Un particolare ringraziamento al Prof. Andrea Moncada per avermi gentilmente fatto partecipe a questo testo.
di A. Oddone S.I.
Nella ragione dell’uomo e nel libro della sua coscienza è impressa a a caratteri indelebili la legge morale, che, quale araldo di Dio, fa sentire a tutti la voce del dovere, che è per tutti luce che rischiara la via da percorrere e mostra il vizio da fuggire e la virtù da praticare.
Ma questa luce è troppo debole e fioca per formare degli uomini veramente e sempre ragionevoli, per regolare stabilmente e sicuramente la loro condotta. Ce lo dice la filosofia e ce lo svela l’esperienza.
Nessuno ignora quante siano le insufficienze, le infermità e debolezze della morale semplicemente naturale, com’essa manchi di chiarezza e di efficacia nelle sue risoluzioni e determinazioni[1]. Su molti punti importanti, quali sono i nostri rapporti con Dio e i nostri doveri verso il prossimo e verso noi stessi, essa o tace del tutto, o se parla, la sua voce è facilmente soffocata dalle passioni. La nostra ragione è come una lampada che arde dentro una lanterna di vetro; ma la lanterna è per lo più appannata e non basta per illuminare con sicurezza la strada che dobbiamo percorrere. È quindi necessaria un’altra luce di natura superiore, che non sia soggetta agli influssi della fantasia, della sensibilità e del cuore.
Questa luce è data dalla morale rivelata o morale cristiana. Per mezzo di essa Dio, non contento di avere impresso nella ragione dell’uomo il riflesso di se stesso, volle aggiungere nuove manifestazioni soprannaturali alle rivelazioni naturali, che vengono dall’intimo della coscienza, volle che alla voce della legge interna del cuore facesse eco una legge esteriore positiva, che, appoggiandosi sulla precedente, la elevasse, la compisse e la perfezionasse.
Rivelatore definitivo e dottore infallibile di questa morale cristiana e suo esemplare perfettissimo, è Gesù Cristo; sua regola prossima è la Chiesa. È una morale essenzialmente soprannaturale per il fine a cui tende, che è la nostra deificazione; per i principi direttivi, che sono quelli della rivelazione; per i mezzi somministrati, che sono gli aiuti della grazia divina. Più vasto è anche il suo campo e la sua sfera, perché oltre i precetti di ordine naturale, comprende pure verità che si riferiscono alla vita soprannaturale e alle virtù teologiche. Tutto questo costituisce la sua eccellenza e assicura la sua meravigliosa fecondità nel bene.
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Di un intervento positivo di Dio legislatore dell’ordine morale risuona tutta la tradizione; le sue tracce e vestigia si trovano più o meno chiare nella storia del popolo giudaico, nella legislazione mosaica, nella missione dei profeti sino al Nuovo Testamento. Esso prende finalmente la sua forma definitiva e perfetta, si riassume e s’incentra nel messaggio di Gesù Cristo, ed ha nel Vangelo la sua storia meravigliosa. Oggi l’uomo non è più soltanto sotto l’ispirazione della coscienza lasciata a se stessa, non è più unicamente sotto il regno di questa coscienza diretta da una legge iniziale e imperfetta. Egli è invece sotto il regno di una coscienza illuminata dalla Legge evangelica, dalla morale cristiana.
Nel suo insegnamento Gesù Cristo sembra che abbia voluto di preferenza insistere nel campo della morale, come quello che tocca più da vicino i bisogni dell’uomo. In questo campo egli operò la più grande rivoluzione della storia. Conservò, è vero, il passato; ma lo fece interamente nuovo: «Non sono venuto, disse, per abrogare la legge, ma per compirla»[2].
Prese per ciò la morale dove il Padre suo l’aveva collocata, cioè nel Decalogo, ignorato dai sapienti del secolo, e nel profondo della coscienza umana. La liberò dalle scorie, che le false religioni vi avevano mescolato e dalle incertezze, che le false filosofie vi avevano sparse attorno. E poi vi aggiunse delle virtù nuove, delle virtù sconosciute al mondo pagano, come l’umiltà, la purezza, il perdono delle offese, il disprezzo delle ricchezze, la glorificazione delle sofferenze, la mortificazione di se stesso. Il programma della morale di Gesù è in certo modo riassunto nel Discorso della montagna. Riportiamo la bella parafrasi che di questa Magna Charta della morale cristiana fa Pietro Ellero nel suo volume La questione sociale[3]«Prima di tutto – così parla Gesù – voi dovete sradicare da voi l’orgoglio, la prepotenza, la saccenteria, l’avidità, l’egoismo e le altre passioni, in cui foste sinora avvinti e che vi tengono schiavi del male e del dolore, rendervi umili, docili, generosi, soavi; e per ciò dovete tergere con un lavacro il sudiciume del decrepito mondo che avete indosso, ritornare fanciulli, rifarvi interamente, ricominciare la vita[4]. Non crediate che la sola giustizia negativa degli antichi valga; non solamente non dovete uccidere, adulterare, insomma non delinquere, ciò che per loro bastava; ma nemmeno adirarvi e nemmeno desiderare o pensare le iniquità[5]. Non fate liti, non invocate diritti, non irrogate pene. Amate i vostri nemici; fate del bene a coloro che vi odiano; pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa che si levi il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi, e manda la pioggia pei giusti e per gli iniqui[6]. Non usate finzioni e ipocrisie, non recitate lunghe preghiere, non ostentate in pubblico gli atti virtuosi, fateli solo per intimo vostro compiacimento; perdonate settanta volte sette e operate il bene con allegrezza di cuore[7]. Non abbiate amore alle ricchezze; anzi nemmeno studio di possederle, nemmeno affanno per provvedere alla vostra sussistenza, perché vivono pure tutti gli altri esseri, e non vivrete voi che avete in Dio un Padre?[8] Non curate i torti; chiedete a Dio il bene ed egli ve lo concederà. Fate adunque agli uomini tutto quello che volete facciano a Voi, perché in questo sta la legge e i profeti. Non tutti quelli che a me dicono “Signore, Signore”, entreranno nel regno dei cieli, ma solo colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli[9]. Amerete il Signore Dio con tutto il vostro cuore, con tutta l’anima vostra e con tutto il vostro spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: amerete il prossimo vostro come voi stessi. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge dei profeti[10]. Siate perfetti come è perfetto il Padre mio che è nei cieli».
Tale è, in compendio la morale insegnata da Gesù Cristo al genere umano. Io non credo, continua L’Ellero, che l’intelletto umano potrà mai elevarsi ad un concetto più chiaro, più fermo e più semplice della vera morale. La morale tracciata da Cristo non è come ognun vede, la delicata voluttà degli epicurei, non la rigida e aristocratica virtù degli stoici, non una semplice estasi o contemplazione di asceti, ma bensì una morale viva, feconda, cordiale: essa è l’amore universale che deve comprendere Dio e tutti gli uomini.
Da questi lineamenti della morale cristiana è facile dedurre i principali caratteri che la distinguono da tutte le altre morali antiche e moderne, sia religiose, sia filosofiche, e che ne fanno sempre meglio risaltare l’originalità, la bellezza e l’eccellenza.
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Il primo carattere originale della morale cristiana è l’autorità, che essa porta in radice per la dipendenza e il necessario fondamento che ha nel dogma.
Tra la morale cristiana e il dogma vi è una stretta connessione come fra l’intelletto e la volontà. La morale cresce per così dire dal dogma come l’albero dalle radici e dal terreno. Il dogma s’impone all’intelligenza, la morale alla volontà: come la volontà segue le direttive dell’intelletto ed è guidata dalla sua luce, così la morale deve appoggiarsi sempre sull’insegnamento speculativo dogmatico per attingervi la direzione di cui ha bisogno. La Chiesa, come dice il Fontane, ha sempre collegato strettissimamente i precetti morali alle verità dogmatiche. Nelle spiegazioni teologiche e nelle verità del dogma l’obbligazione morale trova la sua origine, la sua ragione di essere, la sua base e il suo fulcro necessario. Una morale qualsiasi, senza ombra di dogma, logicamente non regge. È un edifizio senza fondamento, una conseguenza senza premesse, un frutto senza radice. La morale implica un dogma come il dogma porta con se una morale. Il precetto di amare gli altri come noi stessi implica il dogma dell’uguaglianza naturale. Poiché noi siamo certi che lo sforzo per compiere il dovere non sarà vano e che avrà la sua mercede, bisogna che siamo anche certi che vi è una potenza capace di far trionfare la giustizia e l’amore; bisogna che siamo certi che il regno della giustizia ha un re e che questo re regna e governa[11]. Anzi è cosa degna di nota che sono appunto i dogmi in apparenza più speculativi quelli che sopportano tutto il peso della morale soprannaturale[12].
Del resto la storia della teologia morale attesta chiaramente che senza questa dipendenza costante dal dogma, la morale corre pericolo di essere molto impoverita dal punto di vista dottrinale, di avere ben poca efficacia per combattere gli errori opposti alla dottrina cattolica e anche di eclissarsi del tutto. Infatti succede non di rado che l’ostilità dogmatica genera a poco a poco l’ostilità anche alla morale del cristianesimo. Ieri la morale cristiana sembrava riscuotere il suffragio di un consenso universale, più mirabile per questo che consentivano coi criteri morali del cristianesimo uomini, che dal cristianesimo intellettualmente si ostentavano alieni, come lo erano di fatto. Oggi, anche in molti di costoro vanno spegnendosi gli entusiasmi verso la morale cristiana.
Nessuno perciò può aderire sinceramente ed efficacemente alla morale cristiana senza sottostare per conseguenza alle verità dogmatiche che le servono di fondamento. Chi vuole la morale senza i dogmi, minaccia di distruggere insieme morale e dogmi. Quando Dio parla è doveroso non soltanto credergli ma anche ubbidirgli. Dio non vuole soltanto dei pensieri, ma domanda soprattutto degli atti in corrispondenza ai pensieri.
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Un secondo tratto della morale cristiana è la sua netta opposizione ad ogni insincerità, ad ogni finzione e ipocrisia. È nota la condanna di Gesù Cristo contro il formalismo farisaico. Si trovano a questo riguardo nel Vangelo, dove pure aleggia tanto spirito di dolcezza e castità, delle pagine di un’ardente energia. Le invettive di Gesù contro gli Scribi e i Farisei, sono terribilmente sferzanti. Depositari del più bel codice di morale, questi indegni successori di Mosè, ne avevano con le loro sottigliezze e i loro cavilli, alterato il senso e distrutta l’efficacia. Per loro la giustizia era soltanto una simulazione; la virtù una maschera. Dalle leggi essi non prendevano altro che le osservanze esteriori, trascurandone il nucleo e la sostanza.
Gesù quindi giustamente li colpisce con le sue severe maledizioni. «Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, perché chiudete in faccia alla gente il regno dei cieli. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, che lavate il di fuori del bicchiere e del piatto, ma dentro siete pieni di rapine e di immondizia. Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, che siete simili a sepolcri imbiancati, che al di fuori paiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di putredine. Così anche voi di fuori apparite giusti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Serpenti, razza di vipere, come scamperete voi all’inferno?»[13]
Secondo queste parole del Maestro, la giustizia puramente esteriore a nulla serve. Nascondere le proprie cupidigie, le proprie rapacità, il proprio orgoglio sotto un velo religioso, è Mentire a Dio e agli uomini. Ridurre tutta la morale a dei vani riti esteriori, a delle pratiche sterili, ad una lettera morta, è tradire il dovere. Il cristianesimo, ha esaltato soprattutto lo spirito ed è per questo che ha rinnovato la faccia della terra. I Farisei, che erano formalisti e ipocriti, avevano dimenticato che l’anima dell’uomo deve essere purificata e perfezionata a preferenza del corpo; essi avevano dimenticato che i peccati interiori sono condannabili molto più che le mancanze esteriori. Il loro accecamento arriva fino a credere che i movimenti di collera tendenti all’omicidio e i movimenti di concupiscenza tendenti all’adulterio, fossero scusabili. Essi non consideravano come delitti, se non gli adulteri e gli omicidi consumati. Gesù protesta contro questa dottrina farisaica. Rivolgendosi un giorno alla folla esclama:«Se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli Scribi e dei Farisei, voi non entrerete nel regno dei cieli».
Oggi, come ai tempi di Cristo, la morale cristiana è e deve essere per tutti la morale della sincerità e della rettitudine la più assoluta. La schiettezza e la lealtà devono essere sempre in ogni circostanza, secondo gl’insegnamenti di Gesù, le caratteristiche del vero cristiano. «A Dio che è eterna verità non si può giungere, se non conformando i nostri atti e le nostre parole alla verità»[14].
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Un altro segno particolare della bellezza della morale cristiana è la sua chiarezza e precisione, la sua ammirabile armonia. Quale è l’estensione, la forma, il tenore dei nostri doveri verso Dio? La morale cristiana risponde a questo quesito. Non contenta d’insegnarci che per la nostra origine noi siamo l’opera di un Dio creatore, ci dichiara inoltre che nuove glorie si sono aggiunte a quelle della creazione, che noi siamo figli di Dio fatti a sua immagine e somiglianza mediante la nostra elevazione all’ordine soprannaturale. Deificati in certo modo da questa adozione e rigenerazione divina, noi viviamo della vita stessa di Dio e un giorno parteciperemo alla sua stessa beatitudine e felicità.
Noi siamo stretti da doveri di giustizia e di carità verso il prossimo. Ma chi è il nostro prossimo? Ce lo spiega chiaramente la morale cristiana. Il prossimo non è soltanto il concittadino, l’uomo della stessa nazione; non è solamente l’uomo della nostra stessa condizione. Il nostro prossimo è ogni uomo, è lo straniero, il barbaro, lo schiavo, il mendicante, lo stesso nostro nemico. «Se voi amate soltanto coloro che vi amano, quale ricompensa avrete noi?»[15]. Stupenda dottrina, che fece penetrare nei rapporti sociali la dolcezza, l’abnegazione, il mutuo appoggio, il perdono delle offese e stabilì al di là del regno della giustizia il regno dell’amore universale.
Che cosa dobbiamo a noi stessi? La morale cristiana regola a questo riguardo sul Decalogo da lei purificato e abbellito, tutti i nostri pensieri, tutte le nostre azioni. Nessuna dottrina morale ha mai richiesto ed ottenuto dai suoi seguaci il rispetto di se stesso nello stesso grado della dottrina cristiana, perché nessuna ha mai allo stesso punto esaltata la dignità della nostra anima e del nostro corpo.
Ai precetti poi la morale cristiana aggiunge anche i consigli. Non è più allora questione di obbligazione, ma di perfezione. I precetti costituiscono la via ordinaria per la quale deve passare la massa degli uomini per giungere al termine; i consigli costituiscono invece la via riservata a qualche anima privilegiata di buona volontà. Questi consigli sono il complemento dei precetti per condurre le anime al più sublime eroismo e terminano l’opera legislativa della morale cristiana[16].
Anche la società domestica e la civile hanno subito per mezzo della morale cristiana una felice rivoluzione nei rapporti dei loro membri, e nella determinazione precisa dei rispettivi doveri, nella riabilitazione della persona umana di fronte ad ogni dispotismo e tirannia da parte del capo della famiglia e del capo dello Stato.
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Un altro importante carattere della morale cristiana è la forza che essa somministra a coloro che la praticano, affinché possano più facilmente compiere il bene.
Nulla di più falso nell’ordine morale che il preteso assioma: «Sapere è potere». Abbiamo visto di sopra come la morale semplicemente naturale può farci conoscere la virtù, ma non può darci la forza per praticarla. Tanto spesso si verifica tra gli uomini il detto del poeta: «Video meliora proboque, deteriora sequor»[17]. Il cristianesimo con la sua morale non solo illumina, ma infonde in noi una forza divina, la forza della grazia, che tutta investe e penetra la natura umana, la eleva, la avvalora e la rende capace degli atti più eroici. «Tutto posso in Colui che mi conforta», esclamava San Paolo sotto gl’influssi divini della grazia.
La grazia di Cristo infatti aiuta il cristiano a vivere le verità credute, a mettere la sua condotta in armonia con le sue convinzioni. Essa, con la sua forza penetrante trasforma la nostra intelligenza, la nostra volontà, il nostro cuore. La grazia spirituale, dice S. Tommaso, è l’opera principale della nuova legge: «principalitas legis novae consistit in ipsa spirituali gratia indita cordibus»[18]. Per opera di questa trasformazione l’anima del cristiano si fa più tetragona e resistente al vizio, diventa più incline alla virtù. Le sue passioni vengono frenate, orientate, non distrutte come accade nello stoicismo, ma valorizzate per facilitare l’esercizio della virtù. La libertà non viene oppressa, ma aiutata soprannaturalmente a determinarsi per la via del dovere, a superare più agevolmente gli ostacoli.
Si aggiunga che Gesù Cristo, centro della vita cristiana, ne è anche il modello. Egli non si è limitato ad insegnare semplicemente i precetti morali, come un qualsiasi filosofo, ma ha vissuto, in tutto lo sviluppo della sua vita, interamente il suo insegnamento. Egli può dire ai suoi seguaci non solo «ascoltatemi», ma anche «imitatemi».
Ogni cristiano ha a sua disposizione gli esempi della vita di Gesù, dai quali è spinto a praticare le virtù del suo divino modello. Non c’è dovere della vita personale o sociale di cui Gesù non abbia lasciato l’esempio: un esempio sensibile che colpisce fortemente l’uomo, gli ricorda tutti i suoi doveri principali.
Ma, poiché questo modello potrebbe parere ad alcune anime troppo superiore alle proprie forze e fuori del quadro abituale della loro esistenza, Gesù ha suscitato altri modelli nella persona dei santi, nella cui vita risplendessero sì e con evidente risalto i suoi stessi lineamenti, ma insieme questi fossero adattati e commisurati per così dire al livello di tutti i fedeli. Né basta. I santi entrano nella nostra vita non solo come modelli da imitare, ma anche come ausiliari, la cui sollecitudine amorosa ci aiuta efficacemente ad imitarli.
Così, quando il cristiano ha messo Gesù Cristo al centro dei suoi pensieri e della sua vita, ne ritrova l’immagine, da qualsiasi parte egli si trovi. Essa gli richiama tutto quello che crede, e lo mette in grado di vivere conformemente alle sue credenze. E d’altra parte, ognuna delle sue credenze e delle sue pratiche, richiama invincibilmente l’immagine di Gesù Cristo. Perciò, se è una legge elementare di psicologia che, per realizzare un ideale di vita bisogna conservare in sé delle idee conformi alle azioni che si vogliono fare, non si può negare che la morale cattolica abbia utilizzato, e sapientemente, questa legge, che è alla base della stessa vita cristiana. La fede in Gesù Cristo incarnata nella sua persona, nei suoi insegnamenti, nella sua vita, nutrita continuamente con la meditazione e con il culto, diviene per il cristiano un ideale di irresistibile fascino ed attrazione, al quale non potrebbe sottrarsi, se non cessando d’essere cristiano[19].
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Rinvigorita dalla grazia divina, dall’esempio di Gesù Cristo e dei santi, la morale cristiana trova pure un’altra sorgente abbondante di aiuto e di efficacia nella autorità vivente della Chiesa cattolica.
Gesù Cristo per proteggere e rendere più efficace e feconda la sua morale, l’affidò alle mani sicure della sua Chiesa, la quale ne è per conseguenza la depositaria, la tutrice, l’interprete autorizzata. Senza l’opera sua che cosa sarebbe avvenuto della morale cristiana, di questo codice perfetto dei doveri dell’uomo? Non ne sarebbe rimasto che il ricordo, come avvenne nel protestantesimo. La Chiesa la conservò intatta tra i clamori delle passioni più furibonde, tra i sofismi più insidiosi, tra le violenze più brutali e ne fu maestra fedele indistintamente ad ogni classe sociale, come osserva con parole eloquenti S. Agostino. «Tu, dice egli, Chiesa cattolica, madre verissima dei credenti, addestri ed istruisci i pargoli, quasi pargoleggiando con loro. Tu ammaestri con forza i giovani, con calma i vegliardi, ciascuno secondo l’età sua e la capacità della mente. Tu inculchi casta e fedele ubbidienza alle spose verso i mariti, non a sfogo di libidine ma per avere figli e governare debitamente la società domestica. Tu insegni che i mariti con legge di uno schietto amore devono guidare le mogli, non abusando del sesso debole; tu ricordi ai figli che con una servitù libera devono ubbidire ai genitori, e ai genitori che con amorevole comando devono reggere i figli; tu congiungi tra loro i fratelli con i fratelli mediante il vincolo della religione, più saldo e più intimo che non quello del sangue. Tu con mutua carità congiungi in santo nodo ogni parentela ed affinità, rimanendo intatti i diritti di natura e del libero volere. Tu fai sì che i servi si mostrino docili ai padroni, non tanto per necessità di condizione, quanto per il dolce piacere di adempiere il loro dovere. Tu mettendo innanzi la piena signoria che Dio ha sopra tutti, rendi i padroni benigni con i servi e più inchinevoli a provvederli nei loro bisogni che a punirli. Tu rammentando l’origine comune dai primi padri, congiungi i cittadini ai cittadini, le nazioni alle nazioni più che con la convivenza sociale con il vincolo di una totale fratellanza. Tu imponi ai re di provvedere al bene dei popoli e ricordi ai popoli di ubbidire ai re. Tu sollecita insegni a chi si deve rendere onore, a chi amore, a chi rispetto; chi si deve temere, chi consolare, chi ammonire, chi esortare, chi raddrizzare, chi rimproverare e punire. Tu mostri che se non tutto si deve concedere a tutti, nondimeno a tutti si deve carità e a nessuno si deve fare ingiuria. Ben a ragione noi vediamo nel tuo seno una così gran moltitudine di uomini, che osservano l’ospitalità, pronti a rendere servigi, pieni di compassione, dotti, casti, santi e così accesi d’amore verso Dio, che privandosi di ogni cosa terrena ed in sommo grado disprezzando il mondo, trovano le loro gioie nel silenzio della solitudine»[20].
Come ai tempi di S. Agostino, la Chiesa cattolica anche oggi proclama questi insegnamenti della morale cristiana ricevuti in deposito da Gesù Cristo, e rivendica sopra questa morale i suoi diritti legittimi ed imprescrittibili e protesta di esserne la perenne custode e la maestra infallibile. Essa, osserva il Manzoni, non dice che la morale appartenga esclusivamente a lei, ma che a lei appartiene totalmente, cioè che, per il mandato avuto da Gesù Cristo, essa sola possiede originariamente e inamissibilmente tutte le verità morali, non solo quelle di ordine naturale, ma anche quelle che fanno parte della rivelazione e che si possono dedurre da questa[21].
Avvivata e bandita ai popoli dalla Chiesa, la morale cristiana cambiò la faccia del mondo e rigenerò tutta la società. Dell’individuo pagano, egoista, voluttuoso, orgoglioso, crudele, vendicativo, ha fatto il cristiano, uomo modesto, dolce, temperante, caritatevole, disinteressato. Dell’individuo pagano, addetto alle superstizioni ed ai sacrifici di animali, ha fatto il cristiano adoratore di un Dio unico, che prega in spirito ed in verità, che onora il Padre celeste con il timore filiale e con l’amore. Dell’individuo pagano, capo tirannico della famiglia, avente diritto di vita e di morte sopra la sposa ed i figli, ha fatto il cristiano, marito inseparabile di una sola donna, capo libero di un focolare libero, che impone la sua autorità più con la tenerezza che con la forza. Infine dello Stato pagano, implacabile con gli stranieri e vivente di spoliazioni e di despotismo, ha fatto la nazione cristiana, bramosa di eguaglianza, di libertà e di pace, che cerca di procurare al più gran numero di cittadini il benessere, l’istruzione e la moralità e che ha per ideale la fraternità universale. Nessuna dottrina ha mai prodotto effetti così profondi e così universali.
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La morale cristiana è ancora ai nostri giorni la grande ed unica potenza veramente incivilitrice. Il suo influsso continua a rischiarare, a fortificare, a trasformare il mondo, a ricoprirlo dei suoi benefici. Questa «vecchia e antica morale» basta ai bisogni dell’anima moderna, alla coscienza contemporanea; è la morale più pura, più elevata, più completa di ogni altra morale sbandierata dai nemici del cristianesimo.
Nulla si può aggiungere ai suoi precetti senza il pericolo di smarrirci nel male; nulla si può togliere senza il timore di aprire le porte alla serie dei vizi; nulla si può modificare e snaturare senza avvilire l’anima. La morale cristiana è la morale per eccellenza, nient’altro che la morale, tutta la morale. Le diverse teorie che sorsero dopo di lei non hanno fatto altro che ripetere ciò che dice il Vangelo.«S’immagini qualunque sentimento di perfezione, dice Manzoni: esso si trova nel Vangelo; si sublimano i desideri dell’anima la più pura da passioni personali fino al sommo ideale del bello morale: essi non oltrepassano la regione del Vangelo. E nello stesso tempo non si troverà alcun sentimento di perfezione, al quale con il Vangelo non si possa assegnare una ragione e un motivo preponderante, legati ugualmente con tutta la rivelazione… Che, anche dopo il cristianesimo, alcuni filosofi si siano affaticati per sostituirgli un’altra morale, è un fatto troppo vero. Simili a chi, trovandosi con una moltitudine assetata, e sapendo di essere vicino ad un gran fiume, si fermasse a fare con dei processi chimici qualche gocciola di quell’acqua che non disseta, hanno consumato le loro cure nel cercare una ragione suprema e una teoria completa della morale, assolutamente distinta dalla teologia. Quando si sono abbattuti in qualche importante verità morale, non si sono ricordati che era loro stata insegnata, che era un frammento o una conseguenza del catechismo; non si sono avvisti che avevano soltanto allungata la strada per arrivare ad essa, e che invece d’aver scoperto una legge nuova, spogliavano della sanzione una legge già promulgata»[22].
Per orientare la società moderna nello sbandamento e nel disordine in cui si trova, non v’è altro rimedio che far penetrare la morale cristiana – tutta la morale cristiana – nelle fibre del suo organismo, far rendere a questa morale tutto il suo valore, tutta la sua forza costruttiva. A questo scopo è necessario conoscerla quale la insegna il Vangelo e quale la porge la Chiesa; è necessario viverla integralmente, non solo nella lettera, ma soprattutto nello spirito; è necessario, in altre parole, essere dei cattolici convinti e praticanti, e non accontentarci di essere solo dei cattolici battezzati.
«O Maestro, da chi andremo noi? Voi avete parole di vita eterna». Queste parole del discepolo devono essere il grido dell’umanità. Nella morale di Cristo l’umanità avrà – come affermava l’infelice vittima del dubbio, Teodoro Jouffroy, nel supremo istante della sua vita – quello che le lunghe fatiche e i tormentosi sforzi dei filosofi di ogni età non poterono e non potranno mai dire, avrà cioè «la bussola, la carta topografica, le stelle, i remi, il pilota, per compiere sicuramente il viaggio della vita, e il porto dove felicemente terminarlo»
[1] Cfr. Civ. Catt., 1949, VI, 561-72.
[2] Matteo V, 17.
[3] La Questione sociale, Bologna 1874, p.218. È a dolersi che qua e là l’A. si sia lascito sfuggire alcune espressioni, alcuni apprezzamenti che noi come cattolici e come ragionatori imparziali, dobbiamo respingere.
[4] Matteo V, 8-19; Luca XVIII, 3-4.
[5] Matteo V, 20-30.
[6] Matteo V, 31-48.
[7] Matteo VI, 1-18; Luca XVII 3-4.
[8] Matteo VI 19-34.
[9] Matteo VIII, 1-27.
[10] Matteo XXII, 37-40.
[11] L’esigenza di una potenza superiore per assicurare la vittoria del bene nel mondo si deduce logicamente anche dalla filosofia dello stesso Kant, nella quale Dio inconoscibile per la ragion pura, è postulato dalla ragion pratica. Questo fatto è tanto più degno di nota che il filosofo Kant è, tra i pensatori moderni, colui che fece lo sforzo più considerevole per costituire la morale indipendentemente da ogni religione.
[12] Fontane, La teologia del Nuovo Testamento, Firenze 1920, p.362.
[13] Matteo XXIII, 13, 25, 27-28,33.
[14] S. Ilario, Tract. In Ps. XLV,9,P.L., IX,304.
[15] Matteo, 5
[16] S. Reynaud, La morale du Christ, Parigi 1923, p.46.
[17] Ovidio, Metamorfosi, lib.VII, vv. 20-21.
[18] S. Reynaud, La morale du Christ, cit., p.81.
[19] P. Gillet, Il valore educativo della morale cattolica, Torino 1930, p.179.
[20] De Moribus Eccl. Cath., lib.I, capo XXX, nn. 62-64.
[21] A. Manzoni, Morale cattolica, Torino 1924, capo III, p.180, nota.
[22] A. Manzoni, Morale Cattolica, cap. III.
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