Il mio precedente intervento (qui), da qualcuno definito "graffiante", intendeva, in un certo senso, commentare la recensione del prof. Introvigne al recente volume pubblicato da don Piero Cantoni a proposito del cosiddetto "anticonciliarismo" di mons. Brunero Gherardini.
Ma
non è cosa saggia recensire una recensione senza curarsi di leggere
preventivamente il testo di cui si tratta. Così mi sono affrettato ad
acquistarlo ed ora, nei limiti delle competenze di un semplice fedele,
mi accingo a formulare alcune brevi considerazioni.
Devo
ammettere che l'autore si è molto impegnato ed alcune sue
considerazioni, seppur non nuove, denotano comunque un autentico e
sincero desiderio di servire la Chiesa.
Si
tratta, senza dubbio, di convinzioni maturate nei decenni e frutto di
un travaglio spirituale che merita rispetto, così come, d'altro canto,
forse ancor di più, per l'autorevolezza e la veneranda età del
professore, ne meriterebbero le posizioni espresse dal Gherardini.
In
verità, leggendo l'introduzione al volume, ero quasi tentato di non
proseguire allorchè mi imbattei in espressioni come la seguente:
"Essa (la tradizione) deve continuamente scoprire e riscoprire, che il messaggio, se muta nelle forme, non tradisce ma trasmette sempre la Verità viva e profonda che è Cristo. Questo è il vero discorso da fare" (pag. 8).
Non c'è
che dire; un bell'esempio di "declamazione", gherardinamente parlando,
non seguita da alcuna dimostrazione. Ma il volume di don Cantoni, grazie
a Dio, non si ferma qui. I tentativi di dimostrazione vengono più
avanti e vanno, come dicevo, apprezzati per lo sforzo compiuto e per il
metodo, tendenzialmente analitico, con cui sono presentate le posizioni
contestate e le relative risposte.
Ma,
prima di entrare nel merito, il primo capitolo è dedicato ad elencare i
documenti magisteriali che, secondo Cantoni, avrebbero anticipato il
famoso discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005.
Egli sostiene in proposito, portando in verità non moltissimi testi a
favore di questa tesi, che la cosiddetta "ermeneutica della continuità"
sarebbe stata sempre abbracciata dal Magistero Pontificio, a partire dai
primi anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II.
Da
semplice fedele però mi chiedo, sinceramente e senza ironia di sorta:
ammesso e non concesso che così sia stato... perchè l'Autorità ha
lasciato poi impunemente sviluppare tutte le interpretazioni diverse, su
questioni tra l'altro così centrali in materia di Fede, senza mai
intervenire, per quarant'anni, sul piano disciplinare e canonico?
Come
è possibile, in altre parole, che le cosiddette "ermeneutiche della
rottura" abbiano potuto divenire maggioritarie e quasi unanimi fra
teologi, Vescovi e clero, senza che non sia mai giunta un'azione
concreta di condanna, una scomunica, una "sospensione a divinis", un
ritiro del mandato di insegnare nelle Università Pontificie, se non,
assurdamente, per quei tradizionalisti che esprimevano pubblicamente
proprio tale timore?
Come
si fa a non ammettere che proprio questa crisi tremenda dell'Autorità
nella Chiesa, si sviluppa dopo il Concilio e proprio rifacendosi al
"Discorso di Apertura" di Giovanni XXIII dove si ripudiano apertamente
le condanne sostituendole con la "medicina della misericordia?".
Che
significato può avere allora un Magistero, disperso per altro tra
migliaia di documenti interpretabili, più o meno rettamente, in senso
opposto, quando tale Magistero risulta completamente scisso dal "munus
regendi", dal governo concreto della Chiesa, un mero "flatus vocis" che
non ascolta nessuno?
Subito
dopo il testo passa a presentare la figura di mons. Brunero Gherardini,
elencandone alcune opere e le linee generali della biografia. Ne
emergono, ben presto, gli interrogativi espressi, specialmente in questi
ultimi anni, circa il rapporto fra i documenti emanati dal Concilio
Vaticano II e la perenne Tradizione della Chiesa.
Cantoni
ovviamente non evita la spinosa questione della "ragionevolezza" della
Fede e, di conseguenza, delle interpretazioni dei testi che la
concernono:
"Non voglio dire che non abbia senso indagare in che modo un asserto del Magistero non contraddica la Tradizione o la Scrittura. Questo anzi è uno dei compiti principali del teologo e dell'apologeta. Non bisogna però confondere l'argomento chiarificatore dell'apologeta con il motivo soprannaturale dell'atto di Fede. Non credo perchè ho dimostrato che è credibile ma perchè ho accolto la Grazia della Fede che viene, ultimamente, non dal ragionamento teologico e apologetico, ma dall'ascolto della predicazione della Chiesa che mi propone la parola della Scrittura, mi dice qual'è e che cos'è e la interpreta..." (pag. 24).
L'affermazione,
di per sé fondata, lascia però francamente perplessi quando viene
inserita in un contesto come quello in cui si enunciano le perplessità
di un esimio studioso a proposito della continuità o meno di alcuni
documenti rispetto alla Tradizione.
L'autore
sembra quasi ammettere implicitamente l'indimostrabilità razionale di
tale continuità per rifugiarsi in un presunto irrazionalismo della
Grazia santificante. Risultato? E' inutile cercar di dimostrare
l'indimostrabile. Bisogna solo ascoltare, obbedire e... turarsi il naso!
Si
passa quindi ad esaminare analiticamente, come detto sopra, le
principali perplessità teologiche espresse negli ultimi lavori di mons.
Brunero Gherardini.
Lascerei
certamente la confutazione di tali argomentazioni ad un vero teologo.
Io non lo sono e pertanto mi limito ad alcuni spunti puramente di
carattere linguistico e comunicativo.
In
almeno due casi don Cantoni sembra impostare la propria difesa sulla
funzione dell'avverbio "Quodmodo" traducendolo con la locuzione italiana
"in qualche modo". Quando cioè un testo conciliare si spinge ad
asserzioni potenzialmente pericolose, si introduce l'intercalare "in
qualche modo" allo scopo di depotenziare l'effetto dirompente
dell'asserzione e consentire, sia pur a fatica, un'interpretazione
pienamente ortodossa della proposizione incriminata. Es. Dio, con
l'incarnazione, si è unito IN QUALCHE MODO, a tutti gli uomini.
Anche
qui però, ammesso e non concesso che ciò sia possibile e corretto,
resta inevitabilmente l'impressione di un rattoppo in extremis, un
"salvataggio in corner", tale da lasciare aperte tutte le
interpretazioni, da quelle più fedeli alla tradizione, a quelle più
eterodosse. Cosa significa infatti "in qualche modo", specialmente se
inserito in una locuzione definitoria? In qualche modo..., ma... quale
modo?
In
altri punti invece, credo in modo meno corretto, si accusa
indirettamente mons. Gherardini di aver cambiato le proprie posizioni
rispetto a testi pubblicati nel 1981 e nel 2000. Che senso hanno queste
malevole insinuazioni? Che significato assumono quando, tutti possono
constatare, come il medesimo Benedetto XVI abbia compiuto, dal Concilio
ad oggi, un lungo e tormentato cammino spirituale che lo ha portato a
modificare non poche delle sue idee giovanili? Perchè la "maturazione" è
accettata e giudicata positivamente per l'uno e condannata per l'altro?
Ma
la parte più interessante, e obiettivamente anche più "funambolica" del
volume è senz'altro quella dedicata al problema fondamentale della
cosiddetta "Libertà religiosa". Qui, almeno per un fedele laico come
sono io, si evidenzia con maggiore chiarezza il procedere faticoso e
tortuoso dell'argomentare. Don Piero Cantoni si rende ben conto, a mio
parere, della fatica improba che lo aspetta e cerca subito di mettere,
in un certo qual senso, le mani avanti nell'analisi della dichiarazione
conciliare Dignitatis Humanae:
"E'
chiaro che in tutti i settori, che nel loro insieme formano un solo
problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in
un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità nella
quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni
storiche e le loro diverse esigenze, risultava non abbandonata la
continuità nei principi, fatto questo che facilmente sfugge alla prima
percezione. (SIC!) E' proprio in questo insieme di continuità e
discontinuità, a livelli diversi, che risiede la vera riforma" (pag.
58).
Siamo
dunque passati dalla "riforma nella continuità" alla "discontinuità
nella continuità". Mi sembra francamente di ascoltare, anche se magari i
più giovani non lo ricorderanno, Aldo Moro quando teorizzava le famose
"convergenze parallele".
Poco dopo troviamo addirittura un goffo tentativo di "tirare per la giacca" i primi cristiani e la Chiesa dei Martiri:
Questa,
sempre secondo l'autore "mentre pregava per gli imperatori, ha invece
rifiutato di adorarli e con ciò ha respinto chiaramente ogni religione
di Stato" (pag. 59).
Ne
deduco che i primi cristiani non rifiutavano di adorare l'imperatore
perchè non era il vero Dio. Forse piuttosto..., magari lo poteva anche
essere, ma loro erano fieramente conciliaristi e non volevano lo Stato
confessionale! Siamo davvero fuori da ogni ragionevolezza.
Ma
il vero capolavoro di questo capitolo è senz'altro l'acrobatico
tentativo di dimostrare come la solenne condanna della libertà religiosa
contenuta nell'enciclica "Quanta cura" del beato Pio IX e le
affermazioni sul medesimo tema della "Dignitatis Humanae" sarebbero, in
realtà, in perfetta continuità l'una con l'altra.
Per
raggiungere questo ambizioso risultato l'autore, sulla scia di quanto
già affermato da Massimo Introvigne, cerca di distinguere fra il
concetto di "diritto" inteso in senso civile, e quello relativo alla
sfera personale dei singoli fedeli.
In
poche parole: gli stati hanno il diritto, affermato dalla Chiesa, di
non riconoscere il vero Dio e le sue leggi ma i singoli cristiani, a
livello individuale o associato, avrebbero il diritto-dovere di
convertire le persone e anche le nazioni. Anche qui mi sembra
francamente di rilevare una notevole contraddizione.
Ma
da dove deriverebbe l'esigenza, secondo Cantoni, di riformare la
perenne dottrina cattolica in questa materia? Da motivi di opportunità e
dal fatto che sono mutate le situazioni storiche rispetto al 1864, data
di pubblicazione dell'enciclica "Quanta Cura".
Un
solo esempio viene però portato per documentare questa asserita
fondamentale e profonda modificazione in meglio delle situazioni:
l'emergere, negli U.S.A. di uno stato laico "virtuoso" che non si pone
in aperto contrasto rispetto al fenomeno religioso. Qui però stiamo
davvero andando ben oltre ai pur legittimi tentativi di addomesticare la
storia in senso favorevole alle tesi sostenute nel saggio.
In
primo luogo si può agevolmente dimostrare come il modello americano,
così virtuoso, in realtà affonda le proprie origini nel XVIII secolo con
la cosiddetta Rivoluzione Americana. Nell'ottocento dunque il principio
di tolleranza religiosa si era già ampiamente affermato in quel paese.
Come mai allora, nel 1864, il beato Pio IX non fece la minima menzione
di tanta virtù politica?
Ma
se guardiamo al di là dell'orizzonte americano: Cantoni può forse
sostenere che l'Unione Sovietica del 1965 era più ben disposta verso la
religione rispetto agli Xzar?, che la Francia di Napoleone III, che
difendeva il potere temporale dei Papi, era peggiore di quella odierna
che ammette divorzio, aborto, unioni di fatto ecc, che la Spagna di
Zapatero rispetta maggiormente la Chiesa di quella ufficialmente
cattolica del XIX secolo?
Si
certo, le condizioni politiche sono profondamente mutate, ma in peggio!
E l'Italia del Concordato non era forse incomparabilmente migliore di
quella odierna che, guarda caso, proprio pochi anni dopo la "Dignitatis
Humanae" introduceva nel suo ordinamento giuridico divorzio, aborto,
fecondazione assistita e, prossimamente, dolce morte, matrimonio fra
omosessuali e reato di omofobia? Gli effetti benefici dell'agnosticismo
statale in campo religioso possono davvero rassicurare l'autorità
ecclesiastica che oggi, a differenza dei tempi di Pio IX, ha deciso di
incoraggiare questa forma di governo istituendo, a sua garanzia, un vero
e proprio diritto civile?
Se
dunque la situazione è fortemente peggiorata, anche seguendo l'etica
della contingenza storica propugnata dal Cantoni, non sarebbe stato
assai più opportuno inasprire i richiami e le condanne invece di aprire
alla libertà religiosa?
Mi fermo qui ma francamente non capisco.
Il
volume prosegue quindi con altre pagine dedicate alla valutazione della
vincolatività dei documenti conciliari. Lascio volentieri anche tali
disquisizioni agli esperti.
Al
termine della lettura resta comunque l'ammirazione per il grande sforzo
compiuto dall'autore per servire una causa che lui, insieme a pochi
altri, continua a giudicare assolutamente irrinunciabile. Uno sforzo
senza dubbio sincero che però, se dovesse mai dimostrarsi un domani
ingiustificato, rischierebbe probabilmente di mettere in forte crisi
tutta una corrente del pensiero cattolico che, almeno dal 1981, si
sviluppò nella convinzione di incarnare l'ultima istanza "presentabile"
del cattolicesimo controrivoluzionario. Ma i disegni di Dio non sono
sempre i nostri e nei prossimi anni potrebbero forse concretizzarsi, su
questi temi, sorprese da non sottovalutare.
Marco BONGI
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