giovedì 23 agosto 2012

Ipse dixit!


‎"Il dramma del Vaticano II consiste nel fatto che invece di essere gestito dai santi, come fu il Tridentino, è stato monopolizzato dagli intellettuali. Soprattutto è stato monopolizzato da certi teologi, il cui teologare partiva dal preconcetto di aggiornare la fede alle esigenze del mondo, e di emanciparla da una presupposta condizione di inferiorità rispetto alla civiltà moderna. Il luogo della teologia cessava così di essere la comunità cristiana, cioè la Chiesa, e diventava l'interpretazione dei singoli. In questo senso il dopo-Vaticano II ha rappresentato la vittoria del protestantesimo all'interno del cattolicesimo". (Henri de LUBAC)

mercoledì 22 agosto 2012

Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco

Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco

Ringrazio l'amico Piero Mainardi per averci fatto partecipi di questi brevi, ma significativi, testi tratti dal libro summenzionato di Mons. Brunero Gherardini.

‎"L'insistenza sull'ermeneutica riporta l'attenzione al linguaggio come strumento di comunicazione ... [questo problema] nacque dall'intento dei Padri conciliari d'adeguar il linguaggio evangelico e la dottrina della Chiesa alla mentalità dell'uomo contemporaneo, valorizzandone acquisizioni culturali ed aspirazioni largamente diffuse:' il desiderio di partecipazione, il senso della corresponsabilità, della solidarietà, della decisione personale, dell'interiorizzazione, della libertà religiosa, come pure della responsabilità dei laici, il ruolo della donna, l'attenzione verso i giovani, la ricerca universale della giustizia, della pace, dello sviluppo per tutti gli uomini' [cit. da H. Carrier, Il contributo del Concilio alla cultura, in Latourelle - a cura di - Vaticano II: bilancio e prospettive, venticinque anni dopo]- Con tale intento si pensava di attuare la sensibilità pastorale, che Giovanni XXIII aveva manifestato nel discorso d'apertura ... Da quel momento, cestinati per il loro linguaggio scolastico gli schemi predisposti dalla competente Commissione teologica che aveva potuto contare su un cardinal Ottaviani come presidente, sul padre Tromp come segretario, su 31 membri e 36 consultori - il meglio del mondo teologico d'allora - il Vaticano II prese subito quota sulle ali non della tradizione, ma della Nouvelle Théologie e dei suoi massimi esponenti ... precedentemente tacitati da Pio XII e dalla sua enciclica Humani generis ...

"... si pensò che la rinuncia al metodo e al linguaggio della Scolastica superasse il fissisimo della formula, il trionfalismo della verità posseduta, l'automatismo ed il rigorismo delle deduzioni in auge fino quel momento e si sperò che, grazie a tale rinuncia, d'andar incontro al mondo, alla sua cultura, alle sue attese su un piano di parità, comunicando per quanto possibile con lo stesso strumento, dialogando con la stessa metodologia. E nacque in tal modo mil tanto osannato linguaggio conciliare.
Che cosa sia, difficile dirlo. Le sue componenti non son poche, derivando le une dalla comunicazione biblico-patristica, le altre dal loro rapporto ... con la multiforme e pendula cultura del nostro tempo. Non si trattò d'un rapporto naturale: Sacra Scrittura e Padri della Chiesa non son legati al pensiero moderno e contemporaneo da nessuna parentela diretta. Il rapporto fu però stabilito perchè si voleva dimostrare quanto inutile e ingombrante fosse il linguaggio scolastico. Molto dipese da coloro che, o dall'interno coem 'periti', o dall'esterno come persuasori non sempre occulti e abilissimi agenti di pressione, riuscirono a far breccia nell'aula conciliare..."

" Una dimensione storica prese il sopravvento su quella speculativa e, soprattutto su quella Confessante. ... Cessò la teologia dall'alto come elaborazione di dati provenienti dalla Rivelazione e dal Magistero, ed emerse la teologia dal basso, dal 'posto ove noi viviamo' e dai problemi che son tutt'uno con questo posto e non con altri. Imperversò la categoria del 'mistero' di cui nessuno ignora l'importanza: ma il mistero, un poco alla volta tacitò la ragione. L'interesse per esso, invece di rispettarne la collocazione nella sfera del soprannaturale, gli aprì lo spazio riservato ai problemi temporali, alla loro attuale incidenza e contingenza storica ... Operando una mescolanza inaudita, nel mistero si lesse il coefficiente che avrebbe dovuto cambiare la qualità della vita e dei rapporti sociali, linguaggio compreso, e che, pertanto, esigeva un parallelo cambiamento del linguaggio teologico ...
Sì dichiarò guerra all' 'intellettualismo', accusandolo di falsificare Dio, il suo mondo e quello della Fede. In pari tempo si privilegiò la categoria dell'esperienza ... si proclamò ormai superata la fase del cristianesimo inculturato, per riconoscerlo implicito, ma vivo e vitale, in ogni anelito di giustizia, di bontà e di pace, qualunque fosse la sua matrice.
Quanto al cristianesimo della tradizione teologica, lo si prese con le pinze per analizzarlo in ogni suo particolare e liberarlo da qualunque dipendenza estranea. S'iniziò il suo ressourcement, la corsa alle origini, al fine di ritrovarvi il segreto di un cristianesimo vissuto semplice trasparente. S'intendeva con ciò disincagliare il discorso teologico dal suo incapsulamneto nella logica aristotelico-tomista ed agganciarlo all'esuberanza esperienziale del soggetto cristiano: il singolo e la comunità."

B. Gherardini, Il Vaticano II. Alle radici di un equivoco. pp.222-223-224-225

sabato 18 agosto 2012

La logica del Cardinal Koch. Un caso preoccupante


di Alipio de Monte


 
Introduzione di Dante Pastorelli

Ho scritto altrove che i cardinali, specie quelli che occupan alte cariche della S. Sede, dovrebbero esporsi di meno con dichiarazioni superficiali che alla fine non tornano a favore della loro serietà e della credibilità delle istituzioni che rappresentano, mentre farebbero meglio a pregar di più, ed anche a studiar di più. E, dopo la lettura delle dichiarazioni di S. Em.za K. Koch riportate dall'Osservatore Romano del 3 agosto [lo trovate a pag. 6, mentre noi ne avevamo parlato qui], oltre a quest'auspicio avanzavo alcune osservazioni critiche, molto semplici, da povero fedele, anche sotto forma di domanda.
  1. Il paragone Trento-Vaticano II non regge. Il fatto che il concilio di Trento non abbia pubblicato costituzioni ma solo decreti – i quali nell'ultimo concilio si differenzian per valore dalle costituzioni – notavo, è irrilevante: questi decreti sono poi stati sintetizzati in canoni in cui si afferma ed impone la retta dottrina e si condanna l'errore. Ed è proprio ciò che manca al Vaticano II: la sicurezza circa l'infallibilità dei documenti, in tutto o in parte che i canoni di un concilio dogmatico garantiscono. Ma non c'è più sordo di chi non vuol sentire. Eppure il card. Ratzinger ebbe esplicitamente a sostenere che l'ultima assise ecumenica, in quanto pastorale, si poneva ad un livello più modesto rispetto ai grandi concili dogmatici. Ma tant'è. Prevale il vano affannarsi a far del Vaticano II la summa di tutta la Rivelazione, nei due suoi due canali, Sacra Scrittura e Sacra Tradizione, e di tutto il Magistero infallibile, straordinario e ordinario. Seconda Pentecoste, nuova nascita della Chiesa. O nascita di una nuova Chiesa? 
  2. Il ritrovar in Lutero la scaturigine delle critiche rivolte ad alcuni documenti del Vaticano II o a singole proposizioni d'essi da grandi teologi e storici di radicata dottrina cattolica e, talora con evitabile asprezza, da membri della Fraternità S. Pio X, è frutto o d'ignoranza o di malafede dettata da una nota posizione ideologica riaffermata con forza degna di miglior causa. E qui dobbiamo riconoscer la carenza di cultura, dando per scontata la buona fede? 
  3. Ove si considerino “con occhio chiaro e con affetto “puro” tali osservazioni critiche, e nel loro contenuto e nel metodo con cui sono state elaborate e nei fini a cui tendono, appare assolutamente privo di qualsiasi consistenza, anche ad un lettore appena appena informato, il raffronto instaurato tra Lutero e gli studiosi del Vaticano II che ne metton in risalto errori o equivoci teologici ed espositivi.

    Il protestantesimo in tutte le sue forme ha distrutto pressoché totalmente la base sacramentaria della Chiesa, ha negato la sua divina costituzione gerarchica, ha negato Verità definite una volta per tutte: a queste eresie Trento ha risposto puntualmente e puntigliosamente in modo solenne a salvaguardia dell'integrità della nostra Fede.

    Lutero coi suoi discepoli e sodali, ha allontanato dalla Chiesa un enorme numero di stati e popoli ponendo a rischio la salvezza di milioni e milioni di anime. Ora, si posson riscontrar nei teologi e storici che hanno analizzato o continuano ad analizzar gli esiti del Vaticano II (cito solo i primi che mi vengon in mente: Gherardini, Pasqualucci, de Mattei, Spadafora, Lanzetta, ma il coro s'arricchisce via via di voci interessanti anche per la diversa angolazione delle loro esegesi) e nella Fraternità S. Pio X questi orrori, questi disastri, questi delitti contro la Chiesa e quindi contro Dio e contro lasocietas cristiana? Quali Verità negano questi eccellenti autori, quali Verità mai nega la Fraternità?

    Soffermandomi un attimo proprio sulla S. Pio X, la cui posizione è già ben distinta da quella dei professori di cui sopra per l'irregolarità canonica in cui si trova a seguito delle consacrazioni episcopali del 1988, la critica portata ad alcuni documenti conciliari, su cui oltretutto c'è ancora un dialogo in corso, è sia pur lontanissimamente paragonabile al massacro della Verità perpetrato da Lutero, Calvino e scudieri d'eresia? Il fine della Fraternità è quello di divider la Chiesa o di promuover un approfondito dibattito per far risplendere in tutta la sua luminosità la nostra Fede in cui esser confermati dal Papa e dalla Gerarchia ? 
  4. Infine, se un vescovo, che Benedetto XVI ha addirittura posto a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, e che vivamente spero venga illuminato dallo Spirito Santo nell'esercizio della sua delicatissima funzione, ha affermato, con faciloneria e contro la dottrina cattolica, che fan parte della Chiesa tutt'i battezzati benché eretici e scismatici, perché la Fraternità S. Pio X, se è, come lui pensa, scismatica e magari eretica, non dovrebbe far parte del Corpo Mistico insieme a tutti gli altri eretici e scismatici? A maggior ragione, anzi, dovrebbe farne parte perché scismatica ed eretica, a meditato avviso di illustri porporati - Palazzini, Thiandoum, Cassidy, Castillo Llara, Castrillon, Oddi ecc. - non lo è.
Questo scrivevo il 3 Agosto.
Ora mi perviene quest'analisi del dotto quanto equilibrato Alipio de Monte, di cui abbiamo pubblicato altri importanti interventi tra i quali: “Tra suppliche e appelli” e “È proprio questa la Chiesa Cattolica? Note in margine ad un volume del card. W. Kasper”. Da par suo esamina l'articolo del card. Koch, rilevandone i gravi limiti di cultura specifica e di coerenza logica.
In attesa che esca sul mio bollettino “Una Voce Dicentes” affido quest'intervento a blogs amici perché raggiunga il maggior numero possibile di lettori.
Dante Pastorelli

La logica del Cardinal Koch.
Un caso preoccupante
A leggere le dichiarazioni rilasciate dall’Em.mo Card. Kurt Koch, prefetto del Consiglio per l’unità dei cristiani, all’agenzia Apic-Kipa (L’Osserv. Rom., 3 agosto [pag.6]), nasce il sospetto che fra l’eminentissimo personaggio e la logica ci sia un fatto personale. Il Cardinale vorrebbe rispondere in maniera pertinente all’ormai ampia e variegata critica conciliare; ci si prova, a dire il vero, ma con evidente esito contraddittorio. Non tenendo conto dell’articolato ventaglio in cui la detta critica si specifica senza mai diventare per questo né opposizione né prevenzione, si preoccupa di far capire a chi giudica che il Vaticano II sia stato un errore, o che qualche errore abbia insegnato, la colorazione protestante di un tale giudizio e la sua origine da Lutero. Se lo dice lui!
Quando salì sulla rocca vaticana per guidare il suddetto Consiglio, lo accompagnava la fama di uomo in situazione limite. Era l’uomo del dialogo ecumenico, che aveva tessuto una fitta rete di rapporti tra gli eredi della Riforma e le posizioni conciliari e postconciliari della Chiesa cattolica, trovandone facilmente la sintesi nella figura e nell’opera teologica di Martin Lutero. Erano queste le benemerenze che lo avevano emblematicamente collocato ai vertici di un dialogo mai venato da qualche strascico polemico e sempre pronto al riconoscimento bilaterale di Lutero “nostro comune padre nella fede”. Lutero era, dunque, per lui, così come ovviamente per ognuno degli attuali epigoni della Riforma, la cerniera sulla quale si saldava nuovamente l’infranta comunione ecclesiale. Chi l’avesse infranta e perché, non era determinante; tale era invece la saldatura dell’unità nel nome di Lutero.

Non consta che, pur non estraneo all’ambiente accademico, K. Koch brillasse per qualche monografia di alta scientificità teutonica sul grande Riformatore tedesco. Brillava, però, di infaticato impegno pastorale nel ricondurre e riproporre Lutero all’attenzione del mondo cattolico, nonostante che proprio M. Lutero, specie dal 1520 in poi, se ne fosse sdegnosamente ed acrimoniosamente distaccato. Come se l’articulus stantis et cadentis ecclesiae – cioè la giustificazione per la sola fede senza le opere – fosse una bazzecola, laddove lo stesso Lutero ne faceva una questione di vita o di morte, K. Koch profittò dell’inspiegabile rilettura che ne ripropose proprio la Chiesa cattolica in consonanza con la tradizione luterana per continuare a rilanciare il nome, l’autorità e l’attuale validità del padre della Riforma.
Evidentemente il Lutero così appassionatamente rilanciato in fase dialogante non era quello che un pur modesto Lutherforscher conosce dallo studio della Weimarana e dalle più accreditate ricostruzioni storico-scientifiche, tedesche e non solo tedesche, della vicenda del Riformatore. Era un Lutero artefatto, ricostruito sulle esigenze del dialogo ecumenico, spogliato di ogni possibile motivo di contrapposizione teologica ed irenicamente valutato.
Ora, però, chissà per quale improvviso ed inspiegabile transfert il nome di Lutero viene pronunciato non in segno di ammirazione e di richiamo al riscoperto valore delle sue posizioni, bensì nel segno della vecchia e bieca condanna: chi abbina errore e Vaticano II ripete la posizione ereticale di Lutero ed incorre nella sua stessa condanna. Se non che l’illuminante dichiarazione dell'eminentissimo personaggio non si ferma qui. Poiché la lingua batte dove il dente duole, passa di nuovo e disinvoltamente dall’immagine del Lutero ribelle, e come tale scomunicato, a quella del campione e modello nella fede e come tale meritevole dell’omaggio che, nel 2017, Chiesa cattolica e Federazione Luterana Mondiale già stanno alacremente preparando insieme. Ma allora, Eminenza, sa almeno lei a quale Lutero intende riferirsi? La sua prosa non brilla per linearità, coerenza e logica ed io che sul Vaticano II ho qualche seria riserva vorrei proprio sapere da Lei se mi rapporta al Lutero dell’Unam sanctam o a quello delle non lontane celebrazioni centenarie.
Che il suo periodare manchi di trasparenza e si risolva in un modello di superficialità è documentato dalla sua dichiarazione, nella quale tutto il fermento critico-scientifico, finalmente sviluppatosi attorno all’ultimo Concilio come premessa ineludibile di una sua obiettiva ermeneutica, è liquidato con un vago e generico riferimento ai “critici del Concilio”: a quali, visto che in cinquant’anni se ne son visti di tutti i colori e tutte le gradazioni? Si sofferma di preferenza sul rilievo di qualche errore, ma nessuno riesce a capire l’oggetto del suo rilievo; non c’è studioso che non abbia premesso le coordinate di un Concilio ecumenico in quanto tale e non ne abbia preso spunto per qualche rispettosa osservazione critica al Vaticano II; lei risponde con l’appiattimento di tutti sulla figura di Lutero, rimanendo peraltro a mezza strada fra l’ex agostiniano ribelle e “il novello Apostolo delle genti”. Evidentemente non entusiasta che qualcuno esprima valutazioni positive sul Concilio di Trento o sul Vaticano I, instaura un risibile confronto fra Tridentino e Vaticano II, fra i pochi decreti dell’uno e la mole dei 16 documenti dell’altro. Giustifica l’ecumenismo dichiarandolo “un tema non secondario” e basandolo sulla Lumen Gentium unitamente a Nostra aetate e ad altri documenti: cioè, giustificando, come da cinquant’anni, il Vaticano II col Vaticano II. Insomma, la sua dichiarazione è talmente priva di una condivisibile linea di coerenza e perfino di logica, che suscita davvero il sospetto inizialmente accennato. Ma più grave di esso è il sospetto che gli sta a monte: in quale rapporto pone le cose di cui parla e l’unità della fede e della tradizione cattolica?

Vedi precedenti sul card. Koch e anche sulla questione ebraica: [1] - [2] - [3] - [4] - [5] - [6] - [7]

mercoledì 15 agosto 2012

ASSUMPTA EST MARIA IN COELUM


Rapiti dal fulgore della vostra celeste bellezza e benché avviliti dalle colpe e sopraffatti da infinite miserie, ammiriamo e cantiamo l’impareggiabile ricchezza di eccelsi doni, di cui Iddio vi ha ricolmata al di sopra di ogni altra pura creatura, dal primo istante del vostro concepimento fino al giorno, in cui, Assunta in cielo, vi ha incoronata Regina dell’universo.

Il testo è tratto dalla meravigliosa preghiera "RAPITI DAL FULGORE" composta dal grande Pio XII:  http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/speeches/1953/documents/hf_p-xii_spe_19531121_dal-fulgore_it.html

lunedì 13 agosto 2012

Il Pre-seminario della FSSPX in Italia

albano

Un nuovo progetto della Fraterntià San Pio X prenderà il via quest’anno al Priorato di Albano Laziale: il Pre-seminario, per accogliere tutti i giovani che vogliono dedicare un tempo della loro vita ad approfondire la formazione cristiana, con lo scopo di scoprire la volontà di Dio sulla scelta dello stato di vita. Durante questo periodo, che comincerà nel mese di ottobre prossimo e terminerà a giugno, la giornata sarà scandita dalla preghiera fondata sulla liturgia tradizionale della S. Messa e la recita in comune di alcune parti dell’Ufficio Divino.

Diversi corsi permetteranno di approfondire la dottrina della Chiesa e le basi filosofiche e teologiche del suo insegnamento, senza tralasciare lo studio del latino, della S. Scrittura della liturgia. Nella settimana si prevedono anche attività fisiche ed uscite, soprattutto per la visita di Roma e dintorni. Questa iniziativa è aperta eventualmente anche a sacerdoti che desiderano un tempo di tranquillità, riflessione, e approfondimento della liturgia tradizionale.

Volantino di presentazione

Volantino per la stampa e la diffusione

lunedì 6 agosto 2012

Padre Cavalcoli colpisce ancora!




Padre Cavalcoli colpisce ancora!
ovvero

Quant'è bello il Concilio!


Come ormai accade da qualche tempo, non appena si diffonde pubblicamente uno scritto critico sul Concilio Vaticano II, foss’anche articolato e argomentato sulla base di un attento esame dei suoi documenti confrontati con il millenario insegnamento della Chiesa, ecco che Padre Giovanni Cavalcoli, O. P., interviene con tutta la premura e la foga che lo caratterizzano. Al punto che ormai lo si potrebbe considerare come una sorta di difensore d’ufficio del Vaticano II.

In verità, questo anomalo ventunesimo Concilio Ecumenico si presta tanto ad essere difeso a dritta e a manca per quanto sia stato criticato fin dalla sua celebrazione e per quanto abbia generato e continui a generare perplessità e perfino sconcerto in tanti, non pochi, fedeli cattolici.
La cosa, però, che lascia sgomenti è il candore col quale questo lodevole difensore d’ufficio del Vaticano II salti a pie’ pari ogni più semplice argomentazione, per ripetere una sorta di ritornello ormai stantio: il Concilio non ha sbagliato perché… un Concilio non può sbagliare. Come se non stesse proprio in questo l’anomalia del Vaticano II:
un Concilio assistito dallo Spirito Santo che ha prodotto dei documenti che contraddicono lo Spirito Santo.
Un Concilio che dopo duemila anni di insegnamenti prodotti dalla Chiesa con l’assistenza soprannaturale, oggi insegna che tali insegnamenti possono essere cambiati sulla base di una supposta “evoluzione” cognitiva.

Ci si chiede: evoluzione cognitiva dello Spirito Santo o dell’uomo?

Già, perché delle due l’una: o lo Spirito Santo cambia parere su ciò che la Chiesa debba insegnare ai fedeli per la salvezza delle loro anime o è l’uomo che cambia parere su ogni cosa che lo Spirito Santo insegna e su tutto ciò che Egli ricorda dei detti di Nostro Signore Gesù Cristo (Cfr. Gv. 14, 26).
Ora, non potendosi ammettere che lo Spirito di verità cambi parere sulla verità stessa, perché sarebbe semplicemente assurdo, resta solo la possibilità che sia l’uomo a cambiare parere indipendentemente dallo Spirito Santo… anzi resistendo allo Spirito Santo. Ed è proprio questo che è accaduto col Vaticano II: l’uomo ha cambiato parere sulle verità che il Magistero della Chiesa ha sempre insegnato e deve sempre insegnare, resistendo allo Spirito Santo e adattandosi docilmente ai suggerimenti del mondo.

Giustamente, a questo punto, viene ricordato che la Chiesa gode della promessa di Nostro Signore, il quale ha assicurato che le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa (Cfr. Mt. 16, 18). Da cui i difensori d’ufficio del Vaticano II deducono che non può esserci errore negli insegnamenti del Magistero, siano essi antichi o moderni: anteriori o posteriori al Vaticano II.
Cosa che è vera e sacrosanta, nella premessa, ma evidentemente falsa e meramente umana nella deduzione. Infatti, non è la Chiesa che viene sopraffatta dalle influenze infernali, bensì gli uomini di Chiesa che, al pari dei progenitori, si lasciano ingannare dallo spirito di menzogna. La Chiesa continua a mantenere la Tradizione apostolica con tutti gli insegnamenti di Nostro Signore, ma gli uomini di Chiesa, indotti in errore dal fumo di Satana, finiscono col convincersi che questi insegnamenti possano benissimo conciliarsi con lo spirito del mondo e possano essere adattati ad esso. È questa l’anomalia del Vaticano II.

Non si tratta tanto di dibattere su interminabili distinguo teologici, quanto di semplicemente osservare che non può esserci accordo, intesa, concertazione, tra Cristo e Beliar. Se un insegnamento del Vaticano II incontra il consenso degli uomini e del mondo e insieme si trova in contrasto con i precedenti insegnamenti della Chiesa, l’unica deduzione possibile è che questo nuovo insegnamento è errato: sia perché contraddice gli insegnamenti precedenti, sia perché si accorda con gli uomini e col mondo (Cfr. I Gv. 2, 15-17); e tale errore non è della Chiesa, ma degli uomini di Chiesa, nei confronti dei quali non v’è alcuna promessa di indefettibilità da parte di Nostro Signore.
Di fronte ad una tale constatazione, pensare di sostenere che uno stesso insegnamento possa arricchirsi fino al punto di mutare se stesso, equivale a confessare che gli insegnamenti della Chiesa sarebbero soggetti a mutamento al pari del mutamento del mondo e in perfetta consonanza con esso. Il che, prima che assurdo, è sciocco, se non altro perché il mondo ogni volta che cambia, muore e si rinnova, mentre gli insegnamenti di Nostro Signore né possono morire né possono rinnovarsi. Ogni loro possibile adattamento d’espressione, perché gli uomini più diversi possano più facilmente coglierli ed assimilarli, non solo non comporta un cambiamento o un rinnovamento, ma conferma la loro totale sussistenza e immutabilità: ciò che sola cambia è la comprensione umana, pur nella sussistente immutabilità di quanto insegnato da Nostro Signore e trasmessoci dagli Apostoli e confermatoci dal Magistero nel corso dei secoli.
Quando questa realtà subisce uno strappo, l’errore sta dalla parte degli uomini.

Eppure tali supposti errori sono stati avallati e continuano ad essere difesi dai papi, ragion per cui, si dice, deve ritenersi che non di errori si tratti, ma della ostinazione di certi fedeli che pretendono di trovare l’errore laddove esso non può esserci: nel Magistero supremo del Sommo Pontefice.
Questa considerazione, tanto spesso ripetuta, mentre può apparire logica e fondata, si rivela per quella che è: una scappatoia che evita di affrontare il problema che la suscita.
Ciò che è più onesto e corretto fare è porre tale considerazione in termini interrogativi: com’è possibile che gli ultimi papi abbiano avallato e continuato a difendere le contraddizioni tra gli insegnamenti del Vaticano II e quelli del Magistero precedente?
Questa domanda, semplice e spontanea, dovrebbe far riflettere i difensori d’ufficio del Vaticano II, invece che muoverli a rispondere in modo semplicistico che: non è possibile!… Quindi non ci sono errori!
Una tale risposta non è una risposta per il semplice assunto che contra factum non valet argumentum. Non si può dire, per esempio, che la libertà religiosa del Vaticano II si fondi sui Vangeli, quando la Chiesa ha sempre insegnato che l’unica libertà religiosa che è data agli uomini da Dio è quella di professare l’unica vera religione al mondo: quella rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo. Delle due l’una: o si sbaglia il Vaticano II o la Chiesa si è sempre sbagliata per duemila anni.
Sta scritto: chi non crederà sarà condannato (Mc. 16, 16).
Quando i papi ultimamente cercano di spiegare che, ciò nonostante, il valore della dignità umana è talmente superiore, che ogni uomo può cambiare religione in base alla sua coscienza, è come se ci volessero far credere che ciò che sta scritto possa essere letto alla rovescia: “chi non crederà non sarà condannato”. E si ha voglia a scrivere mille volumi di supposte giustificazioni, i fatti sono lì per dirci che mentre ci si assicura che la libertà religiosa si fonderebbe sul Vangelo, in realtà essa lo contraddice.

Tornando direttamente a Padre Cavalcoli, è necessario precisare che questi nostri appunti non sono mossi minimamente da una qualche acrimonia nei suoi confronti, ci mancherebbe… il Padre è una persona simpatica e disponibile. Il fatto è: che è lui quello che si mette subito avanti, offrendo lo spunto per esprimere considerazioni che in realtà sono rivolti a tutti i difensori d’ufficio dell’ultimo Concilio.
Le sue precisazioni, e i suoi rimproveri, che sono quelli di tanti altri, rivelano alcuni pregiudizi che forse è utile segnalare.

Innanzi tutto pensiamo al convincimento, invero un po’ bizzarro, che, tolti quelli come Padre Cavalcoli, gli altri non sarebbero in grado di leggere e di capire ciò che sta scritto nei 16 documenti del Vaticano II. Ovviamente, per coloro che nutrono un tale convincimento, non si tratta tanto di presunzione personale, quanto di supponenza clericale. Già, perché, nonostante il Vaticano II abbia fatto nascere la leggenda che con esso sarebbe stato rimosso il vecchio “clericalismo”, è proprio a partire dal Vaticano II che i fedeli cattolici hanno dovuto subire una sorta di lavaggio del cervello in nome della indiscutibile chiaroveggenza e della scientifica retro-veggenza dei “nuovi chierici”, soprattutto se insigniti di qualche titolo accademico: è da quasi cinquant’anni che professori, teologi, liturgisti, sociologi, perfino psicologi, ovviamente tutti vaticanosecondisti, con tanto di approvazione espressa o tacita dei moderni Pastori, “ti istruiscono il pupo”, cioè i fedeli, sulla base della supposta “competenza” dei primi e della altrettanto supposta “incompetenza” dei secondi. Così che, allontanato dalla porta il vecchio “clericalismo”, che, si diceva e si dice, aveva fatto il suo tempo, un tempo pieno di ingiustificate pretese sulla ipotetica speciale investitura ontologica dei sacerdoti, … allontanato questo vecchiume, ecco spuntare dalle fessure, insieme al fumo di Satana, la moderna oppressione clericale affidata a preti che rinnegano il valore distintivo della loro ordinazione e assumono la supponenza tutta moderna della gabellata competenza “scientifica”.
Si direbbe: un disastro! Se non fosse che un tempo, almeno, si trattava della serietà del sacerdote che con la parola e col comportamento si sforzava di istruire il fedele di cui riconosceva le capacità e l’intelligenza, mentre oggi siamo di fronte al risibile comportamento del tutto puerile dei preti moderni che si atteggiano a laici e che si rivolgono ai fedeli come se questi fossero dei minorati mentaliModernismus docet!

Da qui discende un altro pregiudizio, secondo il quale, se un fedele che approfondisce lo studio dei documenti del Vaticano II avesse l’impressione, anche se molto pressante e molto impressionante, che in tali documenti venga contraddetto l’insegnamento tradizionale della Chiesa, egli non dovrebbe fermarsi a quanto ha studiato, ma avrebbe il “dovere” di rivolgersi ad un teologo, ovviamente moderno e vaticanosecondista, il quale gli chiarirà a sufficienza che si tratta solo di un’impressione, perché in realtà ciò che sembra contraddittorio è conseguente e ciò che sembra errato è corretto, che ciò che si presenta incongruente è coerente e ciò che si presenta scomposto è ordinato, che ciò che si presenta confuso è chiaro e ciò che si presenta come una novità è un modo nuovo per dire la stessa cosa di ieri.
Dopo di che, diciamo noi, o il teologo dimostra di essere un imbonitore o il fedele ha perso il lume della ragione.
Sono ormai davvero tanti i moderni uomini di Chiesa che non hanno più la minima cognizione delsensus fidelium, del comune sentire cattolico che da sempre ha contraddistinto la sana pratica della religione di Nostro Signore. Sono in troppi ad essersi convinti che l’insegnamento tradizionale della Chiesa sia qualcosa di cervellotico e di superdotto, riservato agli addetti ai lavori. Sono davvero troppi quelli che hanno dimenticato le parole di Nostro Signore che loda il Padre perché «hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc. 10, 21).
Anche questo, purtroppo, è un altro dei frutti del Concilio.

Un altro pregiudizio che si rivela nelle prese di posizione dei difensori d’ufficio del Vaticano II è quello che deriva dal fatto che ormai i moderni uomini di Chiesa hanno fatti propri i tabù della cosiddetta “civiltà” moderna e tra questi privilegiano quello secondo il quale ciò che conta è la quantità, piuttosto che la qualità. Da cui deriva che se 10 teologi moderni sono d’accordo sulla continuità con la Tradizione dei documenti del Concilio, si debba dare per scontato che i due che dissentono e che sostengono che tale continuità non c’è e c’è invece una evidente rottura…, questi ultimi possono avere solo torto.
Del pari, se una gran parte dei preti e dei fedeli moderni si acquietano sulla bontà della predicazione moderna o sulla bontà della liturgia moderna o sulla bontà della speculazione teologica moderna, si debba dare per scontato che quella piccola parte di sacerdoti e di fedeli che dissente da tutto ciò perché vuole rimanere fedele agli insegnamenti, alla predicazione, alla liturgia e alla teologia tradizionali…, questa piccola parte può avere solo torto.
E questo imperio della quantità, che fa sì che nel mondo moderno la gran parte dei miscredenti e degli indifferenti riservi commiserazione e disprezzo alla piccola parte del credenti, è penetrato così profondamente nella nuova Chiesa nata dal Concilio, che ci sono tanti auto-compiaciuti vescovi e preti e teologi, che guardano ai pochi fedeli rimasti legati alla Tradizione della Chiesa come fossero dei forsennati, dei testoni, dei… fondamentalisti, dicono perfino, senza accorgersi che così pensando e apostrofando confessano che loro stessi hanno abbandonato i fondamenti costitutivi della religione di Nostro Signore e anzi, avendo assunto le categorie mentali del mondo moderno, questi fondamenti li odiano. E si compiacciono di questo, e ne menano vanto, dimostrando di avere totalmente dimenticato una saggia massima antica che teneva sempre presente che nel mondo della vera religione ci sarà sempre una minor sed sanior pars di cui i Pastori dovrebbero sempre tenere conto, se vogliono davvero fare la volontà del Padre. E dimostrando altresì che ormai hanno fatto propria la malsana suggestione moderna, di demoniaca fattura, che la sanior pars può essere solo la maior pars.
È il destino della Chiesa di Cristo che, per colpa degli uomini di Chiesa che si lasciano contaminare dal mondo, vedrà Pastori, preti e fedeli tutti intenti a dimenticare che il Signore è venuto per salvare i suoi e non coloro che non lo accolgono.
«Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nei regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. … allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt. 7, 21 e 23).

Dimenticanza, questa, che produce un altro pregiudizio.
L’esame dei documenti del Concilio e la scoperta degli errori che sono disseminati in essi, fa pensare al certosino lavoro di cernita del buon fattore, che separa la frutta marcia dalla buona, perché anche quest’ultima non marcisca. Questo sacrosanto lavoro, apprezzato e lodato da chiunque abbia ancora del sale in zucca, ecco che dai moderni teologi viene travisato, verrebbe da dire “inevitabilmente” travisato. Piuttosto che un sano lavoro di pulizia e di preservazione del buono, costoro, nella loro superficialità, ci vedono solo una mera cernita. Confermando ancora una volta che la loro forma mentale è ormai capace di comprendere solo in termini quantitativi. E scambiando lo scarto del marcio per libera scelta, ecco che giungono, candidamente, ad accusare gli attenti critici del Concilio di attitudini “protestanti”. Costoro, dicono, scelgono solo ciò che fa loro comodo, invece di far proprio tutto l’intero prezioso tesoro del Vaticano II.Rivelando così l’altro pregiudizio: che il Vaticano II sarebbe una sorta di summa della scienza e della sapienza della Chiesa, una summa tanto più apprezzabile per quanto rappresenterebbe l’ultimo sviluppo e l’ultimo arricchimento “umanamente” possibile della dottrina cattolica.
Per costoro è inconcepibile che, sulla base della sana dottrina, si possa separare il buono dal brutto, il sano dal malato, ed è inconcepibile perché, avendo fatto proprio il principio fondante del Vaticano II: che la Chiesa non debba più “imbracciare le armi del rigore”, ma “debba andare incontro alle necessità odierne”, non riescono più a pensare e a comportarsi da veri seguaci di Cristo. Soprattutto i moderni Pastori, e con loro i teologi moderni, hanno totalmente dimenticato che è loro dovere tenere lontani i lupi dalle pecore, che loro compito principale è preservare la salute delle anime condannando l’errore non appena faccia anche solo capolino in mezzo agli insegnamenti della sana dottrina.
Divenuta protestante, la loro forma mentis li porta a considerare sostenitori del “libero esame” proprio coloro che un attimo prima hanno apostrofato come “fondamentalisti”, peraltro incuranti della contraddizione, abituati come sono a considerare sullo stesso piano la verità e l’errore. I fondamentalisti, i tradizionalisti, dicono costoro, adottano lo stesso criterio di Lutero, scegliendo ciò che più si adatta ai loro errati convincimenti… e questo solo perché questi tradizionalisti pretendono di rimanere fedeli a tutto l’insegnamento della Tradizione e per ciò stesso di rigettare tutto quello che la contraddice, anche se sostenuto e difeso da tutti i papi, da tutti i pastori e da tutti i teologi sopraggiunti a partire dal Vaticano II.

Per finire, corre l’obbligo di ricordare un altro degli insegnamenti tradizionali: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt. 7, 15-16).
Questo passo del Vangelo di San Matteo, oggi è divenuto quasi del tutto incompreso. Chi sono quelli che vengono in veste di pecore, se non coloro che rivestono l’abito ecclesiastico? Chi sono, se non quelli che “vestiti” da teologi, da maestri, si danno ad imbonire le pecore facendosi scambiare per profeti mentre sono “falsi profeti”? E qui non si dice che “li riconoscerete” da ciò che dicono, da ciò che predicano, perfino da ciò che praticano, né tampoco dall’esegesi nella continuità… no, perché tutti questi ambiti finiscono col rientrare nel terreno preferito dell’Ingannatore, che è quello della “dialettica”, del “dialogo”, del “confronto”, dell’”ascolto reciproco”, dell’”apertura verso l’altro”, e via discorrendo… e via scorrendo i documenti del Vaticano II. No, qui si dice: “Dai loro frutti li riconoscerete, e l’avvertimento è così lapidario e così semplice, che solo l’accecamento moderno impedisce di trarre le debite conclusioni, fino ad indurre a dar credito ai teologi difensori d’ufficio del Vaticano II.

I frutti… i frutti sono sotto gli occhi di tutti… sotto gli occhi di tutti quelli che ancora ci vedono ed hanno voglia di vedere. Cinquant’anni di riduzione al minimo della fede, in nome dell’“andare incontro alle necessità odierne”, cinquant’anni di sconvolgimento della pratica religiosa, in nome dell’adeguamento a “quanto è richiesto dai nostri tempi”, cinquant’anni di distruzione del senso cattolico, in nome del riconoscimento che “l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose”, cinquant’anni di famiglie abbandonate al ludibrio dell’insegnamento anticattolico, in nome del riconoscimento di “nuove situazioni e nuovi modi di vivere”, cinquant’anni di intere nazioni un tempo cattoliche consegnate nelle mani degli Stati anticattolici, in nome della moderna concezione sulla separazione fra Chiesa e Stato, cinquant’anni di minimizzazione dei più discutibili comportamenti morali, in nome di una apertura al mondo che poteva solo produrre, e ha prodotto, l’ingresso nel Corpo Mistico del germe della corruzione e del vizio più abietto, cinquant’anni di criminalizzazione della storia della Chiesa, in nome di una falsa umiltà che si permette di speculare sulle supposte colpe altrui dimenticando le proprie, cinquant’anni di equiparazione dei falsi dei all’unico vero Dio, in nome di una distorta concezione dell’opera dello Spirito Santo che “soffia dove vuole”, cinquant’anni di predicazione del valore della dignità umana, in nome di una falsa concezione dell’incarnazione di Cristo, cinquant’anni di esaltazione della falsa libertà umana, in nome del riconoscimento di una supposta sana laicità,cinquant’anni di distruzione della liturgia, di distruzione dei luoghi di culto, di distruzione di ogni segno distintivo dei cattolici rispetto al mondo e, tra i cattolici, dei sacerdoti e dei consacrati rispetto ai laici, degli uomini rispetto alle donne, dei genitori rispetto ai figli, in una parola di Dio rispetto al mondo, del Creatore rispetto alla creatura.
Frutti, questi, che ormai hanno deturpato il vero volto della Chiesa di Cristo e inducono a chiedersi se non sia di cose come queste che parlano San Matteo (24, 15) e San Marco (13, 14) quando ammoniscono circa l’abominio della desolazione che si stabilirà nel luogo santo.
E si ha voglia a dire che c’è anche del buono in mezzo a tutto questo, facendo propria quella incredibile colpevole ingenuità che ha mosso il Vaticano II sulla base della dichiarata volontà che si voleva “risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.
E no, cari signori teologi difensori d’ufficio del Vaticano II, perché solo degli irresponsabili possono dimenticare che la vita del semplice fedele cattolico si svolge tenendo sempre presente che occorre vegliare perché “nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (Mt. 24, 44). E questo vale per ogni singolo fedele, come per l’intera Chiesa, che devono praticare la fede in questa terra sapendo che la fine del mondo incombe in ogni momento, perché solo Dio sa quando giunge la fine per ognuno di noi o per l’intero creato.

E questa nostra scarna disamina ci porta a ricordare che mentre è umanamente comprensibile che dei teologi moderni si arrabattino a discettare e a cavillare sulle più inverosimili esegesi dei testi del Vaticano II, cercando di far quadrare il cerchio, nonostante ci abbiano provato invano per duemila anni tanti servi sciocchi della Chiesa… ciò nonostante, il vero cattolicesimo continua ad essere, molto semplicemente, non quello dei loro fin troppi libri e dei loro interminabili convegni, non quello della incredibile pletora di “carte pastorali” che hanno invaso le librerie cattoliche, maquello della pratica della fede. E la pratica della fede non la si valuta stando nei salotti buoni delle curie, fossero anche quelli dei palazzi vaticani, ma andando a Messa la Domenica, frequentando le parrocchie, parlando con i fedeli per la strada, osservando i comportamenti delle famiglie, buttando l’occhio su quello che accade intorno a noi ogni giorno: in questi nostri paesi un tempo orgogliosamente cattolici.
Non si esagera se si afferma che è da queste osservazioni che si ricava che oggi il cattolicesimo è divenuto una pena, uno sfacelo, un disastro… e che invece di vedere arginata la marea montante del disfacimento, la Chiesa se l’è visto tracimare entro le sue mura: col Concilio Vaticano II che avrebbe dovuto inaugurare una nuova primavera della Chiesa, che avrebbe dovuto essere una nuova Pentecoste, e che invece si è fermato alla notte del Giovedì Santo, quando il Traditore consegnò il Signore Gesù nelle mani dei suoi nemici.

Nessuna sorpresa, in fondo, perché già Paolo VI, sintetizzando i grandi risultati raggiunti dal Concilio e facendo quindi intravedere quale avvenire avesse preparato il Vaticano II per la Chiesa di Cristo, nel suo discorso di chiusura del Concilio, il 7 dicembre 1965, declamava entusiasta:
«L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo. […] Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette. […] E un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità, proprio nel momento in cui maggiore splendore e maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità conciliare, sia il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo: l’idea di ministero ha occupato un posto centrale. Tutto questo e tutto quello che potremmo dire sul valore umano del Concilio ha forse deviato la mente della Chiesa in Concilio verso la direzione antropocentrica della cultura moderna? Deviato no, rivolto sì. […] La mentalità moderna, abituata a giudicare ogni cosa sotto l’aspetto del valore, cioè della sua utilità, vorrà ammettere che il valore del Concilio è grande almeno per questo: che tutto è stato rivolto all’umana utilità; non si dica dunque mai inutile una religione come la cattolica, la quale, nella sua forma più cosciente e più efficace, qual è quella conciliare, tutta si dichiara in favore ed in servizio dell’uomo.»

Che cos’è questo discorrere? Che cos’è il Vaticano II? Che cos’è oggi la Chiesa voluta dal Vaticano II? Se non un continuo smentire il Vangelo, un continuo inneggiare all’uomo così com’è, una dichiarazione di fede nell’uomo e nella “religione dell’uomo che si fa Dio”?
Che cos’è se non una sostituzione della religione di Dio con la religione dell’uomo?

Giovanni Servodio

Fonte: Una Vox

Sulla Verginità di Maria SS.


Annunciazione 

di don Pierpaolo Maria Petrucci

E’ dogma di fede che la Madonna fu sempre Vergine: prima, durante e dopo il parto. Così insegna infallibilmente il concilio Lateranense I del 649: “La Santa Madre di Dio e sempre vergine immacolata Maria… ha concepito senza seme per opera dello Spirito Santo e ha partorito senza corruzione, permanendo indissolubile, anche dopo il parto, la sua verginità”. (D. 256) Tale dogma, già difeso da S. Ambrogio nel sinodo di Milano del 390, fu insegnato espressamente dal papa S. Leone I (Epistola dogmatica ad Flavianum) e riaffermato da Paolo IV (D. 993).



I teologi insegnano che esso si riferisce innanzi tutto all’integrità fisica prima durante e dopo il parto. Questo punto importante del dogma sembra essere messo in discussione attualmente da alcune autorità ecclesiastiche e per questo teniamo a ribadirlo[1]. Il dogma comprende poi anche “la “Virginitas mentis”, cioè il costante proposito della verginità, e la “Virginitas sensus”, cioè l’immunità dagli impulsi disordinati della concupiscenza sensuale (Ott, Compendio di teologia dogmatica 1964, p. 339). Per questi motivi il V° concilio di Costantinopoli del 553 attribuisce alla Madonna il titolo di “Sempre Vergine”.

La Sacra Scrittura

Il profeta Isaia, sette secoli prima, aveva annunciato che la Vergine, rimanendo tale, “concepirà e darà alla luce un figlio” (Is 7,14). L’evangelista S. Luca narra la concezione verginale di Gesù al momento dell’Annunciazione (Lc 1,26-38) e lascia supporre il parto verginale con parole molto delicate scrivendo che Maria SS. subito dopo la nascita di Gesù “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”, (Lc 2,7)

La nascita miracolosa del Signore ci fa pensare all’uscita di Gesù dal sepolcro chiuso e alla sua entrata nel cenacolo a porte chiuse e va riferita al miracolo della compenetrazione dei corpi. Bossuet, celebre predicatore, la paragonerà ad un raggio di luce che attraversa un cristallo, non soltanto senza lederlo ma rendendolo ancora più spendente.

Le ragioni di convenienza

Molte ragioni di convenienza aiutano a capire l’importanza della Verginità di Maria SS. Il Verbo di Dio, come il verbo nella mente umana, cioè l’idea, è concepito senza la minima alterazione della mente divina. Allo stesso modo il Verbo doveva essere concepito dalla madre senza ombra di alterazione. Nato nell’eternità senza corruzione del Padre, doveva nascere nel tempo senza la corruzione della madre, tanto più che veniva per togliere la corruzione del peccato.

Questa concezione miracolosa era necessaria anche perché bisognava che l’umanità di Cristo fosse concepita senza il peccato originale, che si trasmette per via di generazione naturale. Il fine dell’Incarnazione è poi quello di farci diventare figli di Dio, filiazione che non procede “da carne o da sangue” e di cui l’esemplare doveva essere Gesù Cristo. Si addiceva poi che, potendo agire in tal modo, il Signore onorasse così sua madre. (Roschini, Diz. Di Mariologia ed Studium 1961 p. 487; cfr. S. Th III q 28 a.2).

Il Figlio di Dio fatto uomo, essendo l’unigenito del Padre, doveva anche essere l’unigenito della madre. Il seno purissimo di Maria fu come un santuario in cui lo Spirito Santo formò il corpo di Gesù. Maria SS. fu sposa dello Spirito Santo per la generazione e a lui, per questo, doveva essere fedele per sempre, custodendo preziosamente il gran dono della verginità che aveva conservata miracolosamente.

L’esegesi: risposta alle obiezioni

Il dogma della Verginità di Maria è fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione e non può essere messo in discussione da alcune interpretazioni arbitrarie di certi testi del Nuovo Testamento, al di fuori dalle buone regole della esegesi. Rispondiamo in qualche riga ai passaggi spesso utilizzati dagli avversari.



Il figlio primogenito

S. Luca, parlando della nascita di Gesù, afferma che Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7, Mt 1,25). Da ciò non si può dedurre che, dopo Gesù, ella abbia avuto altri figli. Nel giudaismo infatti anche il figlio unico era designato con il nome di primogenito poiché portava con sè particolari diritti e doveri. Nell’epistola agli Ebrei (1,6) l’unico figlio di Dio viene detto primogenito. Un epitaffio giudaico scoperto in Egitto e datato dell’anno 5° dopo Cristo (25° di Augusto) chiama “primogenito” il figlio di una donna morta di parto. (op. cit. Diz. di Mariologia p. 487)

I “fratelli” di Gesù

Nei Vangeli si parla dei “fratelli di Gesù” come in Mt 12,47; 13,55; Gv 2,12 ecc. Una buona esegesi ci fa capire che con questo termine si intendono dei suoi parenti prossimi. Gli evangelisti infatti erano semiti di temperamento e di educazione e benché la lingua in cui ci è giunto il Nuovo testamento sia il greco comunemente parlato, la Koiné, essa conserva l’impronta semitica di coloro che la hanno utilizzata. Gli scrittori sacri poi imitano spesso le forme arcaiche della versione greca dell’Antico Testamento detta dei Settanta che era per loro familiare. Ora la parola fratello ha in ebraico un significato molto ampio. Esso potrà essere preso nel suo senso esatto ed indicare figli della stessa madre ma anche assumere quello di altri gradi di parentela (cugini, nipoti ecc.).

Ciò proviene della povertà di questa lingua per designare i termini di parentela. Per esempio non esiste un termine per designare i cugini. Se quindi Gesù aveva dei cugini, e poteva averne dalla parte di Maria SS. o di S. Giuseppe, li chiamavano suoi fratelli o sue sorelle.

In diversi casi nella traduzione greca della Bibbia si utilizza il termine fratello, per indicare un parente stretto come per esempio cugino, pur esistendo in greco il termine corrispondente. Abramo per esempio parla di Loth come di suo fratello quando in realtà era suo nipote (Gen. 3,8; Gen. 12,5) In 1 Paral. 23,22 è evidente che i figli di Cis, che vengono chiamati fratelli delle figlie di Eleazaro, sono in realtà loro cugini germani. (Vedere inoltre Lev. 10,4; II Re 10,13-14)

Non c’è da stupirsi quindi se, anche nel Nuovo Testamento greco, si utilizzi la parola fratello in questo senso, conservando l’uso semitico, senza ricorrere alla traduzione più precisa di cugino. Questo senso largo dell’espressione “fratelli di Gesù” è fondata su argomenti scritturali molto forti.

San Marco (6,3) e S. Matteo (13,55) riportano una frase di alcuni uditori stupefatti, durante la visita di Gesù a Nazareth, che affermano: “Non è egli il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi?”. Ora fra le pie donne ai piedi della croce gli stessi evangelisti nominano “Maria madre di Giacomo e di Giuseppe” (Mc 15,40; Mt 17,56).
Tutto porta a credere che questi due nomi citati nello stesso ordine e nella stessa ortografia designino nei due passaggi le stesse persone. Segnalando Maria come madre di Giacomo e di Giuseppe è naturale pensare che gli evangelisti si riferiscano a due personaggi conosciuti dal racconto precedente. Quindi Giacomo e Giuseppe, nominati per primi nella lista dei fratelli di Gesù, hanno per madre una donna chiamata Maria ma che non è la Madonna. Quindi se ne può dedurre che neppur gli ultimi due citati nella lista, Simone e Giuda, siano suoi figli.

Un altro passaggio del Nuovo Testamento che indica con precisione che il termine fratello è utilizzato per significare un diverso grado di parentela è quello di S. Paolo nell’epistola ai Galati. Egli dichiara di essere salito a Gerusalemme e di non aver visto nessun altro apostolo se non Giacomo, fratello del Signore. (Gal 1, 17-19) Ora fra gli apostoli ve ne sono due che portano il nome di Giacomo: uno è Giacomo figlio di Zebedeo e fratello dell’apostolo Giovanni; l’altro è Giacomo figlio di Alfeo ed è di quest'ultimo che parla S. Paolo. Ma se era figlio di Alfeo è chiaro che non poteva esserlo di Giuseppe e di Maria.

Egisippo, autore palestinese del II° secolo, afferma chiaramente che questo Giacomo era cugino di Gesù. (Hist. Eccl. di Eusebio IV, XXII,4)

Durante tutta la storia dell’infanzia vediamo sempre Gesù solo fra Giuseppe e Maria. A 12 anni quando la Sacra Famiglia sale a Gerusalemme, Gesù appare ancora come il Figlio unico. Tutti coloro che il Vangelo chiama “fratelli di Gesù” non sono mai chiamati “figli di Maria”. Mentre i suoi compatrioti parlando di Gesù lo chiameranno “il figlio di Maria” (Mc 6,3) Il fatto di impiegare l’articolo “il” mostra ancora che lo si poteva riconoscere in maniera inconfondibile, senza bisogno di distinguerlo da altri. In definitiva poi il fatto che Gesù morente sulla Croce affidi sua madre alla protezione di S. Giovanni, presuppone che Maria non avesse altri figli.


Note:

[1] Nella sua opera di 900 pagine Katholische Dogmatik. Für Studium und Praxis der Theologie ("Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia", Freiburg. 5ª edizione, 2003), Mons. Müller ha dichiarato che la dottrina della Perpetua verginità di Maria non è "tanto relativa alle specifiche proprietà fisiologiche durante l'atto naturale del parto [...], ma piuttosto alla guarigione e all'azione salvatrice della grazia del Salvatore verso la natura umana." http://it.wikipedia.org/wiki/Gerhard_Ludwig_M%C3%BCller

La sua posizione è stata recentemente difesa da Mons Bux: «Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa che l’aspetto corporeo della verginità è tutta nel fatto che Gesù sia stato concepito senza seme umano, ma per opera dello Spirito Santo. Essa è un’opera divina che supera ogni comprensione e possibilità umana. La Chiesa confessa la verginità reale e perpetua di Maria ma non si addentra in particolari fisici; né pare che i concili e i padri abbiano detto diversamente.”

http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/lefebvriani-bux-mueller-vaticano-16564/