minacce e violenze cercano d’indurre tutti ad accettare la loro confessione.
Da questa serie ininterrotta di empie violenze iniziate in Francia, emerge evidente che lo scopo principale di queste macchinazioni era di sfogare l’odio contro la Religione Cattolica; oggi tutta l’Europa ne è agitata e sconvolta e nessuno può negare che questa è stata la causa della morte inflitta al re Luigi. Contro di lui si sforzarono di approntare un cumulo di accuse ispirate da motivi politici, e fra esse spicca tuttavia la principale ragione, cioè quella sua fermezza d’animo con la quale si rifiutò di approvare e sancire il decreto di esiliare i preti cattolici, come pure l’affermazione contenuta nella lettera inviata al Vescovo di Clermont, di voler ristabilire in Francia il culto cattolico appena fosse stato possibile. Forse che tutto questo non vale e non è sufficiente per affermare e stabilire che Luigi è stato un martire? Anche la sentenza capitale contro Maria Stuarda cercava di appoggiarsi su pretese macchinazioni, crimini e congiure contro lo Stato, facendo appena menzione della Religione. Tuttavia Benedetto XIV, disdegnate le menzogne espresse nella sentenza, indicò quale era realmente la principale causa all’origine della condanna, cioè l’odio contro la Religione Cattolica; pertanto esisteva il motivo del martirio.
Ma, come si sente dire, contro questo martirio di Luigi c’è chi obietta che egli aveva approvato la Costituzione che era stata da Noi respinta nella Nostra risposta ai Vescovi già citata. Invece parecchie persone ritengono che le cose si siano svolte diversamente e asseriscono che, quando fu presentata al re la Costituzione per essere firmata, egli esitò, raccolto nei suoi pensieri; poi ricusò di firmarla, temendo che quella firma avesse valore di approvazione. Ma quando da uno dei suoi ministri (e se ne fa anche il nome) sul quale egli aveva posto tanta fiducia, gli disse che la sottoscrizione significava soltanto che quello scritto era il vero e autentico testo della Costituzione, affinché Noi, a cui il testo era indirizzato, non avessimo nessun sospetto sulla sua autenticità, per questa semplice ragione fu indotto a sottoscrivere, e ciò confermò nel suo testamento quando scrisse di aver firmato contro la propria volontà. E infatti non sarebbe stato conseguente con se stesso, se avesse poi rigettato costantemente ciò che aveva approvato, non avendo mai voluto firmare il decreto col quale venivano cacciati in esilio quei preti che avevano rifiutato il giuramento; né avrebbe dichiarato al Vescovo di Clermont che egli era deciso a ristabilire il culto cattolico in Francia. Ma in qualunque modo siano avvenuti i fatti (in proposito Noi non assumiamo alcuna responsabilità) anche se concediamo che Luigi abbia approvato con la sua firma la Costituzione o per inganno, o per errore, o per leggerezza, dovremmo variare il Nostro giudizio sul suo martirio? Ce lo vieta quella certa e solenne ritrattazione del Re che ne seguì, e inoltre il fatto – come sopra abbiamo dimostrato – che la morte gli fu inferta in odio alla Religione Cattolica. E questo nulla toglie al Re dell’onore e della gloria del martirio. Analogamente per San Cipriano, che a proposito del Battesimo degli eretici aveva espresso principi contrari alla verità; Sant’Agostino più volte con parole e scritti afferma che Dio lo aveva purificato con la falce del martirio, come si pota un ramo che porta frutta.
Non molto diversa la questione sollevata nella Congregazione dei Riti, se era di ostacolo a riconoscere il martirio del gesuita Giovanni de Britto, il fatto che nella missione di Madura aveva usato i cosiddetti riti Cinesi che erano stati proibiti. Gli elettori non esitarono ad esprimersi in senso negativo: cioè il fatto non era per nulla di ostacolo, dato che il servo di Dio nel successivo martirio aveva ritrattato col sangue l’uso di tali riti. Ma i Cardinali si trovarono poi divisi nell’esprimere un decreto favorevole, affinché non si prendesse l’occasione per propugnare in seguito che si vuole recedere dalla proibizione di questi riti. Ma Benedetto XIV rimosse ogni difficoltà, affermando che dalla proclamazione di quel decreto non si poteva dedurre che la Santa Sede intendesse recedere dai decreti dei suoi predecessori, che avevano proibito i riti suddetti. Nello stesso tempo approvava la ritrattazione emessa dal venerabile Giovanni non con l’inchiostro ma col sangue, e dichiarava che l’eccezione che si era posta nella causa di beatificazione del venerabile servo di Dio Giovanni de Britto non doveva ostacolare oltre la discussione sulla vera causa del martirio e ancor più sulla veracità dei segni e dei miracoli che erano stati compiuti con la sua intercessione. Si doveva discutere secondo il decreto emanato e pubblicato il 2 luglio 1741.
Noi, incoraggiati da tale decreto, riconoscendo che la ritrattazione di Luigi era vera e ampiamente provata, scritta non soltanto con l’inchiostro, ma col suo sangue generoso, crediamo di non essere lontani dal parere del Papa Benedetto non per emettere un simile decreto ma per restare nell’opinione che Ci siamo formati sul martirio del Re Luigi, nonostante ci fosse stata – se pure c’è stata – un’approvazione della Costituzione civile del clero.
Ahi Francia, ahi Francia! Chiamata dai Nostri predecessori "specchio di tutta la Cristianità e sicura colonna della Fede", tu che nel fervore della Fede cristiana e nella devozione alla Sede Apostolica non hai mai seguito le altre Nazioni, ma le hai sempre precedute! Quanto sei lontana da Noi oggi, con codesto animo così ostile verso la vera Religione: sei diventata la più implacabile nemica fra tutti gli avversari della Fede che mai siano esistiti!
Eppure non puoi ignorare, anche se lo volessi, che la Religione della Fede cristiana è il sostegno più solido dei regni, poiché reprime l’abuso dei potenti e la licenza dei sudditi. Per questa ragione gl’invidiosi nemici del potere dei re, per toglierlo di mezzo, aspirano a sovvertire la Fede cattolica.
Ahi Francia, ancora una volta! Tu che hai chiesto di avere un re cattolico, poiché le leggi fondamentali del regno non esigono nessun altro re se non cattolico, proprio perché era cattolico lo hai ucciso !
Fu tanto il tuo furore contro il Re, che non ti sei acquietata e saziata neppure con la sua decapitazione. Hai voluto infierire anche sul cadavere; hai voluto che il suo corpo venisse immediatamente sotterrato, senz’alcuna onorata sepoltura. Invece a Maria Stuarda, già estinta, si tributò l’onore dovuto alla sua regale dignità. La sua salma fu portata nella cittadella, imbalsamata e riposta in un loculo già predisposto per la sepoltura. Fu ingiunto ai suoi servi e ai suoi ministri di restare presso di lei con le livree e le insegne della loro dignità, senza cederle a nessuno, finché non si fosse trovata una sepoltura onorevole.
Che cosa hai guadagnato, tu, con tutto il tuo inestinguibile odio, se non disonore e infamia, e da parte dei re e dei principi un’avversione, un disgusto, un odio e un’indignazione ancora maggiori di quelli che arsero contro Elisabetta d’Inghilterra?
Oh giorno trionfale per Luigi! Dio gli ha dato la pazienza nella persecuzione, la vittoria nel supplizio! Noi abbiamo la ferma fiducia che tu hai felicemente cambiato una caduca corona regale e i gigli, che in breve sfioriscono, con un’altra corona perenne, intessuta dagli Angeli con gigli immortali.
Quello che ora Noi dobbiamo fare secondo il Nostro dovere apostolico, lo desumiamo dalla lettera di San Bernardo al suo discepolo, il Papa Eugenio IV, quando lo esortava "ad adoperarsi con tutte le sue energie perché gl’increduli si convertissero alla Fede, i convertiti non si allontanassero più, e i lontani ritornassero". Abbiamo inoltre davanti agli occhi l’esempio del Nostro predecessore Clemente VI che non cessò di perseguire il crimine dell’assassinio del re di Sicilia, Andrea, infliggendo gravissime pene spirituali contro i cospiratori e gli assassini, come si legge nella sua lettera. Ma che cosa possiamo ottenere da un popolo che non solo disprezzò i Nostri ammonimenti, ma Ci ha insultato con gravissime offese, abusi, ingiurie e calunnie, ed è giunto a un punto tale di audacia e di pazzia da scrivere false lettere con il Nostro nome, nelle quali ha inserito i propri errori? Lasciamo dunque nella sua miseranda depravazione chi vuole perseverare nella sua pertinacia; confidiamo che il sangue innocente di Luigi gridi in qualche modo e interceda affinché il popolo francese riconosca e detesti la propria ostinazione nell’accumulare delitti e consideri le varie e acerbissime pene che Dio, giusto vindice delle scelleratezze, è solito infliggere ai popoli per delitti molto meno gravi.
Abbiamo voluto fare queste considerazioni con Voi per averne un po’ di sollievo in una così orribile catastrofe.
Poniamo fine al Nostro discorso invitandovi a celebrare con Noi le solenni esequie per il defunto Re, secondo la consuetudine, anche se i Nostri uffici funebri di suffragio sembrano inutili, avendo egli conseguito, come si crede, il nome di martire. Sant’Agostino afferma che "la Chiesa non prega per i martiri ma piuttosto si raccomanda alle loro preghiere"; tuttavia l’affermazione del Santo si deve applicare non a colui che per giudizio umano è stato ritenuto martire, ma come tale è stato dichiarato dalla Sede Apostolica.
Pertanto, nel giorno che Vi verrà notificato, insieme con Voi, Venerabili Fratelli, celebreremo le pubbliche esequie nella Nostra pontificia cappella per il cristianissimo re Luigi XVI.
Pio VI
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