lunedì 31 gennaio 2011

Mons. Lefebvre aveva consacrato la sua vita per la Chiesa, per Roma, per il Papato, viveva per essa e per Lui servire la Chiesa voleva dire salvare le anime.



Mons. Lefebvre visto da un suo vicino collaboratore

a cura di Marco Bongi

Presentiamo il resoconto di un interessante colloquio con uno dei primi collaboratori di mons. Marcel Lefebvre. Don Emanuel Du Chalard, noto per essere stato il pioniere della presenza FSSPX in Italia e per aver sempre mantenuto contatti diplomatici informali fra la Fraternità e Roma, ci descrive alcuni aspetti della personalità del fondatore, uscendo, forse per la prima volta, dal suo proverbiale ed umile riserbo.

* * *

Don Emanuele, Lei è stato uno dei primi sacerdoti ordinati da mons. Lefebvre dopo la fondazione della FSSPX. Gli è poi stato vicino per molti anni. Ci può brevemente descrivere la sua personalità nella vita quotidiana, al di là dei momenti pubblici?

Prima di tutto mons. Lefebvre fu per noi un padre e un esempio. Sempre attento a tutto anche ai più piccoli dettagli. Voleva che il seminario fosse semplice ma pulito e ordinato. Viveva in seminario come noi, seguiva lo stesso orario, era sempre presente a tutte le preghiere comunitarie, prendeva i pasti in refettorio con i seminaristi, non chiedeva mai niente di speciale per lui. D’altra parte non gli piacevano i favoritismi. Era molto attento alle persone, sempre pronto ad ascoltare i seminaristi, si poteva andare a trovarlo nel suo ufficio quando si voleva, sembrava che non avesse mai altre cose da fare. Fu un esempio di disponibilità. Aveva sempre una grande attenzione per gli ospiti, una conversazione gradevole e gli piaceva l’umorismo o la battuta. Trasmetteva un senso di gioia oltre che di pace e serenità. Era un uomo buono, ma era soprattutto un sacerdote e un Vescovo vicino a tutti. Per vederlo o avere un appuntamento non era difficile: non aveva un segretario privato, si gestiva tutto da solo, appuntamenti, corrispondenza, organizzazione dei viaggi.

Il suo stile di vita fu un esempio per noi tutti. E possiamo serenamente affermare che la Fraternità San Pio X ha improntato il suo modo di vivere più sull'esempio del suo fondatore che traendolo dal suo insegnamento.

Ci può raccontare qualche aneddoto inedito da lei vissuto accanto a mons. Lefebvre?

Non saprei, ma posso affermare che più ho conosciuto e frequentato mons. Lefebvre, soprattutto nel contesto romano, più mi sono reso conto che era davvero un grande uomo di Chiesa. Ben pochi hanno avuto la sua esperienza maturata dalle responsabilità ricevute. Conosceva la Curia Romana e i suoi meccanismi alla perfezione. Praticamente, per una ragione o per un'altra, aveva frequentato tutti i dicasteri vaticani. Non solo conosceva bene la Chiesa e i suoi problemi ma aveva di essa una visione di fede e soprannaturale. Tutto ciò faceva di lui un ecclesiastico di gran statura.

Lei accompagnò spesso mons. Lefebvre nelle sue visite in Vaticano. Con quale animo venivano vissuti tali momenti, come si conciliava in lui l'amore per la Roma cattolica ed il desiderio di difendere la dottrina di sempre, spesso contraddetta dalle medesime autorità?

Mons. Lefebvre aveva consacrato la sua vita per la Chiesa, per Roma, per il Papato, viveva per essa e per Lui servire la Chiesa voleva dire salvare le anime. Per questo la crisi post-conciliare fu da lui vissuta come un dramma. Il senso missionario era iscritto profondamente nella sua anima. Possiamo dire che la sua reazione davanti alla crisi della Chiesa fu determinata dalla consapevolezza di quali fossero i veri bisogni anime. Se la fede non è più trasmessa, le anime non possono salvarsi.

Mi ricorderò sempre della sua reazione all’annuncio della prima giornata di Assisi dell’ottobre 1986. Di passaggio ad Ecône, ero nel suo ufficio, e gli dissi quello che si sussurrava su questo progetto. Egli si mise la testa fra le mani e disse con tono molto addolorato: “E’ la distruzione della missione”. Era la sua anima profondamente missionaria chi reagiva.

Ho sempre constatato in lui un grande rispetto per la gerarchia ecclesiastica. Forse la sua timidezza e anche questo rispetto, facevano sì che se un Cardinale nella conversazione affermava un errore o diceva cose sbagliate, generalmente Monsignore taceva e non parlava più. Per lui era inconcepibile che un uomo di Chiesa potesse parlare così. E uscito dall’incontro mi diceva “Ma come è possibile che il Cardinale possa affermare queste cose!” Era sbalordito.

Fu per lui una tragedia certamente il trovarsi in opposizione con Roma e con il Papa. Lui che per decenni fu incoraggiato dal Papa per il suo apostolato in Africa, non concepiva come non potesse più lavorare nello stesso spirito e con lo stesso zelo. Qualche cosa era cambiato con il Concilio. In tali situazioni fu solo la sua gran fede a guidarlo, e fu una fede fino all’eroismo. Pagò con la sua persona.

Nella fede infatti c’è un ordine. La Chiesa è al servizio della Verità (Verità soprannaturale), la Chiesa è la guardiana della Verità, non fa la Verità e non può cambiarla. Poi essa deve trasmetterla nella sua integralità. La Chiesa è anche al servizio delle anime, e ha la responsabilità della loro salvezza. Tutto il resto deve essere ordinato in funzione della Fede e della salvezza delle anime.

Furono questi concetti che guidarono monsignor Lefebvre in questi anni di difficoltà con Roma. Egli era persuaso che un giorno Roma ringrazierà la Fraternità per la sua difesa della fede e per tutti i sacrifici fatti. Io personalmente sono convinto che un giorno la Chiesa riconoscerà la fede eroica di questo Vescovo.

Lei fu accanto a mons. Lefebvre anche nel momento in cui decise di ordinare i quattro vescovi della FSSPX. Come vennero vissuti quei giorni? Quale fu il fatto decisivo che lo portò a questa difficile scelta?

Non fui il solo sacerdote a seguire da vicino questo momento delicato dell'esistenza di Monsignore e della vita interna alla Fraternità. Penso che padre Franz Schmidberger, che era allora il Superiore Generale e i quattro che furono consacrati Vescovi, potrebbero testimoniare meglio di me. Ci furono essenzialmente tre tappe per questo cammino: la decisione di consacrare, quando farlo e infine la consacrazione stessa.

La prima tappa fu lungamente preparata con una riflessione personale sulla crisi della Chiesa. molto probabilmente chiese pareri a persone competenti e soprattutto pregò molto. Si sa, ad esempio, che per almeno un anno Monsignore si alzò tutte le notti per pregare un’ora davanti al Santissimo Sacramento allo scopo di avere le grazie necessarie per capire quello che doveva fare. L’ho sentito dire: “Potrei lasciare le cose come sono, e poi il Signore provvederà per il futuro della Fraternità, ma il Signore mi potrebbe dire anche il giorno del giudizio: ha fatto tutto quello che poteva come Vescovo?” Al mio umile avviso sarebbe sbagliato pensare che Monsignore abbia preso questa decisione solo per la Fraternità e il suo avvenire.

Certamente, egli vedeva piuttosto il bisogno della Chiesa in generale e ritenne, in coscienza, che questo passo era necessario per un ritorno della Tradizione, specialmente attraverso il rinnovamento di un sacerdozio autentico.

Questa fu la prima tappa e, una volta presa la decisione, ci fu per lui come un senso di sollievo perché aveva capito con chiarezza che quella era la volontà del Signore.

La seconda tappa riguardò il quando procedere a tali consacrazioni episcopali. La soluzione del problema venne a seguito di una successione di avvenimenti. Prima volle ancora tentare con Roma la possibilità di vedere che cosa si potesse fare: incontri con il Cardinale Ratzinger, poi visita canonica con il Cardinale Gagnon, quindi la commissione fra la Santa Sede e la Fraternità, infine il famoso protocollo del 5 maggio 88.

Tutto ciò non avrebbe tuttavia permesso di continuare con serenità la sua opera, anche se Monsignore riconosceva che nel protocollo la Santa Sede faceva delle concessioni importanti come l’uso dei libri liturgici tradizionali.

Certamente inoltre un fatto non secondario era la sua età avanzata. Capiva che non poteva più continuare a viaggiare per impartire le Cresime e fare le ordinazioni. E così prese la decisione di consacrare quattro vescovi il 30 giugno 1988.

La terza tappa la conosciamo tutti. Fu vissuta con un po’ di tensione, a causa di alcune minacce e della gran folla di giornalisti venuti da tutto il mondo.

Aggiungo, a tal proposito, due considerazioni. La prima concerne la serenità e la pace che ha accompagnato Monsignore in tutte e tre le tappe e che seppe sempre comunicare a quelli che gli erano vicino. L’altra considerazione riguarda la sua determinazione. Una volta presa una decisione, più niente lo fermava. Prima delle consacrazioni ha avuto tante pressioni da Roma e da altri ambienti, affinché rinunciasse. Questo mi ricorda come avesse mantenuto il medesimo comportamento in occasione della conferenza tenuta nel giugno 1977 a Roma, nel palazzo della principessa Pallavicini. All’epoca ci fu una forte pressione mediatica dei giornali italiani, e delle visite di diverse personalità, ma niente e nessuno lo avevano fermato. Non era un uomo precipitoso nelle sue decisioni. Quando però le decisioni erano state assunte, soprattutto se erano sofferte, più niente lo fermava.

E' vero che l'incontro di Assisi del 1986 rappresentò un elemento importante che spinse mons. Lefebvre alla scelta delle consacrazioni episcopali?

Non direi che l’incontro d’Assisi fu l’elemento decisivo. Esso rappresentò piuttosto un segno evidente, e sotto gli occhi di tutti, della gravità della crisi. Indicava infatti con chiarezza dove potevano portare le novità del Concilio Vaticano II. L’Osservatore Romano all’epoca aveva giustificato Assisi con il Concilio. Ecco dove portava la famosa libertà religiosa e l’ecumenismo del Concilio, al di là di tutte le interpretazioni artificiose che si intesero dare a tale evento.

In fin dei conti la crisi attuale porta all’apostasia e ciò che viviamo oggi, la rende ancora più evidente che nel 1988.

Mons. Lefebvre le parlò mai del suo incontro con padre Pio? Alcuni autori in proposito raccontano che in tale occasione il santo di Pietralcina rimproverò mons. Lefebvre, altri lo negano. Lei ne sa qualcosa di più?

Monsignore era molto discreto su tutto quello che aveva fatto e faceva. Ma su questo punto, ci ha precisato che l’incontro fu molto breve. Chiese a Padre Pio di pregare per il capitolo generale della congregazione dei missionari dello Spirito Santo della quale era allora il Superiore Generale. Era infatti molto preoccupato e chiese una benedizione. La risposta di Padre Pio fu: E’ lei che deve benedirmi. Non ci furono altre parole. Contro le dicerie sul fatto che padre Pio avrebbe detto che Monsignore sarebbe stato all'origine di uno scisma, abbiamo potuto avere la testimonianza dei due sacerdoti che l’avevano accompagnato a San Giovanni Rotondo. Tali testimonianze confermano quello che Monsignore ha sempre detto su questo incontro.

Anche nei momenti più difficili mons. Lefebvre mantenne rapporti di amicizia con alcuni alti prelati. Ci può dire qualcosa in proposito, specialmente rispetto al suo successore a Dakar il Card. Thiandum e al Card. Siri?

Monsignore fu sempre rispettato da molti prelati a Roma. Da una parte per gli incarichi che aveva svolto: Arcivescovo di Dakar, Delegato Apostolico per tutta l’Africa francese, poi Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, congregazione questa che contava allora cinquemila membri. Egli compì un lavoro enorme, è un fatto che nessuno può negare. Fu rispettato anche perché era un uomo integro, non ricattabile, coerente e poi parecchi sapevano che in fondo aveva ragione, mentre loro non avevano avuto il suo coraggio per delle questioni di opportunità. Essere criticato, ingiuriato, disprezzato, umiliato, condannato, considerato come fuori della Chiesa, scomunicato, e accettarlo per amore di Gesù Cristo e della sua Chiesa non è dato a tutti.

Il Cardinale di Dakar, mons. Thiandium fu certamente uno dei più coraggiosi. Aveva una grande ammirazione per Monsignore, gli doveva tutto, sacerdozio, episcopato e possiamo dire anche cardinalato in quanto, in un certo senso, gli aveva preparato la strada. Non fu soltanto per questo che il Cardinale stimava mons. Lefebvre; conosceva le sue qualità e l’aveva visto all’opera a Dakar. So che il Cardinale è intervenuto presso Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II in favore di mons. Lefebvre. In occasione del Sinodo sulla famiglia aveva organizzato un incontro fra il Cardinale Ratzinger, mons. Lefebvre e lui stesso. Ci furono anche alcuni incontri con il Cardinale Siri, ma non saprei dire in quale clima si svolsero.

Poi, fu sempre ricevuto dai Cardinali Oddi e Palazzini.

A quanto le risulta mons. Lefebvre ebbe esperienze mistiche?

Se certamente Monsignore fu un uomo molto aperto, amabile e di facile approccio, era però molto discreto su quello che aveva fatto per esempio in Africa. Raccontava volentieri delle storie di avventure nella savana ma non il suo operato. Un giorno ho chiesto a sua sorella carmelitana, Madre Marie Christiane se sapesse qualche cosa dell’apostolato in Africa, mi ha risposto: ogni volta che ho chiesto a mio fratello notizie su quello che faceva come missionario o Vescovo, lui cambiava discorso.

Essendo stato lui sempre molto riservato circa la sua persona, sarei incapace di dire se ha avuto esperienze mistiche. So con certezza che pregava molto soprattutto quando aveva delle difficoltà da risolvere, e d’altra parte di quel sogno nella cattedrale di Dakar sulla restaurazione del sacerdozio al quale fa allusione all’inizio dell’Itinerario Spirituale, libro che consideriamo un po’ come il suo testamento. Che tipo di sogno era però non lo sappiamo.

Alcuni giornalisti hanno sostenuto che mons. Lefebvre, negli ultimi giorni di vita, fosse angosciato e, in un certo senso, "pentito" di alcuni suoi gesti. Le risulta? Quando fu l'ultima volta che lo vide?

Da quello che io posso sapere, Monsignore non si è mai pentito di quello che ha fatto. Personalmente ho avuto la grazia di passare una settimana con lui un mese prima della sua morte, tre giorni in Sardegna e tre giorni in Toscana. Lo ho ancora visto in ospedale a Martigny, per un'ora, una settimana prima della sua scomparsa e prima dell’intervento chirurgico a cui fu sottoposto. Posso testimoniare che era molto sereno, mi ha parlato della Fraternità, dei fedeli e più volte ha anche scherzato.

sabato 29 gennaio 2011

Papi e Dottori sulla Resistenza al Papa

 
 
Papa Innocenzo III: "Soltanto per il peccato che commettessi in materia di fede, io potrei essere giudicato dalla Chiesa" (Sermo IV in cons. Pont.. P.L. 217.670)

Papa Felice III: "Non resistere all’errore è approvarlo, non difendere la verità è ucciderla. Chiunque manca di opporsi ad una prevaricazione manifesta può essere considerato un complice occulto” (citato da Leone XIII nella sua lettera ai Vescovi italiani 08/12/1892)

Papa San Leone: "Anatematizziamo Onorio (Papa), che non ha istruito questa Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica ma ha permesso con un sacrilego tradimento che fosse macchiata la fede immacolata e non ha estinto, come competeva alla sua autorità apostolica, la fiamma incipiente dell'eresia, ma l'ha fomentata con la sua negligenza" (Denz.Sch. 563 e 561).

Papa Adriano II: "Onorio è stato anatematizzato dagli Orientali: però si deve ricordare che egli è stato accusato di eresia, unico crimine che rende legittima la resistenza degli inferiori ai superiori, come anche il rifiuto delle loro dottrine perniciose" (Alloc. Ili lect. in Conc. XIII, act.VII - citato da Billot. Traci, de Eccles. Christi", tom. I, p.619).

Papa Leone XIII: "Allorché manca il diritto di comandare o il comandamento è contrario alla ragione, alla legge eterna, all’autorità di Dio, allora è lecito disobbedire agli uomini per obbedire a Dio” (Enc. “Libertas Praestantissimum n.15)


Guido da Vienne (futuro Callisto II), S.Godofredo da Amiens, S.Ugo de Grenoble e altri vescovi, riuniti nel Sinodo di Vienna (1112), inviarono al Papa Pasquale II le decisioni da loro adottate (per salvaguardare la fede n.d.r.), scrivendogli anche: "Se, come assolutamente non crediamo, sceglierete un'altra via , e vi rifiuterete di confermare le decisioni di nostra paternità, che Dio ci aiuti, poiché così ci allontanereste dalla vostra ubbidienza" (citato da Bouix. Tract. de Papa", tornii, p.650)

"Decretimi" de Graziano: "II Papa da nessuno dev'essere giudicato, a meno che si allontani dalla fede" (Pars: I, dist.40, cap.IV, Canon "Si Papa").

San Tommaso d'Aquino, studiando l'episodio in cui S. Paolo ha biasimato S. Pietro (cfr. Gal.II, 11-14), scrive : "Ai prelati è stato dato l'esempio di umiltà, affinché non rifiutino d'accettare rimproveri da parte dei loro inferiori e sudditi: e ai sudditi (fu dato) esempio di zelo e libertà, affinché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando il crimine fosse pubblico e risultasse di pericolo per molti (...). La riprensione è stata giusta e utile e il suo motivo non era lieve: si trattava di pericolo per la preservazione della verità evangelica (...). Il modo in cui avvenne la riprensione è stato conveniente, poiché fu pubblico e manifesto. Per questo S. Paolo scrive: "Ho parlato a Cefas" cioè a Pietro, "davanti a tutti", poiché la simulazione praticata da S. Pietro portava pericolo a tutti" (ad. Gai. II, 11-14; lect. Ili; nn. 77; 83-84).

San Tommaso d'Aquino: "Essendoci pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, anche pubblicamente dai sudditi" (Sum. Teol. II-11, a XXXIII. IV, ad 2)

San Roberto Bellarmino: "Così come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così è anche lecito resistere a quello che aggredisce l'anima o che perturba l'ordine civile, o, soprattutto, a quello che tentasse di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina e impedendo l'esecuzione della sua volontà" ("De Rom. Pont." Lib.II. c.29).
Il medesimo santo approvò la 15ª proposizione dei teologi di Venezia i quali dicevano che “quando il Sommo Pontefice fulmina una sentenza di scomunica ingiusta o nulla, non la si deve accettare

Dom Guéranger: "Quando il pastore si trasforma in lupo, è al gregge che in primo luogo tocca difendersi. Senz'altro normalmente la dottrina scende dai Vescovi al popolo fedele e i sudditi, nel dominio della Fede, non devono giudicare i loro capi. Ci sono, però, nel tesoro della Rivelazione punti essenziali, che ogni cristiano, in considerazione del suo stesso titolo di cristiano, necessariamente conosce e obbligatoriamente deve difendere" (L'Année Liturgique, festa di S.Cirillo di Alessandria, pp.340-341).

Suarez: "E in questo secondo modo il Papa potrebbe essere scismatico nel caso non volesse avere con tutto il corpo della Chiesa l'unione e la congiunzione dovuta, come lo sarebbe (...) se volesse sovvertire tutte le cerimonie ecclesiastiche fondate sulla tradizione apostolica" ("De Cantate", disp. XII, sect. I, n.2, pp.733-734).
"Se (il Papa) emanasse un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve ubbidire; se provasse a fare qualcosa manifestamente opposto alla giustizia e al bene comune, sarà lecito resistergli " ("De fide", disp. X, sect. VI, n.16)

Cardinale Journet: "Quanto all'assioma "Dove è il Papa lì è la Chiesa" vale quando il Papa si comporta come Papa e capo della Chiesa; nel caso contrario, né la Chiesa è in lui, né lui nella Chiesa (Caietano, II, II, 39.1 "L'Eglise du Verbe Incarné", voi. II, pp. 839-840).

La Chiesa nelle Litanie dei Santi domanda a Dio: “Affinché vi degnate di conservare nella Santa Religione il Sommo Pontefice e tutta la Gerarchia, vi preghiamo, Signore, ascoltaci!”. Ne consegue che è possibile che il Papa si allontani dalla Santa Religione.


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venerdì 28 gennaio 2011

Suor Serafina Micheli e la visione di Lutero all'Inferno

L'Angelo poi le soggiunse: “Ma io voglio farti vedere il luogo dove Martin Lutero è condannato e la pena che subisce in castigo del suo orgoglio”.

Suor Serafina Micheli e la visione di Lutero all'Inferno

Pontifex.RomaNel 1883 Suor Maria Serafina Micheli (1849-1911) che sarà beatificata a Faicchio in provincia di Benevento e diocesi di Cerreto Sannita il 28 maggio 2011, fondatrice dell’Istituto delle Suore degli Angeli, si trovava a passare per Eisleben, nella Sassonia, città natale di Lutero. Si festeggiava, in quel giorno, il quarto centenario della nascita del grande eretico ( 10 novembre 1483) che spaccò l’Europa e la Chiesa in due, perciò le strade erano affollate, i balconi imbandierati. Tra le numerose autorità presenti si aspettava, da un momento all’altro, anche l’arrivo dell’imprenditore Guglielmo I, che avrebbe presieduto alle solenni celebrazioni. La futura beata, pur notando il grande trambusto non era interessata a sapere il perché di quell’insolita animazione, l’unico suo desiderio era quello di cercare una chiesa e pregare per poter fare una visita a Gesù Sacramentato. Dopo aver camminato per diverso tempo, finalmente, ne trovò una, ma le porte ...
... erano chiuse. Si inginocchiò ugualmente sui gradini d’accesso, per fare le sue orazioni. Essendo di sera, non s’era accorta che non era una chiesa cattolica, ma protestante. Mentre pregava le comparve l’angelo custode, che le disse: “ Alzati, perché questo è un tempio protestante”. Poi  le soggiunse: “Ma io voglio farti vedere il luogo dove Martin Lutero è condannato e la pena che subisce in castigo del suo orgoglio”.
Dopo queste parole vide un’orribile voragine di fuoco, in cui venivano crudelmente tormentate un incalcolabile numero di anime. Nel fondo di questa voragine v’era un uomo, Martin Lutero, che si distingueva dagli altri: era circondato da demoni che lo costringevano a stare in ginocchio e tutti, muniti di martelli, si sforzavano, ma invano, di conficcargli nella testa un grosso chiodo. La suora pensava: se il popolo in festa vedesse questa scena drammatica, certamente non tributerebbe onori, ricordi, commemorazioni e festeggiamenti per un tale personaggio. In seguito, quando le si presentava l’occasione ricordava alle sue consorelle di vivere nell’umiltà e nel nascondimento. Era convinta che Martin Lutero fosse punito nell’Inferno soprattutto per il primo peccato capitale, la superbia.
L’orgoglio lo fece cadere nel peccato capitale, lo condusse all’aperta ribellione contro la Chiesa Cattolica Romana. La sua condotta, il suo atteggiamento nei riguardi della Chiesa e la sua predicazione furono determinanti per traviare e portare tante anime superficiali ed incaute all’eterna rovina. Se vogliamo evitare l’Inferno viviamo nell’umiltà. Accettiamo di non essere considerati, valutati e stimati da quelli che ci conoscono. Non lamentiamoci, quando veniamo trascurati o siamo posposti ad altri che pensiamo siano meno degni di noi. Non critichiamo mai, per nessun motivo, l’operato di coloro che ci circondano. Se giudicheremo gli altri, non siamo neppure cristiani. Se giudichiamo gli altri, non siamo neppure noi stessi.
Confidiamo sempre nella grazia di Dio e non in noi stessi. Non preoccupiamoci eccessivamente della nostra fragilità, ma del nostro orgoglio e presunzione. Diciamo spesso col salmista: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze” (Salm. 130). Offriamo a Dio il nostro “nulla”: le incapacità, le difficoltà, gli scoraggiamenti, le delusioni, le incomprensioni, le tentazioni, le cadute e le amarezze di ogni giorno. Riconosciamoci peccatori, bisognosi della sua misericordia. Gesù, proprio perché siamo peccatori ci chiede solo di aprire il nostro cuore e di lasciarsi amare da Lui. E’ questa l’esperienza di San paolo: “La mia potenza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza.
Mi vanterò, quindi, ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Cor. 12,9). Non ostacoliamo l’amore di Dio nei nostri riguardi col peccato o con l’indifferenza. Diamogli sempre più spazio nella nostra vita, a vivere in piena comunione con Lui nel tempo e nell’eternità.
Don Marcello Stanzione

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Falso ecumenismo. La nuova chiesa conciliare si muove verso la riabilitazione e incensazione dell'eretico e scismatico Martin Lutero.

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giovedì 27 gennaio 2011

Padre Piero Gheddo vero esempio ecumaniaco!

Padre Piero Gheddo ecumenico

ovvero

Assisi tra ecumenismo, apostasia e blasfemia



Questo 25 gennaio, nella pagina della Cultura, il quotidiano Avvenire ha ospitato un articolo di Padre Piero Gheddo:

Padre Gheddo, quasi 82 anni, è un noto divulgatore del PIME, che ha al suo attivo più di settanta volumi e un numero enorme di articoli. A più riprese è intervenuto in trasmissioni televisive ed è stato relatore in un gran numero di conferenze. Insegna nel seminario pre-teologico del PIME.
Con questo curriculum è indubbio che le sue parole vanno prese molto sul serio, in quanto riflettono a suo modo il pensiero ampiamente diffuso in seno alla Chiesa.

Pubblichiamo quindi l'articolo in questione,
seguito da un nostro breve commento
(neretti e impaginazione sono nostri)





Ma ad Assisi vince il dialogo della vita

Fra i 16 documenti del Concilio Vaticano II (costituzioni, decreti, dichiarazioni) quello che più ha rivoluzionato la missione alle genti non è stato, come si potrebbe immaginare, l’Ad Gentes, ma la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (“Nostra Aetate”), il testo più breve (cinque soli numeri), che ha capovolto la mentalità e le prospettive delle giovani Chiese e dei missionari.

La storia, specialmente della Chiesa, è guidata dallo Spirito Santo e nulla avviene per caso.
A distanza di tempo se ne vedono i risultati.
Così, quando Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata per la Pace del 1° gennaio e all’Angelus di quel giorno, ha rivelato che nell’ottobre prossimo ancora ad Assisi si incontrerà con i rappresentanti delle religioni non cristiane, ho ringraziato il Signore per questo rinnovato impulso alla conversione di atteggiamento della Chiesa verso le sterminate popolazioni che non hanno ancora incontrato Cristo, ma che anch’esse sono assistite e ispirate dallo Spirito Santo.

Ecco le parole del Papa: «In questo anno 2011 ricorrerà il 25° anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace che il Venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986. Per questo, nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di San Francesco, invitando a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace».

Quali sono i risultati della Nostra Aetate e del primo incontro ad Assisi del 1986? Le Chiese locali (e naturalmente anche i missionari stranieri) hanno percorso o stanno percorrendo un lungo e faticoso cammino di apertura, di incontro, di accoglienza, di dialogo e di collaborazione con le religioni non cristiane.
Nella tradizione missionaria le religioni erano viste come nemiche di Cristo, oggi sono viste come preparazione a Cristo, quasi un "Antico Testamento" in attesa del Nuovo.
Il grande Matteo Ricci, cinese con i cinesi, scriveva: «Contro questo mostro dell’idolatria cinese, terribile con le sue tre teste (confucianesimo, taoismo e buddhismo), che tiranneggia da migliaia di anni tanti milioni di anime trascinandole negli abissi dell’inferno, si è levata la nostra Compagnia per fargli la guerra… al fine di liberare le anime disgraziate dalla dannazione eterna».

Prima del Vaticano II la mentalità dei missionari e dei giovani cristiani era ancora questa e l’ho sperimentato, a quel tempo, soprattutto in Vietnam e in India. Quando Paolo VI venne a Bombay nel novembre 1964 per il Congresso Eucaristico internazionale, il suo incontro con i rappresentanti delle religioni indiane fu aspramente contestato (anche da vescovi) nell’India stessa e in Vietnam nell’ottobre 1966 dovette andare monsignor Pignedoli, delegato di Paolo VI, per combinare un inizio di dialogo fra cattolici e buddhisti, anche là avversato da vescovi e missionari.

Oggi, negli stessi Paesi, la situazione è del tutto diversa e tra i fedeli cattolici e di altre religioni si pratica «il dialogo della vita», come lo definiva Giovanni Paolo II: non il «dialogo teologico» come si immaginava al tempo del Concilio (rifiutato perché visto come tentativo di “proselitismo”), ma la vita assieme, collaborando per il bene pubblico e la salvaguardia della pace, della giustizia, dell’aiuto ai poveri e della libertà religiosa per tutti.

Le Chiese locali e le diocesi partecipano a comitati di dialogo inter-religioso e inter-ecumenico che creano un’atmosfera di conoscenza e stima reciproca, che favorisce la pace.
Non importa che poi, in India ad esempio, l’estremismo indù, quasi sempre generato e guidato da partiti politici che strumentalizzano la religione nazionale, perseguiti i cristiani, perché questo succederebbe anche senza il dialogo, anzi sarebbe peggio!
La grande maggioranza degli indiani apprezza il cristianesimo e l’opera sociale della Chiesa.
Nel gennaio 2005 andai in India, poco dopo lo tsunami che il 26 dicembre 2004 aveva spazzato le coste orientali del Paese, con decine di migliaia di morti e milioni di profughi.
L’organizzatore degli aiuti ricevuti dalla Chiesa di Chennai (Madras) era padre Anthony Thota, del Pime indiano, che mi accompagnò in visita ai “progetti” che si stavano realizzando. Gli chiesi se aiutasse solo i cattolici o anche gli altri.

Mi rispose: «Aiuto quasi solo gli altri. I cattolici se la cavano da soli, gli indù invece sono fatalisti e passivi di fronte alla disgrazia. Se non li stimoli con aiuti e controlli, muoiono d’inedia».
E aggiunse: «Però, vent’anni fa l’induismo non aveva volontariato. Poi, sull’esempio delle missioni cristiane oggi ci sono numerosi organismi di volontariato indù, che lavorano con noi e come noi cattolici e protestanti».

Stando in Italia, è difficile conoscere questi risultati del dialogo.
Bisogna fidarsi dello Spirito Santo.

Piero Gheddo 










Breve commento


La prima affermazione d’apertura: «… il testo… [“Nostra Aetate”]… che ha capovolto la mentalità e le prospettive delle giovani Chiese e dei missionari», indica subito il tenore dell’articolo e il punto di vista da cui si pone l’Autore: i documenti del Concilio hanno “capovolto” la mentalità e le prospettive della Chiesa.
Non è un’opinione, ma il riconoscimento di un dato di fatto.

È in questa ottica che va considerata l’esperienza ecumenica di Assisi, quella del 1986 di Papa Wojtyla e quella annunciata per quest’anno da Papa Ratzinger.
Un’ottica che fa dire all’Autore che bisogna ringraziare il Signore per la «conversione dell’atteggiamento della Chiesa verso le sterminate popolazioni che non hanno ancora incontrato Cristo, ma che anch’esse sono assistite e ispirate dallo Spirito Santo».

Potremmo subito esprimere il nostro stupore per questa incredibile affermazione, ma non lo facciamo, perché ciò che più ci preme è capire se ci troviamo di fronte ad un discorso cattolico o ad una dichiarazione di rigetto dell’insegnamento dei Vangeli.

E allora le domande che ci poniamo sono le seguenti:
 se le sterminate popolazioni che non hanno ancora incontrato Cristo sono assistite e ispirate dallo Spirito Santo, perché non sciogliamo la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, un tempo chiamata de propaganda fide?

La Chiesa cattolica è assistita e ispirata dallo Spirito Santo, le popolazioni pagane sono assistite e ispirate dallo Spirito Santoperché non sciogliamo la Chiesa? Perché tenere ancora in piedi questa struttura inutile?

E ci chiediamo ancora:
in quale passo del Vangelo sta scritto che lo Spirito Santo assiste ed ispira i popoli pagani?
In quale testo di quale Padre della Chiesa si afferma che lo Spirito Santo è stato inviato per assistere e ispirare i popoli pagani?
In quale documento del Magistero millenario della Chiesa si insegna che l’assistenza e l’ispirazione dello Spirito Santo sono presenti nella Chiesa cattolica e nei popoli pagani?


A noi risulta che le cose stanno decisamente in modo diverso, tale che o non sono cattolici il Vangelo, i Padri della Chiesa e i pronunciamenti di duemila anni di Magistero, o non è cattolico Padre Gheddo e con lui la Nostra Aetate che lui richiama e il Concilio Vaticano II da cui dichiara di aver appreso ciò che afferma.

Il Concilio, sostiene Padre Gheddo, ha “capovolto” la mentalità e le prospettive della Chiesa, e fa un esempio relativo proprio alla missione.
Dopo aver citato Padre Matteo Ricci, S. J. (1552 – 1610), “Contro questo mostro dell’idolatria cinese… si è levata la nostra Compagnia per fargli la guerra… al fine di liberare le anime disgraziate dalla dannazione eterna»,
l’Autore afferma che
«Oggi, negli stessi Paesi, la situazione è del tutto diversa e tra i fedeli cattolici e di altre religioni si pratica «il dialogo della vita», come lo definiva Giovanni Paolo II: non il «dialogo teologico» come si immaginava al tempo del Concilio (rifiutato perché visto come tentativo di "proselitismo"), ma la vita assieme, collaborando per il bene pubblico e la salvaguardia della pace, della giustizia, dell’aiuto ai poveri e della libertà religiosa per tutti

Egli afferma, insomma, con compiacimento, che i missionari cattolici non praticano più il comandamento del Signore Gesù: “Andate e predicate… andate e battezzate… andate e convertite” (Mt 28, 19-20; Mc 16, 15-16; Lc 24, 47; Gv 14, 21; At 2, 38),
il vecchio errato e superato “proselitismo”,
ma praticano la collaborazione con chiunque per il bene pubblico, la pace, la giustizia e la libertà religiosa.

Concetto che Padre Gheddo ha ribadito più volte, come può constatare chiunque vada a cercare le sue dichiarazioni, tra le quali segnaliamo la seguente, tratta da un’intervista:
«Noi oggi consideriamo le religioni non cristiane una preparazione a Cristo. Ma il senso della missione oggi non è quello di andare a convertire gli uomini. Andiamo a proporre il Vangelo attraverso la carità, attraverso l’interesse per l’uomo, attraverso la Parola e attraverso l’impegno per lo sviluppo. Poi chi vuole si converte e si fa battezzare».

Un vero e proprio “capovolgimento” che, se la logica non è un accidenti, equivale ad una vera e propria apostasia.
Padre Gheddo è sicuramente cattolico, ma non del cattolicesimo della Chiesa di sempre, del cattolicesimo degli Apostoli, del cattolicesimo di Nostro Signore, bensì del nuovo cattolicesimo partorito dal Concilio Vaticano II, del nuovo cattolicesimo che non predica più il Vangelo, che non converte più, che lascia che i pagani continuino a vivere senza la luce di Cristo, continuino a non salvare la propria anima… perché alla salvezza eterna è preferibile il perseguimento della pace del mondo e nel mondo e l’affermazione della libertà religiosa.

E Padre Gheddo ci insegna che tutto questo si muove sulla base di due elementi importantissimi.
Il primo connesso al secondo:
1) la “triste” constatazione che la Chiesa di prima del Concilio (cioè per 2000 anni) ha sempre sbagliato nel considerare “le religioni… come nemiche di Cristo”, e
2) l’“illuminata” constatazione che con Nostra Aetate quelle stesse religioni “sono viste come preparazione al Vangelo, quasi un “Antico Testamento” in attesa del Nuovo”
.

Si capisce bene, quindi, che la Chiesa ha sbagliato due volte: una volta ubbidendo al Signore e considerando i miscredenti come bisognosi di conversione, una seconda volta limitandosi a includere nella Sacra Scrittura solo l’Antico Testamento ebraico, escludendo così colpevolmente tutti gli altri “Antichi Testamenti” indù, buddisti, ecc.

Una Chiesa che, a partire da Cristo, non ne avrebbe azzeccata una, mentre oggi, a partire dal Vaticano II avrebbe capito tutto e quindi “capovolto” mentalità e prospettive.


Padre Gheddo, e Nostra Aetate che lo ispira,
e il Concilio Vaticano II che lo informa,
e i giornali “cattolici” che lo ospitano…
sono ancora cattolici?



E la “Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace”,
che si celebra ogni anno dal 1986
e a cui parteciperà quest’anno Papa Ratzinger,
e per la quale Padre Gheddo ringrazia il Signore perché dà impulso alla “conversione di atteggiamento della Chiesa”…
cos’ha a che vedere col cattolicesimo,
con i missionari, con gli Apostoli, con lo Spirito Santo e con Cristo?

Domande retoriche!

Che il Signore salvi la Chiesa dalle conseguenze delle colpe degli uomini di Chiesa.


Fonte

Proprio una perfida Albione: alla faccia dell'ecumenismo!


Si è conclusa la settimana di preghiera per l'unità dei Cristiana.
In Italia son terminate le sdolcinate tavolerotonde e i vaniloqui, poco programmatici e ancor meno missionari.
Tutti i fautori del tanto osannato ecumenismo son tornati alle proprie sedi, in attesa di riuscire per Assisi III, e non si è fatta parola, se non in rarissimi casi e forse per errore, di un evento che concretizza e rappresenta il vero e solo ecumenismo possibile da parte della Chiesa Cattolica: la (lunga) missione che ha avuto come fausto effetto la conversione e l'accoglienza di buon numero di anglicani alla dottrina cattolica (si veda l'ordinazione sacerdotale di qualche giorno fa di tre ex pastori anglicani) (link e link2).
Da noi non se ne è parlato abbastanza. In Inghilterra se ne parla ancora.Leggete come gli anglicani parlano del Papa, dell' Anglicanorum coetibus, e delle converisioni degli anglicani al cattolicesimo.
Essi criticano l'attività concreta del Papa mirata affinché tutti siano (di nuovo) un corpo solo: sì, ma non piace che il corpo solo sia quello della Chiesa Cattolica.
Finchè se ne parlava solamente, andava bene, ma quando alle parole son (finalmente) seguiti i fatti... ecco che allora storcono il naso. E ci (s)parlano dietro, definendo il Papa un predatore, un imprenditore che fa razzia e specula sulle povere e indifese anime inglesi.
Una considerazione: le parole di R. Williams "arcivescovo" di Cantembury riferite personalmente al Papa, all'indomani delle conversioni e dei primi ingressi nell'Ordinariato degli anglicani cattolici, se pur non esaltanti, erano di tutt'altro tenore (link).

Che in realtà l'articolo riveli i veri sentimenti striscianti tra le gerarchie anglicane? Forse.
Abbiamo motivo di credere che in realtà si tratti di un grossolano tentativo di ostacolare e dileggiare un'operazione tanto delicata quanto vincente. Speriamo di non sbagliarci.
Comunque, l'importante è che gli inglesi, piano piano, ri-tornino cattolici, con buona pace di chi si offende! Oh! Ma pensate un po'!
Traduzione nostra. in rosso i nostri commenti
*
.Articolo tratto dal The Telegraph del 25.01.2011.

fonte: The Telegraph Link

"Alcuni eminenti della Comunione anglicana d’Inghilterra hanno attaccato l’offerta di Papa Benedetto XVI per gli anglicani illusi di convertirsi al cattolicesimo, descrivendola come gesto da "predatore"e "insensibile".
Un vescovo ha affermato che l'invito del Vaticano ha "imbarazzato" il dottor Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, mentre un chierico lo ha paragonato ad una "offerta pubblica di acquisto aziendale".
Un altro vescovo ha ammesso che i rapporti tra le due Chiese [o meglio tra la Chiesa cattolica e l’unione anglicana, n.d.r.] siano stati danneggiati dalle conversioni degli anglicani.
E' la prima volta che anglicani di spicco hanno criticato l’offerta del Papa da quando è stata proposta nel 2009 e rivela tutta la rabbia che era stata fin ora latente.
Le loro osservazioni seguono l'ordinazione di tre pastori ex anglicani come sacerdoti cattolici sabato scorso e che sta rappresentando il rischio di esacerbare le tensioni tra la Comunione Anglicana e la Chiesa Cattolica.
Il clero cattolico è rimasto costernato da un sermone tenuto dal Canonico Giles Fraser, cancelliere della cattedrale di St Paul, nel corso di un servizio liturgico la scorsa settimana al termine della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
Parlando alla Cattedrale di Westminster (cattedrale per i cattolici in Inghilterra e nel Galles), dove sono stati ordinati gli ex-"vescovi", [Giles Fraser] ha detto che l’offerta del Papa per i pastori anglicani di poter tornare sotto Roma è stato sentito come un gesto “leggermente predatorio”.
"In termini aziendali, [è] un po 'come un'offerta pubblica di acquisto in qualche gioco di potere della politica della Chiesa", ha proseguito Fraser. "E se gli anglicani percepiscono così, mi chiedo se le cose sono davvero così rosee nel giardino ecumenico”. [hembè? Anche fosse, chi se ne importa?]Ai suoi commenti hanno fatto eco quelli di Christopher Hill, "vescovo" di Guildford, che è Presidente del Consiglio per l’Unità dei Cristiani della Comunione Anglicana.
"Credo che sia stato un atto insensibile [l’offerta del papa ] per il fatto che sia arrivata in un momento in cui la “Chiesa” d'Inghilterra era ancora in fase decisionale relativa l'ordinazione delle donne ed è avvenuto con una minima consultazione".
"E 'stato difficile e imbarazzante non solo per l' "arcivescovo" Rowan, ma anche per i vescovi cattolici inglesi". [meglio: nel caso, non hanno così avuto modo di opporvisi (troppo), in nome del solito perbenismo ecumenico]"Io non credo che fossero entusiasti e ci rendiamo conto che li ha messi in una posizione difficile."
Papa Benedetto ha emesso un decreto storico nel 2009, promettendo che i pastori e i fedeli anglicani avrebbero potuto convertirsi al cattolicesimo in una "struttura" chiamata Ordinariato che permetterebbe loro di conservare alcuni elementi della loro eredità.
Solo 50 preti hanno finora indicato che vorrebbero con piacere seguire i tre ex pastori nel passaggio a Roma, ma questo numero potrebbe crescere se i tradizionalisti si sentissero non più disposti di rimanere nella "chiesa" d'Inghilterra con l'introduzione delle donne vescovo [e saranno anch'essi i benvenuti!]
John Saxbee, “Vescovo” di Lincoln, ha detto […] "Non posso giudicare i motivi [dell'offerta], ma il modo in cui è stata fatta non si sposa facilmente con tutti i discorsi tesi a migliorare le relazioni". […] [o poverini! si sono offesi? Il sig. Saxbee forse voleva che il Papa chiedesse loro il permesso di convertire un po' di anglicani? allora sì che sarebbe stato un gesto cortese?]Potrebbero filtrare le relazioni del mese prossimo, quando il Sinodo generale e la “chiesa” del Parlamento inglese, dibatteranno su un rapporto redatto dalle due "chiese" sull'importanza di Maria, che i cattolici credono fosse libera da "ogni macchia di peccato originale". [non è che semplicemente "crediamo", "riteniamo", ma l'Immacolata Concezione della B.V.M. è un dogma, una verità di fede!]
"Questo rapporto potrebbe essere motivo di ulteriore divisione perché non rappresenta ciò che gli anglicani credono sui dogmi su Maria," ha detto un membro del Sinodo. [affari loro, noi certo non vogliamo né possiamo cambiare anche al teologia mariana per farli contenti! Ma che pretendono?]Il "vescvovo" Hill ammette che probabilmente il tono del dibattito sarà più "belligerante" di quanto sarebbe stato prima della creazione dell'Ordinariato [suona come una minaccia?]aggiungendo: "[... ]nella "chiesa" d'Inghilterra si può avere una varietà di opinioni verso Maria [ah sì? strano], ma la Chiesa cattolica romana ha solo una convinzione sola" [sì, e guai a chi ce la tocca!].
Il cardinale Walter Kasper, un collaboratore del Papa ed ex presidente del Ponticio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, ha tentato di allentare le tensioni della scorsa settimana.
Parlando ad una cena con il dottor R. Williams, ha detto che l'ordinazione di tre ex pastori anglicani non ha rappresentanto un "giorno della vittoria", ma "un giorno di penitenza". [penitenza per che cosa, eminenza? Per aver convertito alcuni anglicani? O il suo era il solito buonismo? O un mieloso tentativo diplomatico di edulcorare la pillola? Comunque sia, l’importante è che le conversioni e le ordinazioni siano iniziate! E, lo faccia dire a noi: vittoria! (e non la Regina, ben inteso!)]..fonte: Amici di Papa Ratzinger 4
ps. ove possibile nella traduzione abbiamo sostituito la parola "chiesa" (quando il termine originale church era usato in riferimento a quella non Cattolica) con la perifrasi più appropriata "Comunione anglicana"; lo stesso con la parola "vescovo".


Unico appunto; il Papa non ha convertito nessuno ma ha dovuto prendere provvedimenti, sgraditi per non pochi vescovi cattolici (sic!), su una situazione concreta in cui gli anglicani avevano intrapreso un cammino di conversione dandogli la possibilità di entrare nella piena comunione con la Chiesa Cattolica

mercoledì 26 gennaio 2011

Preti da spretare!

Sacerdoti di frontiera di cui la Chiesa farebbe a meno.
di Antonietta Demurtas

Non hanno appeso 95 tesi davanti ai portoni delle loro chiese come fece Martin Lutero nel 1517 a Wittenberg, non si sono sposati né hanno dato vita a una nuova Chiesa, ma come il riformatore tedesco del XVI secolo criticano quel clero istituzionalizzato che dovrebbe rappresentarli e dal quale, invece, in più occasioni si sentono lontani.
Si distinguono per la singolarità 'eretica' delle loro posizioni, in contrasto con le attuali posizioni ufficiali della curia romana esprimono il  grande disagio che in seno alla Chiesa cattolica gli stessi fedeli hanno per le posizioni integraliste assunte dai vertici del clero italiano.
Spesso in netta opposizione al modus operandi della Santa Sede scrivono omelie infuocate e firmano appelli per un ritorno alla sobrietà, alla parola del Signore.
Ecco perché potrebbero essere loro i preti da 'scomunicare' nel 2011. Gli eretici del XXI secolo: sacerdoti radicali, profetici, scomodi e controcorrente, che continuano a seguire il loro percorso sacerdotale, anche se accidentato.

Aldo Antonelli, il sacerdote anti Cei

È sempre stato un ribelle. Negli anni '70 faceva parte del Movimento dei cristiani per il socialismo e nel 1978 per i suoi atti di protesta fu emarginato a Poggio Filippo in Abruzzo, un piccolo centro abitato da 120 pensionati, «così non potevo nuocere a nessuno», spiega Aldo Antonelli, che racconta come da assistente degli universitari, capo degli scout e consigliere regionale delle Acli si è ritrovato a predicare in una chiesa sennza parrocchiani. «Mi tolsero tutto, ma io non mi sono mai sentito punito, bensì promosso».
Oggi don Antonelli, parroco di Antrosano, in provincia dell'Aquila, scrive lettere infuocate al presidente della Cei, Angelo Bagnasco: «I suoi silenzi prudenziali che tendono a coprire ciò che non si può più tacere, appaiono a noi, parroci di periferia, inequivocabilmente immorali e omicidi».
SILENZIO IN CAMBIO DI SOLDI. Il riferimento è al silenzio della Chiesa davanti ai comportamenti del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: «Silenzi, che sembrano programmati al fine di barattarli con vantaggi corposi circa il finanziamento delle scuole cattoliche. Ma che differenza c’è tra una prostituta che vende il corpo per danaro e una Chiesa che, sempre per danaro svende l’anima?».
Domande alle quali don Aldo non ha ancora ricevuto una risposta. Dalla sua parrocchia spiega a Lettera43.it il suo radicalismo religioso: «Io ce l'ho con quella Chiesa che è gerarchia ascensionale per cui tutti fanno ricorso alla carriera». Parroco e coordinatore di Libera per la zona dell'aquilano, aggiunge: «Dio si fece uomo, scese da noi e invece noi vogliamo fare il contrario, in questo la Chiesa è eretica, ha ruoli ingessati, dice di non fare politica e invece fa quella più becera».

Paolo Farinella, il teologo incarnazionista

«Riconosco l'esercizio storico dell'autorità della Chiesa, ma contesto il suo modo di fare teologia. Io non insegno una teologia romana, perché non esiste. La Chiesa ne ha tante, quella di San Tommaso, per esempio, non è certo la stessa di Sant'Agostino. Quella che oggi segue la Cei, invece, è la teologia della convenienza, che fa accordi con Silvio Berlusconi solo per averne un tornaconto. L'esercizio del papato è antievangelico». Non usa mezzi termini Paolo Farinella per mostrare la sua distanza dal clero.
Nato a Villalba, in provincia di Caltanisetta, ha scelto come terra d'adozione Genova, dove è sempre tornato dopo i suoi pellegrinaggi a Verona, Milano e Gerusalemme e dove ora è a capo di una chiesa privata senza parrocchiani che si chiama San Torpete. Ceduta al clero da una famiglia di nobili di Genova, i marchesi Cattaneo della Volta, la chiesa è oggi frequentata «da persone della diaspora, che non si ritrovano nelle liturgie ordinarie», racconta don Paolo.
La messa dura due ore, incentrata sulla parola, prima delle letture è anticipata da un'introduzione storico-biblica del sacerdote. «Io professo una teologia incarnazionista che tiene conto sia della Bibbia sia della storia delle persone che si incontrano, perché ognuna è portatrice di una verità», racconta.
NÉ BERLUSCONISTA NÉ BERTONIANO. Con don Antonelli, con il quale ha firmato numerosi appelli contro la Cei, c'è un'amicizia che dura da quando i due sacerdoti si incontrarono nel seminario di Verona, Nostra signora di Guadalupe, dove si preparano i missionari che andranno in America latina. È lì che don Paolo decide di dedicarsi agli emarginati e tornato a Genova apre una casa di accoglienza per prostitute, persone con problemi di tossicodipendenza e ragazzi usciti dal carcere minorile. Poi nel 1999, il viaggio a Gerusalemme: per 4 anni fa uno studio radicale sulle Scritture, ma al suo rientro in Liguria si ritrova, anche lui, senza incarico per ben 3 anni: «Non si fidavano di me dal punto di vista teologico».
Infine nel 2006 lo scontro con Tarcisio Bertone, allora vescovo di Genova. «Gli chiesi di prendere una posizione, ero emarginato. Alla fine mi ha affidato una parrocchia senza parrocchiani, pensava di farmi un torto e invece mi ha fatto un favore». Per la messa della domenica la chiesa di San Torpete si riempie di persone che arrivano da tutte le parti della città, il suo centro di musica e cultura ogni anno organizza 20 concerti internazionali e l'associazione 'Ludovica Robotti-San Torpete' aiuta le famiglia attraverso il sistema del microcredito, «senza interessi come prescrive il Vangelo. Per questo sono un prete di frontiera e non voglio morire né berlusconista né bertoniano».

Andrea Gallo, il prete di strada

È il patriarca dei preti di frontiera. Anche lui ha frequentato il seminario di Verona, da dove nel 1953 partì per una missione in Brasile di un anno. L'incontro con Don Bosco lo segnò talmente tanto che diventò un salesiano militante, ma nel 1964 lasciò la congregazione perché, disse, «si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale». Fu così che entrò nella diocesi genovese.
In sacrestia dal 1959, già nel 1964 come parroco della chiesa del Carmine, don Gallo era un combattente della fede. Antiproibizionista convinto (fumò uno spinello nel comune di Genova), difensore degli omosessuali, acerrimo nemico del Concilio Vaticano II, alle file ecclesiastiche ha sempre preferito quelle dei barboni e dei diseredati.
L'ACCUSA ALLA CHIESA DI OSCURANTISMO. Cappellano di riformatori e carceri, don Gallo, sigaro sempre in bocca, ha trascorso la sua vita tra i vicoli genovesi a raccogliere le testimonianza degli ultimi, dalle prostitute ai tossicodipendenti. Con l'accusa di essere un prete comunista lo allontanarono dalla sua parrocchia, ma lui che ha definito oscurantiste le posizioni della Chiesa e ha difeso la libertà individuale nel caso Welby ed Englaro, non si è mai fatto intimorire.
Nel suo libro Così in terra, come in Cielo ha raccontato la sua religione. Oggi a 83 anni aiuta il parroco di San Benedetto al Porto di Genova (chiesa di cui don Andrea fu fondatore), don Federico Rebora. È lui il vero lume di don Gallo, l'anello di congiunzione tra la Chiesa e il figliol prodigo.

Tonio Dell'Olio, contro il 'privilegium mafiosi'

Ex coordinatore del movimento cattolico internazionale per la pace, Pax Christi, oggi è portavoce e responsabile internazionale di Libera e membro del centro interconfessionale per la pace (Cipax) e della Tavola della pace. Sacerdote della diocesi di Trani-Barletta Bisceglie, collaborò con Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi.
Non è mai andato contro il clero, ma ha sempre vissuto una vita fuori dagli schemi ecclesiastici. È stato cappellano del carcere di massima sicurezza di Trani, in provincia di Bari, e ha lavorato anche nei Quartieri spagnoli di Napoli. Oggi lavora con don Ciotti e non ha avuto remore a schierarsi dalla parte di Nichi Vendola, il presidente della regione Puglia, gay.
DALLA PARTE DI WELBY. In una lettera alla senatrice del Pd Paola Binetti scrisse: «Il samaritano, il ladrone, gli stranieri, l'adultera, l'esattore delle imposte, i lebbrosi, la vedova e la samaritana… non solo non vengono giudicati (e tanto meno discriminati) ma addirittura proposti come modelli nella prospettiva che coloro che consideriamo ultimi, ci precedono. Se volessimo attualizzare la parabola del samaritano dovremmo dire che a scendere da Gerico a Gerusalemme è un omosessuale».
Nella vicenda Welby si schierò dalla parte della famiglia contro il rifiuto della Santa Sede di celebrare l'onoranza funebre, e nel 2010, davanti alla sepoltura di Enrico De Pedis, uno dei boss della Magliana, nella basilica di Sant'Apollinare a Roma, perché considerato un benefattore, scrisse: «Mi chiedo se bastano le sue elemosine a convincere uomini di Chiesa a trasgredire persino il Codice di diritto canonico e a conferire un onore tanto grande a un criminale. Perché il Vicariato di Roma o il Vaticano non pongono fine a questa sorta di 'privilegium mafiosi'? Toglierebbero di mezzo questo monumento alla complicità, riscatterebbero una credibilità compromessa di una Chiesa che dice che il Vangelo e le mafie sono inconciliabili».

Claudio Miglioranza il campagnolo

È un prete operaio che vive nelle campagne che circondano la sua terra, Castelfranco Veneto, insieme a sette senegalesi di fede islamica. È qui infatti che don Claudio vive dal 1978 in condivisione con bisognosi ed emarginati. Anche lui, dopo gli studi presso il seminario di Treviso, dove è entrato nel 1954, è passato per quello di Verona, Nostra signora di Guadalupe. Nel 1970 è partito per l’Argentina dove è rimasto fino al 1976.
La sua testimonianza raccolta nel volume Memorie di realtà intraviste è una  testimonianza di una scelta di vita intesa come dono.
L'ATTACCO A MARCHIONNE. Non ci sono insegnamenti teorici né prediche moralistiche nel suo curriculum vitae ma la continua scelta della vita umile e della difesa dei più deboli. Che negli ultimi giorni sono stati gli operai di Mirafiori, nei confronti dei quali don Claudio ha dedicato preghiere e sermoni, accusando Sergio Marchionne, di perseguire una «retrocessione nei diritti» dei lavoratori; nell'omelia della messa del 2 gennaio ha attaccato l'amministratore delegato Fiat, rimarcando che il manager guadagna «quanto 6.400 dei suoi dipendenti».

Giorgio De Capitani, l'antigerarchico

Si batte contro il ritualismo senza futuro della Chiesa. E lo fa direttamente dall'altare o dal suo sito, dongiorgio.it, dove scrive i suoi pensieri e le sue liturgie. Ma soprattutto i suoi strali. Don Giorgio De Capitani contro le disposizioni della Santa Sede del motu proprio sulla Messa in latino per esempio ha detto: «La gente di oggi non capisce l'italiano, e voi mi proponete di dire la Messa in latino? Aveva ragione, su questo, Lutero che aveva proposto una lingua popolare per poter comunicare alla gente comune la parola di Dio».
Sacerdote dal 1963 nella diocesi di Milano, don Giorgio è parroco a Monte di Rovagnate, in provincia di Lecco, e ogni giorno dal suo sito si scaglia contro una chiesa gerarchica, senza preoccuparsi di essere troppo irriverente. Parla di «religione che sodomizza le coscienze» e si chiede: «Perché il Papa non se ne sta a casa, lasciando che a parlare siano i suoi preti, o meglio i ministri del Cristo radicale?».
CONTRO BERLUSCONI. Il prete lombardo è anche tra i 41 preti firmatari di un manifesto di Micromega contro la legge sul testamento biologico: «Una legge inumana e oscurantista», dice vantandosi di essere l'unico firmatario ad avere «ancora una sua chiesa da seguire, un suo gregge. Perché sono convinto che il mio cardinale in cuor suo la pensa come me. Ma non può dirlo», sottolinea riferendosi a Dionigi Tettamanzi.
Il suo pensiero 'eretico' si può riassumere in uno degli ultimi post: «Finché ci sarà Berlusconi come responsabile del Paese non ci sarà possibilità alcuna di costruire pacificamente e democraticamente il bene comune. Tolto lui di mezzo, le sue due 'migliori' puttane, Lega e Vaticano, non avranno più il loro protettore, e saranno costrette a rifarsi la verginità».

Vitaliano della Sala, il no global

Il prete avellinese vicino al movimento no global è un convinto critico delle istituzioni ecclesiastiche considerate obsolete e troppo lontane dalla vita reale delle persone comuni. Vitaliano della Sala non partecipa alle riunioni del clero, che considera «un'inutile perdita di tempo, un insulto alla sensibilità e all'intelligenza di ognuno».
Durante il suo sacerdozio si è scagliato contro tanti esponenti del Clero, ha accusato anche il cardinale Angelo Sodano di simpatizzare con la dittatura militare di Augusto Pinochet e quando nel 2000 è arrivata la prima ammonizione, non si è scomposto, era solo una delle tante.
PRIMA LA SOSPENSIONE POI IL PERDONO. Dopo due anni è, infatti, stato rimosso dall'ufficio di parroco in Sant'Angelo a Scala. Ma nonostante le sue posizioni radicali, la sua sospensione a divinis è stata ritirata.
Dopo la decisione del Vicariato di impedire la celebrazione dei funerali religiosi per Piergiorgio Welby, all’interno della Chiesa cattolica si sono levate diverse voci contrarie: insieme a don Dell'Olio, don Formenton e don Farinella, naturalmente, c'era anche don Vitaliano.

Don Luigi Verzè, il prete manager

Le sue dichiarazioni spesso lasciano perplessa anche la Chiesa, tanto che in più occasioni è stato redarguito. Nel 1964 al prete manager, Luigi Maria Verzé, fu comminata dalla curia milanese «la proibizione di esercitare il Sacro ministero» e nel 1973 fu sospeso a divinis, ma entrambe le pene sono state poi revocate.
Don Verzé è il fondatore dell'ospedale San Raffaele, presidente della Fondazione centro San Raffaele del Monte Tabor e attuale rettore dell'università Vita-Salute San Raffaele. Per lui, classe 1920, campare 150 anni, non è impossibile, tanto che lo ha garantito anche al premier Silvio Berlusconi. Grazie alla scienza «torneremo a vivere fino a 120 anni. Credo a ciò che è stato scritto su Matusalemme», ha spiegato don Verzè, il cui progetto prevede l'istituzione di un centro chiamato «Quo Vadis» sulla medicina predittiva. Per questo sul connubio tra fede e scienza, non ha dubbi e alla domanda: «Ferma i suoi ricercatori se vanno in una direzione che la Chiesa non vuole?», rispode: «No. La scienza non la ferma nessuno, nemmeno la Chiesa».
SE FOSSI PAPA. Sempre pronto a contestare anche le decisioni del Clero, fece clamore la sua lettera al Corriere della sera intitolata Se io fossi papa in cui diceva: «I Vescovi li farei eleggere dal popolo cristiano ed eliminerei il cardinalato e tutte le distinzioni feudalesche». Provocatorio ma mai eretico sino in fondo, Don Verzè ha avuto più guai con la giustizia terrestre, che con quella divina: nel 1976 è stato condannato dal tribunale di Milano a un anno e quattro mesi di reclusione per tentata corruzione in relazione alla convenzione con la facoltà di medicina dell’università statale di Milano e la concessione di un contributo di due miliardi di lire da parte della Regione Lombardia, nel 1977 è riconosciuto colpevole di «istigazione alla corruzione». Ma le accuse e le incriminazioni non sono mai arrivate a un verdetto definitivo perdendosi in archiviazioni, rinvii a giudizio e prescrizioni .

Gianfranco Formenton, il parroco comunista

Contro la legittimazione religiosa dell'immorale industria delle armi e della politica guerrafondaia, Gianfranco Formenton scrive lettere e omelie. Tacciato di essere prigioniero dell'ideologia comunista, amico dei sovversivi, fiancheggiatore dei Ds, il parroco spoletino ha scritto anche al cardinale Camillo Ruini. Una missiva dove si definisce: «Il parroco della parrocchia più 'rossa' d’Italia dopo Alfonsine e Argenta», ha scritto per fare un appello al cardinale: «Dica una parola semplice sulla laicità. Ci racconti che mai la fede è un elemento di giustificazione delle ideologie».
CONTRO I CAPPELLANI MILITARI. Il parroco di Sant'Angelo in Mercole, in provincia di Spoleto, è conosciuto per la sua continua lotta pacifica al coinvolgimento di Dio in guerra: «Nella Chiesa cattolica c'è persino una categoria strana di preti, stipendiata dall'Esercito, inquadrata nella sua gerarchia, addetta a ricordare a Dio i suoi doveri verso i nostri soldati. I cappellani militari sono inquadrati in un'altra gerarchia teologicamente inesistente ma che è contemplata dagli ordinamenti giuridici: l'Ordinariato Militare. Vale a dire che in pratica esiste una 'Chiesa militare' con relativo Vescovo. Per la Chiesa sono preti e monsignori. Per l'esercito sono capitani, tenenti».

Enzo Mazzi contro il monopolio delle gerarchie

Negli anni 60 venne sconfessato dal cardinale Ermenegildo Florit, ma lui proseguì ugualmente la sua esperienza di fedeltà ai valori evangelici respingendo ogni forma di potere. E ancora oggi è un convinto critico delle scelte della Chiesa ufficiale, che definisce: «Chiesa del potere». Enzo Mazzi, da non confondere con il prete che tutti vedono in televisione, Andrea Mazzi, è il leader della Comunità di base L’Isolotto di Firenze. Non teme il confronto e la dialettica con le file gerarchiche, anche le più alte.
Davanti all’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI don Mazzi ha scritto: «Il linguaggio dei papi in questi due secoli si è affinato, non c’è dubbio, ma la sostanza resta quella: la grande paura che la modernità renda superflua la Chiesa».
MENO CHIESA, PIÙ DIO. Per il sacerdote fiorentino la vita francescana è il modello che tutti dovrebbero seguire, perché: «Più aumenta la presenza della Chiesa, più Dio è in ombra. Più ingrossa il fiume di danaro che la Chiesa ha a disposizione e minore è la forza della buona novella di giustizia ai poveri». Sempre pronto a redarguire un clero lontano dai suoi fedeli, don Mazzi ammonì la Chiesa anche per non essersi presa cura dei suoi preti:  «Non può più trovare alibi per non guardarsi dentro e soprattutto osservare la personalità dei suoi chierici», disse preoccupato per lo scandalo dei sacerdoti pedofili.
Difensore dei deboli, anche sul caso della pillola abortiva Ru486 diede una lettura diversa, che non piacque ai suoi superiori: «Il potere ecclesiastico amministra le paure che l'uomo e la donna hanno di fronte alle pulsioni della vita e su tale paura e sui sensi di colpa edifica il proprio autoritario paternalismo.Quando il potere ecclesiastico arriverà a chiedere perdono alle donne di tutti i misfatti compiuti contro le loro coscienze fin dalla più tenera età, contro i loro corpi, i loro uteri, la loro capacità generativa e creativa, allora e solo allora sarà credibile nel suo parlare d'aborto e di difesa della vita».
Mercoledì, 19 Gennaio 2011

Fonte

Questi eretici "don" sono sempre al loro posto, mentre il povero Abbé Michel di Thiberville viene rimosso. D'accordo che la giustizia non è di questa terra, tuttavia mi sembra davvero che si stia passando abbondantemente la misura !

Notazioni su uno scritto di Padre Cavalcoli: Vaticano II e Fraternità San Pio X

 
 
Ho preso visione della Lettera aperta [consultabile dal link] di p. Giovanni Cavalcoli, mossa dalla relazione di Don Florian Kolfhaus al recente convegno di Roma sul Concilio. Nell'esprimere una certa sopresa - tenendo conto del ruolo istituzionale di Officiale della Segreteria di Stato di Don Kolfhaus - per il fatto che egli sia stato chiamato in causa pubblicamente, vorrei formulare alcune osservazioni, vertenti principalmente su alcuni punti riguardanti la FSSPX, partendo dalla seguente premessa.

Dice p. Cavalcoli:
«Nel contempo lo Spirito Santo, che “rinnova tutte le cose”, la conduce [la Chiesa] alla “pienezza della verità”, non nel senso di insegnarle verità nuove - non nova sed nove -, ma nel senso di conoscere sempre meglio quelle medesime verità, quella medesima Parola che non passa e che lo Sposo ha affidato alla Sposa.»
Io credo che, se fossimo così certi che questo, che è prerogativa della Tradizione che amiamo, è quanto davvero avvenuto nel concilio e per effetto del Concilio, non ci sarebbe alcuna ragione per tutti questi appassionati e anche argomentati dibattiti...

Aggiunge p. Cavalcoli:
«Per questo, insieme con Lei, respingo l’interpretazione sia dei lefevriani che dei rahneriani, i quali vedono nelle dottrine del Concilio una novità che rompe col Magistero precedente, come se il dogma non fosse immutabile, ma soggetto ad un’evoluzione o a mutamento alla maniera modernista, i lefevriani per sdegnarsi di questa supposta rottura, i rahneriani invece per rallegrarsene.»
Il punto di congiunzione tra la Fraternità di San Pio X e Rahner in realtà c'è: nella 'rottura'. Ma non dimentichiamo che Rahner, che insieme ad altri è stato l'anima del concilio, ne è l'artefice; mentre i cosiddetti Lefebvriani sono tra coloro -insieme a noi- che la constatano, senza peraltro assolutizzarla nell'intero Concilio, che è stato dimostrato non potersi prendere come "un blocco unico" né come "evento mitizzato ed intoccabile", e quindi non tutto infallibile...

Nel passare in rassegna le due posizioni, quella modernista e quella della FSSPX, registro queste affermazioni di p. Cavalcoli:
«Il Concilio è considerato un “superdogma” dai modernisti, i quali peraltro, spregiatori come sono del vero dogma, si riservano di prendere dal Concilio solo quel che pare a loro o di falsificarne il vero significato, infischiandosi dell’interpretazione del Magistero, esattamente come fanno i protestanti.
I lefevriani, dal canto loro, si sono irrigiditi ad uno stadio della Tradizione superato (anche se sempre valido), precedente a quello del Vaticano II (al 1962, come ha detto scherzosamente, ma non troppo, il Papa), senza rendersi conto che proprio il Vaticano II è testimone infallibile dello stadio più avanzato della Tradizione.»
Mi trovo perfettamente d'accordo con l'affermazione riguardante i modernisti, mentre penso alla percentuale di Chiesa visibile che ricade in questa definizione, perché si tratta esattamente della crisi nella Chiesa non della Chiesa del nostro tempo e del grande disorientamento e oscuramento delle verità di Fede che molti fedeli, che ancora si identificano come cattolici, vivono e soffrono quotidianamente.
Piccola chiosa: il termine 'cattolico' è sempre più desueto nel lessico ecclesiale. Insieme a molti altri (es. Redenzione, Espiazione, Sacrificio, Penitenza e Riconciliazione, Grazia Santificante, Chiesa come Corpo Mistico di Cristo); mentre altre espressioni ormai signoreggiano con sempre maggior forza (es. enfasi sulla "mensa della Parola", equiparazione della Presenza nella Parola a quella nelle Sacre Specie)...

Mi sembra invece riduttivo presentare i "Lefebvriani" come congelati al pre-concilio. Riduttivo, in ragione della loro realtà così inserita nel vivo del tessuto sociale, in altri Paesi piuttosto che in Italia, non solo con la pastorale e la fedeltà al Rito Gregoriano -peraltro prerogativa di molti cattolici che non aderiscono alla Fraternità- ma anche nel campo dell'Educazione. Personalmente, nelle occasioni che ho avuto di confrontarmi con molti di loro, ho trovato persone e sacerdoti aperti e ben consapevoli delle sfide del nostro tempo. Poi, come in ogni realtà ecclesiale, possono esserci frange più 'estremiste'; ma in un momento così delicato non starei a puntare l'attenzione su quelle.

Padre Cavalcoli così si esprime chiamando ancora in causa la Fraternità Sacerdotale San Pio X:
«... il Santo Padre, in vista e nella speranza di accogliere nella pienezza della comunione ecclesiale la Fraternità S.Pio X (i cosiddetti “lefevriani”), ha posto ad essi come condizione l’accoglienza delle “dottrine” del Concilio, ed evidentemente le dottrine nuove, perché i lefevriani non hanno alcuna difficoltà ad accogliere le verità di fede già definite che si ritrovano negli insegnamenti conciliari.»
Riferirsi in modo così sbrigativo ai «cosiddetti "lefevriani"» (sic) [Lefebvriani], significa già posizionarsi in termini antitetici nei confronti della Fraternità Sacerdotale San Pio X, non tanto lefebvriana, quanto cattolica e basta. Essa infatti non si identifica tout court come seguace di Mons. Lefebre, che ne è il fondatore, ma verso la cui figura non c'è alcun atteggiamento di culto della personalità riscontrabile in altri contesti. Inoltre non esiste una 'dottrina' di Lefebvre: le riserve sul concilio espresse dalla Fraternità lo sono in nome della Tradizione cattolica. E, poi, metterla sullo stesso piano dei modernisti, dei quali è più che evidente lo iato rispetto all'alveo della Tradizione, mi sembra francamente improprio ed inesatto, dal momento che le 'novità' del concilio da essa contestate coincidono con i 'nodi' che qualsiasi fedele cattolico può riscontrare, soprattutto nelle loro applicazioni 'pastorali' operate dai novatori, che hanno segnato di fatto l'esistenza di due diverse 'anime' nella Chiesa per effetto di due diverse ecclesiologie. Questo è il cuore del problema.

Se è vero che la Fraternità, dalla sua Fedeltà alla Tradizione, contesta le 'innovazioni' introdotte da alcuni insegnamenti conciliari, non mi pare esatto che il Santo Padre ne subordini la pienezza della comunione ecclesiale ad un pedissequo accoglimento. Egli ha, anzi, accettato e disposto lo svolgimento di colloqui presso la Dottrina della Fede: il che sta a dimostrare che qualcosa da discutere c'è e, soprattutto, che è opportuno discuterne. La consapevolezza su questo ormai penso si sia ormai consolidata. Mi pare di poter cogliere un contrasto tra l'atteggiamento dialogante di Benedetto XVI e questa durezza d'espressione di p. Cavalcoli.

Un'altra considerazione si impone: è vero che la Fraternità accetta la dottrina pre-conciliare - che del resto è propria di ogni cattolico al pari del XXI concilio pur con i suoi 'distinguo' - ma è altrettanto vero che i modernisti la negano, ed è qui la vera 'rottura'.

Afferma inoltre p. Cavalcoli:
«E del resto i Papi del postconcilio hanno più volte detto che il Concilio non è stato solo pastorale ma anche dottrinale»
Ormai le cosiddette "dottrine nuove", sono sufficientemente smascherate e non vengono più passate sotto silenzio per essere forzosamente ricomprese in una fantasmatica "ermeneutica della continuità", proclamata, ma di fatto non ancora dimostrata nei termini in cui abbiamo constatato essa dovrebbe dispiegarsi. Questa è la nostra attuale consapevolezza, che ci fa auspicare con Mons. Schneider: “C’è dunque davvero bisogno di un Sillabo conciliare con valore dottrinale ed inoltre c’è il bisogno dell’aumento del numero di Pastori santi, coraggiosi e profondamente radicati nella tradizione della Chiesa, privi di ogni specie di mentalità di rottura sia in campo dottrinale, sia in campo liturgico.”

Lo stesso card Ratzinger già nel 1988 davanti ai vescovi del Cile affermava: il Concilio Vaticano II «escogitò di rimanere in un livello modesto, come un semplice concilio pastorale» cioè orientato alle necessità del suo tempo, rivolto all’ordine della prassi e che quindi «il Concilio stesso non ha definito alcun dogma e volle coscientemente esprimersi a un livello inferiore, come concilio puramente pastorale». Tuttavia, proprio questo "concilio pastorale" – proseguiva il cardinal Ratzinger – viene interpretato «come se fosse quasi un superdogma, che priva di significato tutti gli altri concili». Del resto, per dirla con Don Kolfhaus, è ormai chiaro che "molti difendono il carattere vincolante e il significato del Vaticano II - che non mancano -, ma solo pochi ricordano i venti concili dogmatici precedenti. È per questo che si registra una sorta di timore di un arretramento rispetto al Concilio e di una sua arbitraria svalutazione. Il nostro contesto e le nostre riflessioni non vogliono arrivare a questo, ma solo far luce sugli eventi, sulla loro portata e significato e su dove ci stanno portando", ovviamente -aggiungo- con l'obiettivo di ritrovare l'alveo della Tradizione, senza la quale non c'è la Chiesa, ma qualcosa d'"altro" e di "oltre"... Altrettanto possiamo dire della posizione dei Lefebvriani i quali, pur con tutti i distinguo di ordine esperienziale e di collocazione canonica determinata dalle complesse e sofferte vicende storiche da cui è scaturita, non si pongono obiettivi diversi.

Infine p. Cavalcoli afferma:
«Indubbiamente resta il problema di sapere con certezza quali sono e dove sono. Qui indubbiamente il Concilio non ce lo dice espressamente e non è neppure sempre chiaro, e qualche volta dà l’impressione di mutare o smentire dottrine di fede già definite. Ovviamente questo è impossibile. Tuttavia qui è bene se non doveroso, per il teologo, dimostrare la continuità. Fanno male e vorrei dire danno scandalo quelli che la mettono in dubbio."
Per dimostrare la continuità bisogna argomentarla partendo dai testi e non semplicemente proclamarla. Quei cattolici, compresa la FSSPX, che cercano di rimanere nell'alveo della Tradizione, non mettono affatto in dubbio la continuità, ma desiderano ritrovarla e ricostruirla nel crogiolo di sfuggente e affascinante colloquialità che, attraverso un linguaggio coinvolgente spesso veicola il vuoto spinto travestito da avventurose sperimentazioni sulla pelle di fedeli che rischiano di continuare ad essere sviati e trasformati in "diversamente-credenti". Ho il timore che, mentre ci avviciniamo a larghi passi ai 'fratelli separati' non più considerati eretici e ormai assurti al rango di "chiese" - quando l'unica vera Chiesa è quella cattolica -, siamo noi ad omologarci a loro e per loro non si pronuncia più la parola "conversione" alla vera Fede, che sussiste pur sempre nella Chiesa cattolica, che ne è la custode in quanto portatrice di una Presenza nella Sua pienezza....